Capitolo 44
Un boato si elevò. Il panico si dipinse sui volti di chiunque presente. James Forks si accasciò a terra con gli occhi persi.
Un mare di persone si riversò nella navata centrale in preda all'angoscia e allo sgomento. Padre John si fece il segno della croce.
Nessuno ci credeva ancora.
Il mio corpo divenne un blocco di ghiaccio e passò del tempo prima che riprendesse sensibilità.
Mi voltai per cercare Daisy. Quando la trovai aveva lo sguardo assente. Corsi verso di lei perché sapevo cosa stava per succedere.
Non feci in tempo a raggiungerla che era già svenuta per terra.
«Madre! Madre!» chiamava la figlia minore della vedova.
La donna era collassata sul pavimento, con gli occhi aperti. Pregai dentro di me che non l'avesse colta un infarto.
Schiaffeggiai il volto di mia sorella, chiamandola più volte. Aveva la pelle pallida, le labbra viola. Le avvicinai l'orecchio al naso. Stava ancora respirando ma a un ritmo molto lento.
«Aiuto per favore! Aiuto!» gridai con tutto il fiato che avevo in gola e con le lacrime agli occhi. Vidi mia madre cercarmi tra la folla e poi raggiungermi.
Strappò i fiori dal bouquet e glieli passò freneticamente sul volto. Speravamo in cuor nostro che il profumo intenso della lavanda la ridestasse.
Non successe nulla.
Mia madre si agitò ulteriormente e cominciò a tremare. Le alzò le gambe in aria e gliele poggiò alla balaustra, dunque continuò a sfregare la pianta sotto il suo naso nel frattempo che io la schiaffeggiavo sempre più forte, quasi a volerle far male.
«Procurati del miele» le ordinai «anche per la signora Forks!» sbattei gli occhi nervosamente verso il basso. Speravo sarebbe servito a qualcosa.
Distesi mia sorella e le alzai le gambe che si erano afflosciate a terra, cercando di favorire il flusso del sangue al cervello.
Dopo qualche minuto di attesa, intervallato a preghiere e invocazioni al cielo, Daisy mosse leggermente la testa, emise dei mugugni e poi aprì lentamente gli occhi.
Mia madre tornò con il miele, vi immersi le dita e glielo infilai con violenza dentro la bocca.
All'inizio Daisy non capì cosa stava succedendo ma al gusto di quella sostanza zuccherina mosse le labbra meccanicamente per impastarla con la saliva.
La sua espressione smarrita purtroppo scomparve quando si guardò attorno e assistette a quello che stava succedendo.
In un baleno gli tornò tutto alla mente.
La signora Forks ancora non si riprendeva. Suo figlio James, a sangue freddo, tentava in tutti i modi di eseguire su di lei un massaggio cardiaco e, le grida della sorella, non lo aiutavano affatto nell'impresa.
Daisy urlò.
Urlò talmente forte che chiunque si girò verso di lei. Anche James si bloccò per qualche frangente per poi tornare al suo compito.
Il suo volto si contorse in espressioni di dolore. Un fiume proruppe dai suoi occhi.
Una voragine si aprì nel mio petto a vederla in quello stato. Cominciai a singhiozzare anche io.
Squarciò la bocca e cominciò a sbavare.
La abbracciai forte al petto e i miei capelli accolsero un miscuglio di sostanze. Muco, saliva, lacrime e miele.
Da lontano mi accorsi che James aveva smesso di arrovellarsi nervosamente sul corpo della madre e che in quel momento abbracciava la sorella, custodendole il capo nell'incavo del collo.
Lo vidi piangere solo allora. Capii subito.
Mi guardai attorno. La chiesa si era dimezzata. Solo qualcuno era rimasto a dare conforto alla famiglia Forks che nel giro di una mattina aveva perso due dei suoi membri, tutti gli altri si erano rintanati nelle loro case, timorosi che se fossero rimasti ancora un po' tra quelle mura la morte avrebbe colpito anche loro, alla stregua di un virus.
«Il mio matrimonio!» Daisy si sgolò.
Smise di gridare solo quando non ebbe più voce.
Quella celebrazione, attesa e pregustata, sublime e gioiosa, si trasformò nella giornata peggiore che una sposa e una famiglia potessero vivere.
Lo sposalizio non si sarebbe mai ufficiato. Al suo posto, l'indomani ci sarebbero stati due funerali.
Ripensai all'omelia di padre Girolamo.
Si poteva pensare al perdono in quel caso? Daisy avrebbe potuto perdonare? I Forks avrebbero perdonato?
Rabbrividii. Io non sarei mai stata in grado.
Dopo un'ora eravamo fuori la casa di Thomas Forks insieme allo sceriffo Wilson. Daisy espresse il suo desiderio di venire, ma glielo sconsigliai. Non volevo vedesse l'uomo che amava senza vita e chissà in quale condizione per giunta. Con l'assenso da parte dei Forks, decisi di prendere io il suo posto.
Davanti quella porta sentii la terra mancarmi sotto i piedi e una scossa elettrica percorrermi le membra.
Non avevo mai visto un cadavere.
James ci fece strada. La casa si presentava intatta, un piccolo angolo cucina e un camino con qualche carbone ancora ardente.
Notai sin da subito che non si sentiva odore di morto. Significava che l'uomo era stato ucciso recentemente.
Procedemmo verso le scale e a ogni gradino che salivo il cuore cominciava a battermi all'impazzata sempre più forte, tanto che poteva udirsi dall'esterno.
La porta della sua camera era semi aperta ma già dal di fuori si intravedevano delle gambe stese a terra.
«Se non ce la fate, potete rimanere qui fuori.» disse lo sceriffo.
Mi feci forza ed entrai.
Sgranai gli occhi e portai una mano alla bocca. Le gambe sembrarono cedermi. Avrei voluto vomitare.
Thomas Forks giaceva a terra, con la bocca aperta e gli occhi sbarrati. Un profondo taglio gli era stato inferto alla gola e un'altra pugnalata all'altezza del cuore, che non doveva essergli però stata fatale.
Il suo corpo esamine nuotava in un lago di sangue ormai incrostato. Non doveva esserci stata pietà per quell'uomo se era stato lasciato in quelle condizioni.
Lo sceriffo si tolse prima il cappello, poi si avvicinò a Thomas e gli chiuse sia gli occhi che la bocca. Si fece da ultimo il segno della croce e io lo imitai. James, avendo preso confidenza con la visione, scoppiò a piangere.
Spostai presto l'attenzione su quello che popolava la stanza.
Era in soqquadro: cassetti aperti, vestiti buttati a terra, armadio ribaltato, qualche banconota lasciata sul pavimento.
«Una rapina!» gridai incredula.
Lo sceriffo scosse la testa «No affatto, nessuna rapina. È solo un tentativo di inscenarla, ma con scarsi risultati.»
«Non credo di capirvi.»
Lo sceriffo espose le sue ragioni e non potei che dargli ragione. Se fosse stata una rapina, l'intera casa sarebbe stata sottosopra, non solo la camera da letto. Rovistai dentro i cassetti aperti e vi ritrovai ancora qualche gioia in oro. Solo il portafoglio di Thomas era stato prosciugato da tutti i suoi soldi.
«Concordate con me?»
Annuii convinta. Lo sceriffo mi spiegò che in una finta rapina la prima cosa che si aveva premura a rubare erano proprio i soldi, non avendo accortezza a razziare il resto degli oggetti preziosi.
Quadri, candelabri, porcellane. Erano ancora al loro posto.
Mi irrigidì «James, siamo entrati con la chiave vero?»
Il pover'uomo si asciugò gli occhi e scosse debolmente la testa in senso affermativo.
Mi catapultai nel resto delle stanze, le ispezionai tutte. Nessuna finestra rotta.
Scesi all'ingresso e anche lì nessun tentativo di effrazione. Mi riversai nell'altra ala della casa per capire se ci fosse una seconda porta che dava sull'esterno ma non ne trovai alcuna.
«Thomas conosceva il suo assassino!» dichiarai e non seppi se lo sceriffo si convinse più per il mio tono o perché potevano esserci basi veritiere a quella considerazione.
James mi guardò confuso.
Gli feci segno di correre al piano terra e entrambe mi seguirono. In quel momento quasi mi pentii di aver indossato un abito così ampio che mi impediva di scendere i gradini due a due.
Avanzai la mia teoria «L'assassino ha bussato e Thomas è andato ad aprirgli. La serratura è intatta!» la indicai.
Wilson annuii con vigore. Avevo ragione.
Bisognava capire quando era stato ucciso. Per quanto ne sapevo poteva essere lì anche dal giorno prima.
Wilson risalì e studiò il cadavere, girandogli attorno come un'ape. Increspò le labbra, poi si grattò la barba bianca incolta.
Si abbassò e assunse una posizione che ricordava molto quella delle rane. Lo toccò e alla visione di quel gesto mi intirizzì.
«È stato ucciso questa mattina, quattro o cinque ore fa. Il suo corpo è ancora tiepido, se fosse stato ucciso ieri o l'altro ieri sarebbe freddo e i muscoli completamente flosci.»
Sentii freddo. Che livello aveva raggiunto la crudeltà umana se la vita gli era stata tolta proprio il giorno in cui doveva sposarsi? Non era una coincidenza.
Vi lessi odio e ferocia.
«Avete sospetti? Conoscete qualcuno che odiava vostro fratello? Qualcuno che aveva una faida aperta con lui?» lo sceriffo voleva andarci a fondo.
James negò. Non riusciva a proferire altra parola per la morsa che lo stringeva.
«Non pensate possa esser stato qualche parente?» mi fermai un attimo «alla lontana intendo.» ci tenevo a sottolineare che non dubitavo di lui o di sua sorella.
Wilson si atteggiò come per dire che quella cosa era impossibile.
«Non credo l'assassino sia un suo parente.» mi indicò la coltellata «Vedete? Una sola coltellata e diritta al cuore. Se ci fosse stato un qualche coinvolgimento tra i due le coltellate inferte sarebbero state di più.»
Mi immobilizzai meravigliata ad ascoltarlo.
Continuò «E non avrebbe mirato subito al cuore, avrebbe puntato piuttosto qua e in là prima di assestare il colpo mortale. È un modo per sfogarsi.»
«E la ferita alla gola?»
«Oh quella beh, credo sia stata procurata per accelerarne il decesso e abbandonare la scena del delitto il più velocemente possibile.»
Intuii che doveva avere una lunga esperienza alle spalle. Sperai in cuor mio non troppo costellata di omicidi da risolvere.
Non era stato dunque un suo parente e molto probabilmente l'assassino si nascondeva tra qualche persona con cui aveva una o più contese aperte.
Ebbi all'improvviso un'illuminazione. Daisy mi aveva parlato dei debiti che suo marito aveva accumulato negli ultimi tempi.
I suoi creditori! Non potevano essere che loro! La convinzione si rafforzò nel momento in cui mi ricordai che Daisy qualche ora prima aveva notato l'assenza di uno di loro in chiesa.
Che ne avesse approfittato proprio nel momento in cui poteva agire indisturbato mentre tutto il borgo era in attesa di una celebrazione?
L'ipotesi prese sempre più piede nella mia testa.
Quasi a farlo a posta si presentarono alla porta quei due brutti ceffi. Mi scaraventai verso di loro con il dito inquisitore puntato. Ero livida dalla rabbia.
«Chi di voi due? Anzi, mi correggo, di voi tre!»
I due uomini mi guardarono dubbiosa, non mi conoscevano del resto. Non mi risposero, al contrario, mi passarono avanti senza neanche degnarmi di uno sguardo, sbandierando un pezzo di carta che mollarono nelle mani dello sceriffo.
«Sceriffo, siamo venuti appositamente per attestare la nostra innocenza nel fatto.»
Il sangue mi ribollì nelle vene.
Sbraitai. Ero incontenibile «Oh certo, come no! Gli assassini tornano sempre nel luogo del delitto!»
L'uomo che aveva parlato poco prima si voltò con un'espressione adirata. Poi riprese il pezzo di carta e me lo sbandierò davanti.
«Leggete la cambiale! Pensate che per una somma simile avremmo mai ucciso un uomo?»
La afferrai facendo attenzione a non farla stracciare. Strabuzzai gli occhi.
30 scudi.
Da come mi aveva parlato Daisy, il suo fidanzato aveva accumulato tanti debiti e anche di una certa somma. Riconobbi che non doveva saperne molto.
Mi trovai a dover dare ragione a quell'uomo. Una somma tale non avrebbe ingenerato ostilità.
«Aggiungiamo che ci trovavamo entrambi nella taverna di fronte la chiesa da questa mattina per concludere alcuni affari, prima ancora della messa! Lo sceriffo può confermarlo.»
Comprovai anche questo, non c'erano prove che li ritenessero i responsabili.
«Inoltre ci tengo a precisare che i rapporti tra noi e il signor Forks sono sempre stati cordiali!» era avvilito e visibilmente offeso per quelle insinuazioni.
Fu la conferma che Daisy aveva interpretato a modo suo dei discorsi che aveva intrattenuto con il suo fidanzato, non così apocalittici come lei me li aveva riferiti.
Ero quasi del tutto convinta della loro innocenza, tuttavia decisi comunque di rincarare la dose.
«Che sapete dirmi allora dell'altro vostro amico, quello che non si vede da questa mattina?»
«George?» si guardarono e scoppiarono a ridere «George si trova a Parigi da un mese ormai, sguazzando tra le braccia della signorina Dubois.»
Potevano essersi inventati tutto ma in cuor mio sapevo che dicevano la verità.
Insieme a James e a sua sorella, sopraggiunta anche lei, li aiutai a dare una sistemata alla casa e a ripulire il corpo di Thomas per prepararlo a una degna sepoltura. La famiglia Forks aveva commissionato due bare che erano state consegnate proprio in quel momento. Sembravano più casse per il trasporto merci ma, per il poco tempo a disposizione, potevano essere più che approvate.
Impiegammo quasi tutta la giornata e verso il tardo pomeriggio avevamo quasi finito. James e la sorella si chiusero in camera per cambiare d'abito il fratello. Optarono per un elegante completo nero. Quello del matrimonio.
Un altro groppo alla gola si aggiunse agli innumerevoli della giornata.
A un certo punto, da dietro la porta, lo udii interrogarsi a più riprese.
«Le chiavi, dove sono le chiavi?»
Me lo ritrovai davanti subito dopo.
«Avete visto le chiavi?»
«Quali chiavi? Non ho visto nessuna chiave!»
Trafugò nelle tasche dei pantaloni, in seguito estrasse una chiave massiccia attaccata a una targhetta in ferro riportante il simbolo di un triangolo con una stanga in mezzo.
«Una simile a questa! Sono le chiavi della fonderia, Thomas le portava sempre con sé!» agitò allarmato il mazzetto.
«Purtroppo è la prima volta che le vedo.»
Sconsolato, tornò alla ricerca ma quello che ne ottenne fu un bel niente. Del mazzo neanche l'ombra.
Mi convinsi che per quanto la rapina fosse stata inscenata, l'assassino fosse rimasto davvero attratto da quelle chiavi tanto da appropriarsene.
Ero certa che le avesse lui. A che fine però?
L'indomani presi parte ai funerali. Un corteo di persone in silenzio e vestite in nero attraversò la chiesa e prese posto. Daisy non mangiava dal giorno precedente. Aveva il volto gonfio e costantemente arrossato.
Non aveva aperto bocca e credevo che non lo avrebbe fatto per i giorni a seguire.
Mi sentii terribilmente in colpa a lasciarla in quello stato. Mi chiesi come l'avrei ritrovata una volta ritornata a casa. Ebbi la gola secca.
Le ore passarono in fretta e presto la carrozza venne a prendermi. Era ora di tornare a palazzo.
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