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Capitolo 48

Il giorno dell'ultima prova del mio abito da sposa era arrivato. Quello del mio matrimonio invece era dietro l'angolo. Con Ethelwulf avevamo deciso di optare per la terza domenica di aprile, immediatamente dopo la Pasqua.
Insieme ci eravamo accordati di evitare la consueta usanza secondo la quale non bisognasse vedere l'abito nuziale prima del grande giorno.
A dir la verità era stata una mia scelta.
Non provavo alcuna eccitazione nel riservarmi per la cerimonia, non con l'uomo che non amavo. Fargli vedere subito il mio abito avrebbe reso il tutto meno fiabesco, il tutto meno magico.
Ethelwulf aveva acconsentito di buon grado alla mia richiesta aggiungendo che era una tradizione troppo vecchia per dargli peso, per questo motivo gli avevo chiesto di accompagnarmi, anche in quell'ultima occasione.
Una volta di fronte la boutique tentennai a entrare.
Mi mancò il respiro, la gola divenne secca. Avrei voluto piangere e scappare.
Tutto stava diventando così reale. Mancava così poco tempo.
Il mio pensiero volò immediatamente a Carlyle.
Dannazione, come ne sentivo la mancanza.
Il matrimonio avrebbe comportato delle conseguenze. Avrei dovuto abbandonare la mia stanza a Palazzo Livingstone e trasferirmi definitivamente presso la tenuta di Ethelwulf, questo avrebbe implicato una drastica riduzione degli incontri con l'uomo che maggiormente desideravo. Una volta terminato il turno infatti la mia priorità sarebbe stata quella di tornare presso la mia dimora e riassettarla come una brava moglie avrebbe fatto.
«Allora? Ti senti bene?» Ethelwulf era con un piede dentro e uno fuori e aspettava che anche io mi decidessi a entrare.
Ripresi coscienza. Mossi la testa come quando si vuole dire no per far andare via dei pensieri ingombranti e entrai.

Salii sul piedistallo una volta con l'abito indosso. A Ethelwulf brillarono gli occhi per l'emozione. Indossava un sorrisetto compiaciuto e appagato, di chi sapeva che nel giro di poco quel vestito avrebbe avuto senso.
Era un abito grazioso, lungo fino ai piedi con un leggero strascico, avvolgente in vita e morbido sui fianchi. Non prevedeva scollature ma una piccola decorazione sul petto color verde smeraldo che metteva in risalto il colore dei miei occhi, le maniche invece rimanevano lunghe e terminavano con un piccolo cappio dove si sarebbe dovuto infilare il dito medio.
Ultimai il mio aspetto con un velo in organza trasparente poi mi girai leggermente prima a destra e poi a sinistra per vedere come il vestito mi scendesse sulla parte posteriore.
Ero una sposa confezionata a quel punto.
Uscimmo dal negozio con il pacco tra le mani.
Come potevo non sentirmi in colpa per le emozioni contrastanti che provavo, per il mio comportamento del tutto incoerente. Mai mi sarei immaginata di ritrovarmi un giorno in una situazione del genere.
Futura moglie e amante di qualcun altro.
La solidità dei miei principi mi diceva che in quel momento non stavo tenendo in considerazione il riguardo di tre persone allo stesso tempo: quello del mio futuro marito, quello della moglie del mio amante e il mio. Ciò nonostante non percepivo ancora addosso il peso delle mie azioni. Speravo in cuor mio che non lo avrei mai sentito.

Il viaggio di ritorno fu dominato all'inizio dal silenzio, rotto dopo poco da una mia domanda.
«Ethelwulf...»
Questi alzò lo sguardo dal taccuino su cui scarabocchiava ogni tanto qualche parola.
«Tu mi ami?»
Sbatté nervosamente gli occhi, divenne un po' rosso in volto e accennò quello che doveva essere un sorriso di riflesso.
«Amarti! Ritengo sia un po' presto per dire se io ti ami o meno. Il sentimento Anthea, si costruisce con il tempo.»
«Con il tempo dici? Non credi dunque nelle farfalle nello stomaco al primo incontro?»
Ethelwulf chiuse il taccuino e se lo riposò dentro la giacca.
«Non credo nel colpo di fulmine se è questo che intendi. Di una persona non ci si può innamorare solo dell'aspetto fisico e pensare che tutto il resto cada in secondo piano. Pensa alla mia prima moglie. L'ho vista crescere e solo alla fine mi sono reso conto che era la donna che Iddio aveva sempre avuto in serbo per me!» si morse il labbro pensando di avermi arrecato offesa con quell'osservazione «Ciò che intendo dire, Anthea, è che una persona bisogna conoscerla a fondo prima di decidere se è con lei che si vuole passare il resto della propria vita.»
«E tu pensi di conoscermi a fondo?»
«Credo di conoscerti abbastanza, più del dovuto. Abbiamo passato molto tempo insieme da quando ci siamo visti la prima volta e non c'è stata occasione in cui io non abbia penato al momento del tuo rientro a palazzo.»
Ebbi un nodo alla gola.
«Ritieni che questo sia sufficiente?»
Ethelwulf si schiarì la voce. Si protrasse un poco verso di me con la schiena e congiunse le mani.
«Anthea, hai dei dubbi?»
Improvvisamente il calesse frenò la sua corsa. Eravamo arrivati a palazzo.

Rimasi con Ethelwulf fino a tardo pomeriggio. Discutemmo di tutto ciò che avrebbe comportato l'organizzazione del matrimonio: dagli invitati, alla cerimonia, agli aspetti più intimi. Ritenemmo che la scelta migliore sarebbe stata quella di optare per un banchetto fuori la baita, avremmo infatti posizionato qualche tavolo nello spazio aperto antistante e ne avremmo riservato uno più piccolo per noi due. Mancava ancora tutta la questione decorazioni e menù ma per quello c'era fortunatamente ancora un po' di tempo.
In questo ero certa che Violet ci avrebbe aiutato ma volevo contribuire anche io nella preparazione delle portate. Da ultimo, convenimmo che il mio trasferimento non sarebbe stato immediato, che mi sarei presa del tempo per fare le cose con calma ma che la prima notte di nozze l'avrei passata con lui, più per tradizione che per sua esplicita richiesta.

Un forte mal di pancia mi impedì di prendere sonno quella notte. Mi giravo e rigiravo nel letto come un pollo allo spiedo per trovare una posizione che alleviasse quella sensazione, ma nulla fu più di sollievo che decidere di alzarmi del tutto.
Una volta uscita dalla stanza accostai la vestaglia ancora di più al petto. Sebbene fosse primavera, il palazzo aveva ancora urgente bisogno dei suoi camini accesi e di notte purtroppo il loro contributo veniva a mancare.
Scelsi di uscire per prendere una boccata d'aria fresca. Fuori era tutto estremamente calmo. Il cielo era sereno e faceva spettacolo delle sue stelle luminose, ogni tanto una nuvola passeggera faceva capolino e si esibiva nella sua danza al cospetto della luce lunare. Mi resi conto che la temperatura era mite e che quella era una delle rare occasioni in cui fuori si stava meglio che dentro. La fauna notturna agiva invece indisturbata ora che l'uomo riposava. Il richiamo della civetta e il bramito in lontananza di una coppia di cervi mi distrassero un poco e mi convinsero a incamminarmi. Passai di fronte la pianta di amaranto e rimasi lì a pensare. Venni immediatamente catapultata al giorno in cui Carlyle me ne aveva spiegato il significato.
Senza neanche rendermene conto ero arrivata alla scuderia, solo allora compresi che mi ero allontanata di molto.
Stavo per rigirarmi quando una voce profonda catturò la mia attenzione.
«Non dovreste andare in giro a quest'ora della notte, può essere pericoloso!»
Sussultai per lo spavento ma poi mi resi conto che non ci fosse nulla di cui temere.
Il principe era seduto per terra con le spalle al muro, trangugiando di tanto in tanto del liquore dall'odore pungente.
Una vampata di calore mi lasciò intendere quanto la vestaglia fosse superflua.
«E voi dovreste smetterla di bere, non approfittatene del vostro fisico!» risposi affettuosamente.
Carlyle mi fece cenno di raggiungerlo. Anche in quella circostanza la scuderia faceva da scenario al nostro incontro, quella volta però non programmato.
«Cosa stavate facendo in giro tutta sola?» ingoiò tutto il contenuto del bicchiere in un solo sorso.
«Potrei rivolgervi la stessa domanda!»
Ridacchiò sotto i baffi, poi alzò un ginocchio e vi appoggiò la mano. La luce della luna irradiava il suo profilo perfetto.
«Sono uscito per non pensare.»
«E il bere vi aiuta?»
Mi guardò e arricciò gli angoli della bocca in un sorriso divertito.
«Questa sera vi trovo sarcastica!»
Rimanemmo a fissarci per un po' di tempo, poi lui divenne sofferente in viso.
«Mi siete... mancata tanto in questi giorni.» sussurrò.
Gli occhi mi pizzicarono, fortunatamente però il buio non lo diede a vedere.
Poggiai la mia mano sulla sua. Era calda e morbida. La avvolse allora con entrambe le mani e se la portò alla bocca baciandone le due dita che sporgevano.
«Siete mancato tanto anche a me, Vostra Maestà.»
Scese nuovamente il silenzio, disturbato all'inizio da un gufo e poi da un opossum che con i suoi occhi scintillanti era alla ricerca di cibo.
«Anthea, non so come proteggervi!»
Era frustrato, disperato.
«Che cosa intendete?»
«Ho visto come Godwin vi guarda, vi cerca! So bene quanto vi desidera e che non vi staccherà gli occhi di dosso fino a quando non vi avrà avuta!» i suoi occhi erano vigili e attenti al contrario dei suoi muscoli che tremavano per l'inquietudine.
La gelosia lo aveva reso schiavo.
Con uno scatto mi inginocchiai davanti a lui e gli presi il volto tra le mani.
«Sapete già che mai e poi mai asseconderei una cosa del genere!»
«Avreste molta poca scelta se lui vi costringesse!» tuonò con le fiamme agli occhi.
Scansò le mie mani bruscamente, come se di fronte a lui ci fosse Godwin e non io. Mi ritrassi incredula e affranta.
Dopo un secondo era tornato in sé. Si rese immediatamente conto di come ci ero rimasta e lo vidi pentirsi per davvero.
«Perdonatemi, per favore. Non mi sento più me stesso. Forse Godwin ha ragione, ho il cuore debole.»
Come poteva essersi fatto persuadere da una cosa simile? Aveva il cuore debole perché nutriva qualcosa di ancora indefinito verso una persona?
Mi sedetti sulle sue gambe e lui d'istinto mi cinse la vita.
I suoi zaffiri brillavano come acqua limpida, la sua bocca era prostrata in una smorfia di afflizione.
«Non riesco a immaginarvi tra le braccia di un altro uomo. Non posso. Una lama nel petto sarebbe meno dolorosa.»
All'udire quelle parole una voragine si aprì nel mio petto. La mia compostezza cedette al richiamo del fuoco interno che mi divorava così che, per la prima volta, lo baciai con passione come volevo fare da molto tempo.
Carlyle ne rimase sorpreso, poi assecondò la mia lingua e la fece muovere in una danza con la mia. Ci staccammo e rimanemmo abbracciati a lungo, a respirare il profumo dell'altro.
«Tra non molto mi sposo.» il mio tono era un lamento.
«Lo so. Il matrimonio potrebbe essere per voi l'unica soluzione.»
Mi sentii incredibilmente confusa. Come poteva prima dirmi che mi desiderava e poi sorvolare sul fatto che sarei stata di un altro?
«Intendo dire che forse Godwin potrebbe desistere sul fatto di volervi conquistare in quell'occasione... e poi vostro marito sarebbe una figura più che opportuna per difendervi, cosa che io come ben sapete non posso fare... »
Sembrava mi avesse letto nel pensiero.
Singhiozzai con le lacrime agli occhi «Io non voglio questo!»
Mi afferrò il volto con forza «È l'ultima cosa che vorrei anche io ma meglio sapervi al sicuro che sotto la tirannia di mio fratello! Anthea, purtroppo queste sono le nostre vite.»
Abbandonai la mia testa sulla sua spalla. Carlyle mi abbracciò ancora più forte e cominciò ad accarezzarmi i capelli con dolcezza.
«Suggerite di anticipare il matrimonio?»
Annuì impercettibilmente e con fare addolorato. Per quanto ne sapevamo il duca sarebbe potuto rimanere a Corte anche per tutta la primavera.
«È dunque questo il tempo che ci rimane?»
«Temo proprio di sì.»

Ci guardammo negli occhi, ancora una volta. Non avremmo sprecato quell'occasione.
Mi prese per il bacino per attirarmi verso di lui e io in risposta poggiai nuovamente le mie labbra sulle sue. Mi baciò con passione, nostalgia, tormento e voluttà.
Cominciai piano piano a slacciarmi i bottoni della vestaglia senza mai staccarmi da lui, contemporaneamente Carlyle infilò le mani sotto i miei indumenti fino alle mutande, facendole scivolare sulle cosce.
Sentii un forte sussulto percorrermi la schiena e il mio inguine pulsare.
Avrei preferito non avesse bevuto così tanto ma quell'odore di liquore addosso non faceva che aumentare la mia eccitazione.
Mi sfilò la vestaglia e si trovò nuovamente i miei seni davanti. L'espressione che assunse voleva significare che non sarebbero stati di nessun altro se non i suoi.
Al suo contatto, le mie sporgenze divennero turgide. Vi affondò voracemente il viso, poi le lambì e accarezzò impetuosamente.
«Mettetevi carponi!» ordinò d'un tratto.
Io non capii ma lui mi esortò nuovamente a fare come mi aveva detto così che decisi di assecondarlo.
Si mise dietro di me. Lo udii slacciarsi i pantaloni. Chiusi gli occhi e espirai per l'eccitamento. Il battito cardiaco accelerò, il respiro si fece più corto.
Emisi un gridolino quando entrò dentro di me. Lo fece improvvisamente, in maniera del tutto inaspettata. Mi afferrò per la vita e cominciò a spingere, all'inizio con delicatezza poi sempre più senza freni.
Sembrava volermi dominare, riconfermare la sua supremazia su di me e io non potevo che lasciarlo fare.
Io volevo lasciarlo fare.
Inaspettatamente mi tirò le ginocchia e le fece cedere, facendomi scivolare a terra con le braccia tirate in avanti.
Mi salì sopra allora, distendendosi su di me.
Mi aveva completamente coperta, ero succube del suo corpo. Alzai leggermente il bacino per facilitargli i movimenti e anche perché solo in quel modo le mie sensazioni erano più che raddoppiate.
Attorcigliò le dita di una mano alle mie e con l'altra mi afferrò una natica. Amava il modo in cui reagivo al suo tocco.
Carlyle a quel punto gemette sulle mie grida e il tutto non fece altro che ridurre i tempi. A quel punto mi girai con il capo per cercarlo. Una volta trovato mi abbeverai del suo respiro ansimante e lo baciai ulteriormente. Non riuscivo ad averne abbastanza.
Abbandonò la mia lingua solo quando arrivò all'acme.

Mi girai su me stessa e lui mi si stese sopra. La luce notturna illuminava i nostri corpi seminudi.
Mi guardava stregato, quasi da farmi sentire in imbarazzo. Mi accarezzò prima i capelli sparsi a terra, poi una guancia.
«Incontri notturni degni di un reale, vero?»
«Confermo e aggiungo che sono i migliori.» mormorò accalorato.
Mi baciò più volte sulla bocca, poi scese sul collo, sui seni e infine sull'ombelico.
Quando arrivò nella cavità delle gambe chiusi gli occhi, lasciando che facesse ciò che più desiderava.

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