Capitolo 7
In meno di qualche minuto mi ritrovai nel corridoio dove Sir Jacques ci aveva indirizzato per accompagnarci alle nostre stanze. Ci volle un po' di tempo prima di arrivare a quella che sarebbe stata di lì in avanti la mia camera.
Il palazzo era stato costruito in modo tale da separare nettamente l'ala per la servitù dall'ala per la famiglia reale. Inutile dire che ci trovavamo nei seminterrati e che per raggiungerli dovemmo percorrere diverse rampe di scale, delle quali non tenni il conto. Durante la mia breve passeggiata dentro la dimora - se così poteva definirsi data la distanza percorsa - la mia attenzione fu attirata dalle decorazioni delle pareti e dal muoversi frenetico della servitù che già da tempo lavorava per la famiglia Kynaston. Osservai le ragazze indossare un abito simile a quello che portavo io in quel momento: un lungo abito nero che terminava sulle spalle e che copriva le braccia con maniche di camicia. Avevano i capelli rigorosamente raccolti dietro la testa, per questioni di igiene pensai. Notai che le ragazze, indipendentemente da ciò che stavano traportando con le mani, avevano tutte lo sguardo rivolto verso il basso. I ragazzi invece, abbigliati nello stesso stile delle ragazze e con gli stessi toni, camminavano con il mento rivolto all'insù, quasi da non riuscire a vedere il pavimento.
Ebbi subito la sensazione che in quel luogo si respirava una diversa concezione del tempo - forse lì dentro il tempo non esisteva o forse vi era arrivato - ma scorreva troppo velocemente.
Sir Jacques si fermò all'improvviso davanti una porta più alta di quella che divideva la camera mia e di Daisy dal corridoio. Si voltò e mi diede uno spago con attaccate delle piccole chiavi.
«Tenete» esclamò «queste sono le chiavi della vostra stanza. Fate attenzione a non perderle poiché non ne abbiamo una copia. Sua Maestà vi aspetta nella Sala grande tra poco e vi raccomando di non essere in ritardo. La principessa Jocelyn non apprezzerebbe e di certo non sarebbe un buon biglietto da visita.»
Dopo un cenno con la testa a segno di ringraziamento presi le chiavi e le infilai delicatamente nella fessura. Sentii uno strano rumore, come se si fosse intrufolato un gatto nella stanza. Mi girai per vedere se Sir Jacques fosse ancora nei paraggi, ma di lui neanche l'ombra. Con la speranza che si trattasse solo di un gatto, terminai di girare la chiave nella serratura fino a quando non riconobbi il rumore dello scrocco. Piegai la maniglia e spinsi in avanti la porta per entrare.
«Sia benedetta sua Maestà!» disse una voce che non mi sarei aspettata. Notai che nella stanza erano presenti due letti, di conseguenza non ne sarei stata l'unica inquilina anzi, a dirla tutta, ero solo l'ultima arrivata.
«Cosa scusatemi... ?» Mi trovai di fronte una ragazza di bell'aspetto, appoggiata alla finestra. Il mio arrivo l'aveva probabilmente interrotta da ciò che stava facendo: magari stava spiando qualcuno o semplicemente ammirando i bei giardini di Palazzo Livingstone.
«Che intendete?»
«Non ho capito la vostra frase di esordio» balbettai io.
«Ah non ve l'hanno spiegato?» dal momento in cui dal mio volto non trapelava alcuna smorfia continuò «bene noto che devo istruirvi. Immagino sia il vostro primo giorno.» annuii. «A palazzo la principessa consorte vuole che qualsiasi forma di saluto sia sostituita da Sia benedetta sua Maestà. È una forma di rispetto nei confronti della famiglia reale. D'ora in poi, ogni volta che incontrerete chiunque in questo palazzo, esordirete con questa frase. Intesi?»
Che cosa strana pensai, ma fu una riflessione che rimase serrata nella mia mente, dal momento in cui mi limitai ad annuire, come al solito, con un senso di ligio dovere.
«Io sono Marfa comunque.» esordì, con il tono di chi aveva lasciato le presentazioni in secondo piano.
«Io sono Anthea» le strinsi la mano. Ebbe una forte presa e quella stretta mi conferì fiducia.
Fino a quel momento ero stata troppo presa dalla mia nuova conoscenza che non avevo prestato alcuna attenzione alla mia nuova stanza. Entrambe i letti, adiacenti l'uno all'altro, avevano a un lato un mobile a cassettoni e una piccola abat-jour a olio in cima. Vicino la porta vi era appeso un piccolo specchio e un appendiabiti. L'ambiente in sé e per sé era abbastanza buio, per fortuna però c'era una grande finestra che avrebbe lasciato entrare le prime luci del giorno, al contrario, una volta calato il sole ci saremmo consolate con la piccola lampada che ci avevano fornito. Aprii il cassettone del mobile a me riservato e vi trovai un po' di biancheria intima e due cambi da cameriera. Mentre Jocelyn Kynaston avrebbe potuto permettersi il vanto di cambiarsi tutti i giorni e di indossare ogni volta un vestito più bello e pregiato di quello precedente io avrei avuto solo due cambi che mi sarebbero dovuti bastare per tutta la durata della permanenza a palazzo.
Presi un abito e lo indossai con un po' di vergogna, dal momento in cui non era mia sorella a guardarmi, bensì una sconosciuta. Sul corpetto in alto a destra vi era ricamato lo stemma della famiglia reale. Considerai quella piccola rosellina come l'unico gioiello che avrei indossato di lì in avanti.
«Suvvia! Pensi di essere tanto diversa da me?» ridacchiò Marfa dopo aver notato il mio evidentissimo imbarazzo. Apprezzai quel suo tentativo di rompere il ghiaccio e di sdrammatizzare la vicenda, che non era in fin dei conti così drammatica.
Nella mia vita avrei avuto bisogno di una persona che sapesse come sdrammatizzare e farmi ridere in quelle situazioni che ai miei occhi sembravano così complesse. Marfa sembrava proprio quel tipo di persona sebbene avessi scambiato con lei solo due battute nell'arco di una manciata di minuti.
Una volta indossato l'abito mi avvicinai a un piccolo specchietto che era poggiato sul comodino di fianco al mio letto per aggiustarmi i capelli e, dopo qualche passata di mano sulla chioma, mi ritenni pronta per iniziare il mio primo giorno da cameriera di Palazzo Livingstone.
«Ehi tu! Dove stai andando?» esclamò Marfa non appena tentai di aprire la porta.
«Nella Sala grande!» risposi io con tono confuso.
«E immagino che già sai dove si trovi, dopo neanche mezza giornata che sei entrate a palazzo.» rispose Marfa con un accenno di risata.
Con un po' in imbarazzo mi resi conto di essermi lasciata trasportare dall'entusiasmo e che una volta uscita dalla mia stanza mi sarei trovata nella situazione di non sapere dove andare, o meglio, nella Sala grande ci ero già stata ma di certo non avevo memorizzato tutto il tragitto per raggiungerla.
«Hai ragione.» risposi ridacchiando e coprendomi la bocca con la mano, per nascondere anche quel lieve abbozzo di rossore che stava comparendo sulle mie guance.
«Vieni, ti accompagno io.»
«Davvero puoi? Non sei occupata in altro? Pensavo doveste lavorare anche voi insieme a me.»
«No, per mia fortuna e per tua sfortuna ho terminato il mio turno poco prima che tu arrivassi.»
«Oh, che peccato!» e lo pensavo davvero. Mi avrebbe fatto piacere avere vicino una persona conosciuta il primo giorno di lavoro.
«Vieni!» si avvicinò e mi spinse la schiena dolcemente, accompagnandomi verso la porta.
Mi assicurai di aver preso le chiavi, ricordandomi il monito di Sir Jacques, dopodiché, una volta chiusa la porta con due scatti - come se avessi paura che qualcuno potesse entrare per rubare un tesoro che non esisteva - ci incamminammo verso la mia destinazione.
Purtroppo chi non c'era mai stato non poteva immaginare in mezzo a quanto sfarzo ero capitata. Né mia madre né mia sorella avrebbero mai percorso quei corridoi e se anche lo avessero fatto avrebbero sicuramente pensato di sognare. Neanche i miei racconti una volta tornata a casa avrebbero mai potuto rendere giustizia a tale residenza. Non avrei forse avuto neanche il tempo per memorizzare tutti i dettagli che c'erano anche nei semplici corridoi, figuriamoci per dare una spiegazione esaustiva di dove mi trovavo.
Mentre camminavo alzai gli occhi al soffitto e anche quello era - inevitabilmente - splendido, così mi fermai un attimo per ammirarlo meglio.
Al centro si posizionava un grande affresco lungo circa la metà dell'intera volta. Cercai di capire cosa potesse rappresentare, immaginai fosse una normale scena di vita principesca. Accompagnati da una folta schiera di nobili vi erano raffigurati i principi consorti: pensai fossero i genitori del principe Kynaston, ma di questo non ne potevo essere sicura, era solo una mia supposizione. Il resto del soffitto era impreziosito da diversi motivi geometrici bianchi e dorati e alle estremità destra e sinistra c'erano una schiera di finestre ad arco dalle quali in quel momento entrava una calda luce pomeridiana che di riflesso illuminava i decori dorati della volta.
Marfa nel frattempo, rendendosi conto che non la stavo più seguendo, mi chiamò. «Anthea, cosa stai facendo lì imbambolata? Non credo vuoi che la principessa pensi che sei una ritardataria! Quantomeno non il tuo primo giorno di servizio!»
Il suo richiamo mi fece svegliare dal mio stato di stasi momentaneo e riportò alla mente il mio compito.
«Hai ragione, forza andiamo!»
La raggiunsi a passo veloce e insieme ci incamminammo verso la Sala grande dove ahimè, fui l'ultima a entrare. Mentre stavo per varcare la soglia della porta, Marfa mi prese per un braccio e mi sussurrò all'orecchio «Se la principessa non dovesse metterci tanto a comunicarti la tua mansione giornaliera mi troverai qui fuori ad aspettarti, in caso contrario spero non avrai difficoltà a ritrovare il nostro alloggio. In alternativa chiedi a qualcuno della servitù e saprà darti informazioni.»
Le sorrisi perché si era dimostrata molto gentile con me non una ma ben due volte, per quanto ci fossimo conosciute il giorno stesso.
«Augurami buona fortuna!»
Rispose al mio sorriso con un altro, mi fece l'occhiolino e poi scomparve dietro il muro adiacente alla porta d'ingresso della Sala. Avrei sperato veramente di trovarla al di fuori una volta terminato l'incontro.
Non appena entrata vidi che le altre mie colleghe si trovavano già in posizione, mentre la principessa era di spalle, ricoperta dai raggi solari che entravano dalla finestra principale della Sala. Aveva le braccia congiunte al di sopra del fondoschiena, e un bel vestito giallo con decori cremisi sulle maniche che metteva in risalto la sua figura slanciata e snella. Mi appropinquai a quello che doveva essere il mio posto evitando di far alcun tipo di rumore con la suola di legno delle scarpe, cercando di rendere più leggero il mio corpo muovendo in su e giù le braccia mentre mi avvicinavo. Probabilmente fu il caso, o forse un momento di distrazione, ma non si accorse del mio ritardo.
Quando si girò aveva ancora i raggi tiepidi che la ricoprivano ed essendo controluce non riuscii bene a distinguere il suo volto. Iniziò a camminare piano piano verso di noi e man mano che si avvicinava riuscivo sempre di più ad attribuirle una forma umana, non più sfocata dal bagliore solare.
«Mie care» iniziò con tono sicuro, dopo essersi posizionata a qualche metro da noi, in mezzo alla Sala. Il suo incipit fu confortante, non doveva avere un temperamento eccessivamente acido se si rivolgeva a membri della servitù, per di più da poco assunti, con quelle parole. «Ho richiesto questo incontro affinché prendiate subito dimestichezza con quelle che saranno le vostre mansioni a palazzo.» qualcuno bussò alla porta ma la principessa non parve dargli importanza e proseguì «Vi elencherò in breve quelle che saranno i vostri doveri da oggi fino a nuovo ordine e che avrete cura di svolgere con dedizione e costanza tutti i giorni, seguendo i turni che Sir Jacques avrà premura di comunicarvi puntualmente. Pertanto chi è di voi la signorina Jones?»
«Io, Vostra Maestà» e fece un passo in avanti una ragazzetta bassa e con i capelli castani.
«Voi vi aggiungerete al personale delle cucine e vi preoccuperete principalmente di mantenere pulito l'ambiente di lavoro e le stoviglie che vi verranno portate in seguito a ogni pasto in cui sarete di servizio. In questo vi aiuterà anche la signorina Grenn. Ora, chi è la signorina Fraser?»
«Sono io, Vostra Maestà.» rispose una ragazza mulatta sulla ventina.
«Voi presterete servizio durante i pasti principali miei e del principe Carlyle nella Sala d'Autunno, vi assicurerete insieme al maggiordomo che sia stato scelto il corredo da tavola appropriato per l'occasione: bianco per qualche ricorrenza, verde per la sera, rosso per la celebrazione Natalizia, giallo per la colazione e ocra per il pranzo. Vi accerterete inoltre di posizionare correttamente la cristalleria e la posateria, il piattino da dessert, il piattino da pane, il sottopiatto e il piatto per la portata principale, che sia minestra o altro tipo di vivanda. Di questo vi istruirà maggiormente il maggiordomo. È tutto chiaro?»
«Sì, Vostra Maestà!» rispose la domestica con tono alquanto dubbio e con un'espressione che avrebbe assunto chiunque avesse fatto finta di memorizzare qualcosa che in realtà non aveva capito, ma a cui la principessa Jocelyn non prestò attenzione.
«Chi è ora la signorina Smith?»
La sovrana proseguì con un lungo elenco di mansioni da affidare a ciascuna domestica presente in quella Sala. Cercai come potei di memorizzare almeno quali erano i vari incarichi che un giorno avrei sperimentato per farmi, se non altro, un'idea su ciò che avrei svolto durante la mia permanenza a palazzo.
«E infine chi è la signorina Gleannes?» puntò il suo sguardo su di me, in attesa che io rispondessi.
«Sono io, Vostra Maestà.»
«Voi avrete l'onore di cominciare non con uno, ma con ben due incarichi. Questo è testimonianza della fiducia che io riverso in voi. Capite ragazze?» si girò verso le mie compagne per ottenere un cenno di approvazione, che naturalmente non tardò ad arrivare. «Avrete il compito di lavare la camiciola che il mio consorte indosserà per la riunione con il Consiglio Reale di questo pomeriggio e a cui vi preoccuperete anche di assistere, per prestare servizio all'occorrenza.»
«Dovrà essere anche asciutta?» strabuzzai gli occhi.
«Che domande!» e tutti scoppiarono a ridere.
«Vostra Maestà, con tutto il rispetto che io riservo verso di Voi, non credo che la camiciola avrà tempo di asciugarsi per l'occasione, anche se iniziassi a lavarla in questo preciso...»
«Mia cara» esordì la principessa Kynaston senza neanche lasciarmi il tempo di concludere il discorso. La pelle del suo volto si era tesa, per accompagnare la forma che avevano assunto la bocca e gli occhi che si erano stretti in una fessura.
«Credo che voi non abbiate capito il perché siete qui. Vi ho dato un ordine e mi aspetto che voi lo portiate a termine, perché sapete, la riunione con il Consiglio Reale è cosa alquanto importante e di certo il mio consorte non ha interesse a fare brutta figura di fronte ai duchi, al cancelliere e ai suoi segretari. Convenite con me?»
«Senza dubbio, Vostra Maestà.» mi sentii piccola piccola e nell'inchinarmi cercai di nascondere l'imbarazzo che traspariva evidente dal mio volto.
«E ora mie care andate, il lavoro vi aspetta, su!» la principessa inizio a muovere le mani come se stesse scacciando un cagnolino dispettoso e noi, come piccole bestiole, ci allontanammo.
Uscii dalla stanza, sollevata da che l'incontro fosse finito. Non ebbi l'idea di quanto tempo fosse passato, credetti un'eternità ma forse erano passati solo una manciata di minuti.
Mi guardai intorno e vidi che Marfa era rimasta ad aspettarmi. Per fortuna, pensai.
«Allora? Raccontatemi presto! E togliti dal volto quell'espressione da stoccafisso!»
«Allora cosa? Devo lavare innanzitutto una camicia del principe e devo assicurarmi che sia asciutta entro questo pomeriggio! Ti rendi conto?»
«Entro questo pomeriggio? Beh ti è andata anche bene direi, considerata la concezione un po' stravagante che la principessa Jocelyn ha del tempo.»
«E ora dove trovo questa camicia?»
«Suvvia sciocca! Domandi sul serio? Nella camera da letto del principe Carlyle ovviamente!» Marfa stava ridacchiando in quel momento come se per lei fosse qualcosa di così scontato sebbene per me, che ero nuova a quel mondo, non lo era affatto.
La mia guida, per dono della sorte, mi accompagnò anche quella volta. Iniziai a pensare che probabilmente lavorava a Corte da chissà quanto tempo per aver impressa nella mente buona parte della piantina del palazzo.
La camera da letto del sovrano si trovava al piano superiore. Salimmo una vasta rampa di scale, larga qualche metro e interamente di marmo. Notai un copioso corrivai di domestici in su e in giù per le scale, impegnati sicuramenti a preparare la Sala del Consiglio per l'arrivo dei duchi e del cancelliere. Ebbi quasi difficoltà a non venir travolta dal fiume di servitori che veniva in direzione contraria: c'era chi trasportava centrotavola in pizzo bianco, chi trasportava in su e in giù quadri che forse ancora non avevano trovato una postazione definitiva e chi invece non trasportava nulla ma impiegava il tempo agitandosi in qua e in là per sottolineare che la riunione era imminente e che non c'era ancora nulla di pronto.
«La camera da letto è quella lì in fondo, l'ultima porta prima di girare a destra. Tu intanto vai, io devo scappare in orinatoio, ti aspetto qui quando hai fatto.» Detto questo Marfa si allontanò e scomparve poco dopo dietro la parete in fondo alla destra.
La camera da letto distava una trentina di passi da dove ero io. Per calarmi ancora di più nella parte di domestica riassettai dentro il fazzoletto qui ciuffi di capelli che nella corsa dal piano di sotto a quello di sopra erano usciti ribelli, spianai come potei il grembiule per togliere quelle piccole pieghette che si erano create, congiunsi le mani in avanti e infine abbassai la testa verso il pavimento, come facevano le altre.
Passo dopo passo mi avvicinai al portone. Era grande e in legno robusto, incardinato a infissi molto spessi, che mi ricordarono un po' quelli posti all'ingresso di Sommerseth Town. Era di colore ocra, con tre motivi rettangolari per ogni anta, ognuno bordato da una passata d'oro. Non appena fui arrivata mi resi conto che non era stato chiuso e che uno spiraglio era stato lasciato aperto, tanto da far intravedere cosa ci fosse dentro.
Lo spazio tra un'anta e l'altra non era sufficiente per ottenere una panoramica dell'intera stanza, ma era abbastanza per capire che quella stanza non era vuota.
Mi avvicinai con l'occhio all'apertura e riconobbi il principe. Era in piedi e di spalle rispetto a dove mi trovavo io. Era sul lato del letto opposto a quello della porta ed era in procinto di sbottonarsi la giubba. Dopo averla tolta si slacciò i polsini della blusa, prima uno e poi l'altro. Dopodiché allentò anche il nodo al collo dell'indumento e lo estrasse dai pantaloni. Prese con entrambe le mani i lembi estremi della blusa e la sfilò dal capo. Il passaggio dell'indumento spettinò tutti i suoi ricci neri che lui ebbe subito premura a rimettere in ordine con un movimento della mano. Rimase dunque a schiena scoperta: era la prima volta che vedevo un uomo a torso nudo, che non fosse stato mio padre di ritorno dai campi.
La sua schiena era larga in cima e si stringeva poco a poco sulla vita. Mosse insieme le scapole come per sgranchirsi e quel movimento mise in evidenza la prominenza dei suoi muscoli dorsali. Chissà che calore sprigionava il suo corpo in quel momento.
Mi sentii strana in quel momento. Non possono essermi già tornate dannazione, pensai. In effetti era ancora troppo presto.
Stava per sbottonarsi anche i pantaloni ma per evitare di arrivare a vedere qualcosa che mi era proibito feci finta di bussare a una porta che era già aperta.
«Avanti!» disse il principe, girandosi di profilo e mettendo in evidenza il naso perfettamente a punta.
Con un po' di imbarazzo entrai.
Il principe si voltò e rimanemmo qualche secondo a guardarci dai lati opposti della stanza. Interruppi quello stato di stasi e mi rivolsi a lui con la richiesta per la quale ero giunta fino a lì.
«Vostra Maestà, avrei bisogno della camiciola che dovrete indossare per la riunione questo pomeriggio. Sareste così gentile da indicarmela così che io la possa prendere per portarla in lavanderia?»
«È quella sul letto. Prendetela.» mi additò proprio la blusa che si era da poco tolta e sentii di nuovo un flusso caldo inumidirmi le braghe.
Il principe non si era ancora rivestito e si era presentato a torso nudo senza vergogna. Si era girato verso di me e così facendo aveva dato sfoggio dei suoi pettorali ben sviluppati e dell'accenno di addominali scolpiti sul basso ventre.
Mi avvicinai goffamente al letto per prendere la camicia e mi voltai verso la porta per andarmene.
«Signorina...scusate qual è il vostro nome? Immagino siete nuova qui perché non ricordo di avervi mai vista prima.»
«Gleannes. Signorina Gleannes, Vostra Maestà.»
«Bene Signorina Gleannes, quando avrete finito con la camicia potete recapitarla direttamente nelle mie stanze.»
«Certamente, Vostra Maestà.» mi inchinai in segno di rispetto.
«Ora potete andare.» mi sorrise come si fa con una persona che si conosce da diverso tempo e in una corporatura così perfetta quel sorriso non poteva che calzare a pennello.
Uscii dalla stanza ed ebbi cura di chiudere la porta, diversamente da come l'avevo trovata.
Avevo tra le mani la blusa che si era tolta poco prima e sulla quale era rimasto ancora un po' del calore emanato dal suo corpo. L'avvicinai al naso con cura di non venir osservata da nessuno nei dintorni e assaporai quell'odore che forse sua moglie aveva il privilegio di bere ogni notte. Era un misto tra lavanda, biancospino e mughetto. Feci più respiri possibili per cercare di accalappiare ciascuna particella di quel profumo.
Mi destai da quei pensieri impuri e proprio in quel momento un terzo getto caldo inumidì il mio inguine. Capii che era arrivato il momento di avviarmi verso l'orinatoio per evitare che il danno non solo peggiorasse, ma che diventasse addirittura evidente. Ricordai la strada fatta da Marfa qualche minuto prima e trovai l'orinatoio pochi passi dopo aver girato l'angolo del corridoio.
Entrai, alzai la veste e abbassai le mutande. Di sangue la ben che minima traccia. Trovai solo una sostanza collosa e biancastra che non conoscevo.
Aggrottai la fronte.
Rimasi un po' stupefatta, avevo ragione a dire che era troppo presto per le mie mestruazioni ma di certo non mi aspettavo di trovare quello che avevo trovato. Mi chiesi quale fosse il significato, ma non ebbi modo di dedicarci troppo tempo.
Mi rivestii e mi diressi verso la lavanderia.
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