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Capitolo 46

Baston dava l'impressione di aver sofferto molto il tempo in cui era dovuto rimanere legato tanto che il principe fu costretto a tirarlo per le briglie a più riprese.
Cavalcavo nuovamente Foedus e avevo indossato senza riluttanza i miei abiti maschili, che poco si addicevano a come mi ero sentita donna pochi istanti prima.
Da quando avevo assecondato i miei istinti e appurato che erano anche quelli del principe, sentivo di abitare un altro corpo. Era come se riuscissi a percepire le scintille di angoli e sensazioni che fino ad allora non si erano mai palesati.
Il mio, era un corpo rinnovato.

Seguivo il principe e il suo cavallo per orientarmi nell'andatura. Era già calato il tramonto e il buio non avrebbe tardato ad arrivare. Ottima scelta la sua, pensai. A quell'ora difficilmente mi avrebbero riconosciuto, anche se qualcuno mi avesse notato per sbaglio dalle finestre di palazzo.
La confidenza che pensavo di aver acquisito a quel punto mi portò ad avanzare un'osservazione che difficilmente avrei intavolato tempo addietro.
«Se non erro tra poco giungerà vostro fratello a corte, Vostra Maestà.»
Vidi Carlyle irrigidirsi istantaneamente. Strinse forte le briglie e Baston rispose con un nitrito incerto.
Capii di aver fatto forse il passo più lungo della gamba e di aver toccato un tasto molto dolente.
Mi agitai e presto la testa mi prese a girare. Mi accovacciai su Foedus per riprendere l'equilibrio.
Carlyle ancora non mi aveva risposto.
«Scusate la mia mancanza di delicatezza, Vostra Maestà.» dissi per risollevarmi un po', poi abbassai gli occhi per la vergogna.
«No, affatto. Non avete detto nient'altro che il vero. Tra poco mio fratello sarà qui.»
Cercò di mascherare la sua alterazione con un tono dolce e pacato, ma non ci riuscì.

Seguirono altri minuti di cavalcata in silenzio. Entrammo nel faggeto e lo percorremmo a passi lenti. Un'estrema calma abitava quel posto tanto da renderlo quasi fatato. Le foglie appena nate avevano iniziato a germogliare sui rami, lasciando cadere quelle dell'inverno passato e creando un tappeto rosso in terra che scricchiolò al contatto con gli zoccoli.
«Non siete figlia unica vero, signorina Gleannes?» esordì d'un tratto.
«Ho una sorella più piccola.»
«E pensate a lei ogni tanto?»
«Direi quasi tutti i giorni.»
Sospirò, abbassò poi le spalle e assunse una postura più rilassata.
«Io e Godwin avevamo un bellissimo rapporto da bambini. L'adolescenza e il venir a contatto con ciò che significa essere figli di re ci ha progressivamente fatto allontanare.»
Tirai le briglie per far rallentare il passo a Foedus, poi affiancai Baston ancora di più e mi voltai per studiare l'espressione del principe. Sembrava affranto.
«Anche io vorrei sentirne la mancanza a volte, ma mi rendo conto di rifiutare la sua presenza. Quasi a esserne allergico.»
Cercai dentro di me le parole giuste da proferire, non volevo risultare scortese un'altra volta.
«Avete molti anni di differenza?»
«Solo uno. Godwin è più grande di me di qualche mese. È lui il maggiore.»
Quelle parole mi buttarono in un forte stato confusionario. Come poteva essere lui il maggiore e non rivestire il ruolo che aveva invece suo fratello? Da quel che sapevo infatti erano i primogeniti a salire sul trono, ma non era successo in quel caso. Non esternai quel mio dubbio ma risposi comunque con un'osservazione che giudicai appropriata alla situazione.
«Quando si è molto ravvicinati di età è normale avere screzi tra fratelli.»
Il principe divenne da quel momento un fiume in piena. Mi vide come una confidente e, al tempo stesso, il confessore a cui rivolgersi. Mi chiesi orbene se a palazzo ci fosse mai stato veramente qualcuno a cui avesse confidato le sue angustie e preoccupazioni.
«Quello è il più misero dei problemi. Godwin si è sempre sentito l'ultima ruota del carro.»
Espressi il mio dispiacere, era il massimo che potessi fare. Ero convinta, in cuor mio, che ci fosse una ragione sottostante quel sentimento.
«Con il crescere il suo temperamento è peggiorato sempre di più. È divenuto distante, profondamente invidioso e costantemente sul piede di guerra.» il suo nervosismo era palpabile.
Trasalii. A quel punto non ero molto sicura di volerlo incontrare.
«Credete esista una ragione valida di fondo?»
Uno stormo di passeri volteggiò tra i rami. Il loro cinguettio risvegliò lo squittio di una civetta ancora sopita e il guaito di una volpe che, timorosa del nostro passaggio, si rintanò dietro una siepe non mancandoci di deliziare però con i movimenti della sua coda vaporosa.
«Io e Godwin siamo figli dello stesso padre ma di madre diversa. Lui è nato da una relazione che mio padre portava avanti con un'altra donna prima ancora di sposarsi. Mia madre decise di accogliere mio fratello comunque, come se fosse il suo stesso figlio. Credo che l'ambire al trono ma non poterlo avere per ragioni di lignaggio sia un motivo più che valido per avercela con il mondo intero.» digrignò i denti.
Ecco spiegato il motivo allora. Godwin non era diventato principe perché era a tutti gli effetti... un bastardo.
«Non credo che vostro fratello se ne debba fare una colpa.»
Grugnì «Infatti non si colpevolizza di nulla. È convinto da sempre di meritare il mio posto più di quanto lo meriti io. Crede che sarebbe un sovrano migliore e che con lui Sommerseth prospererebbe.»
Mi si accapponò la pelle. Come si poteva essere così tanto ingordi di denaro e potere da contrastare il proprio sangue.
«Sommerseth è già prospera, Vostra Maestà.» arricciai gli angoli degli occhi e gli sorrisi teneramente.
Carlyle mi guardò e rispose al mio complimento con un sorriso ancora più luminoso e sincero.
«Direi che Godwin è geloso di voi e di ciò che siete diventato.» osservai, dopo un'attenta analisi.
Fece cenno di sì con la testa «È per questo che ho ritenuto cosa buona affidargli la gestione del mio possedimento a Beaufort in Francia. Ho pensato infatti che servisse a farlo sentire sovrano di qualcosa. Al contempo non nego che sia uno stratagemma per tenerlo lontano da qui.»
«Certo è che dovrete abbozzare l'idea che di tanto in tanto torni a farvi visita.» asserii.
«Questo non posso evitarlo. Livingstone è pur sempre casa sua.»

Eravamo quasi arrivati a destinazione. Il tetto del palazzo si intravedeva all'orizzonte, nascosto ancora per poco dalla vegetazione. Mi assalì un forte senso di nostalgia.
Quando ancora avrei ricavato nuovamente del tempo con lui?
«Vostra moglie cosa ne pensa?»
Il discorso sembrava non essere ancora finito.
Proferire la parola moglie mi fece alquanto strano. Era come ribadire il fatto che fosse sposato e che al contempo intrattenesse incontri sporadici con la sottoscritta. Se ci avessero scoperto avrebbero gridato allo scandalo, per lo meno a palazzo.
«La principessa si preoccupa di intrattenere rapporti cordiali con suo cognato al posto del marito.» fu la sua risposta.
Arrivammo alla scuderia. Il principe si occupò di far rientrare i cavalli senza tuttavia dimenticarsi di concedere loro uno zuccherino. Se l'erano meritato.
Io mi rintanai di nuovo nell'angoletto di Mark per effettuare l'ennesimo cambio di abito. La mia divisa era ancora lì, proprio dove l'avevo nascosta.
Ripiegai il fagotto così come mi era stato consegnato e, dopo aver terminato di legare la cuffietta alla nuca, uscii.
Il principe era rimasto lì ad aspettarmi.
«Signorina Gleannes, vi ringrazio per la piacevole passeggiata.» proferì con trasporto.
Allora si avvicinò, mi lasciò un lieve bacio sul dorso della mano che mi fece avvampare le guance e infine se ne andò.

Quando rientrai a palazzo la prima persona che vidi fu Lydia.
Era l'unica a essere rimasta nelle cucine ad aiutare Violet nel riassettare la stanza.
«Anthea! Dove sei stata? Ti aspettavamo per la cena!» esclamò, tenendo per le mani un piatto di porcellana.
«Sono andata in città a sbrigare alcune faccende.» replicai incerta.
Lydia storse la bocca.
«In città dite? A quest'ora?»
Era evidente che non mi credesse. Affermai nuovamente ciò che avevo appena detto, quella volta con maggior sicurezza.
Fortunatamente un boccale di birra fu per lei più interessante del continuare a farmi domande, così che io ebbi tempo di consumare il pasto ormai freddo, senza dover al contempo pensare a come confezionare una scusa migliore.

L'indomani mi aspettarono i consueti brontolii di Violet che lamentava l'assenza di chiodi di garofano e cardamomo nella dispensa. Ogni giorno c'era in realtà qualcosa che mancava: poteva essere la farina, le mele cotogne o addirittura il miele. Ciò che non capivo era il perché non fare un inventario di tanto in tanto, noi tutti ci saremmo risparmiati le sue lamentele con molto piacere.
Onde evitare che i borbottii di Violet giungessero fino a sera, mi proposi di andare direttamente in città a procurarle ciò che le serviva.
Dirglielo fu come sollevarla da un peso enorme. Nel sorridere compiaciuta mise in evidenza le sue guance paffute e batté le mani tra di loro così forte da mettermi quasi a disagio.
Volteggiò allora su se stessa e corse a passi ravvicinati verso il bauletto dove teneva le monete per effettuare gli acquisti dell'ultimo minuto.
Mi poggiò tra le mani cinque scudi. Molto più di quelli che sarebbero serviti.
«Prendete le spezie e anche un bel pezzo di scottona. Questa sera i principi desiderano carne di bovino!» mi congedò e tornò a impastare le mani tra farina e uova.
Per poco non mi pentii di essermi proposta a farle quel favore.

La sosta in drogheria durò meno del previsto. Fortunatamente quando arrivai il negozio era completamente vuoto e lo interpretai come un segno del destino dal momento in cui sapevo che l'unico frangente della giornata in cui era presente solo il commerciante era quando quest'ultimo chiudeva i battenti.
Pagai il conto allora. Quattro scudi. Ero a conoscenza del fatto che le spezie fossero molto costose.
Varcai la porta con lo sguardo fisso sul cestino che trasportavo. Volevo essere certa di aver preso tutto e di aver avvolto per bene la scottona in modo tale che questa non si rovinasse nel tragitto. A un tratto la mia attenzione fu catturata da qualcos'altro.
In lontananza intravidi una figura snella, non troppo alta e con una chioma di ricci neri che saltellavano come se fossero molle. Riconobbi Marfa che si apprestava a venire nella mia stessa direzione. Sbandierai un braccio in aria per richiamare la sua attenzione ma questa non mi vide. Non sarebbe stato facile del resto, la strada era molto affollata.
Cercai allora di raggiungerla, ma improvvisamente mi resi conto che aveva cambiato strada. Velocizzai il passo, non risparmiandomi dall'impattare con un vecchio grassoccio e ubriaco che prima mi maledisse con qualche parola volgare che non ebbi interesse a memorizzare, poi dopo avermi guardato meglio si leccò i baffi per tirare via la schiuma della birra.
Un brivido di disgusto mi percorse la schiena.
Affrettai ulteriormente il passo. Avevo notato il suo mantello nero voltare l'angolo e altrettanto feci io. Provai a chiamarla ma andava talmente di fretta che la mia voce si confuse con l'ululato del vento. Improvvisamente la sua andatura terminò e entrò in un edificio.
Decisi che l'avrei aspettata lì fuori, con la speranza in cuor mio che non ci mettesse troppo tempo.

Quando riconobbi il palazzo ebbi un sussulto.
Marfa si era recata per l'ennesima volta a far visita a un orfanotrofio. Non capii allora se il suo fosse solo uno spirito caritatevole o se avesse un vero motivo per recarvisi.
Percorsi le finestre del palazzo per cercare di intravederla. In una stanza vidi due infermiere intente a prendersi cura di un bambino su di una seggiola, in un'altra scorsi alcune bambine mentre giocavano con le bambole. Solo quando mi affacciai all'ultima finestra la riconobbi.
Feci attenzione a evitare che mi notasse così che esposi solo gli occhi da sopra del cornicione della finestra.
Marfa era lì, seduta sopra un letto. Da dove ero non riuscivo ad avere una visuale completa ma ero certa che davanti a sé avesse un bambino. Questi la cercò con le sue manine paffutelle e lei gliele prese tra le sue, coprendole di baci a più riprese. Si girò poi e prese un pupazzo di stoffa. Il bambino lo afferrò e iniziò a scuoterlo in su e in giù. Marfa scoppiò a ridere e accarezzò il volto della creatura come se fosse la cosa più bella che avesse visto durante tutta la sua vita.
Il bambino si protrasse verso di lei e questa lo prese tra le sue braccia.
Doveva avere all'incirca tre anni, aveva capelli nerissimi e tanti rotolini dietro il collo. Lo abbracciò forte, poi chiuse gli occhi e la vidi piangere in silenzio.
A quella scena un forte tristezza mi catturò, tanto che venne voglia di piangere anche a me.
Lacrime silenziose le rigarono il volto. Nascose il capo nell'incavo del collo dell'infante e tutti i suoi ricci neri si sparsero qua e in là. Il bambino li scambiò per un gioco e iniziò a tirarli come se desiderasse staccarli. Marfa allora si ricompose, si asciugò le lacrime e gli disse qualcosa con espressione scherzosa.
Improvvisamente intravidi da dietro una signora vestita in divisa. Marfa si alzò e fece un sofferto cenno con le mani. Il bambino cominciò ad agitarsi, tanto che lei fu costretta a prenderlo in braccio nuovamente. Questa volta lo strinse a sé con più forza e lo riempì di baci, per farne tesoro per le volte successive. La donna incitò Marfa a staccarsi da lui e quest'ultima prese a tremare e a piangere di nuovo.
Gli occhi mi pizzicarono e dovetti tirare su il naso più volte. Avevo estremo bisogno di un fazzoletto.
Marfa si allontanò a gran fatica. Sentii il bambino urlare da fuori. Era quasi arrivata alla porta, scortata da quella donna, quando divenne un pezzo di ghiaccio. Si girò con lo sguardo esterrefatto e si lanciò sulla creatura per prenderla tra le braccia. Due inservienti le si precipitarono addosso per dividere donna e piccolo. Di tutta risposta lo strinse ancora più forte, scuotendo voracemente la testa e implorando che la smettessero.
Con non poca fatica riuscirono a riposizionare il bambino sul letto e a riaccompagnarla alla porta, insieme ai suoi singhiozzi strazianti.

Tornai a palazzo con il cuore gonfio, non riuscendo a eliminare quella scena dalla mia mente. Ripensarci mi causò un profondo malessere. Chi era veramente quel bambino?
Quando arrivai a destinazione, un'altra angoscia si aggiunse a quella precedente.
Una nuova carrozza era parcheggiata di fronte l'ingresso, dalla quale i domestici erano intenti a scaricare tutti i bagagli. Non l'avevo mai vista prima di allora.
Sentii freddo all'istante.
Godwin era arrivato.

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