Capitolo 56
Ethelwulf mi prese delicatamente per le braccia, pronto a stamparmi quel bacio che avrebbe suggellato la cerimonia nuziale. Era un gesto che aspettava di fare da tanto tempo e di cui si era fino ad allora privato per consacrare la sua sposa fino all'ultimo istante.
Divenne all'improvviso un pezzo di ghiaccio, immobile come un masso, esterrefatto come se avesse ricevuto la peggiore delle notizie. Una statua di marmo sarebbe risultata meno pallida di lui.
Qualcuno degli invitati venne visto girarsi attorno per capire se fosse stata Medusa ad avergli lanciato la maledizione con i suoi occhi di morte.
Baruffaldi stentò a crederci, era infatti già pronto per la benedizione degli anelli.
Un crepitìo concitato, contenuto a stento dal sacerdote che ricordava, come poteva, che ci trovavamo nella casa del Signore e che un certo rispetto era d'obbligo, rimbalzò tra i banchi fino a quando non divenne un vero e proprio ululato.
Daisy era inerme, mia madre sconvolta. Lydia si imbronciò disperata, probabilmente per il fatto che non avrebbe goduto del banchetto, mentre Marfa ci mise un po' a realizzare che tutta l'esaltazione che aveva covato nei giorni precedenti era stata solo uno spreco di energie e di tempo.
Tutte quante, comunque, accomunate dal medesimo stato di shock, rimasero catatoniche fin all'ultimo, in attesa di comprendere se si trattasse di una farsa.
«Non credo di aver capito bene...» mormorò, e quel sussurro risuonò come il tentativo dell'uomo di risvegliarsi da un sogno di cui non sapeva di essere parte.
«Non posso sposarti.» ripetei con una gelida pacatezza.
Presi la sua mano e lui la ritrasse di scatto. Mi addolorai ma a quel punto non era più possibile tornare indietro.
Mi feci coraggio «Ethelwulf, è come ho detto.»
Non poteva che essere quella la scelta migliore per risparmiarci un'esistenza atona.
Quell'uomo allora sembrò perso. Muoveva
le dita delle mani a scatti e mi parve anche di osservare un leggero tremolio della testa. Temevo che qualche malore l'avrebbe colto all'improvviso.
Sembrò allora di trovarsi più al mercato che in un luogo di culto data la goliardia e l'irriguardo dei nostri sconosciuti invitati.
Ethelwulf era paralizzato. Non riusciva a emettere fiato, avrei detto addirittura che era morto se non fosse stato per le pupille che muoveva vorticosamente su di me.
La fredda calma che mi aveva esortata ad alleggerirmi di quel peso, lasciò presto il posto a un profondo stato d'irrequietezza che mi costrinse a cercare, famelica, una via di fuga.
Afferrai la gonna con le mani e lasciai i piedi liberi di muoversi il più velocemente possibile verso l'uscita. Al passaggio, tutti mi guardarono, non con ammirazione e incanto come avevano fatto all'inizio, ma con disprezzo e la vergogna di chi non avrebbe voluto trovarsi al mio posto.
Con una determinazione che mi costò cara, mi lasciai scivolare addosso tutti quegli sguardi invadenti e fuggii, alla ricerca di uno spiraglio da quel girone di seminatori di discordia.
Da lontano udii una voce maschile chiamarmi, ma non le prestai troppa attenzione. Poteva essere chiunque: Ethelwulf, Sir Jacques, persino Baruffaldi; ma dubitai fortemente si trattasse del principe.
Quella voce non cessava di pedinarmi e pareva sempre più vicina: temevo mi avrebbe inghiottita se non mi fossi sbrigata.
Uscii allora dalla cappella e corsi lungo il corridoio, sbattendo prima a un cassettone in mogano che era stato lì posizionato ultimamente per volontà della principessa, poi addosso a Frances che non si degnò neanche di chiedermi se stessi bene o se mi fossi fatta male. Sapevo infatti che era rimasta stizzita dal fatto che non l'avessi invitata e lo sguardo sprezzante che mi rivolse ne fu la conferma.
Superato il corridoio, svoltai l'angolo con la velocità di una volpe e, quando vidi la luce naturale farsi sempre più intensa, intuii che la mia salvezza era proprio dietro l'angolo.
Durante la corsa verso il bosco persi il velo e anche la cinta in seta verde che non era stata legata a dovere, come orme del tragitto che avevo percorso.
«Anthea!» udii gridare a squarciagola. «Fermati!»
Non era la richiesta di un uomo con il fiatone, che aveva corso fino a lì per raggiungermi, piuttosto, sembrava un ordine alimentato da una scarica adrenalinica.
Ethelwulf mi era stato alle calcagna fino ad allora, senza che io me ne accorgessi. Quando mi girai a guardarlo, richiamata dalle sue grida, lessi la delusione sulla sua faccia, la rabbia su tutto il corpo.
Terminai la corsa e accettai di ricevere, mio malgrado, le accuse di un uomo che non era stato preparato a quella situazione.
Con la velocità di un rapace, era a tre passi da me.
Mi puntò l'indice inquisitore addosso e io ne indietreggiai impaurita. Si morse il labbro inferiore e mostrò i canini.
«Dimmi che è una farsa! Dimmi che sto solo sognando! Altrimenti spiegami questa diabolica follia!» urlò talmente forte che uno stormo di rondini prese il volo impaurito.
«Io...» avrei voluto dirgli tutta la verità, se lo meritava.
«Ti sei bevuta il cervello? Provi piacere nel prenderti gioco di me? Ti rendi conto di ciò che hai appena fatto? Ho sperperato quasi tutti i miei risparmi per garantire una cerimonia alla tua altezza e una casa che fosse il luogo ideale in cui accoglierti e tu... tu ti permetti di umiliarmi davanti a tutti in nome di una derisione bella e buona?»
Avrei voluto piangere perché ero consapevole che tutte le sue ragioni erano valide e che qualcun altro, al suo posto, avrebbe reagito peggio di così.
«Hai ragione, Ethel... »
Implose per il nervoso «Ragione? È il massimo che sai dire?» si scaraventò su di me «Esigo delle spiegazioni e fa che queste siano valide! E sul nome di Alice, ti giuro che non me ne andrò fino a quando non me ne avrai date!» le sue urla erano spari di cannone.
Tremai come un fringuello «Ethelwulf, io...» mi strinse per le braccia. Non riconoscevo più l'uomo gentile e innocuo in cui mi ero imbattuta la prima volta «Parla, dannazione!»
I suoi occhi parvero leggermi dentro. Sentii una scossa elettrica percorrermi da cima a fondo. Temevo che sapesse tutto e, gradualmente, questa paura prese sempre più spazio dentro di me. Non c'era più motivo di negarglielo: dovevo confessargli quel segreto vergognoso che non ero stata in grado di ammettere il giorno in cui si era proposto.
Mi divincolai dalla sua presa e lo guardai fisso nelle pupille. Aprire bocca fu come distaccarsi dalla realtà.
«Se non ti ho sposato è perché c'è un altro uomo nella mia vita!»
Barcollò tramortito. La terra parve scomparire sotto i suoi piedi.
«Un altro uomo?» mosse la testa da una parte all'altra, respirò ansimante e gli venne una smorfia schifata in faccia.
Lo braccai. Volevo che ascoltasse le mie ragioni, magari che mi perdonasse, ma il distacco che osservai da parte sua era testimonianza del fatto che davanti aveva nient'altro che il peggior frutto della codardia.
Un'espressione di ribrezzo e incredula al contempo mi lasciò sprofondare ancora di più in quell'inferno di vergogna. Avrei voluto scappare, ma non lo meritava.
«Un altro uomo... » ripeté esausto.
«Per favore, lasciami parlare!» mi lagnai ma non mi concesse tempo sufficiente.
«E tu mi hai condotto fino a qui? Mi hai illuso fino a ora, facendomi credere che fossi convinta di questo passo, quando in realtà ciò non era altro che l'ultima delle tue volontà! Tu hai recitato! Ti sei presa gioco di me e io sono caduto nella tua trappola come uno stolto! Chi sei tu? Perché temo di non sapere più chi ho di fronte!»
Strozzai un gemito.
«Ethelwulf non ti biasimo affatto, sono la persona più spregevole che abbia mai incrociato la tua strada ma, per favore, dammi modo di spiegare. So che non servirà a molto ma mi sono trovata a un bivio e, ti giuro, è stato difficile capire cosa sarebbe stato meglio per noi e te!» ero attanagliata da un'ansia accecante. L'afflizione mi ribolliva nello stomaco.
Storse le sopracciglia «Noi?» le sue labbra precipitarono in una forma convessa «a chi ti riferisci?»
«Sì! Noi! Ed è per questo che mi sono azzardata a frantumare i tuoi progetti prima che fosse irrimediabile. Ethelwulf, io sono... »
Un nitrito acuminato squarciò l'aria.
Baston era fermo su due zampe, Carlyle nascosto dietro il muso longilineo dell'animale. Ripiombò a terra e rimase immobile, pronto a intervenire all'occorrenza.
Nessuno poteva prevedere, infatti, l'impulsività di un uomo ferito.
Ethelwulf registrò la presenza del principe ma non gli diede alcun peso, poiché per lui era più rilevante ritornare a martellarmi con la stessa domanda.
«Noi, chi? Mi dici chi è questo noi? È il bastardo che preferisci a me?» tuonò in preda a una rabbia cieca.
Una tempesta di lacrime fece razzia del mio volto tanto che vi quasi annegai. Fu come venir ferita da tante lame contemporaneamente.
«Ethelwulf, ora basta!»
Il principe era sceso da cavallo e avanzava verso di me, con andamento magistrale e autorevole.
L'uomo ferito lo guardò sconcertato, poi adocchiò me e nuovamente Carlyle. Trasalì rumorosamente e si appoggiò a un tronco per non perdere l'equilibrio. Squadrava il principe con i bulbi sgranati di un animale notturno. Il suo affanno aumentò tanto che ebbi paura potesse svenire da un momento all'altro, ma quando provai ad avvicinarmi mi bloccò alzando il braccio. Guardai Carlyle in allarme.
Un terremoto mi sconquassò... ci aveva forse scoperti?
Attesi e, dopo un minuto durato un'eternità, mugugnò «Tu non hai idea di quanto male mi hai causato!»
Dalla sua bocca non uscì ciò che temevo, intenzionato a lasciarmi con il dubbio che mi arrovellava i nervi, ma una frase lapidaria che non fece altro che farmi sprofondare ancora di più nel punto più basso della devastazione. La pronunciò come se sapeva che quello sarebbe stato il nostro ultimo contatto verbale e poi se ne andò con il capo chinato, abbandonandosi alle spalle bauli di sogni e di attese infrante.
Quanta ingiustizia e offesa si era concentrata in un solo uomo e io ne ero solo che l'artefice.
Nel giro di poco, Ethelwulf era diventato un piccolo puntino all'orizzonte e, quando il fumo del camino della sua baita cominciò a uscire dal comignolo, intuii che era rientrato a casa. La sua casa.
Carlyle era montato a cavallo, quando si avvicinò. Sembrava disorientato ed era normale dopo quello a cui aveva assistito.
«Per quale ragione? Me lo spiegate?» fremette, tirando il muso del cavallo con le briglie.
«Per evitare di far pesare sulle spalle di un uomo la vigliaccheria di altri due.» lo fulminai con gli occhi, lui li aggrottò e mi tese la mano. Mi diedi una spinta e salii sul dorso di Baston che cominciò a trottare al ritmo del vento. L'ultima volta ci avevano scoperti, desideravo invece che quella non venisse notata da nessuno, non dopo un evento così caldo e doloroso.
Cavalcammo a lungo fino alla fine del podere del palazzo, poi Carlyle legò Baston a un albero.
Il mio abito da sposa aveva tutti i bordi anneriti dal fango e dalla terra e la stiratura impeccabile di Marfa era scomparsa per lasciare il posto alle stropicciature.
«Che intenzioni avete ora?»
«Che intenzioni abbiamo, volevate dire!» tuonai.
Mi ritrassi subito. Il rapporto domestica e sovrano che doveva stare alla base dei nostri dialoghi, quei cenni di riverenza e rispetto ossequioso che mi erano stati propri i primi tempi, erano scomparsi, da quando un qualcosa di più grande si era frapposto a quelle buone maniere.
Lui era nostro figlio e, come tale, una responsabilità comune.
Divenne immediatamente più costernato e prese a vagabondare lì in quello spiazzo, oltre che tra i suoi pensieri.
A un certo punto si rinsavì, mi strinse la mano e la sfiorò dolcemente «Avremo modo per pensarci... » mi accarezzò le guance e mi inchiodò i fanali blu addosso «ma non posso negare che sono contento della vostra decisione. Non avrei sopportato immaginarvi nelle braccia di qualcun altro! Nel letto di qualcun altro!»
Si morse il labbro a quella visione.
L'onta, il senso di colpa e l'angustia volarono via portate dal vento e si rimarginarono le ferite delle pugnalate morali che mi erano state inferte.
La mia passione esplose tutta insieme. Il suo odore su di me per poco non mi fece perdere i sensi.
Abbassai le palpebre e sorrisi di gusto. La prima volta in quella giornata.
Finalmente mi baciò e mi resi conto, come non mai, che avevo fame della sua bocca, delle vibrazioni della sua gola non appena emetteva un parola carica di dolcezza, dei suoi capelli e della sua pelle e che sino a quel momento avevo girovagato senza nutrirmene.
Gli cinsi il collo con le mani e lo baciai in risposta fino a che le nostre lingue non divennero indissolubili.
Con un gesto fluido, mi catturò il bacino. Sentivo il suo fiato rimbalzarmi addosso.
«Mi avete avvelenato i pensieri, i gesti, e anche la mia vita eppure non posso negare che questo veleno è migliore dell'ambrosia!.»
Deglutii rumorosamente per sovrastare il battito galoppante nel mio petto.
«E voi avete intossicato i miei!»
Mi strinse forte da far male. Cercò i bottoni dietro l'abito, poi li tirò senza avere la pazienza di slegarli uno a uno. Qualcuno si staccò, finendo a terra. Mi sfilò l'abito e poi si slacciò i pantaloni.
Mi distesi su un letto di foglie, terra e coccinelle. Poi, finalmente, il calore del suo corpo si fuse con il mio.
Sbocciai come un fiore che attendeva l'ape per nutrirla con il suo nettare. Mi travolse come una tormenta impetuosa, ma in quel caso non si trattò di neve, ma di fuoco.
Ingorda dei suoi baci salati, ne pretesi un'infinità e lui altrettanto delle mie carezze castigate. I miei confini si sbiadirono così tanto che non seppi dire se ero io a essere dentro di lui o lui dentro di me.
Un torrente di linfa percorse i miei vasi sempre più forte fino a che ebbi paura di non riuscire a contenere più tutto quel godimento.
Terminata quell'emulsione di carne, si sdraiò al mio fianco, noncurante del fatto che, una volta a palazzo, qualcuno avrebbe potuto domandare il perché del terriccio sul suo abito. Mi abbracciò e poggiai il volto sul suo torace scolpito e ancora sudato.
Mi accarezzò la pancia con movimenti circolari; amorevolmente e con fare protettivo.
In fin dei conti, nel profondo della sua anima, sapeva di amarlo.
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