Capitolo 53
Per quanto potesse suonare come un ossimoro, il ghiaccio che Marfa mi spingeva goffamente sugli ematomi bruciava come un ferro ardente.
«ti prego toglilo!» spostai la faccia velocemente da quel pezzo di fuoco ghiacciato. Marfa borbottò qualcosa e poi me lo scaraventò di nuovo in faccia, non curante delle mie lamentele.
«Guarda come ti ha ridotta, quel villano stupratore!»
Continuò la sua opera da crocerossina fino a quando non sentii la mia faccia completamente addormentata dal freddo. Prese allora un panno e me lo passò prima sulla fronte, poi sugli occhi e infine sulle guance per asciugare le gocce.
«Così almeno abbiamo limitato il rossore.»
Spostò la sedia e vi si sedette di peso, si toccò la schiena e se la fece scrocchiare, poi espirò con vigore.
La guardai e addolcii gli occhi «Grazie Marfa, sei corsa a soccorrermi con la velocità di un fulmine!»
«Come potevo fare diversamente, le tue urla sono arrivate fino in città!»
Era riuscita a coprire bene lo spavento che l'aveva colpita non appena mi aveva visto seduta in terra con la faccia tumefatta. Doveva essere tranquilla allora che non ero in fin di vita.
«Sai già che questo episodio sarà sulla bocca di tutti per molto tempo, vero?»
Riassettò le sue cose nel fagotto e indossò la mantella avendo premura a chiuderne i bottoni.
«È strano che Godwin abbia tentato di violentarmi?»
«Oh no affatto, diciamo che questa è la consuetudine e che di solito nessuna lo ha mai respinto come hai fatto tu. Quello a cui mi riferivo era il fatto che sia stato lo stesso principe a venire in tuo soccorso.»
Un brivido mi percorse la schiena e i battiti del cuore aumentarono.
«Però come poteva ignorare le tue grida. Diciamo che si è trovato al posto giusto nel momento giusto. Il principe ha a cuore le persone che lavorano per lui.»
Rilasciai la tensione e finalmente mi tranquillizzai. Marfa non sospettava nulla.
Rimanemmo a scambiarci ancora qualche parola di fronte a una tazza di latte e miele fumante poi lei raccolse le sue cose e se ne andò.
«Vado... ho un impegno in città. Ci vediamo questa sera e cerca di non metterti nei pasticci nel mentre che io non ci sono!» strizzò gli occhi e uscì.
Sorseggiai ancora un po' di quel nettare, spalmando sul palato il miele che si era depositato sul fondo della tazza e che non si era completamente sciolto.
Capii.
L'orfanotrofio. Il bambino.
Non avrei avanzato domande.
Uscii in cortile per aspettare Ethelwulf con cui mi ero data appuntamento. Era venuto a conoscenza dei fatti, probabilmente era stata Lydia a informarlo, e aveva richiesto di vedermi con una certa urgenza decidendo che il taglio della legna per l'inverno avrebbe potuto aspettare.
Quando misi piede all'esterno lui era già li.
Mi venne incontro sconvolto
«Oh mio Dio, Anthea, stai bene? Guarda come ti ha ridotta quel codardo!»
mi afferrò per entrambe le braccia e mi strinse al petto. Odorava di foglie verdi e di terra.
«Tra non molto tutto questo finirà. Tra non molto sarò io a prendermi cura di te! Dobbiamo affrettare i preparativi, anzi avremmo dovuto essere già sposati! Se solo...»
«Ethelwulf...» mi staccai con calma dalla sua presa «sta tranquillo, sto bene!»
Era veramente così?
«Amore mio, che pena che mi hai procurato! Non appena l'ho saputo sono stato in pensiero per te!»
Amore mio. Udire quella parola mi fece piombare in uno sgradito stato di malessere.
I principi uscirono scortati da due servitori e da Sir Jacques. Dal loro abbigliamento presupposi avessero affari importanti da sbrigare, in particolare quello di Carlyle mi fece intendere che avesse appena preso parte a una seduta in Parlamento. Ero invero a conoscenza del fatto che la guerra con la Francia si stava protraendo da tanto ormai e che i recenti avvenimenti non avevano fatto altro che scaldare gli animi.
Non appena Ethelwulf vide il principe gli corse incontro.
«Vostra Altezza!» si inginocchiò di fronte a lui e chinò il capo in segno di deferenza. Carlyle lo guardò con distacco e attese che il ragazzo spiegasse il motivo per cui lo aveva chiamato.
«Vi sono infinitamente riconoscente per aver difeso la mia futura moglie, non esistono parole sufficienti per esternarvi la mia gratitudine. Vi servirò ancora con più rispetto e riconoscenza, ma se questo non fosse necessario vi prego di dirmi come io possa sdebitarmi per rendere onore a tale gesto!»
«È mio dovere garantire la sicurezza della mia servitù. I vostri ringraziamenti sono ben apprezzati ma non necessari.»
Jocelyn era con lui e vestiva quell'espressione inquisitrice e priva di fiducia dall'avvertimento di Godwin. Mi guardava con sospetto e questo non potei che notarlo.
Dalla tensione palpabile che c'era tra moglie e marito capii anche che quest'ultimo doveva esser stato bersaglio di molte domande fino a poco tempo prima.
«Vostra Maestà, io...» Ethelwulf provò ad articolare ancora qualche parola ma venne subito interrotto.
«Signor Johanart, se non vi dispiace ho degli affari a cui dedicarmi.»
Ethelwulf fece le riverenze per la seconda volta e indietreggiò.
Da lontano avvertii lo sguardo di Carlyle posarsi su di me e così lo ricambiai. Mi guardò preoccupato, avvilito e amorevolmente allo stesso tempo, poi dovette andarsene quando sua moglie lo richiamò.
Quando salì sulla carrozza avvertii un forte senso di nostalgia. Quell'uomo mi mancava tremendamente o forse era semplicemente il ricordo di quello che eravamo stati a mancarmi. Presto infatti mi sarei potuta aggrappare solo a quello dal momento in cui le cose stavano per prendere una piega inaspettata.
Il matrimonio. L'aggressione del duca. Suo figlio, di cui lui ancora non sapeva l'esistenza.
Per quanto tempo ancora avrei potuto celare il fatto prima che esso divenisse evidente agli occhi di chiunque? Prima o poi l'avrebbe dovuto sapere - questo era certo - ma cercavo di godermi ancora il tempo che mi rimaneva prima che lui cominciasse a vedermi sotto una luce diversa.
Non potevo essere più solo e semplicemente la sua amante, ma cosa sarei diventata mi era ancora oscuro.
Trascorsi del tempo insieme a Ethelwulf e questi non perse l'occasione per ripetermi che una volta diventata sua moglie avrei goduto della sua costante protezione e che non sarei mai più stata vittima delle molestie di nessuno.
Quel discorso mi fece tornare alla mente che il matrimonio sarebbe avvenuto tre giorni dopo. Sobbalzai in preda al panico. L'insieme degli eventi che erano accaduti in quella settimana, tra la scoperta della gravidanza e l'aggressione da parte di Godwin, mi avevano fatto completamente mettere in secondo piano il fatto che il tempo trascorreva inesorabile.
Come avrei combinato il bambino con un uomo che non era suo padre?
Ebbi un giramento di testa e quello che dovetti riconoscere come un attacco di panico.
Le lenzuola della principessa non si sarebbero di certo cambiate da sole. Mi precipitai nella lavanderia, agguantai il ferro da stiro e lo riempii di carboni ardenti per poi passarlo sul loro cotone plissettato.
Le afferrai dopo averle piegate e le trasportai al secondo piano. Una volta di fronte la camera da letto di Jocelyn mi resi conto che era chiusa. Feci per bussare ma non appena la mia nocca sfiorò la porta questa si aprì leggermente, lasciando intendere che fosse appena socchiusa.
Da fuori udii un parlottare concitato tra la principessa e una voce maschile che quando riconobbi essere quella di Godwin fece scattare in me un allarme rimbombante, fragoroso come il rintocco della campana del mezzogiorno della domenica. Per un momento ebbi l'istinto di vomitare ma poi il mio stomaco riuscì a calmarsi. Ripiombai in uno stato di costernazione, lo stesso che avevo provato qualche ora prima.
Mi affacciai alla fessura tra un'anta e l'altra. Jocelyn era visibilmente agitata e nervosa. Camminava in avanti e indietro con le braccia dietro la schiena secondo un portamento che non si addiceva all'immagine che avevo di lei «Quella ragazza, quella ragazza...» mormorò stizzita tra i denti.
Si stava riferendo a me, questo era ovvio. Le mie gambe tremarono come in preda a uno spasmo e altrettanto fecero le mani. Per poco non rischiai di far cadere a terra quelli che trasportavo.
«Te l'ho detto, reputi normale la reazione che mio fratello ha avuto per quella sguattera?»
Jocelyn si voltò di scatto e puntò il suo dito inquisitore verso suo cognato «Se c'è una cosa di cui non posso dubitare è il rispetto che mio marito nutre nei miei confronti!»
«Eppure si trovava lì proprio in quel momento e non ha esitato a buttare giù una porta per correre in suo aiuto.»
La donna venne sormontata dalla collera. Scaraventò il suo braccio sul tavolo facendo cadere a terra tutta la cristalleria che inevitabilmente si frantumò sul pavimento.
Il duca allora si alzò e le mise le mani sulle spalle. Le fece un massaggio e sembrò avere i suoi effetti dal momento in cui parve rilassarsi.
Godwin si avvicinò al suo volto. Aveva gli occhi lampeggianti. «Insieme, sveleremo il segreto di Carlyle avendo cura a custodire il nostro che, come sai, ha alle spalle molto più tempo.»
La principessa sorrise malignamente, poi si voltò.
A che segreto si stava riferendo?
«Signorina Gleannes!»
Sobbalzai all'udire quell'accento francese.
«Sir Jacques!» sperai in cuor mio che non mi avesse sorpresa a origliare.
«Ancora con quelle lenzuola in mano? Datele a me, ci penso io!» borbottò.
Me le strappò e bussò alla porta.
Mi defilai senza che nessuno si accorgesse della mia presenza, ripensando alle parole di Godwin «il nostro segreto»... a cosa diavolo alludeva?
Non vedevo l'ora che quella giornata terminasse, era stata troppo carica di avvenimenti nessuno dei quali positivo.
Il cielo si era tinteggiato di arancione e da qualche tempo uno stormo di rondini aveva deciso di fare il nido proprio su uno degli alberi del giardino. Speravo che sarebbe stato solo il primo di una lunga serie e che presto avrei goduto della visione di tanti uccellini svolazzare in qua e in là. Era infatti la mia prima primavera a palazzo e sarebbe stata anche l'ultima.
Decisa a godere di qualche ora di solitudine, pensai di dirigermi verso il tempietto dell'Amore. Quel luogo aveva per me un forte significato. Era il punto in cui Carlyle mi aveva sfiorata per la prima volta, il punto in cui mi aveva vista come più che una semplice domestica.
Il tempietto era un luogo dotato di una carica astrale. Rappresentava ai miei occhi la connessione con un altro universo, un luogo carico di spiritualismo.
La convinzione che mi portavo dietro da quando ero bambina era che bisognasse dedicare del tempo a se stessi almeno una volta al giorno. La solitudine aveva il suo non so che di curativo e energizzante e il posto a cui ero diretta rappresentava per me proprio una terapia, lontana dal mondo, lontana dall'angustia.
Una volta arrivata quasi mi commossi a ritrovarmelo davanti. Era la prima volta che lo vedevo dopo mesi. Mi riparai sotto la sua cupola e attesi che il sole lasciasse il posto alla luce pallida delle stelle. Incrociai le braccia al seno e chiusi gli occhi per fermarmi ad ascoltare tutti i rumori di sottofondo: il canto di un fringuello, gli alberi che ondeggiavano al passaggio del vento, lo scrosciare dell'acqua che zampillava da una piccola fontanella non poco distante.
«Non credevo vi avrei trovata qui.»
Quella voce improvvisa mi destò dallo stato di quiete. Quando riconobbi Carlyle il mio cuore sussultò di gioia.
«Sono venuta per pensare.» risposi.
«Sono qui per il vostro stesso motivo.»
Carlyle si appoggiò alla colonna speculare alla mia e incrociò le gambe.
Passarono dei minuti in silenzio prima che uno di noi prese coraggio.
«Anthea...» si avvicinò e mi accarezzò la guancia con una mano. Lo guardai come una cerbiatta.
«Ho avuto tanta paura per voi.»
Ebbi le farfalle nello stomaco. Chiusi gli occhi e mi accoccolai ancora di più sulla sua mano.
Carlyle mi osservava afflitto. La forma spiovente che avevano assunto le sue palpebre e gli angoli pendenti delle labbra carnose lasciarono intendere che i pensieri che aleggiavano nella mia testa erano gli stessi che popolavano la sua.
Tornò alla colonna e cinse le mani dietro la schiena «Mia moglie sospetta qualcosa e Godwin è il suo primo sostenitore in questo. Anthea, quello che è successo è stato fuori dal mio controllo.»
Si stava riferendo alla sua reazione.
«Cosa suggerite?»
Inspirò a lungo prima di parlare, poi sbatté nervosamente gli occhi e li chiuse per prepararsi a ciò che stava per dire.
«Dobbiamo far credere loro che nulla di ciò che pensano è vero. Dobbiamo... tornare a rivestire i ruoli che ci appartengono e niente di più.»
Dovevamo dunque smettere di essere amanti e riconvertirci in un sovrano e una domestica a tutti gli effetti.
I miei presentimenti erano veri. Mi stava abbandonando.
«Ci siamo fatti prendere troppo la mano, non abbiamo considerato le conseguenze delle nostre azioni e adesso queste viaggiano a una velocità a cui non riusciamo a stare dietro. Anthea, non possiamo più permetterci di rischiare!»
Mi sentii distaccare dalla realtà. Il dolore toracico che mi colse eruttò in un pianto incontrollato.
Carlyle si pietrificò «Cosa vi prende?»
Non riuscivo a smettere di piangere. I singhiozzi mi troncavano il respiro tanto che presto ebbi fame d'aria. Portai le mani al viso affinché raccogliessero le mie lacrime. Gridavo alla stregua di un fringuello, ma non per annunciare l'arrivo della primavera ma per premonire la catastrofe.
«Io... Io... »
Si scaraventò su di me e mi afferrò per le braccia in preda al fermento «Io cosa?»
I suoi occhi erano tornati scuri.
«Dannazione, volete parlare o avete intenzione di farmi morire di paura!»
Annaspai tra le lacrime per non affogare.
«Carlyle, aspetto un bambino!»
Fu uno shock. Quella rivelazione gli scosse l'animo e gli fece ripercorrere la sua vita all'indietro. Non disse una parola e indietreggiò. Mi guardò atterrito non sicuro di aver capito bene.
«Cosa... ?» sussurrò con un filo di voce.
Aveva gli occhi spalancati, la fronte corrugata e l'espressione esterrefatta. Non si mosse, aprì soltanto la bocca, sbarrata come quella di un pesce. Sembrava cercasse le parole giuste da dire ma qualcosa glielo impedì.
«Aspetto vostro figlio!» urlai. Tutto divenne immediatamente più reale.
A quel punto non riuscivo più neanche a respirare.
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