Capitolo 77
Combattuto, Carlyle mi aveva risposto che non poteva, che aveva una convocazione parlamentare e che se non avesse presieduto, avrebbe rischiato di dover ristabilire la pace in un'arena di leoni inferociti, vogliosi di sbranarsi e cibarsi della carne dell'altro.
Alla fine, dopo varie promesse, lo convinsi.
Ci dirigemmo verso il tempietto dell'amore, l'unico posto in cui avremmo avuto riservatezza. Quel luogo era carico di ricordi e lo avrei voluto consacrare in eterno e non deturpare con pesanti rivelazioni.
Andammo a piedi, io con un passo rapido falciavo l'erba e il vento umido, Carlyle invece camminava poco dietro di me a capo rivolto verso il basso.
Non era sereno, anzi.
Non lo vedevo in sé da tempo, da quando aveva indetto il ricevimento a corte e tutti i nobili avevano goliardicamente riconfermato il loro appoggio. Poi, nel mentre, tutto sembrava essersi ritorto a suo sfavore.
Quando arrivammo c'era Cupido ad aspettarci. Poi il cielo scoppiò in un temporale lacrimoso.
«Era nell'aria.»
Sentenziò; successivamente si appoggiò a una colonna a fissare il suo palazzo da lontano.
Il ricamo fitto delle gocce fu l'unico interlocutore per lungo tempo.
«Ricordi la prima volta che siamo stati qui?»
Si girò con il busto e il suo sorriso tenero mi scivolò addosso caldo.
«Tremavi come una foglia.»
«E ricordi anche l'ultima volta?»
Sferrò la sua dentatura bianchissima «Ero io a tremare.»
Risi di gusto anche lui, fino a quando anche i merli si unirono al nostro coro.
«Tra non molto non riuscirò più ad abbracciarti.»
E nel mentre lo disse, ero convinta che si riferisse al fatto che le mie forme rotonde non lo avrebbero permesso ma percepii nel profondo anche una nota sinistra e angosciante cavalcare quell'affermazione.
Venni scossa da un potente brivido. Sgrullai la testa all'idea che eventi esterni, guerriglieri, ci avrebbero impedito di stare insieme, ma se era il principe a pensarlo, allora c'era motivo di prendere quell'ipotesi in considerazione.
«Carlyle, è questo il destino che mi attende!»
«Quando è prevista la nascita?»
«Manca ancora molto, credo sei o sette mesi.»
«Sei o sette mesi...»
Il sospiro che esalò fece tremare la terra sotto i miei piedi.
«Ho bisogno di parlarti... come ti dicevo... »
Socchiuse le labbra e annuì.
«Vostra moglie e il duca stanno...»
«Architettando l'arrivo di Re Giorgio e questa volta non per la solita visita.»
Sgranai gli occhi e rimasi di sasso.
«Lo sapevi già?»
«Non per certo, ma lo sentivo! E capiterà molto prima che te ne potrai rendere conto. Vedi Anthea, da qui a breve soffrirai la presenza di Re Giorgio molto più di una spina nel dito. Ronzerà attorno a Livingstone e a tutta Sommerseth con la furia di un'ape che cerca nettare e quando ne avrà assaggiata anche una singola goccia allora ne vorrà di più e ancora di più, fino a che non si illuderà di essere sazio per poi rendersi conto, avvilito, che la sua ingordigia sarà soddisfatta solo con la sua stessa morte.»
«E cosa pensi che stanno tramando?»
«Di invaderci Anthea e di mettere in campo un esercito e far passare la conquista come una vigliacca resa.»
Le mie mani divennero fredde e il cuore prese a pompare all'impazzata.
«E tu credi che ci riuscirà?»
«La realtà è nostra nemica. Siamo numericamente inferiori e se a oggi esistiamo è perché i sovrani precedenti hanno ritenuto inutile uno spargimento di sangue per un lembo di terra piccolo la metà dell'Irlanda del Nord.»
«Quindi si tratta solo di tempo!»
Una cornacchia gracchiò.
«La paura e altrettanto la colpa più grande che mi addosso è che sto mettendo in pericolo te... e i miei figli... » annidò la sua mano sulla mia pancia, forse per sincerarsi che un cuoricino acerbo già battesse vita, allora poggiai la mia sulla sua per offrirgli il conforto di cui aveva bisogno. Fu così che lacrime silenziose presero a scorrere, ma le asciugai immediatamente. Non volevo che se ne accorgesse.
«I tuoi nobili! I nobili del principato! Loro debbono pur schierarsi con la Corona!»
«E credi davvero che si ritorcerebbero tutti all'Inghilterra? La maggior parte scapperebbe con la coda fra le gambe. Oh Anthea... riponi troppa fiducia nell'essere umano!»
«Cerca alleanze al di fuori allora!»
Il principe che avevo davanti non era l'uomo che avevo conosciuto anni prima, valoroso, forte, sicuro, autorevole. Avevo di fronte un uomo che giocava a spalle scoperte, impoverito della tenacia che lo contraddistingueva e del bagliore che gli lampeggiava negli occhi quando trattava di affari diplomatici.
«E sai già con chi Anthea? Credi che sia così facile intavolare una trattativa con il nemico che potrebbe presentarsi alle porte dall'oggi al domani?»
«Deve pur esserci qualcuno disposto a venire in nostro favore!» la mia voce declinò in un lamento.
«Se fossimo una nazione al pari della Germania o della Spagna, o della stessa Inghilterra, non avrei difficoltà a racimolare sostegno tra le altre potenze del continente, anzi, a giudicare bene, direi che farebbero a gara pur di offrire i loro servigi... non a titolo gratuito, sia ben chiaro! Tuttavia siamo solo una piccola pagliuzza all'interno di un vasto continente per la quale non é scontato entrare in guerra.»
Carlyle si toccò la gola e passò la mano sul primo accenno di barba, in genere sempre accuratamente rasa. Aveva sete e molto probabilmente non di acqua.
«Con la Francia!» lo presi per la giubba e lo tirai a me. Ad un tratto ci ritrovammo pericolosamente vicini. Una scintilla rossa e rovente mi trapassò da capo a piedi e poi si diffuse sulle sue braccia. Ci guardammo a fondo in una rincorsa di sguardi e respiri concitati. Non era quello però il momento e fu così che il nostro sangue tornò a una temperatura accettabile che non facesse ardere lo stesso sole.
Quando all'improvviso realizzò la mia esclamazione, il suo viso perse colore.
Farfugliò «Francia?»
Annuii tre o quattro volte con la testa affinché capisse che lo pensavo veramente.
Dovette finalmente convincersi che non lo stavo prendendo in giro quando mi chiese «Con la guerra in corso?»
Rimasi granitica.
«Significherebbe nient'altro che anticipare la nostra annessione! E perderei di credibilità dopo aver mandato a morire i miei uomini, i miei sudditi» si batté l'indice contro il petto a ogni puntualizzazione e questo divenne rosso dalla pressione «per contribuire alla missione di chi adesso vuole solo la nostra estinzione?»
«Non saresti né il primo né l'ultimo.» rimarcai.
«Il primo non lo sarei di certo, ma neanche l'ultimo e nemmeno il penultimo essendo che mai asseconderei una follia del genere!»
Era irritato, pesantemente preoccupato e insolitamente umano.
«Carlyle!»
Quando lo chiamavo per nome dal nulla, pratica che lui preferiva rispetto al solito titolo da protocollo, le ragioni di fondo potevano essere due: o ci trovavamo nello stato primordiale di due corpi fatti di carne e pelle, oppure intuiva che volevo che ascoltasse ciò che avevo da dirgli e di conseguenza un invito a raffreddare i suoi pensieri e a sgomberare la mente.
«Pensaci bene. La Francia non potrebbe negarsi alla tua richiesta di sostegno proprio perché è in corso con l'Inghilterra un conflitto. Siete accomunati dal combattere lo stesso nemico!»
Non lo convinsi. Non ancora.
«La Francia e Sommerseth non condividono nulla. Lingua, tradizioni, ricordi. Convincerla a schierarsi con il principato è inimmaginabile.»
«Inimmaginabile fino a quando non sarai disposto ad assicuragli un compenso che solo Sommerseth possiede.»
Storse gli occhi «A cosa ti riferisci?»
«A Beaufort.»
I timori del principe vennero confermati perché la risposta non poteva che essere quella.
Piegò la bocca in un'espressione disorientata, dunque scosse il capo, rifiutandosi di accettare quel compromesso che gli trivellava le meningi ma alla fine dovette arrendersi al fatto che Francia e Sommerseth, in fin dei conti, erano accomunate da qualcosa.
«Non posso permettermi di perdere Beaufort. Sarebbe un danno alle casse della Corona che accuseremmo per i prossimi dieci anni a venire. Il ducato ci appartiene da secoli poi.»
«Ma la Francia lo desidera e con questa offerta non potrebbe non essere dalla tua parte!»
«Se così fosse, Godwin ne impazzirebbe.» sospirò, a simbolo che il bene che nutriva per il fratello non si era mai spento, a discapito di tutto.
«Tuo fratello trama per espropriarvi del tuo stesso regno!» puntualizzai non senza difficoltà.
Allora Carlyle venne travolto da un oceano di emozioni contrastanti, da angoscia mentale e dalla realtà crude delle cose. Dovette prendere evidenza delle circostanze dopo averle analizzate attentamente, come se avesse avuto davanti un manuale scritto con le istruzioni da seguire o un calamaio e pergamena su cui aveva disposto i suoi ragionamenti. A conti fatti, si persuase che una perdita tale sarebbe stata necessaria per salvaguardare il benessere di un regno che prosperava da secoli.
Permise dunque ai suoi pensieri di rimettersi in ordine, di combaciare pezzo per pezzo e di unirsi in una trama consistente e invalicabile; allora mi interrogò «Ipotizziamo che avanzassi la proposta al Parlamento e che questo la approvasse. Ora, ipotizziamo anche che la Francia accettasse un'offerta del genere e decidesse di scendere in campo per noi. Cosa mi assicurerebbe che i francesi si impegnerebbero davvero a difendere i nostri confini e che non si limiterebbero a fare una mera presenza?» si schiarì la voce «che combatterebbero davvero per noi, Anthea!»
«Presentandogli lo scenario opposto: che in caso di perdita Beaufort finirebbe per certo nelle mani inglesi e che avrebbero il nemico perennemente in casa.»
Barcollai. Da quando ero diventata così pratica con le tattiche di guerra?
Carlyle mi osservò meravigliato e dovette riconoscere la solidità di quel ragionamento.
«Naturalmente né mia moglie né Godwin dovranno venire a conoscenza del piano. È fondamentale la massima prudenza. Il Parlamento ne deve essere informato tuttavia. È una decisione che deve essere approvata. Non sono un despota.»
Forse era anche per questo che il fato aveva deciso che venisse incoronato lui e non suo fratello.
«Sono sicura non incontrerai ostacoli.»
«Invierò un emissario a Versailles quanto prima.»
« ...e offrirai la sottoscrizione di un patto. Controfirmato da te e da Luigi XV in cui metterete per iscritto che se la Francia vincesse otterrebbe Beaufort e Sommerseth perderebbe per sempre ogni diritto, rendita e pretesa nei confronti del ducato. Per sempre.» rimarcai.
Uscimmo affaticati da quei discorsi, percossi da una tormenta che non aveva avuto pietà di noi. Il futuro dunque era incerto e avevo una tremenda paura per Amaranta e per il bambino che stava per arrivare. Tutta la mia vita sembrò passare al setaccio. Mi chiesi se, come madre, sarei stata in grado di proteggerli, se li avrei preservati dal male e se un giorno la loro mente sarebbe stata macchiata da brutti ricordi.
«Ho fiducia in te. Io sono sempre al tuo fianco.»
Afferrai timidamente la sua mano: era così calda che avrei potuto modellarla tra le dita come cera. Tremai impercettibilmente e vagai con lo sguardo nei meandri dei suoi pensieri.
Carlyle non mi rispose. Si limitò a sorridermi e mi sembrò come se milioni fossero le riflessioni che gli accorsero alla mente. Intuii a cosa stesse pensando. Se avesse parlato mi avrebbe detto che non era colpa mia. Me l'aveva detto già mille volte e forse me ne stavo quasi convincendo... ma era davvero così?
Il tempo assieme fu breve. Aveva smesso di piovere e un rivolo di sole che giocava a nascondino tra le nuvole ormai bianche ci ricordò di riprendere il cammino verso il palazzo. Il momento di separarci arrivò quando giungemmo al termine del bosco. Ci guardammo senza dirci troppe parole e un'atroce sofferenza mi strinse per saperlo inaccessibile davanti all'imperversare di un futuro oscuro.
«Sei un buon sovrano. Sai di esserlo.» mormorai avvicinandomi a lui.
Mi lasciò un lieve bacio sulle labbra. Gli sfiorai la guancia, la accarezzai e feci tesoro di quel momento. Mi toccò nuovamente la pancia. Con la sua mano riusciva quasi a coprire l'intera superficie. Divenne nostalgico.
«Dà un bacio ad Amaranta da parte mia e parlale di me ogni volta che puoi.»
Le nostre ombre si divisero. La mia perse di forma e si mescolò con quella della natura silenziosa, la sua divenne invece poco a poco sempre più nitida e fiera di accompagnare un uomo che aveva ritrovato il suo orgoglio.
Carlyle non avrebbe perso il suo regno, il regno che i suoi antenati avevano contribuito a forgiare.
D'un tratto, una temporanea quiete sembrava essere tornata.
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