Capitolo 52
«Vostra Grazia!»
Ascoltai il cigolare sinistro della porta mentre si chiudeva. Si poggiò a quest'ultima e poi stette un momento fermo a osservarmi e a compiacersi di avermi di fronte. Nei suoi occhi lessi bramosia e soddisfazione.
«Godwin... chiamami Godwin.» sospirò, quasi a essersi appena svegliato da un piacevole sonno. Sentii il suo sguardo invadente percorrermi ogni centimetro, accompagnato da un ghigno malefico precursore di cattivi eventi.
Solo allora capii che non sarebbe arrivato nessuno. Non era stata Jocelyn a chiamarmi bensì lo stesso Godwin a tendermi una trappola.
L'uomo non fece passare troppo tempo prima che chiudesse la porta a chiave.
In quel momento terminai di affogare nel terrore in cui ero sprofondata nell'istante stesso in cui lo avevo riconosciuto.
Era la seconda volta che vivevo quella situazione, la prima con Orville e l'ultima con Godwin. Entrambe, chi nel passato chi nel momento presente, avevano cercato di rendermi prigioniera. Entrambe accomunati dalla medesima necessità di sottomettere qualcuno che li aveva rifiutati.
Mi voltai di scatto alla ricerca di una via di fuga ma l'unica che trovai fu la finestra che affacciava dal terzo piano del palazzo.
«Non vorrai mica mettere a repentaglio la tua vita, vero?»
Godwin parve leggermi nel pensiero e poi scoppiò a ridere all'idea dell'insensatezza delle mie possibili intenzioni.
Attraversò la stanza e perimetrò il camino quasi spento, poi si sedette sul divano a gambe accavallate.
«Vieni qui vicino a me, signorina Gleannes!»
Cercai di rimanere calma e di non far trapelare la paura che mi attanagliava. Tentai di rispondere a quell'invito con il massimo della persuasione.
«Vostra grazia, la principessa mi aspetta nel...»
Lui stesso mi aveva tratto in inganno facendomi credere che fosse Jocelyn in persona a volermi; che avesse studiato i suoi spostamenti per rendere più verosimile il comando?
Mi interruppe, impedendomi di terminare la frase «Non cercare scappatoie. Mia cognata e mio fratello sono impegnati con affari di Stato e non saranno di ritorno prima di questa sera» si pulì le labbra con un gesto carico di lussuria «la principessa non richiederà i tuoi servigi per un po' e noi... noi avremo molto tempo da trascorrere insieme!» soffiò sulla candela che aveva vicino e la spense.
Un'ondata di panico, l'ennesima, rischiò di prendere il sopravvento non appena mi resi conto che Godwin aveva architettato tutto per ritrovarsi da solo con me, approfittando dell'assenza dei sovrani. Sapevo così che nessuno sarebbe corso in mio aiuto.
Istintivamente mi toccai la pancia, poi guardai la mia mano e mi chiesi perché fosse posizionata in quel punto, d'altronde non avevo accolto con gioia la sua presenza. La tirai via come se avessi urtato qualcosa di incandescente.
Fortunatamente Godwin non diede importanza a quel gesto. Che fosse stata solo una svista? Non era sciocco e per di più una forte dose di malizia caratterizzava la sua personalità, non avrebbe esitato a trarre le sue conclusioni se avesse dato il giusto peso a quell'azione.
Avevo disperatamente bisogno di una via di fuga. Il camino era tenuto in vita solo da qualche carbone ancora ardente e questo non era un buon segnale, significava che era stato lasciato morire così e che nessuno sarebbe giunto a ravvivarlo.
Mi trovavo dunque in gabbia con il mio nemico.
«Non vieni a farmi compagnia allora?»
Indietreggiai istintivamente e feci l'errore più fatale che potessi commettere.
«Vostra Grazia, con il vostro permesso gradirei togliere il disturbo.»
Quella richiesta non parve trarre effetti se non quelli di far aumentare la sua eccitazione e al contempo la sua rabbia. Si alzò di scatto e mi venne incontro, mi afferrò per un polso e poi mi incenerì con lo sguardo. Lo stavo rifiutando un'altra volta.
Improvvisamente la sua espressione cambiò e si addolcì. I suoi occhi erano a un palmo dai miei. Occhi malvagi e insensibili, molto diversi da quelli cangianti e espressivi a cui ero abituata.
Avevo il respiro corto e le gambe che mi tremavano come foglie. Ero completamente terrorizzata.
Godwin spostò il suo codino all'indietro e quel gesto fece scattare in me un segnale d'allarme per ciò che stava per fare. I miei presentimenti furono confermati quando lo vidi lentamente ridurre lo spazio che ci separava.
Capii che aveva intenzione di baciarmi.
La sola idea mi diede il voltastomaco. A quel punto il coraggio prese il posto della paura e mi divincolai dalla sua stretta con la velocità di una volpe, scostando la testa e facendo due balzi indietro per ristabilire le dovute distanze.
Il duca rise malignamente. Si pulì gli angoli della bocca e poi si sbottonò il colletto della camicia.
«Mi vuoi evitare?» sbottonò allora i polsini «vuoi fuggirmi?»
«Vostra Grazia, chiedo scusa se i miei comportamenti hanno ingenerato in voi delle false credenze. Non era affatto mia intenzione.»
Pensai che addossarmi una colpa che non avevo sarebbe servito a qualcosa, credevo fosse una buona tattica di difesa. Tuttavia il destino aveva deciso di volermi remare contro.
Schioccò la lingua sui denti «Preferisci mio fratello?
La saliva mi andò di traverso e tossii. Ebbi un giramento di testa e il bisogno di appoggiarmi allo schienale di una poltrona per evitare di cadere «Il principe? È il mio sovrano...» mi trovavo in evidente difficoltà.
Si spazientì visibilmente «Lascia perdere i tuoi giri di parole. Credi che io mi beva le tue menzogne? Ho notato il modo in cui lo guardi, ho visto che segui ogni suo spostamento quando te lo ritrovi di fronte.»
Godwin era fin troppo acuto e subdolo. Come avevo fatto a rendere evidenti queste piccolezze? Potevo essere stata così sciocca?
«Vostra Grazia credo, anche qui, di aver dato un'impressione sbagliata. Guardo vostro fratello come un qualsiasi suddito guarda il proprio sovrano. Con ammirazione e rispetto.»
Gettò la giacca a terra. Si stava lentamente spogliando. La morsa dell'ansia non mi permise di parlare. Percepii le mie stesse mani tremare per l'agitazione.
«Sei innamorata di mio fratello, di la verità!»
Innamorata? Cosa?
«Con tutto il rispetto, ma non capisco di cosa stiate parlando!» balbettai.
Mi girò attorno come un falco che punta la sua preda e mi ispezionò da cima a fondo, più di quanto avesse già fatto prima.
«Tu pensi e a mio fratello più del dovuto quando invece... sarei io la persona a cui dovresti pensare!» esclamò con intonazione carica di libidine.
Si fermò davanti a me e mi paralizzò con i suoi occhi iniettati di sangue «Cosa ha lui meglio di me?»
Riprese a camminarmi intorno. Sentii il mio sfintere piano piano cedere.
«Signorina Gleannes, tu non sai cosa farebbe la maggior parte delle donne che si trovasse al tuo posto. Cristo, si getterebbero ai miei piedi! Sai però... la carne facile non mi è mai piaciuta e risulta più saporita se vale la pena sudarla, soprattutto quando è difficile da conquistare.»
Con uno scatto fulmineo si posizionò dietro di me e mi afferrò il mento con una mano. Portò il mio orecchio proprio alla sua bocca.
«Qui dentro le ho avute tutte, ma manchi te e qualche cagna che ho schifato. Tu, tu che mi rifiuti e che ti desidero!»
«Vostra Grazia, lasciatemi, ve ne prego!»
«La carne di maiale è più succulenta ma quella di cervo è più prelibata!» sibilò.
Chiusi gli occhi e mi sforzai a non ascoltare la sua voce.
Avvertii le sue dita farsi spazio sul mio collo e dirigersi sullo sterno. L'immagine di Orville Patel si ripresentò alla mia mente.
Rifiutavo ancora il bambino eppure dentro di me riapparse nuovamente il bisogno innato di proteggerlo. Era forse quello l'istinto materno? Sensazione che sovrastava l'affetto che riconoscevo di non provare?
Aspettai il tempo necessario fino a che le sue dita non mi sfiorarono il mento poi, quando mi accorsi che aveva un poco abbassato la guardia, voltai la testa di scatto e gli morsicai la mano.
Come mi sarei aspettata, Godwin mollò la presa e indietreggiò sofferente. Solo dopo qualche secondo mi capacitai di ciò che avevo appena fatto e che avrei potuto esser punita per un gesto del genere. Avrei anche potuto perdere il lavoro.
Prese la sua mano e se la massaggiò emettendo lamenti di dolore.
A un tratto mi fissò e divenne livido dalla rabbia, le vene del collo si gonfiarono e le mani presero a gesticolare nervosamente.
«Lurida puttana!» gridò iracondo. Mi raggiunse con poche falcate e io non riuscii a spostarmi di un centimetro. Ero completamente paralizzata dal terrore.
Aprì la mano e prese lo slancio. Sulla mia guancia piatta quello schiaffo risuonò come una campana. Vacillai per l'impatto tanto da perdere l'equilibrio. Improvvisamente mi ritrovai distesa a terra. Quando provai a rialzarmi non ci riuscii perché Godwin si era sdraiato su di me di peso.
«Se non assecondi la mia gentilezza allora significa che dovrò usare le maniere forti» mi fulminò «quelle adatte a una puttana selvaggia come te!»
Provai a dimenarmi con quanta forza avevo in corpo ma lui mi bloccò entrambe le braccia, poi le prese con una sola mano e con l'altra cominciò a slacciarsi i pantaloni freneticamente. In quel momento agitai le gambe, gli unici arti che mi erano rimasti liberi, ma smisi non appena mi assestò un altro schiaffo sulla faccia, così forte che quasi persi i sensi.
Scese le mutande e fu solo quello il momento in cui riuscii a gridare. Urlai così forte da farmi pizzicare la gola. Scoppiai a piangere, pensai anche di insultarlo ma una forza maggiore mi disse che non era il caso. Allora continuai a gridare e i miei strilli furono tanto acuti da far vibrare i vetri delle finestre.
«Grida! Grida! Tra poco l'unica cosa che strillerai sarà il mio nome!»
Quanto tempo ancora avrei continuato? Quanta aria ancora mi sarebbe rimasta nei polmoni?
Repentinamente udii un rumore alla porta e lo stesso parve fare Godwin. Quando vidi però che era tornato a concentrare la sua attenzione su di me mi resi conto che forse me lo ero immaginato.
Con la fame di chi non si cibava da giorni, mi strappò la camicia e si deliziò lascivo della pelle candida dei miei seni che si intravedeva, poi mi aprì le gambe e mi ridusse a brandelli le calze.
Avvertii la sua mano intrufolarsi tra le cosce a poi non captai altro. Lentamente stavo perdendo contatto con la realtà. Decisi che avrei assecondato i suoi desideri e che lo avrei lasciato fare pur di salvare la mia vita e la tua. Avrebbe così smesso di importunarmi e mi avrebbe ricordata come una delle sue conquiste. Dovevo solo addormentarmi per qualche minuto e poi risvegliarmi a cose già fatte.
Il suo corpo mi aveva interamente sormontata e così anche il buio che ne derivava. Udivo i rumori tutti ovattati fino a quando scomparvero de tutto.
Non ero riuscita a difenderti e questo poteva essere un bene da un lato. Avrei risolto molti problemi prima ancora del loro nascere. Dall'altro mi resi conto invece di aver fallito nel mio ruolo prima ancora di averlo rivestito.
La visuale mi venne ripristinata quando vidi il corpo di Godwin venir scaraventato lontano da me. Gradualmente mi svegliai dalla catalessi e ricominciai a udire tutti i suoni: il tonfo di una porta che era stata appena buttata giù e che ancora traballava in terra, i miei singhiozzi e i latrati dei cani da caccia.
Infine la voce di un uomo che urlava in preda alla collera.
Mi alzai lentamente con la testa che non smetteva di girarmi e, con grande sforzo, misi a fuoco la vista.
Carlyle era in preda a una rabbia ceca mentre Godwin giaceva confuso a terra. Lo prese per la camicia e lo scaraventò alla parete facendogli urtare la testa, poi si abbassò per recuperarlo e lo afferrò per i capelli.
Il duca si alzò strozzando i respiri. Il principe lo agguantò allora per il collo e lo sbatté al muro. Strinse forte la mano tanto che suo fratello cominciò a rantolare e a dimenarsi.
Aveva gli occhi iniettati di sangue, le vene pulsanti e un'espressione spaventosa.
«Cosa stavi provando a fare?» gridò in faccia al duca. Lo guardava inferocito.
L'uomo lo fissò in volto, poi si mise a ridere.
La furia di Carlyle aumentò ancora di più.
«Non rispondi?» il suo vocione echeggiò nella stanza, dopodiché lo strinse ancora di più sul collo e lo spinse nuovamente al muro.
«Stavo per scoparmi la tua puttana ma poi sei arrivato tu sul più bello!»
A quella frase il principe non ci vide più dall'ira. Lasciò la presa, osservai i suoi bicipiti gonfiarsi sotto la camicia e infine caricò un pugno prendendo la rincorsa. Quando glielo assestò sul volto Godwin traballò e poi cadde all'indietro.
«Cosa stavi per fare?» domandò retoricamente.
Il duca gemette per il dolore. Rimase carponi a lungo per il colpo che aveva da poco ricevuto e quando stava per rialzarsi Carlyle gli piantò un calcio direttamente alla bocca dello stomaco tanto da farlo stramazzare nuovamente al suolo.
Godwin aveva la faccia imbrattata di sangue. Il principe era pronto a caricare un altro calcio quando io glielo impedii urlando.
«Lo ucciderete se continuate così!»
Si girò e mi guardò esterrefatto.
Non è forse quello che merita? sembrava voler dire la sua espressione.
L'uomo si alzò a fatica, poggiando prima le braccia e facendosi poi forza con le gambe. Gradualmente tornò in posizione eretta e infine si pulì via il sangue con il bavero.
Respirò voracemente e digrignò i denti. I due fratelli si guardarono a lungo in maniera spaventosa.
«Direi proprio che la ragazza ti ha fatto andare fuori di testa, ma tranquillo, ti capisco!»
La sua ironia risuonò vomitevole.
Carlyle lo fermò nuovamente afferrandolo per il collo e sollevandolo da terra.
«Se questa non fosse anche casa tua ti manderei via oggi stesso e non ti ci farei più mettere piede!» ringhiò serrando i denti.
«Ma questa è anche casa mia e posso restarci quanto voglio» storse allora il sopracciglio con malizia «anzi, a dir la verità ho appena deciso che rimarrò qui ancora per molto!» il sibilo al posto della voce mi fece accapponare la pelle.
Un rumore di tacchi in avvicinamento fece intendere che presto qualcuno avrebbe fatto irruzione. Come volevasi dimostrare infatti, dopo non molto, si precipitò Jocelyn nella stanza. Era evidentemente trafelata e turbata e dovette attendere che il fiatone le diminuisse prima di avanzare qualsiasi domanda.
«Cosa erano quelle urla? E perché la porta non è più attaccata ai suoi cardini?»
Quando vide in che condizione riversasse suo cognato sgranò gli occhi e portò la mano alla bocca.
«Amore mio, cosa è successo? E tu Godwin, abbi almeno la decenza di coprirti!» la principessa si voltò dalla parte opposta in chiaro imbarazzo di fronte alla nudità dell'uomo.
Il duca prese i suoi vestiti e li indossò, poi fece per andarsene.
«Jocelyn...» si inchiodò proprio davanti a lei e scandì bene le parole «ti consiglio di stare molto attenta a tuo marito...» detto questo abbandonò la stanza, lasciando sua cognata in preda a un oscuro sospetto.
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