Capitolo 58
Maggio arrivò e con esso la bellezza della vita al suo massimo splendore.
Palazzo Livingstone si abbellì, come ogni anno, di una nuova veste fatta di alberi rigogliosi, di teneri boccioli, dei raggi del sole caldo che tralucevano come una pioggia d'oro sulle foglie dei mandorli e degli spruzzi di ninfee nel Canalone grande.
Maggio era il mese migliore dell'anno. Il frangente in cui gli agricoltori preparavano le terre alla semina al suono dei canti campestri. Era il mese della fatica ma anche della rinascita esplosiva, dei profumi e dei pioppi che si riflettevano nello specchio argentato del fiume.
Maggio era l'ode all'azzurro del cielo, al tintinnio della rondine e all'edera rampicante.
Maggio era il mese della vita che si nutriva dentro di me, della rotondità appena abbozzata, quasi impercettibile, del mio corpo che assecondava il principio di un cambiamento e dei miei capelli fluenti e setosi che incorniciavano una pelle lucente e levigata.
Maggio era il mese del mio compleanno.
L'operoso stuolo delle api, la melodia dello sbocciare delle rose e la gradevole compagnia di Marfa addolcirono il contorno spigoloso delle mie giornate.
Nelle ultime settimane, le occasioni in cui vidi Carlyle furono frequenti come la neve d'agosto. Subito dopo il matrimonio mi aveva detto di mantenere un profilo basso, di evitare qualsiasi cosa potesse instillare un minimo dubbio. Dovevo vivere nella penombra, quasi dimenticare cosa ero diventata.
Jocelyn, dal canto suo, brillava di una luce ritrovata per la nuova armonia che si era istaurata con suo marito, supervisionata tuttavia, dalla presenza costante di Godwin.
Se qualcuno avesse visto la principessa e suo cognato per la prima volta, avrebbe scommesso si trattasse di un triangolo amoroso bello e buono per la quantità e la qualità del tempo che questi due passavano insieme, all'insegna della risata, delle passeggiate dopo pranzo e delle partite di scacchi al calar del sole.
Il loro era, a tutti gli effetti, un rapporto particolare, fuori dalla norma. Jocelyn poteva contare sulla certezza di avere sempre qualcuno che la appoggiasse in ogni circostanza, anche a discapito dell'uomo che lei diceva di amare sopra ogni altra cosa; mentre il duca approfittava della compagnia della sovrana per esercitare una forma di controllo su suo fratello e, al contempo, per gustare del tabacco colombiano di fronte a un buon bicchiere di scotch.
La vita dei reali, a quel punto, poteva considerarsi perfetta e, dal loro punto di vista, maggio fungeva solo da sfondo a un quadro impeccabile già di suo.
Per me era invece la sinfonia che mascherava le grida di un'assenza che aveva lasciato il deserto tutto attorno.
Avevo questa mancanza dentro. Urlavano i sentimenti che erano sbocciati come fiori, per poi, all'improvviso venir sradicati alle radici.
Ero stata un'amante, un piacevole passatempo per rendere più sopportabile la tagliente routine quotidiana forse, ma niente di più: era questo che ripetevo a quella nuova vita, ora che potevo cominciare a notare a occhio nudo la sua presenza. Questo era il tipo di pensieri che mi arrovellavano il cervello nei momenti di maggiore sconforto, di fronte alla candela quasi terminata sul mio comodino e al ricordo delle memorie di passione che mi avevano fatto sentire in primavera anche in pieno inverno. Altre volte invece, quando la parte più razionale di me prendeva il sopravvento sul mio stato d'animo in putrefazione, accendevo una luce sulla possibilità che non si trattasse nient'altro che di una messa in scena, in cui il principe giocava il ruolo del sovrano devoto alla propria moglie e io quello della spasimante nella penombra, ma mai dimenticata.
Era un'ipotesi a cui volevo credere con tutta me stessa, per rendere più sopportabile la mia condizione e, altrettanto, per trovare una giustificazione alla stessa.
Un nuovo sole era sorto e, con esso, l'insieme delle faccende da sbrigare. Per mia fortuna, quel giorno mi sarebbero aspettate le argenterie da lucidare. Compito molto apprezzato e, al contempo, non troppo faticoso per la sottoscritta. Era infatti quello il periodo della stanchezza accentuata, del sonno precoce, della necessità di riposo e, vedersi assegnare compiti che non comportavano un eccessivo sforzo, non poteva che essere il risultato delle mie orazioni. Forse era un segno del destino.
Stavo ancora facendo colazione con Marfa, condividendo con lei momenti della mia infanzia e buffi aneddoti che vedevano Sir Jacques come protagonista, quando riconobbi
la voce della signorina Adams chiamarmi.
«Anthea! Sei qui? Avete visto la signorina Gleannes?»
Mandai giù l'ultimo boccone e mi affrettai a scolare anche la tazza di tè nero.
«Sono qui!»
Riposai le stoviglie, poi uscii dalla cucina per andarle incontro.
«I principi ti stanno aspettando nella Sala si Scilla. Hanno qualcosa da dirvi. Credo debba sbrigarti perché tra non molto andranno in città.»
Sobbalzai. Cosa poteva esserci di così tanto importante da richiedere un incontro privato con una domestica? Immaginavo neanche lei sapesse di cosa si trattasse.
Salii le scale con ansia e trepidazione. Speravo mi attendesse qualcosa di positivo.
Una volta arrivata, bussai alla porta. Una voce squillante mi invitò a entrare.
La principessa mi attendeva in piedi, con un sorriso smagliante e le mani cinte sul ventre.
La sua espressione mi liberò del peso che avevo portato fino a un secondo prima. Se ci fosse stato qualcosa di brutto ad attendermi, forse, non mi avrebbe accolta così.
Negli ultimi tempi aveva ripreso un po' di peso, segno che il fantasma della depressione le aveva dato tregua.
Carlyle stava di profilo, di fronte al camino, con un gomito poggiato sulla mensola e la mano occupata con un cristallo ricolmo.
Il viso grigio del principe, invece, mi fece subito ripiombare in un infinito senso di oppressione, tanto che finì per mancarmi l'aria.
Non mi sfiorò neanche con lo sguardo.
A pelle avvertii che c'era qualcosa che non andava.
«Signorina Gleannes!» esclamò entusiasta Jocelyn.
«Vostra Maestà!» feci l'inchino.
«Venite, sedetevi!»
Mi fece cenno con la mano di avanzare. Io la guardai incredula.
Come mi aveva detto, presi posto, congiunsi le ginocchia e stritolai le mani tra di loro.
«Posso offrirvi una tazza di tè?»
Strozzai la saliva. La scena era surreale.
Negai, facendo i complimenti e, francamente, era quella la risposta che si aspettava.
Si sedette con le gambe accavallate, poi accese un chilum.
Espirò una folata di fumo e annunciò «Fate presto i bagagli, mia cara!» ispirò ancora e le sue guance si gonfiarono come quelle di un pesce palla.
Non capii. Il mio sguardò si posò sulla sua bocca. Strabuzzai gli occhi.
Volevano mandarmi in vacanza? O peggio, mi stavano licenziando? Il cuore cominciò a pompare irrefrenabile nel petto.
«Temo di non capire, Vostra Maestà!»
Aspirò ancora dal chilum e poi ridacchiò di gusto «Non c'è nulla da capire se non che dovete preparare i vostri bagagli! Smetterete di prestare servizio a palazzo poiché entrerete nel personale della nostra nuova dimora nel Kent!»
Impallidii. Vissi il trauma di quel momento a pieno. Dovetti pizzicarmi il palmo della mano e ripetere quelle parole dieci, cento, forse mille volte nella mia testa per prendere consapevolezza che non le avevo immaginate.
Stavo scomparendo, volevano far perdere le mie tracce.
«Non avete nulla da dire? Non siete emozionata?» Jocelyn, in realtà, dimostrò di essere l'unica.
Mi mancò il fiato. «Vostra Altezza, con il doveroso rispetto, mi trovate impreparata a tale annuncio! Posso chiedervi il motivo del mio trasferimento? Credo di essere stata sempre impeccabile nel mio lavoro. C'è qualcosa che, senza che me ne rendessi conto, ha dimostrato che mi stessi sbagliando?» balbettai sopraffatta dalla sofferenza.
«Oh no, affatto! Prendetela come una promozione!» Carlyle si sedette vicino la moglie e questa lo afferrò per la mano «dovete ringraziare mio marito per questo. È stato un suo suggerimento.» ridacchiò «io non ci avevo neanche pensato!»
Di colpo quella rivelazione mi fece spalancare gli occhi. Tremai. Un dolore al petto lancinante mi strappò l'ultima briciola di speranza.
Era stato Carlyle dunque a volermi via dalla sua casa. Il mio cuore si frantumò in mille vetri.
«Beh? Non siete contenta?»
«M... molto, Vostra Maestà.»
«Per forza che lo siete, è una grande opportunità questa!»
Non sapevo se lo dicesse sul serio o se perché l'idea che non mi avrebbe avuto più tra i piedi la elettrizzasse troppo. A seguito delle manipolazioni subite da Godwin, ero diventata per lei una minaccia velata, ma non voleva darlo a vedere. Il suo sangue reale non si sarebbe potuto paragonare a quello di una domestica.
«Se non vi dispiace, Vostra Altezza, gradirei togliere il disturbo. Sir Jacques starà già chiedendo di me.» arrangiai una reverenza e uscii, in fretta e furia.
Vissi la consapevolezza di quel trasferimento come un lutto. Trascinai il mio corpo da automa fino a sera fino a che finalmente il calar della notte prese il sopravvento sul bagliore di quel giorno interminabile.
Mi recai in camera per preparare le valigie. Marfa mi aveva offerto il suo aiuto. Sarei partita il martedì successivo, alla volta di una terra straniera, lontana chilometri da quella che consideravo casa. Quel fine settimana ne avrei approfittato per tornare da mia madre, per comunicarle il grande cambiamento e per fare il pieno del tempo da trascorrere con Daisy.
Marfa era dispiaciuta quasi quanto me della mia partenza. Non voleva che me ne andassi. Mi disse che la mia mancanza si sarebbe fatta sentire perché ero l'unica persona che considerava veramente amica. Una cosa che, bene o male, pensavo anche io.
Ci promettemmo che ci saremmo scritte con una certa frequenza, che mi avrebbe aggiornata sulle novità di palazzo e sulle esternazioni isteriche di Sir Jacques; io invece le avrei scritto di qualsiasi cosa per farla sentire sempre un po' con me.
Nel giro di qualche ora avevamo messo a posto tutto. La stanza sembrò immediatamente più spaziosa, più ordinata. I mobili erano completamente vuoti e nessun gingillo dei miei sparso sul pavimento. Poco dopo mi lasciò da sola per la cena, io la informai che l'avrei raggiunta in un baleno.
Mi tolsi la divisa e riempii la vasca per fare un bel bagno. Volevo stare un po' con me stessa, avevo bisogno di pensare.
Accesi il mozzicone della candela e mi sedetti sul letto, per perdere lo sguardo nel cielo aranciato, ancora per poco. Era così bello.
All'improvviso la porta cigolò.
«Marfa, vi ho detto che sto per arrivare...» ma mi azzittii. Non riuscii a terminare la frase.
Carlyle si era recato nella mia stanza di soppiatto e senza farsi vedere da nessuno. Incredula, lo vidi entrare e richiudere la porta dietro di sé. Aveva un'espressione afflitta ma composta, di chi avesse bisogno di dare spiegazioni.
Lo guardai lapidaria, ma non lo degnai di una parola. Mi voltai nuovamente per tornare a guardare la finestra.
«Anthea... » sospirò.
«Ditemi, Vostra Maestà.» tuonai.
Udii i suoi passi sul parquet, dopodiché percepii la sua presenza a un metro da me.
«Guardatemi, per favore!» poggiò una mano sulla mia spalla, ma io la scostai con un gesto fluido. Espirò profondamente dal naso.
«Siete venuto a salutarmi?» domandai.
Glissò sul mio sarcasmo «Ho bisogno di parlare con voi.»
Aprii le braccia, per dirgli che ero pronta ad ascoltarlo.
«Lo farò solo se mi guarderete.»
Mi alzai di scatto allora. Lo fulminai accusatoria.
«Vi prego di ascoltarmi, le cose non sono come sembrano!»
Mi arrabbiai talmente tanto che sentii ribollire il sangue. Gli puntai il dito contro facendolo indietreggiare.
«Le cose non sono come sembrano?» tenni a freno le urla, non volevo che mi sentissero da fuori «Mi dite che siete contento che non mi sposo più per poi non rivolgermi la parola per tutto questo tempo? E ora? Ora mi spedite dalla parte opposta per non avermi più tra i piedi? Voi non siete altro che un vile! Mi avete fatto sentire tradita, rinnegata, di troppo. Mi avete illusa con le vostre buone maniere da reale perfetto e adesso mi vergogno tremendamente per esser caduta nella vostra trappola. Cosa sono stata per voi? Il passatempo di cui eravate alla ricerca per sentirvi meno miserabile?» mi avvicinai di più a lui. Strinsi gli occhi in una fessura «Di cosa siete alla ricerca effettivamente?» ero una furia, ma non mi concessi neanche il tempo di riprendere fiato «Sapete, Vostra Maestà, il rifiuto è brutto, anche se proveniente da una persona con cui non ci si sente minimamente legati, immaginate quando giunge da chi, invece di prendersi cura di voi, fa perdere le vostre tracce come foste un ignobile peccato.»
Lo vidi innervosirsi. Tentò di parlare, ma non glielo permisi.
«Cosa vi interessa di più ora? Di godere della mondanità assieme a vostra moglie o di me e del bambino?»
Fece un movimento fulmineo, mi catturò per le spalle e mi inchiodò con lo sguardo.
«Se non mi interessaste entrambe non avrei preso questa decisione!» urlò in preda alla collera «Se non pensassi a voi e a mio figlio tutti i giorni, incessantemente, come il ticchettio di un metronomo, non avrei deciso di portarvi via da qui! Lo sto facendo solo per proteggervi, perché quando la vostra condizione sarà troppo evidente, allora, in quel momento, non saprei come difendervi dalla gogna!»
Il nodo alla gola mi strinse come una trappola per orsi. Avevo il viso tirato come se mi stessero strangolando.
«Mi lascerete da sola tutto questo tempo, vivrò la mia condizione nell'abbandono e nel vostro disinteresse!» scoppiai a piangere.
Carlyle poggiò lo sguardo sul mio ventre dalle curve appena accennate. Contorse il viso in una struggente smorfia d'amore e allungò una mano per sfiorarlo.
«Non vi sto abbandonando e non ho mai avuto intenzione di farlo. Vi raggiungerò non appena mi sarà possibile! Cercherò di trovare commercianti di luppolo nel Kent e sarò lì da voi non appena ne avrò occasione!»
Mi asciugai gli occhi e scostai i capelli da davanti la faccia «Siamo sicuri che non sarà questo il vero motivo per cui verrete?»
«Sapete bene che non è così!»
Delirai «Dovrei uscire da qui e gridarlo al mondo! Vostra moglie dovrebbe sapere!»
«Anthea, non dite idiozie... !»
Affogai nelle lacrime «Idiozie? Ho rinunciato a un matrimonio per voi, a una vita che mi avrebbe garantito sicurezza e voi mi state riservando questo trattamento perché la mia condizione potrebbe far crollare la vostra immagine e tremare il vostro trono. Assumetevi le vostre responsabilità, non ho concepito questo bambino da sola. Pensate di essere il primo sovrano a trovarsi in questa situazione?»
«Non sono il primo e non sarò neanche l'ultimo, ma non immaginate la necessità che ho di mantenere l'immagine dell'uomo che mi sono costruita fino a ora!» digrignò i denti.
«Per cosa? Per illudere i vostri sudditi come avete fatto con me? A mio parere, sono più uomini loro a non nascondersi che voi a vergognarvi.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro