Capitolo 64
«Hilde! Hilde!»
Carlyle urlò all'impazzata mentre saliva le scale a una velocità impressionante.
Non sapevo come riuscisse a fare entrambe le cose.
«Hilde!» gridò nuovamente quando gli tornò il fiato e quella volta la sua voce si tramutò in un eco che rimbombò lontano nell'aria del crepuscolo.
Finalmente la governante apparve. Spalancò la porta d'ingresso con tale forza che diede l'impressione di voler prendere il volo. Aveva un'aria trafelata, di chi temeva fosse successo qualcosa di brutto.
«Vostra Maestà cosa succede? Tutta questa agitazione! Per la misericordia, non mi fate preoccupare che già i miei poveri nervi sono messi a dura prova!»
«Buon Dio, Hilde! Chiamate un medico! In fretta!»
Lo spavento si dipinse sul volto della donna che non riuscii a muovere un passo prima di capire cosa stesse succedendo. Strabuzzò gli occhi ignara e quando fu in procinto di chiedere spiegazioni, Carlyle la precedette.
«Cosa state facendo ancora lì impalata? Ha rotto le acque!»
La donna barcollò ma poi rientrò subito dentro alla ricerca della prima persona che le capitasse sotto mano da poter inviare in città.
Dopo una manciata di secondi, un ragazzetto si lanciò in direzione dell'abitazione del medico con la velocità di un fulmine. Era un nuovo arrivato, voleva fare bella figura e quella era l'occasione giusta.
Mi aggrappai alla balaustra delle scale per farmi forza a salire. Non pativo ancora molto dolore ma il panico e l'impreparazione furono tali che mi sentivo già, mentalmente, senza forze.
Mi toccai l'inguine. Sembrava ancora tutto a posto.
«Misericordia divina, Vostra Maestà, ma siete tutto bagnato!» appuntò la voce sbigottita dell'inglese.
Dopodiché la vidi affacciarsi dalla sommità dell'ultimo gradino e portarsi una mano alla bocca.
«Anthea, ma siete bagnata anche voi! Guardate in che condizioni versate!»
Salii un altro gradino «Hilde, per favore, non fatemi domande e aiutatemi a salire questa scala infinita! Santo Dio, che motivo c'era di aggiungere tutti questi gradini? Un patio in piano non era all'altezza?»
Il principe non glielo permise e mi prese in braccio. Mi aveva trasportata in quel modo dal lago fino a pochi passi dalla residenza. Non credevo avrebbe avuto ancora le forze.
«Preparate un letto!» sentenziò. Tutti i domestici si affacciarono impauriti per capire il motivo di quel trambusto.
L'espressione meravigliata di Hilde non fu lontanamente paragonabile a quella incredula, ammutolita e profondamente turbata di Gertrude quando mi vide trasportata dalle braccia del marito della sua sovrana.
Mi adagiò sul letto.
«Sdraiatevi, torno presto!»
Non dovetti attendere molto prima che Hilde entrasse nella stanza con una pila di panni asciutti e profumati e con una veste candida che doveva aver rimediato tra le sue.
«Mia cara, fatemi almeno il favore di non distendervi in quelle condizioni altrimenti il letto, oltre a bagnarsi del vostro sudore, si bagnerà anche dell'acqua sporca... del lago.»
Avrei voluto inghiottire anche quel misto di ansia e vergogna, oltre al litro di saliva che mi si era accumulata nella bocca.
Prese un grande asciugamano e lo adagiò sul materasso, poi si grattò la fronte e ne prese un altro ancora, che posizionò a sua volta sul primo.
«Cosa state facendo?» domandai, con il timore di ascoltare la risposta.
«Non vorrete che siano le lenzuola a macchiarsi del vostro sangue!»
«Sangue?» strillai. Le corsi vicino e la afferrai per i polsi «Hilde, ve ne prego! Aiutatemi! Non voglio morire dissanguata! Ho paura!»
Sorrise dolcemente e carezzò la mia guancia che si era imperlata delle prime gocce di sudore.
«Non voglio! Non voglio!» mi lamentai in preda al panico.
Mi parve di esser tornata improvvisamente bambina.
«Mia cara, vostro figlio dovrà pur uscire da qualche parte!» mi baciò affettuosamente la fronte e mi aiutò ad asciugarmi e a prepararmi.
Era già trascorsa qualche ora ma il travaglio non era ancora partito. Ero sdraiata nel letto, in attesa che qualcosa succedesse ma, oltre a un lieve fastidio in prossimità delle gambe, l'unica cosa che sentivo era il parlottare dei domestici tra i corridoi e l'angoscia sormontarmi dentro.
Giunse la notte e con essa il bisogno di un buon sonno ristoratore.
All'improvviso udii un leggero ticchettio alla porta e dietro di essa comparire Carlyle.
«Come vi sentite?» domandò preoccupato.
Si sedette sul materasso e io mi alzai in posizione eretta. Gli afferrai la mano e la baciai. Aveva un'espressione tremula e apprensiva. Il volto contrito per la paura dell'ignoto.
«Sto bene. Ora non allarmatevi per me e andate a riposare.»
Una fitta inspiegabile, come se mi avessero strappato i muscoli e li avessero ridotti a brandelli, mi svegliò nel cuore della notte. Sentii il ventre contorcersi dai dolori del parto, sconosciuti ma familiari. Non feci in tempo a gridare che Hilde si scaraventò nella mia stanza.
Indossava la camicia da notte e un cappellino di lana dal quale fuoriuscivano delle ciocche argentate.
«Ci siamo, ci siamo! Temevo che questo bambino avesse cambiato idea!» mormorò tremolante.
Capii che non era andata a dormire e che era rimasta tutto il tempo appostata dietro la porta a vegliarmi, tra un dormiveglia e uno stato di allerta continuo.
La vidi agitarsi e non saper ancora bene cosa fare. Poi, come se avesse ottenuto un lampo di genio, uscii correndo lungo il corridoio.
Un'altra straziante fitta venne a farmi visita. Digrignai i denti e strizzai le palpebre.
Hilde fece il suo ritorno dopo una mezz'ora. Trasportava con sé un catino d'acqua bollente. Improvvisamente comparve sull'uscio il ragazzo che aveva mandato in città. A giudicare dal suo aspetto, sudato, sporco di terra e ancora vestito, era rientrato da poco.
«Mi cercavate?» domandò con il respiro mozzato.
«Eccoti, mascalzone! Dove eri finito?»
Il ragazzetto indietreggiò di un passo, intimorito dal tono accusatorio della donna «Sono rientrato da poco, ve lo giuro! Ho cercato il signor Rogers in tutti gli angoli della città ma di lui non ho trovato traccia. Ho scoperto solo alla fine che stava assistendo un'altra partoriente in un travaglio molto rischioso e che non avrebbe fatto in tempo a raggiungere villa Artemide!»
Quelle parole risuonarono come lame «Cosa?» gridai, squarciando la bocca in una smorfia di terrore.
«Faremo a meno di lui!» decretò Hilde.
L'ennesima contrazione mi fece contorcere.
«Ragazzina, controlliamo a che punto siete.»
Hilde si era già immedesimata nel ruolo di levatrice. Mi privò delle coperte e spostò la veste.
«Toglietevi le mutande, d'ora in poi non vi serviranno a molto.»
«Siete sicura di essere in grado?» domandai, ancora pietrificata dalla cattiva notizia.
«Anthea, ne ho avuti otto, di cui gli ultimi due senza l'aiuto di nessuno.» mi allargò le gambe e cominciò a ispezionarmi «il giorno della nascita del mio ultimogenito avevo invitato i miei vicini per cena e tutto mi sarei immaginata tranne che mio figlio decidesse di venire al mondo proprio in quell'occasione. Durante il pasto avvertii i primi dolori e, molto cordialmente, mi congedai dai miei ospiti per raggiungere la camera da letto. Dopo un'ora tornai in sala da pranzo con un fagotto tra le braccia. Vi lascio immaginare lo sbigottimento di mio marito!» sapevo che mi raccontava quelle cose per farmi distrarre «Pover'anima, che il Signore l'abbia in pace.» aggiunse subito dopo con un velo di malinconia.
Dopo un'attenta, prolungata e imbarazzante visita, Hilde mi comunicò che ero ancora nelle fasi iniziali del travaglio. I dolori che provavo facevano sembrare tutto il contrario.
Verso le prime luci del mattino, tutti i presenti nella casa mi udirono piangere, imprecare e mandare al diavolo personaggi inesistenti, frutto della mia fantasia. La sofferenza che provavo non era paragonabile a niente che fosse terreno. Sentivo la schiena a pezzi, come se mi fosse salito un toro in cima e vi avesse trottato all'infinito.
«Massaggiatemi, massaggiatemi vi prego.» chiedevo a Hilde e a chiunque entrasse nella stanza per asciugarmi la fronte, per aprire una finestra o per servirmi qualcosa da mangiare. La governante diceva che avrei avuto bisogno di forze nelle ultime fasi e che per questo avrei dovuto mandare giù qualcosa di sostanzioso, ma io non volli darle retta.
Solo chi aveva già partorito avrebbe potuto comprendere il caos che mi imprigionava l'addome. Pressione, tensione, crampi. Ero in balia di uno straziante e debilitante dolore fisico.
«Non andate in apnea, dovete continuare a respirare! La respirazione è molto importante!»
«Hilde, risparmiatemi queste frasi fatte o manderò al diavolo anche voi!» sbraitai con la saliva alla bocca.
La donna non si perse d'animo e venne ad asciugarmi il volto, dopodiché cambiò la federa del cuscino e provò a passarmi un panno sui capelli per raccogliere il sudore.
Come una fiammella che se riceve vento e petrolio esplode in un incendio, così aumentò lo strazio che stava subendo il mio corpo. Temevo che non ne sarei sopravvissuta.
«Credete che gli uomini avrebbero più di un figlio se fossero loro a sopportare i dolori del parto? E ora non lamentatevi e fatemi controllare!» ordinò la mia infermiera.
L'intrufolarsi di quelle mani nodose tra le pieghe del mio pube fu l'ennesimo, turpe abominio che dovetti sopportare.
«Siete a metà. Se continuate così, entro domani avrete vostro figlio tra le braccia.»
Persi il senno «Metà? Domani? Voi siete una pazza se credete che continuerò a patire questo supplizio fino a domani! Fate uscire subito questo bambino da me! Strappatemelo via! Oh sì, un giorno gliele canterò di santa ragione per avermi fatto soffrire come un cane!»
Otto, come aveva fatto a partorirne otto?
Hilde afferrò una forbice enorme e affilata, una di quelle che il macellaio doveva utilizzare per sporzionare la carne «Procedo subito se volete.»
Roteai gli occhi disperata e ripiombai sul cuscino bagnato.
Verso ora di pranzo erano più le urla che i momenti di silenzio. Mi dimenavo sul letto, mi sedevo, camminavo intorno e poi mi sdraiavo di nuovo. Nulla sembrava apportarmi beneficio.
«Dov'è Sua Maestà?» chiesi a Hilde, in uno dei rari momenti di lucidità.
Strappò un telo di lino e poi mi fulminò «È qui fuori che cammina come un pazzo. Se continuerà così presto avremo un fossato al posto del corridoio.»
«Fatemi entrare!» si udì da fuori.
«Vostra Maestà, non potete. Il protocollo vuole che le partorienti siano assistite solo dalla levatrice o, per lo meno, da donne.» rispose tremolante una voce che si pentì subito di aver esposto quelle valide ragioni. Ragioni, che non vennero minimamente ascoltate.
«Al diavolo il vostro protocollo!»
Poco dopo Carlyle spalancò la porta. Era spettinato, con le occhiaie fino ai piedi e un'accecante paura addosso.
Averlo vicino mi conferì un minimo di pace, stroncata dall'ennesima contrazione.
Si scaraventò sul mio letto e mi afferrò una mano «Come state? Santo cielo, non posso vedervi ridotta così!»
Arrivò il pomeriggio. Le contrazioni erano così ravvicinate che a malapena mi concedevano il tempo di respirare. Ero senza forze, svuotata di ogni energia vitale. Carlyle mi carezzava la fronte e la schiena. Quei gesti erano come un'anestesia.
Qualche ora più tardi l'inglese volle controllarmi nuovamente. Non ne potevo più, neanche di quelle intrusioni.
Il principe si alzò di scatto e si posizionò davanti a me.
«Vostra Maestà, voi non potete... » dopodiché si interruppe e scrollò la testa.
Lo vidi contorcere la bocca ed entrare in uno stato di shock, poi barcollare e cercare appoggio al muro.
«Si vede la testa! Siete quasi arrivata!»
I brandelli che erano rimasti del mio fisico riuscirono a rimanere ancora insieme, quando, una volta giunta la sera, percepii un'impellente necessità di andare in bagno.
«Ci siamo! Ci siamo!» gridò Hilde. Afferrò un lembo di cotone e lo avvolse su se stesso. Me lo porse.
«Mettetelo in bocca e mordete più forte che potete a ogni spinta.»
Non resistevo più, dovevo spingere.
Allargai le gambe e cominciai a buttare fuori tutta la stanchezza, l'esaurimento e la debolezza.
Carlyle tirò su i polsini della camicia e sentenziò «Hilde, sarò io a farlo.»
La donna non oppose resistenza e gli lasciò il posto.
«Spingete! Forza così! Qualche altra spinta ed è fuori!»
L'incitamento da parte dell'inglese stava avendo in suoi effetti.
Carlyle mi inchiodò con i suoi zaffiri magnetici «Anthea, è uscita la testa. Un'altra spinta ed è nato.»
Quindici minuti in più e la fatica mi avrebbe uccisa, ne ero certa. Mi sentii lacerata, vittima di un supplizio interminabile e di una tortura indicibile.
Gonfiai i polmoni, chiusi gli occhi e digrignai i denti. Urlai a squarciagola ma trovai ancora la forza per l'ultima spinta.
Come un trofeo, Carlyle sollevò in aria un esserino minuscolo, poco più grande della sua mano, ancora sporco di sangue e di una sostanza biancastra.
Lo guardava estasiato. Aveva gli occhi grandi, spalancati, la bocca aperta, le gambe che gli tremavano. Quel corpicino, da poco venuto al mondo, eruppe in un dolce vagito assomigliante al belato di un agnello.
Fu la prima volta, in vita mia, che vidi Carlyle piangere.
Hilde recise con un taglio netto il cordone ombelicale e poi sussurrò debolmente «Datelo a me.» per paura di infrangere quell'attimo così irreale e magico.
Carlyle glielo passò con cura, come se stesse maneggiando un oggetto di cristallo.
Gertrude entrò nella camera solo dopo aver sentito il pianto del bambino «Finalmente sono finite le urla!» e si avvicinò curiosamente alla tinozza nella quale Hilde stava lavando il nuovo arrivato.
Il principe venne verso di me, visibilmente commosso e ancora tremolante.
«Tu» respirò per ritrovare un po' di calma «non sai che regalo mi hai fatto oggi!»
Successivamente afferrò la mia testa ancora intrisa di sudore e fatica tra le mani e mi baciò.
«Io non... Anthea io non... Santo cielo! Ti amo! Vi amo entrambi.» confessò con il cuore in mano, dopodiché mi baciò di nuovo, quella volta con più impeto e sentimento.
Pianse, e io con lui in nome di una gioia smisurata.
«Ti amo anche io.»
Gertrude, dal fondo della stanza, era un blocco di ghiaccio. Pietrificata da quella scena, di fronte a un chiaro atto di fornicazione.
Portò la mano alla fronte, poi alla bocca e infine nei capelli. Mimò con le labbra «Jocelyn».
Si appoggiò infine a Hilde per paura di svenire.
«Il bambino è... il bastardo del principe!» sibilò.
Hilde la guardò e le sorrise maliziosamente.
«Ancora non lo avevate capito?»
Chiesi alla governante di portarmi mio figlio. Accolsi tra le braccia un fagotto bianco da cui spuntava un viso i cui lineamenti non potevano essere affatto prodotto dell'opera umana, ma frutto della mano divina.
Nella maternità avevo abbandonato il mio corpo al bambino e il bambino mi aveva giaciuto sopra come su di una collina, abitato come in una casa. Mi aveva mangiata, picchiata, aveva giocato sopra di me e mi ero anche lasciata divorare. Qualche volta avevo addirittura dormito mentre mi stava addosso.
Ero raddoppiata, divisa a metà e mai più sarei tornata intera.
Lentamente feci scivolare quei veli di lino e lo scoprii.
Era una bambina.
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