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Capitolo 40

L'eccitazione per l'accaduto venne sconfitta poco a poco dalla monotonia dei giorni che seguirono.
Non successe nulla di particolare che fosse ritenuto degno di nota: Sir Jacques allentò un po' il ritmo della sua pretenziosità non essendoci alcun evento alle porte, la principessa venne distratta dalla necessità di doversi rifare il guardaroba poiché riteneva che gli abiti della stagione trascorsa fossero ormai passati di moda e il principe si fece distrarre ancora di più dalle sue abitudinarie battute di caccia, come a testimoniare il fatto che non ne avesse mai abbastanza.

La mia agitazione nel rivedere Ethelwulf, dopo aver preso consapevolezza di quello che era effettivamente il suo interesse nei miei confronti, venne spazzata via come i disegni sulla sabbia da parte delle onde del mare nel momento in cui mi resi conto che lui, dell'accaduto, ricordava pressoché nulla.
Non lo vidi per niente il giorno seguente e questo me lo sarei potuto aspettare essendo che il trauma che aveva subito non lo avrebbe di certo risparmiato da un riposo forzato. Solo qualche giorno dopo lo scorsi passeggiare tra i giardini di palazzo, mentre io in solitaria mi preoccupavo di ripulire per l'ennesima volta il giardino all'inglese dalle sue erbacce selvatiche, affiancando quello che sarebbe stato più propriamente il lavoro del giardiniere.
Nel momento in cui si rese conto di me e mi chiamò da lontano, percepii un lieve turbamento impossessarsi delle mie membra e le interiora andare in subbuglio: non avrei voluto ripetere l'episodio della settimana precedente e tanto meno tornare a essere l'oggetto delle sue attenzioni così indelicate.

Ciò che risultò fu però completamente diverso da quello che mi sarei aspettata e constatai che l'alcol quella sera aveva contribuito a fare la maggior parte del lavoro.
Ethelwulf non era il ragazzo dai modi sgarbati e invadenti e tanto meno la persona che non sapeva quando dover stare al proprio posto, semplicemente il divertimento della sera e la leggerezza di qualche bicchiere in più avevano contribuito a rendere palesi dei sentimenti, se così potevano chiamarsi, che non potevano affatto essere imputabili di colpa.
Mi raggiunse di corsa, facendosi accompagnare da un fiatone che parve interminabile.
Ci tenne a scusarsi infatti per avermi lasciata da sola tutta la sera, che era consapevole di aver alzato un po' troppo il gomito e che era proprio per questo motivo che non ricordava ciò che era successo una volta mangiato il primo boccone. Era una cosa che voleva comunicarmi anche con una certa fretta perché temeva che avessi potuto provare del rancore nei suoi confronti se lui non mi avesse fornito tutte le spiegazioni del caso.
L'unica cosa di cui era certo era di essere caduto in malo modo e di essersi procurato gli ematomi sul volto, questo sempre perché gli era stato riferito dai domestici che lo avevano soccorso e poi accompagnato alla baita.
Era questo, in fin dei conti, ciò di cui erano convinti anche loro.
Annuii a tutte quelle parole e non gli feci pesare affatto il comportamento che lui stesso pensava di aver osservato quella serata, quantunque la sua convinzione fosse completamente distorta perché mi era stato alle calcagna per tutto il tempo, a parte che in alcune brevi pause.

Gennaio trascorse e terminò in un battito di ciglia così come le riserve di legna che i Kynaston avevano fatto mettere da parte per riscaldare le innumerevoli stanze di palazzo. Ethelwulf, per rendersi utile, aveva accelerato i suoi ritmi lavorativi ma ciò non era stato sufficiente per contrastare il rigido inverno che aveva deciso di abbattersi su Sommerseth, tanto che fu costretto a farsi affiancare da Henry, l'unico ragazzetto che fino a quel momento si era dimostrato volenteroso e disposto ad aiutarlo.
Era capitato di tanto in tanto che anche io perlustrassi i boschi alla ricerca di qualche roveto, pigna o ramo secco perché alla base della combustione dei tronchi e dei ciocchi imponenti di cui lo stesso Ethelwulf si occupava, ci dovevano essere le sterpaglie per permettere al fuoco di accendersi. Di questo era stato più che contento.

Quella mattina decisi di incamminarmi di buon ora e quando i colori bui della notte sfumarono nelle tonalità più calde del giorno, uscii e mi riversai nel bosco, alla ricerca di ciò che la natura secca offriva e al contempo anche di un po' di solitudine. La mia indole sensibile e riservata necessitava infatti di momenti da vivere in eremo poiché quei frangenti mi permettevano di ricaricarmi dal frastuono e dalla caoticità della solita routine.

Era già trascorsa un'ora e in quel frangente di tempo avevo avuto anche il lusso di godere di due scoiattoli alla ricerca delle ghiande per la giornata. Quello era stato un evento più unico che raro dal momento in cui sapevo che in quel periodo dell'anno trascorrevano la maggior parte del tempo a dormire.
Poi tra i rumori della natura si frappose quello di una carrozza.
Mi alzai da terra con gli zeppi ancora tra le mani e all'improvviso vidi il cocchiere interrompere bruscamente il viaggio.
La porta del mezzo si aprì scricchiolante e ne uscì Orville, tutto soddisfatto nel vedermi.
Dall'ultima volta che avevo avuto il dispiacere di condividere lo spazio con lui, aveva terminato di perdere i capelli e aveva messo ancora più stomaco di quello che ricordavo e, di certo, non aveva scelto il completo chiaro che indossava per evitare di mettere in mostra quell'inestetismo.
Feci finta di non averlo visto e mi prodigai a terra per finire di raccogliere quella catasta di legnetti che avevo trovato, poi ripresi il passo.
Orville non era di certo la persona che avrei desiderato vedere, tutt'altro, era decisamente l'ultima sulla mia lista.

«Che fai? Scappi?» vociò da lontano e la sua domanda venne anche ripetuta da un leggero eco.
Interruppi la mia andatura. Non potevo certo far finta di non averlo sentito sebbene fosse la cosa che avrei voluto fare. Ero completamente sola. Nessun'ombra all'orizzonte. Divenni molto irrequieta.
Possibile che più lo detestassi più me lo trovassi intorno? Per quale motivo quell'uomo continuava a infastidirmi con tutto che sapeva che gradissi la sua presenza meno di un pugnale conficcato in una gamba?
Mi voltai e feci finta di trasportare a fatica la legna che avevo tra le braccia così che la conversazione sarebbe durata il meno possibile.
«Vado solamente di fretta e anche una semplice conversazione potrebbe rallentare ulteriormente tutti gli impegni che devo portare a termine oggi.» nel rispondergli avevo evitato il contatto visivo.
Orville si avvicinò pericolosamente, poi si appoggiò al tronco di un albero e mise le braccia conserte.
«Sei rimasta la ragazza astiosa che ricordavo eh? Immaginavo, erroneamente, che lo sfarzo da cui sei circondata ora avrebbe addolcito un poco i tuoi modi volgari.» la sua ironia mi fece ribollire il sangue.
«Il mio astio, come lo definite voi, è rivolto solo alle persone che se ne rivelano necessarie destinatarie.»
Capì in un baleno che mi stavo riferendo a lui. Storse la bocca in un ghigno abominevole, così facendo le sue guance sembrarono ancora più paffute di come erano realmente.
L'arroganza e la presunzione di Orville dovevano necessariamente provenire da qualche parte. Mi convinsi infatti che l'agiatezza in cui aveva sempre vissuto congiuntamente al privilegio di intrattenere continui rapporti con la corona, avesse ingenerato in lui la falsa credenza secondo la quale potesse trattare come voleva le persone che aveva attorno. La differenza però stava nel fatto che io avevo mostrato in più di un'occasione di sgradire apertamente la sua presenza e tanto più le sue attenzioni. Di questo lui se ne faceva beffe, senza aggiungere che pareva quasi goderne.
Al suo essere arrogante e prepotente si aggiunse quindi anche l'indisponenza di chi riteneva lecito anteporre i propri capricci o desideri alla manifesta volontà altrui.
«Non capisco perché ti ostini a rifiutarmi.» sogghignò e poi si strofinò le labbra come se avesse appena mangiato una coppa di panna zuccherata.
«Non capisco perché vi ostinate a infastidirmi!» gli diedi le spalle perché quella conversazione stava durando già più del dovuto.
Orville scoppiò nella sua tipica risata altezzosa e rise così tanto che dovette concedersi del tempo per riprendere fiato.
Lo guardai sconcertata, l'ennesima rispetto alle innumerevoli volte precedenti.
«Perché io ottengo sempre quello che voglio.»
Poggiai la legna su un fianco.
«Peccato che finora avete ottenuto tutto ciò che volevate con il denaro e certamente, in questo caso, non sarà il vostro mezzo di scambio.»
«Dici?» si guardò le unghie «eppure alla tua famiglia il mio denaro è servito se non ricordo male.»
Mandai giù quel boccone a fatica.
«Vi correggo, il denaro di vostro padre.»
Era evidente che Orville e Ethelwulf fossero due persone completamente differenti, per quanto accomunate dal medesimo interesse nei miei confronti.
Il primo mi vedeva più come un oggetto da conquistare, una meta a cui arrivare e non si sarebbe fatto scrupoli a dover utilizzare quanti più mezzi in suo possesso per raggiungere il suo scopo: non provava infatti alcun coinvolgimento amoroso nei miei confronti, questo era evidente, e avrebbe demorso nell'attimo in cui fosse riuscito a soddisfare il suo capriccio.
Io o qualcun'altra al mio posto era indifferente, non digeriva affatto il mio rifiuto e non avrebbe mollato la presa fino a quando non avesse confermato la sua supremazia sul mio temperamento.
Questo testimoniava il fatto che tutte le donne che aveva avuto in passato erano state attratte più dal suo portafoglio che dal suo modo di essere, per cui quest'ultimo sarebbe passato in secondo piano di fronte a un sacchetto pieno di scudi.
Perché una cosa era certa: Orville non eccelleva né in bellezza né in garbo.
Ethelwulf, al contrario, era un ragazzo mite e dall'animo puro che mai si sarebbe incaponito di fronte a un rifiuto e che sapeva come trattare e amare una donna a tal punto da star male per lei anche dopo tanto tempo dal suo trapasso.
Orville mi raggiunse con una velocità che non si addiceva al suo fisico e mi afferrò per un braccio, facendo sì che perdessi la presa su ciò che stavo trasportando.
Un alone di terrore minò il mio volto.
«Non credo che schiferai così tanto il mio denaro una volta che ci avrai messo le mani sopra.» strinse ancora di più la morsa e un gridolino di dolore fuoriuscì dalle mie labbra serrate.
«Lasciatemi in pace Orville, una volta per tutte!» mi lamentai.
«Giammai!» si staccò finalmente, poi ridiede una sistemata al suo completo in raso che tra i vari movimenti si era stropicciato e sogghignò «o meglio, lo farò quando sarai promessa a qualcun altro ma, date le circostanze, dubito che lo sarai mai.»

In lontananza udii una voce allarmata chiamarmi.
Era Ethelwulf che sicuramente non avendomi vista arrivare, aveva deciso di venirmi a cercare. Mi trovai ad apprezzare quel suo intervento molto più di un bicchiere d'acqua nel deserto.
Il ragazzo arrivò in un batter d'occhio, fulminando Orville con gli occhi e ingenerando in questo un atteggiamento di sfida.
Si mise vicino a me e mi cinse la schiena con un braccio - mi ero dimenticata infatti di quel suo innato senso di protezione - poi mi chiese dolcemente «Tutto bene?»
Guardai i suoi occhi marroni e le increspature sulle guance «Tutto bene.» risposi, ma dal mio tono era evidente che stessi mentendo.
Orville, dopo aver assistito a quella scena, non si risparmiò da un riprovevole sghignazzo «Dici davvero? Un taglialegna?» spostò poi il suo peso sulle ginocchia e continuò a ridere, di fronte ai nostri occhi sconcertati.

Un suono inconfondibile, di zoccoli battenti sul terreno bagnato e di criniera sciolta al vento, catturò la mia attenzione e il mio respiro. Mi girai nella sua direzione e scorsi la gioia in lontananza.
Il principe arrivò sul dorso di un cavallo bianco chiazzato di marrone.
Una scossa elettrica mi pervase il midollo: riconobbi quel cavallo a distanza di tempo, lo stesso che aveva cavalcato un uomo prima ancora che io entrassi a palazzo, lo stesso che avevo scorto a fine estate dall'altra parte del fiume.
Era lui allora.
Era sempre stato lui.
«Cosa sta succedendo qui?» riportò alla calma il trotto del cavallo, poi finalmente l'animale si fermò.
Tutti ci inchinammo e Orville diede le sue spiegazioni.
«Ho da poco terminato l'incontro con il vostro contabile, ora stavo... salutando... una mia vecchia conoscenza.»
Digrignai i denti e lo incenerii con lo sguardo. Carlyle si rese conto del mio stato d'animo.
«Io, Vostra Maestà, ero qui solo di passaggio.» spiegò Ethelwulf.
«Bene, ora tornate al vostro lavoro» poi si rivolse a Orville «signor Patel, con voi avrò l'onore di rivedervi quando ce ne sarà di nuovo bisogno» infine si rivolse a me, impegnandosi a non guardarmi negli occhi «Voi invece... rientrate a palazzo.»
Come un sacerdote decreta il termine della messa, allo stesso modo Carlyle sciolse quel gruppetto clandestino e ognuno tornò al suo luogo di provenienza.

Trascorsi febbraio a perfezionarmi nella scrittura e potei considerarmi, a fine mese, definitivamente istruita. Ethelwulf dal canto suo, aveva continuato a ricavarsi quanto più tempo possibile per stare con me, tanto che a volte, quantunque apprezzassi la sua compagnia, mi era capitato di sentire la sua presenza un poco asfissiante.
Avevo per caso contribuito a dare origine in lui una qualche illusione?

Una calma giornata di marzo, anche con una certa fretta, venni avvisata di recarmi nella sala degli Alabardieri perché il principe e la principessa volevano dare udienza.
Mi diedi appuntamento allora con Marfa e Lydia e insieme ci dirigemmo a destinazione perché da come avevo capito si trattava di un annuncio abbastanza importante a cui dovevano partecipare diverse persone.
Quando entrammo la sala era quasi piena e tutti i domestici erano posizionati sul suo perimetro, i Kynaston invece erano seduti in lontananza, in attesa che la stanza terminasse di riempirsi.
Con grande incredulità, mi accorsi che Ethelwulf si trovava al centro, vestito in maniera elegante e con la capigliatura bionda tutta in ordine.
Jocelyn vestiva un sorriso compiaciuto e sincero mentre Carlyle sembrava abbastanza ignaro di ciò che stava per succedere, come del resto lo ero io.
«Signor Jhoanart, possiamo iniziare quando volete.» Jocelyn fece cenno con le mani per dare la parola a Ethelwulf.
Il ragazzo allora si girò verso la platea e estrasse un foglio ripiegato da dentro la giacca, poi lo lesse ad alta voce.

Vostre Grazie, compagni miei, Anthea...

Alzò gli occhi e mi guardò intensamente.
Mi sentii profondamente agitata. Non riuscivo a capire.
Il principe, all'udire il mio nome, parve impressionarsi anche lui.
A non saperne nulla allora eravamo in due.

Ho richiesto la presenza di voi tutti perché gradisco fare le cose alla luce del sole e rendervi partecipe del mio desiderio.

Riprese fiato. Era visibilmente emozionato.

Da quando sono arrivato qui non c'è stato momento in cui non avrei desiderato trascorrere del tempo insieme a te, Anthea Gleannes. Il desiderio che hai manifestato nello starmi vicino e di approfittare di quegli angoli nascosti che la quotidianità ci concede mi ha fatto ben sperare che l'affetto che nutro per te sia dall'altra parte corrisposto. La tua freschezza, la tua sensibilità e la tua amabilità sono state le protagoniste dei miei pensieri e dei sogni miei più turbolenti anche se, come è facile da intendere, il solo pensarti non eguaglierebbe mai la tua presenza.
Anthea, tu siete l'abbraccio che non smetterei mai di anelare, il risveglio che attenderei ogni mattino.
Non desidero per questo attendere un giorno in più e ho fretta a confessarmi.

Lydia e Marfa mi spintonarono al centro della sala, verso di lui, sotto le loro risatine civettuole.
Avanzai, ma la stanza cominciò a vorticarmi intorno, non riuscivo a espandere il petto e una morsa alla gola mi impedii anche di emettere un debole suono.
Ethelwulf venne verso di me e mi prese la mano.
«Cosa significa questo?» Carlyle interpellò sua moglie con irrequietezza, questa però non gli diede alcuna considerazione. 
Il taglialegna ripose la lettera e si inginocchiò.
Avrei voluto evaporare, ma non ero acqua, esplodere, ma non ero vulcano.
«Signorina Gleannes, mi faresti l'onore di diventare mia moglie?»
Uno schiamazzo di festa si elevò in aria. Applausi, grida, congratulazioni.
Ethelwulf si alzò e mi abbracciò con le lacrime agli occhi per la commozione.
Ero pietrificata.
Implorai Carlyle con lo sguardo di venire in mio aiuto, ma questi parve senza vita. Cadde sulla sua poltrona, con la bocca aperta in affanno e gli occhi sbarrati.
Ero persa, e lui più di me.
Io non avevo acconsentito, ma erano stati gli altri ad accettare in mia vece.

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