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Capitolo 51

Da un tempo ancora indefinito, forse una settimana o forse un mese, un nuovo ospite aveva preso ad abitarmi. Si era intrufolato guardingo all'oscuro del mondo e aveva tessuto la sua calma al centro del mio essere. Ci rimasi male quando mi resi conto che non mi aveva chiesto il permesso, non mi ero neanche accorta della sua presenza. Se lo avesse fatto gli avrei comunicato che non era il tempo né l'occasione, che se avesse voluto tanto insediarsi nella mia vita non glielo avrei impedito ma che avrebbe dovuto accettare di ritardare il suo arrivo.
In quel caso invece le cose non erano andate secondo i piani. Lui era già lì, accovacciato nel suo pagliericcio e al riparo da occhi famelici.
Grande quanto una capocchia di uno spillo o quanto un granellino di sale, lui era lì e non se ne sarebbe andato.

«Finalmente!»
La voce squillante di Edwina mi destò del tutto. Stropicciai gli occhi e mi riparai dalla luce che entrava dalle finestre. Doveva essere già mattina inoltrata.
«Come vi sentite? Presto voi! Aiutatela ad alzarsi dal letto! È ancora molto debole.»
Mi destai con difficoltà, ancora intorpidita e bisognosa di sonno. Avrei desiderato che Edwina mi avesse lasciato dormire ancora un po'.
Notai che avevo indosso una camicia da notte che non ricordavo di aver indossato la sera precedente, tuttavia quel pensiero fu distolto da un forte mal di testa che mi fece digrignare i denti.
«Cosa è successo?»
La nobildonna si sedette sul letto «Non ricordate mia cara? Certo che non potete ricordare, che domande sciocche che faccio! Siete svenuta nel bel mezzo della festa, abbiamo provato a soccorrervi ma ogni tentativo è stato vano, eravate come un fantoccio. Non avete ripreso conoscenza fino a... questa mattina!»
Toccai la mia pancia di riflesso. Avevo un'espressione incredula e trafelata.
«E mi... mio cugino?»
Mi diede una sistemata ai capelli ancora in disordine e poi mi accarezzò la guancia «Vostro cugino è molto preoccupato per voi, ha deciso di anticipare la vostra partenza» divenne dunque immediatamente malinconica «oggi tornerete a Sommerseth. I vostri bagagli sono quasi pronti, mancano solo le ultime cose.»
Mi pizzicarono gli occhi. Se lui non ci fosse stato non si sarebbe creata quella spiacevole situazione, Edwina non sarebbe stata triste e io non avrei deluso nessuno.
Le presi le mani tra le mie, i miei occhi erano gonfi di lacrime «Mi dispiace così tanto! Non volevo andasse a finire così e soffro immensamente a lasciarvi già!»
«Mia cara non dovete! Sapete ora dove abito e che casa mia è sempre aperta per voi.»
Mandò via la domestica che si sarebbe dovuta preoccupare della mia preparazione, sarebbe stata lei stessa ad aiutarmi ad alzarmi e a vestirmi. Mi sentivo ancora molto debole ma quasi per magia i conati erano scomparsi del tutto.
Forse erano stati solo dei segnali che lui mi aveva inviato per informarmi che era già lì. Doveva ritenersi soddisfatto allora.
Edwina mi abbandonò presto quando le chiesi se potessi rimanere del tempo da sola. Avevo bisogno di pensare a tutte le conseguenze che sarebbero esplose a partire da quel momento.
Piombai sulla poltrona in velluto e mogano come un masso. Strinsi forte i braccioli e poi affossai la testa. Respirai a fondo senza mai staccare gli occhi dalla finestra. Avrei voluto sentirmi spensierata come quel colibrì che svolazzava in qua e là attorno al suo nido per dare da mangiare ai suoi piccoli appena nati.
Doveva essere una madre.
Madre.
Era questo ciò che sarei diventata.

Mi toccai la pancia nuovamente. Non riuscii a provare alcun affetto materno per lui. Mi consolai dicendo che forse sarebbe arrivato presto, che era normale sentirsi sotto shock proprio perché quella notizia si era abbattuta nella mia vita da neanche ventiquattro ore.
Eppure ciò che era certo era che mi trovavo in pericolo.
Il mio matrimonio era in pericolo.
Quello di Carlyle lo era. Cosa sarebbe successo se si fosse scoperto che una domestica aspettava il bastardo del principe? A maggior ragione, come avrebbe reagito Jocelyn alla notizia che Carlyle sarebbe diventato padre di un figlio che non era stato covato dal suo grembo? No, questo non avrebbe mai dovuto saperlo.

Mi morsicai il labbro talmente forte da tagliarmelo e un disgustoso sapore ferroso si mischiò alla mia saliva. Avrei voluto evaporare come l'acqua del mare, avrei voluto essere quel colibrì e scappare via in qualche terra lontana per cadere nel dimenticatoio.
Ti saresti nutrito di ciò di cui io mi sarei nutrita, ti saresti cibato dell'aria che avrei respirato, ma tu, tu non dovevi essere lì.
Non che un giorno non ti avrei desiderato, non che un giorno non ci saremmo incontrati ma tu eri arrivato troppo presto e senza neanche preavviso.
Cosa ne sarebbe stato di me? Cosa ne sarebbe stato di te? Eri così piccolo e già così tanto ingombrante.

Lentamente, dopo aver preso confidenza con la mia situazione, scoppiai a piangere in un pianto liberatorio che fu tale solo per liberarmi delle lacrime che covavo dalla sera precedente ma non dai pensieri che mi appesantivano la testa.
Cosa avrei fatto?
Avrei indugiato il tempo necessario, questo era certo, ma cosa ne sarebbe stato di me quando la situazione sarebbe diventata evidente? Jocelyn avrebbe preteso il nome del padre e io di certo non glielo avrei detto - non avrei voluto essere punita oltre che umiliata - allora mi avrebbe cacciata come se fossi stata marchiata dal sigillo del peccato e questo avrebbe significato morire da sola e nella vergogna insieme a lui.
Jocelyn mi avrebbe esiliata, Carlyle mi avrebbe abbandonata e io non avrei avuto i mezzi e le possibilità necessarie per prendermi cura di te.
Non potevo odiarti, non ci riuscivo perché eri sangue del mio sangue ma non mi sentivo neanche in grado di volerti bene. Io non ti volevo bene. Avevi complicato le cose ed eravamo solo all'inizio.
Riuscivi a renderti conto di quanto eri capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato?

Le lacrime non smettevano di sgorgare e temetti che avrei perso tutti i liquidi se avessi continuato in quel modo.
Pensai a Ethelwulf e a come lo avrei dilaniato. Il mio cuore si strinse in una morsa amara.
Pensai a Carlyle... mi avrebbe protetta o avrebbe comprato il mio silenzio?
Annaspai in cerca di aria e solo allora mi resi conto di aver smesso di piangere. Non avevo più lacrime da versare.
Uno scintillio in lontananza catturò la mia attenzione.
Vidi un coltello affilato sul tavolino in ebano vicino al letto, lo afferrai in un batter d'occhio e poi mi sedetti nuovamente sulla poltrona.
Osservai la pancia ancora piatta per l'ennesima volta e quello che custodiva all'oscuro del mondo.
Guardai la lama dell'arnese, era affilata e lucente. Premetti la punta all'altezza dell'ombelico, poi la feci scivolare vicino al pube e spinsi fino a quando non vidi uscire del sangue. Affondai ancora di più il coltello e feci un taglio lungo e netto. Il sangue zampillò come una fontana.
Non mi scandalizzai e non gridai, non provai neanche un briciolo di dolore.
Presi i lembi della ferita e li aprii, alla ricerca di lui. Diedi un'occhiata ma non vidi nulla, solo il buio.

Boccheggiai. Avevo fame d'aria. Guardai il mio ventre ed era ancora intatto. Non una macchia di sangue, non un'arma gettata in terra.
Mi spogliai e mi guardai allo specchio, prima di fronte e poi di lato. La mia pancia non aveva ancora assunto nessuna forma che potesse dare l'impressione che fossi in attesa, poteva forse tradirmi il seno che era diventato più sodo e gonfio ma quello non sarebbe stato un problema, sarebbe potuto capitare a chiunque.
Avevo qualche giorno ancora per elaborare un piano, non dovevo disperare del tutto.

Le valigie erano pronte. Scesi le scale scortata da due domestici e, una volta arrivata all'ingresso, mi resi conto che ero l'unica che stavano aspettando.
Quando Edwina mi vide mi venne incontro e mi abbracciò «I momenti belli giungono subito al termine. Spero di vedervi presto Lady Howard» poi si avvicinò al mio orecchio e sussurrò «e toglietevi questo abito nero, avete già tribolato abbastanza.»
Le rivolsi il sorriso più finto e forzato che fossi in grado di riprodurre.
Una vedova incinta. Qualcun altro di fronte a quella situazione sarebbe scoppiato a ridere. Una vedova adultera... perché in fondo un po' adultera lo ero?

Durante quel giorno, arrivato quasi al suo termine, era la prima occasione in cui mi imbattevo nel principe. Contrariamente a quanto era successo dal momento stesso in cui lo avevo visto per la prima volta, avevo paura di incontrarlo. Si ingigantì il panico dell'idea di ciò che avrebbe potuto pensare della situazione. Stavo custodendo suo figlio e questo avrebbe dovuto saperlo ma avrei fatto tutto quanto in mio potere per non dovergli rivelare mai quel segreto.
Carlyle stava terminando di sistemarsi i manicotti della giacca e di tanto in tanto alzava il capo per mandarmi degli sguardi carichi di preoccupazione.
Arrivò infine il momento dei saluti.
Il principe ed Edwina si abbracciarono con il medesimo pathos che li aveva travolti il giorno prima, contenti di essersi rivisti ma dispiaciuti per non averne potuto godere più a lungo.
Quando fu il mio turno dovetti impiegare tutta le forze che avevo in corpo per non crollare definitivamente tra le braccia di quella donna. Ci salutammo anche noi con un abbraccio. Strinsi gli occhi e morsi la lingua per non scoppiare a piangere di nuovo.
Oh Edwina, ero sicura che tu mi avresti capita!

Il principe si appropinquò e fece per aiutarmi a salire sulla carrozza.
Sibilò alle mie orecchie con denti stretti. «Come vi sentite? Dio che spavento che mi avete procurato!» strinse con forza la mia mano.
Ero stata in grado di recitare la parte di Lady Howard fino ad allora, non avrei dovuto avere problemi nel proseguire quella pantomima.
«Molto bene oggi, Vostra Maestà! Sono affranta per l'episodio di ieri sera, credo sia stato dovuto a un calo di zuccheri causato dal malessere che mi ha perseguitato in questo ultimo periodo.»
Avevo bisogno di farglielo credere, anche se era una bugia. Tuttavia Carlyle si era rivelato essere da sempre un acuto osservatore e volle assicurarsi lui stesso che stessi effettivamente bene.
«Vi farò visitare da un medico appena arriveremo a corte!»
Mi mancò l'aria e portai immediatamente la mano alla bocca inorridita «Medico? Oh no... no! Non ce n'è bisogno!»
Un medico, anche il meno esperto, mi avrebbe scoperta.
Carlyle storse gli occhi e corrugò la fronte «C'è qualcosa che non va?»
Il cocchiere avvisò il principe che era tutto pronto per partire e che sarebbe stato anche meglio sbrigarsi per approfittare delle ultime ore di luce. Viaggiare di notte poteva essere pericoloso per un sovrano.
Le nostre carrozze e quelle della scorta del principe partirono alla volta di Sommerseth.
Mi trovavo nuovamente in compagnia dei miei timori persecutori.
Concentrarmi su Jocelyn sarebbe stato troppo. Il carico era già tanto e il mio corpo non avrebbe retto anche quello. Inevitabilmente però non potevo far finta di non pensare a Ethelwulf.
Comunicargli la cosa sarebbe stata la mia prima preoccupazione, glielo avrei dovuto. Avevo ripagato la sua gentilezza e benignità con una pugnalata alle spalle, non lo avrei biasimato se mi avesse riempita di parole cariche di disprezzo.
Baruffaldi tempo addietro parlava di perdono... lui mi avrebbe mai perdonata?

Alle prime luci dell'alba giungemmo a palazzo. Tutto taceva ancora ma non sarebbe trascorso molto prima che le tende venissero tirate.
Dalle scuderie corsi di soppiatto verso l'ingresso per poi scendere le scale con passo felpato diretta verso la mia stanza dove una Marfa ancora dormiente mi avrebbe trovata una volta cantato il gallo.
Contrariamente a quanto pensavo, la ragazza era sveglia, forse non aveva dormito per tutta la notte.
Quando aprii la porta sobbalzò in piedi per la paura, poi non appena mi riconobbe si innervosì visibilmente, pronta a sputarmi addosso tutte le emozioni negative che aveva alimentato da quando ero andata via senza dirle nulla.
«Allora sei viva!» i suoi ricci rimbalzarono al movimento agitato della testa «hai idea di quanto mi hai fatta preoccupare? È capitato a volte che durante la giornata non ci incontrassimo ma dannazione, addirittura non tornare a dormire la sera?»
«Hai ragione e avrei implorato il tuo perdono come prima cosa. Spero tu possa sorvolare sulla mia disattenzione di questi giorni.»
Arricciò il labbro. Un poco almeno si era intenerita.
«E dimmi, cosa è quel vestito nero?» disse con tono ancora sprezzante.
«Sono tornata a casa mia in occasione della messa per Thomas Forks.»

Che la sua anima mi perdoni.

Annuì ma dubbiosa, come se non fosse sicura di volermi credere o meno.
Solo quando mi ritrovai tra le sue braccia, destinataria delle sue tenere carezze, mi resi conto che avevo le guance che tremavano e le lacrime che mi rigavano il volto. Cosa mi stava accadendo? Ero diventata così fragile da non riuscire neppure a controllare le mie emozioni?
Marfa mi ricompose il volto asciugando via tutto il bagnato, poi mi guardò affettuosamente. Stava cercando in tutti i modi di nascondere la sua apprensione.
«Ti lascio felice e in preda ai conati e ti ritrovo disperata e con la bocca secca. Cosa ti succede?»
Provai ad articolare qualche parola ma non ci riuscii. Tutto ciò che la mia bocca emise furono lamenti e singhiozzi. Marfa accolse la mia sofferenza e mi abbracciò ancora più forte. Trovai in lei le uniche braccia che fossero in grado di consolarmi così che rimasi a trarne conforto tutto il tempo necessario.
«Sai che con me puoi parlare di qualsiasi cosa, vero?»
Di quello ne ero certa, ma non potevo confessarmi per quando desiderassi ardentemente condividere quel peso con qualcuno. Scossi la testa in modo affermativo e la poggiai sul suo ventre piatto.
Mi accarezzò i capelli, poi la schiena «Ti concedo il tuo tempo, come tu lo hai concesso a me.»

La principessa fece richiamare alcune domestiche nella sala di Scilla e tra queste fui menzionata anche io.
Raggiusi la destinazione e ivi feci accesso per attendere il suo arrivo, ma una volta entrata mi resi conto che ero l'unica a essere lì presente. Mi parve molto strano il fatto che ancora nessun mio collega fosse giunto. Tutti sapevano quanto la principessa esigesse la puntualità.
A un tratto sentii la porta chiudersi alle mie spalle. Finalmente era arrivato qualcuno.
Mi voltai per fare un inchino perché ero certa si trattasse della principessa.
Per un frangente non udii alcun rumore se non il mio respiro affannato.
«Che bello rivederti, signorina Gleannes!»
Paralizzata, mi sentii in preda a un terrore illimitato.

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