Capitolo 60
Il protrarsi della guerra aveva messo a dura prova i suoi nervi. La battaglia appena conclusasi a Zorndrof non era che uno degli esempi di come la solidità e il sangue freddo di un sovrano fossero obbligati a resistere a qualsiasi intemperia.
Con Zorndrof lui era stato anche fortunato. L'Inghilterra non era stata chiamata in prima persona e, di conseguenza, neanche il principato che governava.
Era stata comunque una battaglia disastrosa.
Né la Prussia, né la Russia erano uscite vittoriose dallo scontro. L'unica ad aver cantato vittoria sul campo di battaglia era stata la morte e il suo stendardo di sangue. Mentre si guardava allo specchio, in attesa che il sarto effettuasse una riparazione all'altezza delle caviglie, rifletteva sul fatto che forse non avrebbe più sentito parlare nuovamente di uno scontro così sanguinolento in vita sua. Era certo che nei secoli a seguire ce ne sarebbero stati altri ma non di quella portata... per lo meno non con lui ancora sul trono. Le probabilità erano troppo scarse e, se anche nella più lontana delle ipotesi fosse successo, si sarebbe trattato di un brutto scherzo del destino.
Il sovrano prussiano, in una missiva che gli aveva indirizzato, aveva scritto che «I Russi è più facile ucciderli che sconfiggerli.»
A tal proposito, apprezzava molto che venisse coinvolto negli aggiornamenti e negli affari geopolitici da parte degli altri capi di stato. Era la prova che Sommerseth veniva considerato uno stato dotato di autonomia propria e non un feudo alla mercé dell'Inghilterra.
Questa eccessiva partecipazione finì, tuttavia, per angustiarlo. Il sostegno che aveva dimostrato di condividere in occasione della battaglia di Rochefort non doveva essere inteso come il primo di una lunga serie e quindi, per questo, aveva deciso di mantenere un profilo basso, lodando le imprese degli alleati esteri e incoraggiandoli a celebrare le vittorie incassate, senza mai però dimostrarsi aperto al combattimento. Nel caso gli fosse stato richiesto, avrebbe rifiutato di prendere parte ai successivi scontri. Sommerseth non era stato forgiato per entrare in guerra. Sommerseth non sarebbe diventato come avrebbe desiderato Godwin se fosse stato lui al comando.
Quello sgradevole pensiero fu breve e finì per venir catapultato nuovamente alla sua maggiore preoccupazione: il pensiero di lei.
Era rugiada o era pianto quella con cui si svegliava sulle guance, dopo aver sognato l'immagine della ragazza per tutta la notte? Le sue viscere gridavano «Torna» e le sue labbra contenevano a fatica il dolore in cui era piombato. La sua mente ribatteva «Resta e non ripresentarti mai più».
Il suo cuore, infine, svuotato e inerme, in ultima istanza e con il briciolo della vitalità che gli era rimasta, urlava «Va'».
E lui sarebbe andato, sarebbe partito anche quel giorno, ma troppe cose lo avevano relegato a corte. Prima gli affari bellici, poi le attenzioni di sua moglie e infine il fiato sul collo di suo fratello che, come aveva previsto, aveva allentato la presa sulla faccenda con la ragazza e l'aveva amplificata su qualsiasi altra questione che potesse essere causa di attrito con lui.
La sera, quando era certo che nessuno lo avrebbe più disturbato, aveva preso l'abitudine ad aprire la finestra per lasciarsi accarezzare dal vento ancora tiepido di settembre. Fissava le stelle poi.
In ultimo si chiedeva che cosa farsene di quelle stelle o di quel vento o di una finestra spalancata sul mondo se poi, in fin dei conti, non poteva condividerle.
Quando arrivava il momento di coricarsi, guadava il soffitto per ore prima di prendere sonno.
Non si riconosceva più, non era più lo stesso. La sua carne era diventata debole e di questo provava vergogna in cuor suo.
Qualche giorno più tardi, il ciambellano poggiò sulla sua scrivania una serie di documenti sulla contabilità delle casse di stato e altri sul pagamento del tributo di residenza.
Ultimamente si stava diffondendo un generale malcontento tra i suoi sudditi che erano sempre più restii a dover saldare un tributo che, ai loro occhi, non aveva più senso di esistere. Carlyle su questo era stato però ferreo: non si sarebbe disfatto di un espediente così efficace e rischiare una nuova invasione incontrollata proveniente dalle contee circostanti. L'armonia di Sommerseth era stato il frutto di un lungo lavoro, non poteva rischiare di mandare tutto all'aria.
Li passò a rassegna. Più che pile di fogli sembravano mattoni. Trascorse l'intera giornata a ispezionarli.
A notte inoltrata, consunto dalla fatica, corse presto a letto, unico ristoro per un corpo distrutto dalla stanchezza. Ma allora nella sua testa si aprì un'altra via a stancar la mente ora che il corpo aveva tregua. Svelti degli echi lontani corsero in pellegrinaggio verso il pensiero di lei... il pensiero di loro. Tennero le sue palpebre spalancate a scrutare quel buio che non sarebbe stato molto diverso da quello conosciuto a un cieco. Ma ecco allora che il suo cuore materializzò davanti a lui l'immagine della ragazza che, alla stregua di un diamante luminescente, illuminò quel buio rendendolo meno cupo e spaventoso.
Così quel giorno il corpo, e di notte la mente, non trovarono pace.
Verso metà settembre, non si sarebbe mai aspettato che, di fronte a una richiesta di aprire il commercio verso il luppolo, avrebbe ottenuto così tante risposte. Dozzine e dozzine di produttori sembrarono voler fare a gare per mettersi in mostra con un sovrano: chi facendo leva sul prezzo più basso, chi invece sul luppolo più pregiato, chi infine sulla birra zuccherina che ne sarebbe uscita.
Tra tutti quelli più esibizionisti, lui aveva scelto il commerciante che, a primo impatto e solo sulla base di una carta scritta, sembrava essere il più onesto e il meno ciarlatano.
Fu quello un lavoro che gli richiese diverso tempo ma era sicuro, almeno, che sarebbe partito il prima possibile per intavolare la trattativa.
Il giorno della partenza sua moglie non insistette affinché potesse accompagnarlo. A dire il vero, in passato aveva espresso più volte il desiderio di organizzare un'uscita alla volta di villa Artemide: era curiosa di visitare finalmente la residenza in cui avrebbe trascorso i mesi estivi a partire dall'anno successivo. Lui si era però mostrato sempre contrario, alludendo al fatto che non fosse ancora conclusa del tutto e che voleva fargliela vedere solo una volta ultimata, così da non rovinarle la sorpresa.
Jocelyn, a quella scusa, aveva sempre creduto.
In verità, aveva preferito privarsi lui stesso della visione di lei, pur di preservarla.
In quell'occasione però non ebbe bisogno di giustificazioni: aveva in programma alcuni incontri con la nobiltà locale che aveva organizzato già da alcuni mesi a cui tuttavia, per ovvi motivi, non avrebbe potuto partecipare. Fu la principessa a proporsi di prendere il suo posto e lo risparmiò di vari convincimenti.
Quella novità lo rallegrò.
Il viaggio di andata fu costellato da uno sciame di farfalle nello stomaco. Si interrogò sulla verità che non fosse l'attesa la parte migliore di tutto. Poi scrollò la testa, convincendosi che le aspettative non avrebbero mai potuto eguagliare la realtà.
Fortunatamente il movimento ondulante della carrozza conciliò presto il suo sonno e si risvegliò solo una volta giunto a destinazione. Percepì il suo corpo in fibrillazione.
«Vostra Maestà! Che piacevole sorpresa! Non eravamo a conoscenza del vostro arrivo, se lo avessimo saputo vi avremmo di certo fatto trovare qualcosa di più succulento per cena.»
«Hilde, non è questo il genere di cose che mi preoccupa.» ribatté, facendosi scivolare di dosso la giacca in pelle e pelliccia.
«Immagino sarete stanco per il viaggio, desiderate che faccia preparare le vostre stanze?»
«Mai sentito più energico.» rispose con vigore.
La curiosità che gli martellava il cervello era una e una sola, ma non poteva rischiare di dare troppo nell'occhio. Cercò allora di arrivare alla risposta percorrendo una via diversa.
«Com'è la nuova arrivata?»
La governante gli servì una tazza di tè «Vostra Altezza, non la chiamerei più con quell'appellativo. Si è ben integrata oramai e, da quando è qui, ho quasi l'impressione che nella villa si respiri un'aria nuova» spalancò le palpebre e arricciò le labbra «certo, la sua condizione ora le impedisce molte cose... » poi si interruppe e portò una mano di fronte la bocca, come se avesse appena rivelato un segreto «Ne siete a conoscenza vero, Vostra Maestà?»
Il principe si agitò e sentii un brivido che parve durargli secoli percorrergli la schiena.
«Sì, ne sono a conoscenza, Hilde.»
La donna sospirò. Fortunatamente non aveva causato alcun danno.
«Volevo accertarmi che stesse bene.» sorseggiò dell'altro tè e la fissò, fino a quando la donna non esternò l'informazione che stava cercando.
«È uscita da poco. Se non erro, deve essere andata vicino al lago.»
Uscì in fretta e furia e montò il primo cavallo che gli comparve sotto mano. Galoppò alla velocità della luce, facendo attenzione a schivare tutti gli ostacoli lungo il tragitto.
Era quasi giunto a destinazione ma volle fermarsi distante dal luogo in cui doveva trovarsi Anthea. Voleva raggiungerla a piedi senza farsi notare e avere il tempo per osservarla da lontano.
Quando la riconobbe nella radura scoppiò in un artificio di gioia. Sentì il fuoco dentro e un'inattesa voglia di vivere.
Al rivederla dopo tutto quel tempo ebbe un sussulto e il respiro gli venne meno dall'emozione; poi però provò subito paura... e se lo avesse odiato?
Alle volte, quando la mancanza di lei urlava maggiormente, temeva che quella ragazza si fosse concessa a lui solo per l'ascendente che la sua figura esercitava. Altre volte pensava invece che l'avesse solo illusa.
Gli bastò rivederla per farlo sentire vulnerabile. Si percepii insignificante per la prima volta in vita sua.
Si appoggiò a un albero e congiunse le mani in contemplazione, come se avesse dinanzi la cosa più bella che avesse mai visto.
La sentì canticchiare mentre coglieva dei fiori per farne un mazzolino. Aveva la sua solita pelle candida che rifletteva ai timidi raggi del sole e i capelli sciolti che le arrivavano fino in fondo la schiena. Le erano cresciuti molto dall'ultima volta che l'aveva vista.
All'improvviso un lampo di gelosia lo stritolò: perché indossava un abito così leggero? Se fosse passato qualcuno di lì e l'avesse vista e non si fosse curato del suo stato? Se l'avesse desiderata tanto quanto la desiderava lui in quel momento?
Improvvisamente la ragazza si voltò e lui, con un movimento fluido, si nascose dietro il tronco senza dare troppo nell'occhio.
Vide nuovamente quelle lentiggini che gli procuravano il mal di testa e quegli occhi verdi che a malapena si distinguevano dal verde della natura circostante.
Sentì un fuoco divampargli dentro. La desiderava, eccome se la desiderava! Ma non l'avrebbe toccata, neanche sfiorata. Non voleva correre il rischio di farle del male.
La fanciulla colse ancora qualche margherita e poi si alzò.
I suoi occhi caddero sulle sue rotondità. Sentì la terra tremargli sotto i piedi. Fu quello il momento in cui si rese conto che sì, sarebbe diventato presto padre.
Non ne aveva viste molte di donne gravide ma lei, lei era perfetta e quella condizione non faceva altro che renderla più venerea di quanto già non fosse.
Constatò che il suo stato era progredito dall'ultima volta. Si morse il labbro al solo pensiero di ciò che le sarebbe potuto accadere se fosse rimasta a Sommerseth.
Rimase stregato da quella crisalide rotonda in cui era custodito il sangue del suo sangue.
Non riusciva ancora a capacitarsi che avrebbe presto stretto tra le braccia una parte di sé, non dopo tutte le volte in cui aveva provato e aveva finito per fallire.
Decise di uscire allo scoperto.
Vide Anthea irrigidirsi quando udì dei rumori e si rese conto di non essere sola. Si guardò in qua e là con il timore di essere in pericolo.
Quando però assodò che non correva alcun rischio e che era invece il principe ad avanzare verso di lei, si pietrificò.
Aveva la bocca sbarrata. Sembrava sotto shock, come se avesse appena visto un fantasma. La vide quasi piangere per l'emozione, poi allargò la bocca in uno di quei sorrisi abbaglianti di cui si sentiva da tanto in astinenza.
Avanzò a passi contenuti, in estasi, per far durare il più a lungo possibile quel momento. Non riusciva a credere di averla nuovamente davanti. La ragazza assunse un leggero colorito rosso sulle guance. Si stava vergognando!
Quando la raggiunse si sentì impotente. Lo guardò con quei pozzi verdi così profondi. Infine la strinse e lei, come se non desiderasse altro, gli avvinghiò le braccia al collo.
Scoppiarono a ridere quando si resero conto che poi, abbracciarsi, non era così facile.
«Credo dovremmo abituarci perché, di qui a qualche mese, le cose non finiranno che essere più... ingombranti!» ironizzò.
Il principe fece una risata di cuore.
Increspò gli occhi «Però devo ammettere che gli siete simpatico. È da quando vi ho visto che non smette di calciare. Credo sarà un grande sportivo.»
«Mi impegnerò a portarlo a caccia, allora.»
Anthea rise ma poi assunse un'espressione malinconica. A entrambi piaceva fantasticare sul futuro ma erano consapevoli che le cose sarebbero state molto difficili. Forse, coinvolgerlo nella battute di caccia, non sarebbe stato così semplice.
La sua esistenza, non sarebbe stata semplice.
«Come vi trovate qui?» chiese, con un po' di timore della risposta.
«Non posso lamentarmi.»
Poi fecero una passeggiata nel bosco, intenzionati ad aggiornarsi sugli avvenimenti degli ultimi mesi e a condividere quel perfetto momento di solitudine, che desiderarono ardentemente si prolungasse in eterno.
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