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Capitolo 42

Il mattino seguente ci misi un po' a realizzare quanto successo.
I primi momenti, impiegati nello sgranchirmi le ossa e nello stropicciarmi gli occhi, ero della convinzione di aver preso parte solo a un bellissimo sogno.
Il ritrovarmi le coperte macchiate di sangue mi fece capire invece che quanto successo fosse reale e non costruito dalla mia testa.
Sentii un brivido lungo la schiena.
Ero finalmente una donna, o forse lo ero diventata per mia disgrazia.
Mi ero concessa a un uomo la stessa notte in cui ero stata promessa a un altro ma di questo non mi pentivo affatto, provavo piuttosto un profondo senso di colpa nel non sentirmi afflitta nei confronti di Ethelwulf e nel sapere che avrei ripetuto quanto fatto se mi si fosse ripresentata l'occasione.
Potevo essere giudicata per questo? Assolutamente sì. Quanto di più peccaminoso poteva esserci in un adulterio compiuto addirittura prima di un matrimonio.
Poteva interessarmi? Lo avrebbe fatto di certo in futuro, ma poco mi angosciava il pensiero essendo che in quel momento mi sentivo più leggera di una bocca di leone.
Una nuova linfa aveva preso a scorrermi dentro e non avrei potuto più farne a meno da allora in avanti. Chi avrebbe potuto distogliermi da quel magico pensiero, dal pensiero di lui, se non la mia stessa fine?

Quel giorno avrei dovuto in tutti i modi evitare l'incontro con Ethelwulf, che mal si abbinava all' immagine di me e Carlyle della notte precedente.
Una scusa? Un mal di testa improvviso? Una giornata impegnativa?
Cosa potevo inventarmi di più?
Prima ancora di concentrarmi su quello, mi adoperai per togliere quelle lenzuola macchiate di sangue e sostituirle con alcune pulite, sarebbero infatti risultate sospette quelle perdite dal momento in cui avevo finito il mio periodo da neanche una settimana. Decisi quindi di ripiegarle e conservarle dentro un cassetto, con la promessa che le avrei lavate quanto prima.

Quella giornata parve iniziare come tutte le altre e, tra i vari preparativi, il lampo di genio arrivò quasi subito: quale mossa migliore se non quella di scrivere una lettera a Daisy per comunicarle che in casa non ci sarebbe stato un solo matrimonio, bensì due!
L'intento in realtà non era quello di condividere un evento che per me non era poi così lieto, quanto quello di far in modo che la voce giungesse direttamente alle orecchie di Orville Patel che, di conseguenza, avrebbe cessato di importunarmi maliziosamente.
Quantomeno, era questo ciò che speravo.
Aprii dunque il cassetto, presi l'ultimo foglio di carta che mi era rimasto e intinsi il calamaio nell'inchiostro ancora fresco.

Mia cara Daisy,

Quale occasione più propizia se non l'arrivo della primavera per comunicarti che nostra madre quest'anno sarà impegnata nel ricamare un corredo matrimoniale non solo per la più piccola di casa.
Come puoi comprendere da questa breve anticipazione sono promessa anche io, a un uomo rispettabile e amorevole che non faccio altro che desiderare dal primo giorno in cui ho fatto la sua conoscenza. Spero che le mie nozze non tardino ad arrivare e che presto potremmo deliziarci della medesima contentezza.
Ti invito infine a ricordarti di quando, da bambine, eravamo solite raccogliere quel mazzolin di margherite che ogni sera poggiavamo sul cuscino. Ricordi quanto eravamo spensierate allora? E pensare che ora siamo due donne in età da marito!
Ti abbraccio forte con la speranza che, la prossima volta che ci rivedremo, saremo finalmente la signora Forks e la signora Jhoanart.
Anthea

La realtà era che nulla che fosse presente in quella lettera rispecchiava un minimo la verità. Avevo semplicemente gonfiato il contenuto per renderlo credibile e far sì che mia madre, una volta appresa la notizia, andasse in giro sbandierando l'imminente matrimonio e non si risparmiasse dal comunicarlo anche ai Patel.

Una volta piegata la lettera, scesi nell'androne di corsa, poi incontrai il postino che stava per uscire - sapevo infatti che era quella l'ora in cui avrebbe consegnato e ritirato la posta del giorno - e gli affidai la mia missiva, con la raccomandazione che facesse attenzione a non perderla, questi mi rispose schioccando la lingua sul palato. Custodire le lettere era infatti la sua unica e sola preoccupazione, non avrebbe di certo peccato in quello.

Quel giorno sarei stata in servizio per il pranzo e con grande rammarico venni a scoprire che il principe Carlyle non avrebbe preso parte al pasto, dal momento in cui un imminente incontro con il Primo Ministro inglese lo avrebbe impegnato per gli aggiornamenti sugli ultimi avvenimenti riguardanti il conflitto anglo-francese.

Quando giunsi nelle cucine, Violet mi stava aspettando, anche un po' indispettita per la verità.
«Volete che l'arrosto raggiunga la tavola da solo?» bofonchiò.
Roteai gli occhi, poi le lasciai un pizzicotto sulla guancia e lei arrossì un poco, dandomi qualche spintarella per mettermi più fretta.
Con tutte e due le mani impegnate nel trasportare un vassoio d'argento contenente il saporito arrosto alle spezie, piatto forte della cuoca, salii verso la sala d'Autunno.

Contrariamente a quanto mi sarei aspettata, notai la porta già aperta. La reputai una situazione alquanto strana. Significava infatti che qualcuno era già dentro mentre le regole di palazzo volevano che il primo a entrare fosse un membro della servitù per imbandire la tavola prima ancora che arrivassero i principi e che, fino a quel momento, la stanza rimanesse chiusa per permetterne l'allestimento. Il fatto dunque che io fossi ancora fuori con la vivanda risultava parecchio anomalo.
Quando varcai l'angolo della porta ebbi un sussulto.
Quale visione più inaspettata se non quella di ritrovarmi Carlyle di spalle, affacciato ai vetri della finestra.
Un forte calore si impossessò del mio corpo, come se fosse arrivata l'estate in quella stanza dal camino spento.
Il principe si girò, distratto dai rumori delle scarpe battenti sul granito che tutto a un tratto però si erano interrotti.
Al vedermi si bloccò. Mutò l'espressione calma che aveva in una più avida, poi sgranò gli occhi e sentì subito l'esigenza di allargarsi il colletto della giacca color cremisi.
Fiumi di sangue pulsante si impossessarono del mio collo.
Agli estremi della stanza due statue, rivolte l'una verso l'altra, che si esploravano affamate come se non si fossero mai viste prima.
Un velo di imbarazzo suggellò quell'incontro in ricordo della nottata passata, amplificato, dalla consapevolezza che avrei fatto qualsiasi cosa in mio potere per sigillare la porta e farmi travolgere un'altra volta dalle sue braccia.
Mi chiedevo se stesse pensando la stessa cosa anche lui e se mi desiderasse tanto quanto lo desideravo io.
Per porre rimedio a quel momento di impasse, il principe decise di rompere il ghiaccio.
«Prego, entrate!» mi fece cenno con le mani e poi prese posto a capotavola.
Abbassai lo sguardo dall'imbarazzo non appena ascoltai di nuovo quella voce. Le mie guance purpuree avrebbero infatti detto più di quanto avrei voluto comunicare.
Avanzai a passi lenti, senza staccare mai la vista dalla carne ancora fumante.
Il mio silenzio, pensai, non sarebbe potuto durare in eterno.
«Vostra Maestà, non pensavo di trovarvi qui. Credevo sareste stato impegnato con affari di stato e che avreste saltato il pranzo.»
Poggiai la pietanza sul tavolinetto a rotelle e cominciai a sporzionare la carne nei piatti.
«Così doveva essere effettivamente, poi Lord Pelham-Holles ha deciso di rinviare il nostro incontro a data da destinarsi e per questo motivo... eccomi qui!»
Non seppi dire altro, così mi riversai nel lavoro e gli servii nel piatto qualche fettina di carne e delle patate. Mi accostai e glielo posizionai davanti.
Lo sorpresi a guardarmi le dita affusolate mentre si avvicinavano al tavolo. Appoggiai con cura la portata. Stavo per ritrarre la mano quando me la bloccò repentinamente con la sua.
Un intreccio di dita, alcune più bianche e lisce, altre più corpulenti e venose, si unirono in un contorsionismo difficile da sciogliere.
La presa stretta perse subito il suo vigore. Carlyle abbandonò quella sete incontrollabile di toccarmi e la sostituì con una più tenue, accompagnata da un leggero accarezzarsi.
Non potei fare a meno che cercare i suoi occhi con i miei e, con grande appagamento, mi resi conto che lui li aveva già poggiati su di me.
Un allarme improvviso mi catturò. Se ci avessero visti?
Carlyle parve capire il mio timore e mosse lentamente la testa, per chiedermi di rimanere lì ancora un po', con la mie dita racchiuse nelle sue.

Un rumore di passi veloci che pareva avvicinarsi sempre di più ruppe quel frangente di intimità e mi fece ritrarre immediatamente come un riccio.
«Uhm? Ho interrotto qualcosa?»
Jocelyn comparve alla porta e alla sua sola vista sobbalzai all'indietro, rischiando quasi di inciampare.
«Accomodatevi mia cara» Carlyle prese il tovagliolo e se lo infilò nel colletto «stavamo discutendo con la signorina Gleannes del suo imminente matrimonio.» poi masticò il primo boccone.
Mi avvicinai alla sedia di Jocelyn e la spostai, questa avanzò verso il capotavola, fece spazio alla sua ampia gonna e si sedette.
Mi resi conto solo allora di non aver fatto lo stesso con il principe.
«Ah sì, siete voi?»
Annuii con rispetto. Non potevo credere che si fosse dimenticata che era stata proprio lei a presenziare la proposta.
«E cosa dicevate a riguardo?»
Stavo per aprire la bocca senza sapere in realtà cosa ribattere, quando fu il principe a rispondere al mio posto.
«La signorina Gleannes mi stava dicendo che lei e il signor Jhoanart si sposeranno una volta passata la Pasqua» mandò giù il boccone «convengo con loro che un matrimonio durante il periodo della Quaresima sia solo che di cattivo gusto e sono dell'idea che Padre Baruffaldi non acconsentirebbe a questo.»

Esultai dentro di me.
Più di un mese.
Avrei avuto tutto quel tempo per gestire l'organizzazione del matrimonio con Ethelwulf e, per quanto lui avrebbe tranquillamente ufficializzato la cosa anche nel giro di una settimana, non avrebbe potuto affrettare i preparativi dietro ordine del sovrano.
Jocelyn tossì «Baruffaldi? Avete intenzione di farli sposare qui?»
«Perché no?» mandò giù tutto il vino senza lasciarsi scappare neanche una goccia, poi poggiò il calice sul tavolo. Per la prima volta diedi un significato molto provocante a quel gesto.
«Amore mio, nella nostra cappella si sono sposati solo i membri della famiglia reale, non possiamo farvi sposare una domestica e un...?» si girò verso di me per interrogarmi.
«Taglialegna.»
«Ogni tanto si può fare qualche strappo alla regola.» ribatté lui con tono convincente.
Vidi la principessa non prendere molto bene la notizia e innervosirsi tutta assieme.

Il pranzo continuò nel silenzio, fino a quando non fu la sovrana a infrangerlo.
«Mio caro, è arrivata una lettera questa mattina da vostro fratello.»
Il principe si incupì in volto «E cosa diceva?»
«Che sarà qui tra qualche settimana.»
Non parve apprezzare la notizia affatto, sembrava quasi che se avesse potuto avrebbe impedito l'arrivo di Godwin in tutti i modi. Dalla sua reazione ebbi la conferma che non doveva scorrere buon sangue tra i due e che per tale motivo i loro incontri dovevano avvenire molto di rado.

Realizzai all'istante che della famiglia di Carlyle non sapevo pressoché nulla.

«Cosa potete dirmi riguardo il conflitto invece? Non mi aggiornate mai su niente!» esordì seccata Jocelyn, che pareva voler proseguire un dialogo che suo marito sembrava invece interrompere a ogni occasione.
«Che dopo la vittoria prussiana a Leuthen, l'esercito britannico sembra essersi rinvigorito.»
La sovrana assunse un'espressione vispa, che non sembrava presagire nulla di buono e la cosa che mi preoccupò di più fu che ero io a essere il centro della sua attenzione.
«Signorina Gleannes ditemi, voi avete perso vostro padre sul campo di battaglia, è corretto?»
Mi sentii scuotere da un'antica tempesta sopita. Gli occhi mi avvamparono e un ingombrante nodo prese possesso della mia gola.
«Jocelyn!» urlò suo marito, con gli occhi sbarrati.
«Che c'è?»
«Come vi viene in mente di affrontare un argomento così delicato con tale superficialità!»
«Calmatevi Carlyle» si spostò con la sedia per alzarsi «se non vi conoscessi direi quasi che vi interessa!» alzò un angolo della bocca, poi sorpassò il tavolo con movimento felino e abbracciò il principe sul collo da dietro.
Una leggera, impercettibile ma urlante gelosia provenne dal profondo delle mie viscere. Dovetti chiudere gli occhi per un secondo, per sopire quella sensazione e far finta di nulla.
Indispettito e visibilmente infastidito, Carlyle tolse le braccia della moglie da attorno a lui e si congedò da quella stanza, dopo averla freddamente baciata sulla guancia.
Alla domanda di Jocelyn su dove stesse andando egli rispose che si stava ritirando in biblioteca perché una buona lettura avrebbe agevolato la digestione.
Jocelyn bofonchiò stizzita «Sempre i vostri libri!» dopodiché anche lei uscì dalla sala da pranzo e mi lasciò da sola a rassettare e rimettere in ordine, dietro un mio cortese ma inudito «Buona giornata, Vostra Maestà!»

Una volta per le scale venni chiamata da lontano da Sir Jacques.
«Signorina Gleannes, qualche giorno fa è arrivata questa missiva indirizzata a voi e solo adesso mi ricordo di non avervela ancora consegnata!»
Mi allungò il biglietto e poi si allontanò di fretta.
Era ripiegato in quattro e tenuto fermo da un cordino marrone.
Quando lo aprii riconobbi la scrittura di Daisy e una forte commozione mi pervase. La lettera era stata scritta una settimana prima ma ero ancora in tempo per prendere parte all'evento di cui ella, con evidente gioia, mi parlava.
Quello stesso sabato si sarebbe sposata finalmente con Thomas Forks, evento che aveva dovuto rimandare fino a quel momento per colpa dei più disparati imprevisti: un eccessivo carico di lavoro presso la fonderia del suo futuro marito, un peggioramento delle già precarie condizioni di salute della signora Forks, per non parlare delle pessime condizioni metereologiche che diedero il benvenuto al nuovo anno e che avrebbero fatto desistere anche la coppia più innamorata.
Finalmente, dopo tanto tempo, Daisy Gleannes poteva convolare a nozze e smettere di dover procrastinare quel giorno che desiderava da tempo.
Fu quella la prima volta in cui mi immedesimai completamente in mia sorella e credetti insomma di capire cosa doveva provare nei confronti dell'uomo che sarebbe diventato presto suo marito. Ci trovavamo in una situazione molto simile, quantunque c'erano delle differenze evidenti.
Entrambe ci consideravamo indissolubilmente legate a un uomo: lei lo stava per sposare, io non lo avrei mai fatto. Entrambe, in aggiunta, ci saremmo nutrite del calore di qualcuno: lei lo avrebbe fatto alla luce del sole, io lo avrei fatto nell'oscurità.
Entrambe potevamo considerarci, chi in un modo, chi nell'altro, ineluttabilmente felici.

Il giorno successivo mi sarei recata da Margot's per acquistare un abito adatto per l'occorrenza, magari abbinandovi qualche gioia e un copricapo alla moda.
Entusiasta dell'idea, mi rintanai in camera per riposare un poco, consapevole di aver bisogno delle energie necessarie per passare lo straccio su tutti i corridoi del piano. Incarico che, di certo, non avrei svolto da sola.
Una volta entrata nella mia stanza trovai un biglietto inaspettato sul mio letto. Nessuno me lo aveva consegnato di persona ma era lì, immobile.
«Oggi è la giornata delle lettere!» ridacchiai tra me e me.
Quello però, a differenza del precedente inviatomi da Daisy, non era tenuto su da un anonimo cordino ma incollato da cera lacca rossa, rigorosamente senza sigillo.
Un forte tremolio mi percorse le mani. Il battito del cuore accelerò di botto e il suo rumore venne coperto solo dal canto di un usignolo proveniente dall'esterno.
Sapevo già da chi proveniva.
Staccai la cera lacca con cura, facendo attenzione a che non ne cadessero a terra i brandelli.
Poi presi un lungo respiro e aprii finalmente quel pezzo di carta.
Una sinuosa scritta nera si presentò ai miei occhi. Poche parole, che mi scombussolarono fortemente.

«Mercoledì prossimo. Ore 18. Alla scuderia.»

Misi la mano di fronte la bocca per sopire l'urlo di esaltazione che stava per fare capolino.

Un appuntamento, avevo un appuntamento!

Mi distesi sul letto a braccia aperte e osservai il soffitto. Il cielo era entrato nuovamente nella mia stanza. Afferrai il biglietto con entrambe le mani e lo sollevai in alto.
In controluce, però, sembrava ci fosse scritto più di quello che avevo appena letto. Lo girai sull'altro lato e comprovai che non avevo visto tutto.
Una sola parola era mancata all'appello e doveva essere scritta in latino se non andavo errata.

«Tecum.»

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