Capitolo 38
I conati di vomito non erano ancora terminati, per quanto il mio stomaco fosse completamente vuoto e mi sentissi più leggera di una foglia.
Quella sensazione di leggerezza però non era che effimera perché in realtà pareva che stessi trasportando un macigno direttamente sulle spalle.
All'iniziale rabbia, prima reazione che avrei potuto avere di fronte a quell'episodio, si sostituì poco a poco un forte senso di solitudine e impotenza.
Chi ero io per giudicare? Chi ero io per arrabbiarmi?
E chi era lui per offendermi o per prendersi gioco di me?
Erano queste le domande che si intervallavano nella mia testa e, quasi come se fosse in atto una sfida, alternavo momenti in cui davo ragione alle prime e momenti in cui assecondavo le seconde.
Uscita da palazzo mi diressi verso il Canalone Grande per dare da mangiare alle carpe, compito che ogni volta eseguivo con piacere. Quel gesto mi rilassava.
Una volta arrivata, buttai del granturco dorato nell'acqua e piano piano un branco di pesci grassi e affamati prese a fare capolino sulla superficie, alla ricerca di quanti più chicchi riuscissero ad afferrare.
Il gioco fu interrotto da una figura femminile che attirò la mia attenzione semplicemente chiamandomi.
Presi un'altra manciata di grano e la gettai in acqua e sembrava che più davo loro da mangiare più facevano a gara per accaparrarsi quanto più cibo possibile.
Aspettai. Nel giro di poco Marfa mi raggiunse. Avevamo infatti molte cose da dirci e speravo che ne avrebbe approfittato per ricavarsi del tempo per noi due.
«Buongiorno, Anthea.»
«Buongiorno, Marfa!» le sorrisi, facendomi schermo con la mano per coprirmi dalla luce pallida.
«Non pensavo di trovarti qui.»
Contrariamente a come avevo congetturato allora, la sua comparsa era stata del tutto fortuita e il caso, o il destino, aveva voluto che mi trovassi lì proprio in quel momento.
«Mi hai trovata appena in tempo, ho quasi finito e stavo per rientrare a palazzo.»
Mi affiancò. Prese le ultime manciate di grano che erano rimaste nella mia borsa e cominciò a gettarle anche lei.
«In due si fa prima.» ammiccò.
«In due... si fa prima.» ribattei.
Passarono dei minuti di silenzio, poi lei si fece coraggio con evidente difficoltà.
«Volevo ringraziarti per l'altro giorno. Non so cosa sarebbe successo se non ci fossi stata tu a venire in mio soccorso.»
«Eri molto turbata, lo riconosco.»
Fui meravigliata da quel gesto che provenne del tutto inaspettato avendo preso confidenza con il fatto che si trattava di una persona molto riservata e schiva.
Mi girai verso di lei e ne studiai il volto. Era evidente che fosse turbata e ritenni che la preoccupazione non fosse dovuta esclusivamente all'episodio con Maximilian ma anche a tutto un trascorso che aveva vissuto direttamente sulla sua pelle.
A un tratto vidi nuovamente lacrime rigarle il volto, quella volta non lacrime di rabbia ma di rassegnazione.
In fin dei conti non eravamo in una situazione così diversa.
Scostai il mantello e presi un fazzoletto dalla tasca del grembiule, glielo porsi e questa mi sorrise come se le avessi fatto il favore che stava cercando. Se lo passò sull'intero volto e poi se lo inserì nella manica, con la promessa che me lo avrebbe restituito pulito.
«Risulto troppo sgarbata se ti chiedo cosa è successo?» proferii quelle parole con il timore di chi stava per pronunciare un sacrilegio, con la trepidazione di chi stava per rubare dentro casa altrui e con la preoccupazione di chi avrebbe potuto risultare troppo invadente.
«No, non lo sei, credo che io debba dartene dopo tutto.»
Marfa rispose con tono rassicurante e ciò spazzò via tutte le angosce che avevo avuto fino a un secondo prima.
Si alzò in aria uno stormo di capinere, ci sorvolò il capo e si spostò verso l'orizzonte; una volta scomparso, Marfa si destò da quello spettacolo in volo e cominciò.
«Vedi, quello che sto per dirti é una cosa che sanno in pochi e questa è la ragione per cui preferisco parlarne veramente di rado. Ciò nonostante penso che di te io possa fidarmi. È così vero?»
Misi una mano sul cuore e l'altra sollevata in aria: le stavo giurando che dalla mia bocca non sarebbe fuoriuscita una virgola di troppo e che con me quel segreto sarebbe morto sepolto sotto coltri di terra.
Prese un respiro profondo, uno di quelli che riempiono i polmoni e che offuscano per breve tempo il battito del cuore, poi espirò con vigore.
Iniziò «Io e Maximilian ci siamo conosciuti cinque anni fa. Avevo poco più di quindici anni mentre lui aveva superato i trenta da un bel pezzo. All'epoca era già sposato ma questo lo venni a scoprire molto in ritardo, forse troppo...» si morse il labbro.
All'udire quell'affermazione capii di aver avuto ragione allora a pensare che ci fosse stato un qualche coinvolgimento amoroso tra loro.
«Dove vi siete conosciuti?» continuai.
«A Dorchester.»
«Proprio qui vicino allora!» risposi sbalordita.
«Sì, lavoravo lì prima di venire a palazzo e lui altrettanto.»
«Non sapevo avessi avuto un impiego precedente e che questo fosse stato in Inghilterra.»
Il viso le si incupì. Abbassò le palpebre quasi a chiudere completamente gli occhi, si morse nuovamente il labbro e poi cercò la forza per rispondere a quell'affermazione.
«È stato un impiego durato circa quattro anni, poi grazie alla principessa sono entrata a palazzo. Ora eccomi qui.»
Quelle parole mi risuonarono come qualcosa di sospetto. Sapevo che Jocelyn non avrebbe fatto favori a nessuno eppure avevo la strana convinzione che per Marfa le cose fossero andate diversamente.
«Che lavoro facevi prima?»
La domanda che avanzai fu totalmente priva di malizia e di secondi fini, la esposi solo per continuare un discorso che la stessa Marfa pareva voler sostenere, tuttavia sembrò averla colpita nel profondo, diede infatti l'impressione che avesse temuto quella domanda per tanto tempo e che, se avesse potuto, avrebbe evitato di rispondere.
Salutammo nel frattempo lo stalliere che ci era passato di fronte. Era uscito a portare al trotto un cavallo ormai troppo vecchio per essere montato come una volta, tuttavia Mark riteneva che fosse importante fargli sgranchire i muscoli di tanto in tanto, evitando che questi si intorpidissero eccessivamente e che rilegassero l'animale in un perenne stato di atonia.
Il tempo trascorse e anche le carpe erano ormai scomparse, consapevoli che per quel giorno la loro razione di cibo l'avevano ricevuta.
Marfa poggiò entrambe le braccia sulla ringhiera in ferro e si accomodò su di esse con tutto il peso, poi increspò gli occhi e le sue pupille cambiarono colore in un nocciola caldo per via del riflesso dell'acqua.
«Non ti sto ignorando, sia chiaro. È solo che la risposta a questa domanda mi provoca non poca inquietuine.» esordì così e percepii tutta la sua agitazione sulla mia pelle, come se la stessi vivendo in prima persona.
Mi abbassai allora alla sua altezza, appoggiandomi anche io alla ringhiera e tirando una gamba all'indietro per stare più comoda.
«Non sono qui per giudicarti, sai? E poi non sei tenuta a rispondermi se questo ti causa disagio.» dopodiché mi girai verso di lei e le poggiai una mano sulla spalla. Pensai che quel gesto infatti avrebbe potuto rassicurarla e farla sentire meno in soggezione di come doveva sentirsi in quel momento.
Lei di risposta adagiò una guancia sulla mia mano e emise pochi, ma profondi respiri.
«Ho incontrato Maximilian in un bordello.»
La mia mano si bagnò subito.
Mi sentii confusa, non era certo il luogo che mi sarei aspettata avrebbe detto... avevo forse capito male?
«Un bordello?» azzardai a chiedere nuovamente per eliminare ogni dubbio.
«Sì, mi prostituivo lì dentro.»
Quella rivelazione fu abbastanza scioccante, tanto che dovetti rimanere a riflettere su quelle parole, per elaborare bene una risposta o per lo meno per metabolizzare che Maximilian era l'uomo che Marfa riceveva pressoché tutti i giorni nel suo letto.
Strabuzzai gli occhi una, due e più volte.
C'erano troppe cose che non mi tornavano infatti: come aveva fatto la principessa ad ammettere a palazzo una donna che proveniva da una vita simile? Che ragione c'era da parte di Marfa di avere una reazione del genere alla vista dell'uomo, se il rapporto che li aveva legati era puramente carnale?
Non la stavo giudicando e non l'avrei mai fatto, solo che non capii per quale motivo una ragazza così bella e in gamba avesse scelto per sé quella strada.
Marfa trascorse il tempo a fissarmi dopo quella rivelazione, chiedendosi se avesse fatto bene o no a condividere quel segreto con me.
Mi fissava con i suoi occhi marroni e aspettava che la mia bocca si contorcesse in qualche movimento per ricevere una risposta o un'osservazione a quella domanda. Decisi di prendermi del tempo per racimolare le parole giuste per dare vita a una frase di senso compiuto che fosse idonea per quella rivelazione.
«Siete stata tanto tempo lì dentro?» pensai infatti che analizzare quella confessione in maniera neutra, senza caricarla di eccessiva emotività mi avrebbe aiutata a entrarci meglio.
«Ho iniziato che avevo tredici anni.»
Sobbalzai «Tredici anni? Eri... una bambina ancora! Chi ti ha costretto a ciò?»
«Nessuno! Ero una bambina sì, ma non avrei avuto altra scelta.» sospirò sentenziosa.
«Forse non te la sei data.»
«Forse non l'ho trovata.»
Mi spiegò che aveva perso suo padre così presto che a malapena ne ricordava i lineamenti del volto, che quello che poteva fare era solo immaginarli su di sé dal momento in cui sua madre e chiunque lo avesse conosciuto quando era ancora in vita asseriva che lei fosse la copia spiccicata dell'uomo.
Il suo discorso proseguì soffermandosi sul fatto che sua madre aveva sofferto di cecità pressoché da sempre e che questo le avrebbe impedito a lungo andare di preoccuparsi di lei e di suo fratello, aggiunse che quella scelta fu quasi costretta e che le prime volte fu devastante, dal momento in cui la sua matrona le inviava in camera uomini di qualsiasi età, addirittura uomini che avrebbero potuto essere i suoi nonni, poi le cose si assestarono nel tempo, forse perché aveva cominciato a farci l'abitudine.
Si soffermò infine sull'incontro con Maximilian. Mi disse che dopo due anni passati tra quelle lenzuola sudicie, quell'uomo era stato l'unico a non averla costretta a fantasie strane e a trattarla con dolcezza. Era stato il primo uomo ad averla fatta sentire donna. Aggiunse che c'erano state volte in cui, invece che pagarla per il normale servizio, l'aveva pagata per intrattenerlo nel discorso.
«Scoprii in seguito che era molto bravo a dipingere.»
Gli occhi le si illuminarono nuovamente quando mi raccontò che una volta le aveva chiesto di denudarsi e di indossare solamente una collana d'argento con un ciondolo azzurro che all'apparenza sembrava anche molto prezioso. In quell'occasione l'aveva pregata di distendersi sul letto e di rimanervi tutto il tempo necessario dato che aveva pagato la matrona per stare con lei l'intera giornata.
«La matrona avrà pensato che fosse in astinenza e che avesse bisogno di intrattenersi tutto il tempo. In realtà quel giorno non mi sfiorò nemmeno. Si catapultò in tutto e per tutto nel mio ritratto.»
Al termine della giornata scoprì che quell'uomo, di cui conosceva da un anno ogni angolo e di cui ricordava a memoria tutte le sfumature dei suoi peli pubici, era sposato, perché la collana che le aveva fatto indossare per la realizzazione dell'opera apparteneva a sua moglie.
A quella rivelazione ci rimase male. Aveva imparato a tenere a Maximilian in maniera diversa da come aveva fatto fino ad allora ad esempio con suo fratello. Essendoci un'altra donna nella sua vita, lei sarebbe continuata ad essere solo la distrazione della sera.
«Te ne eri innamorata.» evidenziai io a cuore aperto.
Condivise quel pensiero ma confessò che ne divenne consapevole solo quel giorno, dopo che Maximilian essendosi reso conto della sua malinconia, la avvolse tra le braccia e la baciò in maniera passionale, successivamente la accompagnò sul letto e si spogliò.
Quella volta fecero l'amore veramente e non fu solo un avvinghiarsi di corpi che si muovevano in movimenti spastici ma un'unione di anime che desideravano comunicarsi quanto più possibile ciò che le parole non erano in grado di fare.
«Quando sua moglie morì di parto, gli incontri con Maximilian divennero molto più frequenti, fino a diventare giornalieri.»
Aggiunse che non incontrava più nessun uomo da quando c'era lui così spesso e che da parte di entrambi era evidente ci fosse molto più del semplice affetto.
Dopo più di un anno dal loro incontro, aveva imparato ad amare il tempo trascorso in quella stanza sporca e arredata con mobili vecchi, diventati la casa di una colonia di tarli, fino a quando Maximilian non le propose di uscire da quel sudiciume per andare a vivere a casa sua.
«Come sua moglie?» esternai il mio stupore quantunque me lo aspettassi un minimo.
«All'inizio no, sarei stata solo un'inquilina di quella casa, ma il nostro progetto era quello. Un giorno sarei diventata sua moglie.»
Ascoltai quelle parole cariche di emozione e improvvisamente capii quanto si fosse sentita priva di vie d'uscita e obbligata per una strada che forse non avrebbe mai percorso. Tuttavia, per quanto fosse stata un'esperienza dolorosa e segnante per una bambina di quell'età, si era conclusa in maniera inaspettata.
«Come andò a finire poi?»
«Andò a finire che da quel bordello ne uscii solo due anni più tardi, quando finalmente entrai a Palazzo Livingstone. Non diventai mai la moglie di Maximilian e smisi anche di essere sua amante.»
Al solo ricordo increspò il mento e storse la bocca, il suo naso divenne rosso insieme alle sue guance e un fiume di acqua salata cominciò a scendere da quelle pupille nocciola. Portò allora le mani agli occhi per asciugarseli ma fu del tutto inutile perché quante più lacrime asciugava, tante più ne uscivano.
Mi commossi anche io a vederla così, la abbracciai e le accarezzai i capelli, come già avevo fatto una volta.
«Ti ha abbandonata?»
I rantoli che uscirono dalla sua gola furono la risposta e non fu necessario pretendere ulteriori spiegazioni. La abbracciai più forte di prima per ribadire la mia presenza fino a quando non constatai che si era calmata.
«Ti sei innamorata di Maximilian perché è stato l'unico a trattarti con gentilezza.»
Inghiottì quelle parole e fece un lieve cenno affermativo con la testa, poi si staccò da me per ricomporsi, si tamponò il volto con la gonna e si legò nuovamente i capelli che nell'abbraccio si erano scompigliati sotto la cuffia.
Rimanemmo lì ancora un po', a goderci la vista della pineta antistante e dei giochi di luce che provenivano dall'acqua.
«Se potessi tornare indietro faresti qualcosa di diverso?»
La mia voce si mischiò con il richiamo di una famiglia di anatre che si erano poggiate sul pelo dell'acqua e che dopo un'iniziale starnazzamento, si quietarono, in attesa anche loro di una risposta da parte di Marfa.
«Non so dirti con esattezza. Non so se mi sono pentita del mio passato ma ciò che è sicuro e che quel posto mi ha dato la cosa più preziosa che possiedo.»
Non poteva riferirsi a Maximilian, non dopo che era scomparso dalla sua vita. Avrei voluto domandarle a cosa si riferisse ma la mia intenzione fu impedita dall'arrivo della signorina Adams che mi richiamava a palazzo per eseguire alcune faccende che da sole non si sarebbero sicuramente svolte.
Impiegai i giorni successivi a perfezionarmi nella lettura e nella scrittura insieme a Ethelwulf. Avevo iniziato a notare da parte sua un lieve cambiamento nel modo di approcciare a me: lo vedevo più attento, coinvolto e anche più affettuoso.
Il fatto che fossimo quasi sempre insieme aveva fatto sì che io cominciassi a considerarlo un buon amico e una piacevole persona con cui passare del tempo di qualità mentre lui, da un po', mostrava il desiderio di stare vicino a me molto più che come un amico.
Non ebbi modo di pensarci a sufficienza che subito arrivò il giorno della festa a cui sia io che lui eravamo stati invitati.
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