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Capitolo 47

«Fratello!» esclamò Godwin allargando le braccia e indossando uno sfavillante sorriso non appena voltato l'angolo del corridoio. Il principe e la principessa lo aspettavano dalla parte opposta, dritti come due tronchi.
Il duca di Beaufort era un uomo robusto, alto quasi quanto il principe - pensai allora che avessero ereditato la statura da Re Friederich - e dall'andamento fiero e sicuro. Indossava abiti tipicamente francesi, dallo stile romantico e raffinato, e aveva raccolto i capelli marroni e lisci in un codino tenuto fermo da una striscia di raso verde.
Carlyle dal canto suo era un fascio di nervi. Il sorriso composto era la maschera che aveva indossato per dare l'impressione di apprezzare immensamente quella visita, quasi ad averla desiderata. Dopo quello che mi aveva confidato sapevo del resto che si trattava solo di una facciata messa in piedi per l'occasione per evitare di accogliere il sangue del proprio sangue in maniera non consona. Orbene, non voleva il chiacchiericcio e desiderava che per il lasso di tempo in cui suo fratello fosse rimasto a corte non succedessero scandali o quantomeno scontri.
Quando si raggiunsero si abbracciarono in una stretta composta, degna di due membri della Corona, successivamente Godwin appoggiò i suoi occhi marroni e astuti sulla figura della principessa che lo accolse con un cenno del capo.
La guardò lascivo «Tua moglie diventa sempre più bella!»
Jocelyn non arrossì. Da una parte sapeva che sarebbe arrivato quel complimento, dall'alta era profondamente convinta di quelle parole. Ne approfittò dell'occasione per vestire uno degli abiti migliori della stagione: un lungo damascato, bordato in argento e dalla scollatura ampia che tutto celava tranne che la rotondità del suo decolleté.
La sovrana portò in avanti la mano per porgerla a suo cognato e questi le lasciò un bacio proprio sull'anello d'oro raffigurante lo stemma della famiglia Kynaston.
«Spero che il tuo viaggio sia stato piacevole, caro fratello.»
Un benvenuto di circostanza, accompagnato da una calorosità inesistente.
«Lo è stato!» incurvò le sue labbra sottili «Ho ritenuto opportuno fare qualche sosta durante il tragitto. Me la sono presa comoda.»
Jocelyn infilò il suo braccio sotto quello del principe, poi assunse un'aria divertita.
«Hai fatto bene. Non ti nascondo che io e mio marito siamo infinitamente lieti che tu sia qui, non è vero amore mio?»
Gli diede un colpetto sul gomito «Certo che sì, mia cara!»
«Bene allora ti prego di seguirmi. Ho fatto preparare un buffet proprio in occasione del tuo arrivo!» si interruppe «Un piccolo benvenuto ovviamente, non avere aspettative troppo alte.»
Godwin le fece l'occhiolino «I tuoi sono sempre i migliori.»
La nobildonna fece strada con le mani verso la sala di Scilla, una stanza da poco ristrutturata e dall'architettura molto moderna.

Ero in attesa di fronte quella porta con le tovaglie pulite in mano e la testa china al pavimento. Quando Godwin mi passò davanti sentii il suo sguardo fermarsi su di me.
Alzai lievemente il capo per fare un inchino di cortesia. Lui mi squadrò da cima a fondo, poi si pulì il labbro con un dito.
Lo vidi stregato, con un sorriso famelico stampato sul volto e un paio di occhi ancora inappagati.
Deglutii forte, quasi da far rumore. La sua attenzione mi fece paura.
Una volta entrati c'era già Sir Jacques ad aspettarci, insieme a una tavolata imbandita all'ennesima potenza. Sembrava fosse arrivata già la Pasqua.
Per l'occasione sarebbe stato il maggiordomo a occuparsi di tutto, io e Erik eravamo lì giusto per essere interpellati all'occorrenza.
L'ambiente era molto accogliente e illuminato dalla luce naturale che proveniva da una grande finestra occupante quasi una parete intera; non ricoperto di decori d'oro come le altre stanze ma abbellito con mobilio e intonaci dai colori neutri. Al centro della sala, una coppia di divani accompagnati da due poltrone gemelle faceva da cornice a un tavolo in marmo e vetro. Nessuno prese posto all'inizio. Avrebbero goduto del fuoco scoppiettante del camino solo dopo aver riempito più della metà dei loro stomaci.
La principessa si sedette su una delle poltrone, accavallò le gambe e mise in mostra le sue caviglie esili.
«Fino a quando sarete nostro ospite, cognato?»
Godwin si concesse un altro morso della tartelletta alla panna «Ho previsto la data di partenza ma non quella di ritorno. Spero che la mia presenza non vi arrechi disturbo e che a mio fratello non dia fastidio che voglia bearmi della bellezza della sua fortunata moglie il più a lungo possibile.»
Jocelyn miagolò.
Carlyle sorseggiò dell'altro whiskey. I suoi zigomi, già pronunciati per natura, erano quel giorno più sporgenti del solito.
«Fratello, puoi rimanere il tempo che desideri. Palazzo Livingstone è anche casa tua.»

Le ore passarono tra una chiacchierata e l'altra, di cui i maggiori interlocutori furono il duca e la principessa. Carlyle preferì bearsi del calore del camino e inserirsi di tanto in tanto nella conversazione, trattando prettamente tematiche politiche: il conflitto con la Francia, il pagamento delle tasse nel ducato e i rapporti con Pelham-Holles.
Trascorsa un'ora, Sir Jacques mi fece cenno di riempire le coppe con il vino francese, cadeau del maggiore dei Kynaston, affinché potessero abbeverarsene quanto prima.
Rimboccai prima una, poi l'altra. Quando giunsi vicino a Godwin questi alzò lo sguardo e mi sorrise nuovamente. Ebbi un immediato desiderio di fuggire.
Sorseggiò nuovamente quella bevanda «Fratello, devo ammettere che in Francia abbiamo il miglior vino» afferrò un lembo della mia gonna «ma devo altrettanto riconoscere che le donne più belle sono a Sommerseth.»
Sentii il sangue raggelarsi.
Mi adocchiò in maniera dissoluta, fermandosi a ispezionare prima i miei fianchi, poi il mio seno.
Lo guardai incredula e confusa, con la caraffa ancora in mano che minacciava di riversarsi da un momento all'altro di fronte al mio tremore.
Godwin mi dedicò una smorfia compiaciuta. Sembrava che godesse del mio turbamento e che non attendesse che una mia mossa per agire e farmi sua preda, come un leone punta un'antilope quando la vede fuggire.
Carlyle aveva visto e udito tutto. Era pallido, aveva le labbra strette e tese e temevo che i suoi occhi sarebbero usciti fuori dalle orbite per quanto li teneva spalancati. Avevo l'impressione che avrebbe perso il controllo e che sarebbe impazzito da un momento all'altro ma fortunatamente il suo raziocino lo riportò in equilibrio.

Ero tornata al mio posto, ignorando le avances di Godwin e sperando che venisse distolto da qualche altro discorso più interessante della sottoscritta. Le mie speranze furono rese vane quando sentii ancora una volta il suo sguardo invadente percorrermi da cima a fondo.
«Ehi, tu! Come ti chiami?» annuii quando si rese conto che mi guardavo in qua e là per capire se ce l'avesse con qualcun altro che non fossi io.
«Anthea.» mormorai turbata.
«Che bel nome...Anthea!» scandì il mio nome con una lentezza interminabile, quasi a volerne memorizzare il suono.
Jocelyn parve innervosirsi. L'attenzione che le era riservata a ogni occasione quel giorno era stata dirottata su un'altra donna.
«Sai Anthea, nel tragitto da Beaufort a qui di donne ne ho viste tante. I bordelli oggi offrono sempre carne putrida e a volte bisogna accontentarsi della prima femmina che capita ma tu, oh tu, sei la prima bella donna che vedo dopo un lungo viaggio» fece l'occhiolino a Jocelyn «naturalmente te non hai paragoni e neanche Madre Natura potrebbe reggere il confronto se è vero come la descrive chi l'ha vista dal vivo.» il suo tono era altezzoso, provocatore e dirompente.
La principessa si rinsavì un poco. Diede una sistemata alla gorgiera e al fermaglio che aveva incastrato tra i suoi capelli e si ricordò di quanto la sua bellezza fosse rara e imparagonabile.
Il principe ebbe uno scatto impulsivo all'udire quelle parole. Respirò rumorosamente, poi strinse forte il bicchiere che teneva tra le mani. Mi augurai che non si frantumasse in mille pezzi.
«Da quando in qua tu interessa del mio personale?» lo udii scricchiolare il ghiaccio del bicchiere con i denti. Il suo tono era tagliente, i suoi occhi lampeggianti. Lo avrebbe incenerito se solo avesse potuto.
Il duca intinse la bocca in un boccale di birra, poi si leccò i baffi «Da quando hai capito che Gertrude e Hilde erano troppo anziane e di brutto aspetto per giunta per non essere rimpiazzate da fiori di questo calibro!»
Quegli apprezzamenti e quelle avances mi colpirono come lame. Li disgustavo e mi impaurivano allo stesso tempo.
Sir Jacques si sentii profondamente a disagio per me. Cercò invano di distogliere l'attenzione del duca su qualcosa di più appetitoso nel vero senso del termine ma neanche la zuppa di zucca fumante fu abbastanza da destargli interesse, tanto che rimase in un angolo a raffreddarsi.
«Anthea, mi piacerebbe conoscerti meglio!»
Si leccò le labbra. Il silenzio piombò nella stanza. Un forte dolore al petto mi strozzò il respiro.
La principessa ridacchiò divertita dietro a un ventaglio piumato che sventolava più per civetteria che per bisogno. Non capivo cosa ci trovasse di spassoso in quella scena.
Il duca si alzò in un lampo e inscenò un inchino da perfetto Don Giovanni«Bonbon, ti aspetto nelle mie camere questa sera!»
«Godwin!» tuonò il principe in preda alla rabbia. La sua pazienza era arrivata al limite.
Questi lo scrutò perplesso e incuriosito, poi alzò i tacchi e fece per andarsene.
«Non posso, Vostra Grazia. Sono una donna promessa.» era quasi arrivato alla porta ma cambiò direzione quando mi udii articolare più che una parola sommessa. Allargò le braccia e non trattenne i suoi sghignazzi «Non sono mica geloso!»
Il principe colse la palla al balzo per dare vigore alla mia affermazione «La signorina Gleannes ha espresso il suo disappunto. Non acconsento a questo tipo di incontri, non con donne già impegnate e tu non puoi di certo obbligarla, non nel mio palazzo!» le sue parole erano lapidarie. Ebbi un sussulto. Non avevo mai visto Carlyle così severo.
Godwin abbassò le sopracciglia e incurvò l'angolo della bocca in una smorfia beffarda. Avanzò verso suo fratello a passi lenti, facendo schioccare i suoi tacchi sul pavimento di marmo.
«Questo palazzo è stato anche casa mia fino a quando non hai deciso di spedirmi come un pacco oltre manica per approfittare della tua corona senza intralci. Vuoi per caso dirmi che non sono libero di comportarmi come voglio dentro la mia dimora?» sottolineò quelle ultime due parole per far arrivare bene il messaggio.
Godwin era tornato e avrebbe creato problemi, questo era certo.
«Questa è anche casa tua, ma da quando ci sono io le regole sono cambiate!»
Il duca esordì con un verso di sorpresa, poi iniziò a girare attorno a Carlyle come uno squalo, tenendosi il mento con una mano. Improvvisamente puntò l'indice verso l'alto.
«Ho capito! Adesso le cose sono molto più chiare» si bloccò come a voler creare suspense «hai a cuore la sguattera!»
La principessa trasalì. Guardò esterrefatta e disgustata suo marito nell'attesa che egli confutasse quelle asserzioni.
Carlyle divenne rosso in volto «Come ti permetti! Rimangiati ciò che hai detto!»
«Hai a cuore la sguattera!» ripeté nuovamente, con maggiore enfasi e convinzione.
«Ho a cuore le buone maniere e aborro la prepotenza!» urlò.
«Orbene concedimi un po' divertimento questa sera. Ci si comporta così dopo tutti questi anni che non ci vediamo?» spruzzava sarcasmo da ogni poro.
Avrei voluto vomitare.
«Godwin ti ho già detto che non succederà! Ti invito a non andare oltre per evitare che a tutti noi resti un brutto ricordo di questo giorno, come dici tu... dopo tanti anni
Gli puntò allora l'indice contro, socchiudendo leggermente gli occhi.
«A volte mi chiedo se sei veramente figlio di nostro padre! Cristo, avrà visitato i letti di più di cento donne in vita sua, spargendo bastardi qua e là» fece un inchino reverenziale «di cui naturalmente l'unico conosciuto sono io!» poi scoppiò in una risata agghiacciante.
Si ricompose, portò indietro il codino che gli aveva sorpassato la spalla e infine mi fece un cenno.
«Signorina Gleannes, puoi considerarti libera. Questa volta.» mi sollevò una mano e me ne baciò il palmo.
Al suo contatto mi venne la pelle d'oca. Senza farmi vedere iniziai a graffiare la parte che mi aveva appena baciato per eliminarvi ogni sua traccia.
Jocelyn fu la successiva a venir salutata. Godwin non perse l'occasione per infagottarla di complimenti, carinerie e apprezzamenti smielati. Una volta vicino al principe gli rivolse un ultimo e sbrigativo saluto.
«Se non ti conoscessi direi quasi che hai il cuore tenero» poi si accostò al suo orecchio «perché non ti interessa la ragazza, vero?»

Nella stanza rimanemmo solo io, Erik e il principe. Il ragazzo aveva l'aria sbigottita, trafelata. Si chiedeva dove fosse capitato e quanto a lungo ancora avrebbe accettato il compromesso di condividere le stesse mura con Godwin. Se c'era una cosa di cui ringraziava il cielo però era di esser nato maschio.
Carlyle, dal canto suo, camminava in qua e in là in preda al delirio.
Si mordeva il labbro, gesticolava nervoso. Era accecato dalla gelosia.
L'unica certezza era che non avrebbe potuto difendermi in maniera troppo plateale senza destare dei legittimi sospetti. Era sovrano di un regno, ma mai si era sentito così impotente.
Avrei voluto avvicinarmi a lui, accarezzarlo e assicurargli che nulla mi avrebbe convinta ad assecondare le perversioni di suo fratello.
Il suo umore era nero, la preoccupazione profonda. Rimase a osservare il giardino all'italiana che si intravedeva dalla finestra e quella visione parve tranquillizzarlo un po'. Ero a pezzi, non riuscivo a restargli così lontana. Ciò nonostante non avrei potuto fare altro se non attendere che uscisse per iniziare a riassettare la stanza insieme a Erik.
Dopo una decina di minuti si distaccò da quel quadretto paesaggistico, mi rivolse uno guardo sofferente quando comprovò che Erik era abbastanza impegnato a ravvivare il fuoco, infine se ne andò in silenzio.

Le voci di corridoio parlavano chiaro: da quando Godwin era arrivato aveva fatto strage di cuori, facendosi riscaldare il letto ogni notte da una domestica diversa. Non riuscivo a capire cosa vi trovassero di attraente in lui. Rispetto al principe era praticamente anonimo. Non aveva i suoi stessi capelli neri e fluenti, i suoi occhi azzurri luminosi e vispi, il suo naso appuntito e piccolo né tanto meno la sua bocca carnosa. Fisicamente era una persona comune se non fosse stato per l'altezza. Di certo il principe Carlyle vantava una corporatura molto più virile e massiccia di quella di Godwin. Il garbo, la discrezione e la gentilezza erano, oltre a tutto, altre qualità che avevano deciso di premiare solo una parte della discendenza Kynaston, privandone il duca sin dalla nascita.
Mi convinsi dunque che il suo cognome, congiuntamente a qualche parola lusinghiera, avrebbero persuaso buona parte delle donne di palazzo a cadere tra le sue braccia. 
Da quando era giunto avevo cercato di evitarlo in tutti i modi. Al contrario sembrava che più cercassi di fuggire alla sua vista più me lo ritrovassi davanti.
L'indomani, forse, avrei avuto modo di parlare con Sir Jacques della faccenda.

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