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Capitolo 49

Quando comunicai a Ethelwulf la mia impellenza nello sposarmi, egli la accolse come la migliore delle notizie. Se in lui potevano essersi paventati in precedenza barlumi di incertezza per quanto mi riguardava, in quel momento soppresse quei pensieri e ritenne di aver corso troppo con la testa, cadendo in errore.
Da ciò che ne sapevo, i miei incontri con Carlyle, per quanto sporadici e per la maggior parte delle volte fortuiti, erano destinati a diminuire se non a scomparire del tutto. L'arrivo di Godwin aveva complicato le cose e la necessità di contrarre matrimonio in anticipo non faceva altro che peggiorarle. Il mio cambio di residenza avrebbe infatti impedito qualsiasi tipo di incontro: cosa avrei spiegato a mio marito se mi avesse vista rientrare in ritardo senza alcun motivo o addirittura uscire di notte?
Presi confidenza con il fatto che la mia vita era destinata a esser fatta di rinunce e di accettazioni, che quella sarebbe stata la scelta migliore per me e che in alternativa sarei rimasta per sempre in una situazione di limbo.

Ethelwulf era un bravo ragazzo che mi avrebbe amata e rispettata per il resto della mia vita: mi ripetevo questo ogni volta, per accogliere con più enfasi l'idea che presto sarei diventata la signora Johanart e che il futuro non doveva essere poi così brutto.
Quello a cui avevo dato vita era una sorta di processo di autoconvincimento per persuadermi che stavo facendo la scelta migliore per me e che occasioni come quella erano rare a manifestarsi.
In quel modo avrei anche raggiunto un compromesso: la baita non era sicuramente una fattoria ma sarebbe stato semplice trasformarcela, c'era infatti molto spazio all'esterno in disuso e Ethelwulf, da buon taglialegna che era, avrebbe costruito una rimessa.
La domenica successiva pertanto mi sarei sposata e per non perdere tempo avevo già pensato a inviare i primi biglietti di inviti, preparato le prime decorazioni floreali e accordato con Violet un menù che fosse di gradimento per i miei ospiti.

Il resto dei preparativi mi fu impedito tuttavia da forti nausee che mi davano il buongiorno appena sveglia e che mi accompagnavano per tutto il resto della mattinata, costringendomi bloccata a letto.
Era una settimana che mi trovavo in quella condizione. Da grande lavoratrice che ero sempre stata da quando ero entrata a palazzo, Sir Jacques non ci pensò due volte ad accordarmi i riposi la mattina e magari a non farmi lavorare il pomeriggio se i miei malesseri si fossero prolungati fino a sera.
Quella situazione mi pesava un po' a dire il vero.
Non volevo ricevere da lui un trattamento preferenziale che si sarebbe potuto protrarre per troppo tempo, perciò ogni pomeriggio mi alzavo dal letto per dare il mio piccolo contributo.
Marfa, dal canto suo, si era dimostrata per l'ennesima volta la compagna perfetta e amorevole che aveva dato dimostrazione di essere sin dall'inizio.
Era lei a preoccuparsi di riportare dalle cucine il pane di segale imburrato e il latte tutte le mattine per la colazione, a stendere i panni bagnati al posto mio oppure a cambiarmi la tinozza vicino al letto dopo avervi rigettato dentro tutto il pasto della sera precedente.
Sebbene vomitassi quasi tutti i giorni, l'appetito non mi era scomparso anzi, a dir la verità, mi era addirittura aumentato.
I momenti preferiti della giornata erano tre: colazione, pranzo e cena. Le portate che ci servivano non potevano annoverarsi sempre tra le più succulente ma la sola idea di cibo mi faceva venire l'acquolina in bocca e se riuscivo a inserire tra questi anche un piccolo spuntino di mezzo allora la mia contentezza triplicava, per quanto sapessi che l'avrei rigurgitato di lì a qualche ora.

«Come ti senti oggi?» Marfa aprì le tende e lasciò entrare la pallida luce mattutina.
Nascosi il volto sotto le coperte, ancora intorpidita dal sonno, poi stropicciai gli occhi e li aprii leggermente. Nuovamente il bisogno di vomitare si ripresentò. Balzai dal letto in un batter d'occhio e mi accovacciai sulla tinozza per rigettare tutto ciò che avevo nello stomaco e anche di più.
Marfa corrucciò la fronte e mi guardò preoccupata.
«Devi assolutamente capire che cosa hai, stai perdendo molti liquidi. Dovresti farti visitare da un medico.»
Mi alzai lentamente e lei venne in mio aiuto sorreggendomi per un gomito.
«Liquidi che reintegrerò non appena mi passerai quella bella tazza di latte fumante. Il medico per ora può attendere. Vedrai che tra qualche giorno mi sarò rimessa. È sicuramente un malessere temporaneo.»
Divorai il pane con la marmellata e il latte in un batter di ciglia tanto che Marfa stessa si professò sbalordita. Non mi aveva mai visto così affamata in vita sua.
Ci rimasi male quando mi resi conto che quella mattina non mi sarebbe stata servita la spremuta di arance.
«Che ne pensi di prendere una tisana? Mia madre diceva che lo zenzero è capace di fare miracoli!»
Mi voltai con la bocca ancora sporca di confettura, Marfa scosse la testa in qua e là e mi pulì con un panno.
«Dici che potrebbe funzionare?»
«Perché non provare... »
Assecondai la tisana. Quelle nausee mi avevano distrutto lo stomaco e provocato un profondo senso di malessere che poi non mi abbandonava per il resto della giornata e al quale, per giunta, si aggiungeva di tanto in tanto un forte mal di testa.

«Mia cara state bene?» Sir Jacques mi vide barcollare per i corridoi in una delle fredde mattine di fine marzo.
Il mio aspetto di certo non avrebbe potuto confutare la sua domanda: ero pallida in volto, con le occhiaie sotto gli occhi e con qualche chilo in meno nonostante avessi sempre appetito.
La tisana allo zenzero non sembrava aver dato frutti e tanto meno quella alla menta piperita.
«Ho avuto momenti migliori, Théodore.»
Inarcò gli angoli degli occhi e sorrise con fare paterno. Sembrò volermi accarezzare la guancia ma poi ritrasse la mano all'ultimo.
«Ho già comunicato ai principi che non vi sentite bene da giorni.»
Non ebbi il tempo di rispondergli che già era scomparso dalla mia visuale per andare a rimproverare una domestica che trasportava le lenzuola appena stirate con un solo braccio e per di più con andatura poco convinta.
Se fossero cadute avrebbero dovuto stirarle di nuovo!
Aprii leggermente la finestra per prendere una boccata d'aria e mi appoggiai al mobile sottostante. Sentii il mio esofago bruciare di nuovo. Ispirai profondamente. Avevo appreso infatti che una respirazione controllata riusciva a calmare i conati. Mossi il collo facendolo scricchiolare, poi portai la testa all'indietro per lasciarmi pervadere i polmoni da quell'aria pungente e umida e respirai.

«Signorina Gleannes!»
Aprii violentemente gli occhi. Quella voce mi aveva risvegliato dal mio stato di trance.
Era il principe che mi veniva incontro con passo molto veloce. Andava di fretta.
Mi voltai attorno allarmata per vedere se ci fosse qualcuno nei paraggi ma appurai fortunatamente che eravamo soli. Presi coraggio e mi avvicinai.
«Vostra Maestà, ditemi pure!» accennai un inchino.
«Ho appreso da Sir Jacques che non vi sentite bene ultimamente, è tanto infatti che non vi vedo in servizio!»
Mi sentii quasi in colpa «Credo di aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male, ma mi sento molto meglio oggi.» mentii.
Sorrise mostrando i denti bianchissimi «Era proprio questo che volevo sentire. Questo fine settimana sono stato invitato da una vecchia amica di famiglia presso la sua dimora nel Kent e ne voglio approfittare per vedere come procedono i lavori nella mia nuova proprietà.»
Mi ricordai all'improvviso che aveva da poco ultimato quell'acquisto in Inghilterra.
Non capii perché mi stava dicendo quelle cose. Ero visibilmente confusa e attonita.
«Voglio chiedervi di accompagnarmi, signorina Gleannes.»
Ero sconcertata e completamente impreparata a quella proposta. Tossii.
«Vostra Maestà il vostro invito mi lusinga ma... quale giustificazione darei?»

Da lontano, comparve improvvisamente Godwin. Io e Carlyle prendemmo le distanze d'istinto ma era già troppo tardi perché un sorrisetto malvagio si delineò sul viso del duca.
Godwin avanzò tenendo le mani congiunte dietro la schiena. Tremai come una foglia.
«Ho per caso interrotto qualcosa?»
Il principe corrucciò gli occhi e le sue pupille si dilatarono.
«Buongiorno anche a te, fratello!» tuonò infastidito dalla sua sfrontatezza.
«Avete interrotto un semplice incontro di lavoro, milord.» feci le dovute riverenze ma controvoglia.
Carlyle mi guardò incerto. Non capiva dove volessi andare a parare.
«Lavoro eh?» alzò un sopracciglio.
«Vedete duca, non vado a trovare la mia famiglia da molto - anzi troppo - tempo e mi chiedevo se fosse possibile avere due giorni di ferie questo fine settimana.»
Al principe brillarono gli occhi.
Congiunsi le mani sul ventre e poi rivolsi nuovamente l'attenzione al mio iniziale interlocutore.
«Vostra Maestà, potete dirmi a che ora sarebbe possibile per me lasciare il palazzo?»
«Se accordate, anche alle sette di mattina. So bene che è un viaggio molto lungo.»
Annuii e sorrisi. L'indomani, alle sette, sarei partita alla volta del Kent.

Il duca parve berla oppure, pensai, non era semplicemente molto in vena di punzecchiare quel giorno.
Si avvicinò pericolosamente a me. Sentii il suo odore piccante penetrarmi le narici.
«E quindi mi abbandonerai questi due giorni!»
Provai un forte dolore al petto.
«Mia cara Anthea, prima o poi ti avrò, a meno che qualcuno non ti abbia già avuta!» mormorò perentorio.
Tornò il conato di vomito e non seppi se fu scaturito in quella occasione dalla viscida lussuria del duca.
Carlyle allargò le narici ed espirò forte.
«Vi auguro un buona giornata signorina Gleannes» indignato, si girò poi verso suo fratello «anche a te Godwin.» dopodiché alzò i tacchi e se ne andò con la stessa fretta con cui era venuto.
Gli affari di stato chiamavano e non avrebbero chiaramente aspettato.

Le sensazioni di nausea e il mal di testa si presentarono nuovamente la sera tanto da costringermi ad abbandonare in anticipo la cena e ad anelare con impazienza le comodità del letto. Entrai in camera e accesi la lampada a olio. Il bagliore della luce che emanava mi fece accorgere di una piccola lettera poggiata sul mio letto. La aprii con cura e ne lessi il contenuto.

Anthea,

Vi aspetto domani alle sei e trenta presso la scuderia. Non temete di dover trovare una giustificazione, sono solito portare con me qualche domestico nelle mie uscite fuori porta.
Domani voi sarete Lady Howard, una mia cara cugina che è rimasta vedova da quasi un anno.
Vi aspetto.

C.

Una lacrima di gioia percorse la mia guancia.
Non fu necessario aspettare le sei e trenta del mattino perché i miei malesseri mi avevano svegliata già da molto tempo. Quel giorno in particolare si era aggiunto anche un dolorino nel basso ventre e mi chiesi quanto sarei stata in grado di sopportare un viaggio di quasi dodici ore.
Stavo trascurando i segnali del mio corpo. Non capivo cosa mi stesse succedendo.

Il cocchiere aveva quasi finito di sistemare entrambe le carrozze. Io e il principe avremmo viaggiato separati, come volevasi per due persone di classe sociale diversa. Individuai la carrozza su cui avrei viaggiato che era semplice e anonima mentre l'altra era intarsiata d'oro e abbellita con drappi in rosso carminio.
Vi presi posto e chiusi la portiera. Ne approfittai di quel tempo per prendere confidenza con Lady Howard.
Sarebbe stata una donna che aveva perso il marito in vecchiaia o magari che era stata abbandonata da quest'ultimo per andare in guerra e che, come capitava in questi casi, non aveva più fatto ritorno. Avrei avuto tante ore per confezionare il personaggio.
In controluce comparve Carlyle, con il suo portamento signorile e maestoso. Si fermò a parlare con il cocchiere e questi parlottò, puntando con il dito la mia carrozza. Il principe annuii e infine scomparve nella vettura.

Trascorsi buona parte del viaggio nella noia, poi per fortuna mi assopii e passai la maggior parte del tempo sognando cosa mi sarebbe aspettato in quei giorni.
Improvvisamente venni svegliata nuovamente dal bisogno di rigettare. Non seppi cosa fare all'inizio. Non avrei potuto rimettere sopra quei divanetti in velluto ma tanto meno sarei riuscita a resistere ancora per molto.
Mi guardai attorno un'altra volta. Mi alzai di scatto vacillando per il calesse in movimento. Bussai in direzione del cocchiere.
«Fermatevi! Fermatevi vi prego!» un gusto acido mi risalì in gola.
I cavalli frenarono bruscamente. Ringraziai il cielo.
Scaraventai la portiera e mi gettai per terra sul ciglio della strada sterrata.
Anche la carrozza su cui viaggiava il principe si fermò. Costui ne uscì subito dopo con aria di chi si chiedeva perché il viaggio si fosse interrotto così all'improvviso.
Si allarmò quando mi vide in quello stato.
«Signorina Gleannes, vi sentite bene?»
Avevo finito di rigettare tutti i liquidi che avevo in corpo eppure sentivo ancora il bisogno di vomitare. Mi alzai barcollante. Mi girò forte la testa ma fortunatamente la presa salda di Carlyle venne in mio soccorso.
Aveva gli occhi spalancati e l'espressione trafelata.
Mi sussurrò di nuovo «Vi sentite bene?»
Le sue iridi ciano tremavano.
Abbassai il volto. Non mi sentivo bene per niente.
«Ho bisogno di riposare Vostra Maestà...»
Il principe mi prese in braccio e mi trasportò nella carrozza. Lo guardai incredula tanto che per un attimo mi dimenticai della pressione in gola.
Una volta dentro mi lasciò una tenue carezza sulla guancia. La sua espressione preoccupata sembrava voler dire «Resistete ancora un po'».

Caddi ancora una volta in un profondo sonno ristoratore. Quando aprii gli occhi mi resi conto che eravamo finalmente giunti a destinazione.

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