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Capitolo 5

Cercai invano di cancellare la sua immagine dalla mia mente. Ero penetrata nelle profondità ghiacciate dei suoi occhi, mi ero sentita avvolgere da un calore proveniente dalle oscurità delle mie viscere, avevo percepito il suo profumo di lavanda e rosa infilarsi pungente nelle mie narici e pervadermi l'essere.
Il giorno che tanto avevo atteso arrivò. Dopo una veloce doccia mi prodigai ad indossare l'abito che avevo acquistato il giorno prima. Infilai la camicia e la accostai bene al collo, dopodiché indossai la parte superiore di velluto nero. Accarezzai la gonna come a volerla stirare. Raccolsi i capelli in un morbido chignon dal quale uscivano, in qua e là, alcuni ciuffi di capelli più corti.
«Tieni, Anthea!» disse mia madre, dopo esser entrata all'improvviso nella stanza. La guardai un po' impaurita dal momento in cui non avevo sentito neanche il rumore dei suoi passi sulle scale, poi osservai nella direzione delle sue mani. Aveva un piccolo fazzoletto di lino ricamato con fiori rossi, gialli e celesti. Alle estremità aveva tante frange con ricamate due piccole lettere «A.G.».
Era evidente l'avesse ricamato lei per me. Mia madre non era quella persona in grado di manifestare affetto in qualsiasi momento e con la facilità di un bambino, ma quello era sicuramente uno dei suoi segni per comunicarlo.
«Grazie, non mi ero neanche resa conto ci stavi lavorando su.» le dissi io con un sorriso, in cenno di ringraziamento.
«Vieni, ti aiuto a indossarlo» si avvicinò da dietro, lo poggiò sui miei capelli e lo legò ben stretto dietro la nuca.
Fece qualche passo indietro per potermi osservare meglio. Dal momento che non mi ero mai sentita così bella e elegante come in quel giorno, voltai su me stessa due, poi tre volte facendo aprire la mia gonna a mo' di cerchio.
«Stai veramente bene, figlia mia. Mi sembra ieri che ti tenevo tra le braccia e ora eccoti qui, una piccola donnina!» asserì quasi commossa.
«Grazie mamma. Sono molto agitata, sai? Si sta facendo tardi però. È bene che vada. Mrs. Bell mi starà già aspettando.»
In effetti avevo ragione. Mio padre aveva fatto entrare la signora Bell per non farla attendere fuori e, nel mentre, le aveva offerto un pasticciotto con uva spina che mia madre aveva sfornato il giorno precedente, proprio con l'intento di condividerlo con gli ospiti.
«Oh! Come siete bella cara! Un vero bocciolo di rosa! Sarebbe uno sciocco il principe a non assumervi!» esclamò la mia accompagnatrice con la bocca ancora piena non appena mi vide. Sapevo che il suo era un complimento sincero e apprezzai ancora di più il fatto che provenisse da una donna.
«Siete molto gentile. Io sono pronta e, se siete d'accordo, possiamo andare quando desiderate.»
«Certo cara, andiamo subito! Il tempo è denaro e non vorrei che rischiaste di arrivare in ritardo a causa mia!» Mrs. Bell ingurgitò il boccone tutto insieme, prestando cura che anche le briciole non venissero risparmiate dalla sua bocca vorace e, dopo un veloce saluto, uscimmo insieme di casa.
Salimmo entrambe sul calesse, prima la signora Bell e infine io. Mi voltai verso casa mia. C'erano sia i miei genitori sia Daisy a salutarmi. Mia madre aveva poggiato un braccio sulla spalla di mia sorella, mio padre indossava un cappello che riusciva a nascondergli per una parte lo sguardo. Forse lo avrà indossato per non far vedere la sua commozione, pensai io.
«Ciao Anthea! Buona fortuna!» urlò mia sorella da lontano, brandendo un braccio per l'aria.
«Ciao Daisy! Grazie e speriamo di...non vederci così presto!» ridacchiai io.
Dopo i primi galoppi il cavallo aumentò il ritmo dell'andatura e così fece il calesse.

«Cara, svegliatevi! Siamo arrivate!»
«Cos..?» aprii piano gli occhi, non capendo subito che cosa stesse succedendo. Mi stropicciai la faccia e mi toccai la bocca, con la paura che mi fosse uscita la saliva durante il tragitto. Mi resi conto solo dopo qualche secondo di essermi addormentata durante il viaggio.
«Anthea, siamo arrivate!» ripeté la mia accompagnatrice emettendo un gridolino, quasi fosse lei più emozionata di me. Mi batté la mano sulla spalla per attirare l'attenzione e poi mi indicò il palazzo che avevamo davanti e che io ancora non avevo notato.
«Caspita!» urlai io. Non avevo mai visto così tanta ricchezza in un edificio unico e non mi ero mai avvicinata così tanto da potermene rendere conto prima. Pensai che non sarebbe bastato un anno intero per memorizzare tutte le stanze, per ricordare la loro dislocazione nel castello. Forse avrebbe potuto accogliere gli abitanti di tutta Sommerseth! Sul suo lato meridionale il castello doveva essere lungo centinaia metri e alto almeno la metà della metà della sua lunghezza, decorato con un'infinità di colonne.
Il palazzo presentava un corpo centrale sormontato da un frontone, ai lati del prospetto si ergevano altri due corpi. Ognuno aveva un'entrata principale a forma di arco sprovvista di porta che conduceva all'interno. Dall'esterno il palazzo mostrava tre piani sulla base del numero delle file delle finestre. Ogni fila su un un unico lato presentava almeno quaranta finestre per un totale di più di mille per tutti e quattro i lati.
Scesi dal calesse, e dopo aver salutato la mia accompagnatrice, mi diressi verso l'interno passando per l'ingresso principale. Più mi avvicinavo più l'ingresso sembrava imponente ai miei occhi, sarà stato alto almeno cinque metri se non di più e abbastanza largo da far transitare due carrozze congiuntamente. Varcato l'accesso principale mi ritrovai in un grazioso giardino rettangolare circondato da altrettante mura del castello. Notai che però il giardino era più piccolo in proporzione alla lunghezza del castello visto da fuori e capii che la struttura doveva esser divisa da due corpi che si intersecavano a croce al suo interno.
Alla sinistra del giardino si trovava un corridoio composto da campate ampie che si reggevano su una dozzina di colonne. Verso la fine del corridoio, tra una colonna e l'altra, riuscii a scorgere un gruppetto di persone, tutte ammassate davanti l'ingresso che portava ai piani interni. Pensai fosse gente che si era presentata per il mio stesso motivo. Raggiunsi in fretta e furia gli altri aspiranti e mi misi in coda con loro in attesa di entrare.
«Buongiorno a tutti!» disse un uomo sulla sessantina «sarete presto condotti in una delle sale di rappresentanza del palazzo dove saranno lo stesso principe e la sua Consorte ad accogliervi. La principessa Consorte sarà lieta di spiegarvi in cosa consisterà la vostra mansione e le regole a cui attenervi qualora veniste scelti. Detto questo vi chiedo di posizionarvi in file ordinate prima di entrare.»
Dopo questa breve introduzione l'uomo ci fece procedere. Non appena entrai mi ritrovai davanti un enorme scalone, connubio tra architettura e scenografia. L'intera stanza e le due rampe di scale comprese erano di marmo. La sala, alta all'incirca come un palazzo intero, terminava in una cupola ellittica affrescata con scene di caccia romane. Le pareti che circondavano le scale erano decorate da nicchie predisposte secondo un preciso programma iconografico. Percorsa la prima rampa di scale mi trovai di fronte alla seconda, anticipata da due maestose statue leonine.
«Dai su forza, vi stanno aspettando.» sollecitò la nostra guida, a cui ancora non avevo attribuito un nome.
Dopo aver percorso un breve corridoio entrammo nella sala in cui saremmo stati sottoposti ad analisi come cavie. Era una sala molto ricca e sfarzosa, ampia e illuminata dai quattro finestroni laterali. Speculari alle finestre c'erano altrettante porte che dovevano condurre al corridoio che avevamo da poco attraversato. Chissà perché così tante entrate per la medesima sala. Il grigiore del pavimento di granito contrastava con gli affreschi variopinti del soffitto. Ci accomodammo su degli sgabelli imbottiti in velluto verde. Che ricchezza, mormorai tra me e me. Continuai a voltare lo sguardo attorno, prestando attenzione al lampadario dorato che mi sovrastava o ai quadri appesi alle pareti che, a primo impatto, dovevano rappresentare gli antenati della famiglia Kynaston.
D'un tratto, la porta a me retrostante si aprì.
«Su su forza alzatevi, siate presentabili! Il principe sta per entrare! Vogliate farvi trovare impeccabili!» strepitò l'uomo, muovendo goffamente le braccia. Si schiarì la voce, portò le braccia dietro la schiena, gonfiò il petto e esclamò a gran voce «Sua Maestà, il principe Kynaston, principe di Sommerseth e della Contea di Beaufort!»
Si udirono i primi tacchettii rimbombare sul granito, poi un suono più umano.
«Sir Jacques non penso arriverà mai il giorno in cui avrò qualcosa da rimproverarvi.» asserì una voce profonda.
Una voce forse familiare.
Un brivido mi pervase il petto alla stregua di un fulmine.
Quella voce.
Mi girai con scatti meccanici. Per il timore di esser sorpresa cercai di nascondere il più possibile il mio volto dietro la spalla destra, facendo scorgere solo gli occhi.
Sentii le gambe molli.
Con grande stupore mi resi conto che era lui.
Non ne avevo dubbi.

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