Capitolo 30
Fu quella una delle notti in cui dormii meglio in vita mia. Il canto del gallo disturbò il mio sonno ultraterreno e non provocò altro che il mio rintanarmi sotto le calde lenzuola di flanella.
Mi lasciai cullare ancora un po' dall'avvolgente tepore del mio corpo e senza rendermene conto sprofondai nuovamente tra le braccia di Morfeo.
Fui svegliata dal rumore della porta che si chiudeva. Marfa mi aveva detto di aver il turno di mattina per servire la colazione ai principi e io godetti nel sapere che avrei potuto approfittare ancora un po' della compagnia del mio spartano giaciglio.
Quando iniziai a sentire il vociare della servitù per il corridoio del piano, con molto dispiacere, mi convinsi che fosse ora di alzarsi.
Mi preparai in poco tempo e per fortuna non ebbi il bisogno di farmi un bagno, avendoci pensato la sera precedente. Mi diressi presso le cucine dove mi aspettava una fetta di pane imburrato con del tè nero bollente e in seguito uscii il tempo di una decina minuti per prendere una boccata d'aria fresca. Saranno state le sette del mattino ma essendo inverno inoltrato sembrava fosse ancora notte.
Ero molto emozionata per quella giornata. Non vedevo la mia famiglia da troppo tempo ormai e proprio in quel giorno avrei richiesto di poter godere dei due giorni di ferie che mi spettavano di diritto ogni mese. Fino ad allora avevo sempre rinunciato, colpevole il fatto che la sovrana avrebbe riconosciuto la paga giornaliera doppia a tutti i domestici che avessero scelto di non fruire di quei due giorni.
Quel mese decisi però che non avrei fatto gli straordinari e che avrei anteposto all'aspetto economico l'amore per la mia famiglia.
L'unica cosa che dovevo fare era recarmi da Sir Jacques, chiedergli di procurarmi un foglio da lui sottoscritto in cui venivano riportati i giorni in cui sarei stata assente e poi recarmi dalla principessa per chiederle di apporre il suo sigillo.
Era lei del resto che si occupava di queste cose.
Rientrando dal giardino incontrai la signorina Swither mentre trasportava una pila di bucato talmente alta che solo la sua andatura mi rese possibile capire chi fosse.
«Luisa!»
Questa parve tentare di fare capolino con la testa da dietro quel cumulo, ma con scarsi risultati. Fortunatamente anche lei mi riconobbe senza il bisogno di vedermi direttamente.
«Ditemi Anthea, ma fate veloce perché qui l'equilibrio è molto precario!»
Raccolsi in un attimo la mia richiesta «Avete visto recentemente Sir Jacques? Oppure sapete dove si trova in questo momento?»
«Da quel che so stava parlando con Lydia nel vestibolo. Non so se si sia spostato ma vi invito a dare un'occhiata.» rispose soffocando le parole in gola dallo sforzo per evitare che quel candore profumato si riversasse a terra.
La ringraziai e corsi il più velocemente possibile. Non ricordai fossero così poche le scale che mi separavano dalla mia destinazione, forse complice il fatto che non appena scorsi la chioma argentata di Théodore macinai le scale due a due, rischiando di inciampare più volte.
Il maggiordomo si girò, forse attirato dal rumore svelto delle mie suole sul marmo, e quando capì che era proprio lui che cercavo, arrotolò la pergamena che aveva tra le mani e la ripose nel panciotto.
«Sir Jacques, grazie di avermi aspettata!» dissi ansimando per la corsa.
«Non si direbbe affatto che stavate venendo di corsa da me, eh! Riprendetevi mia cara.»
Due, tre e poi quattro respiri furono sufficienti a riportare il mio fiato a una cadenza costante.
«Il motivo di tutta questa fretta sarebbe...?» domandò lui dubbioso.
«Volevo chiedervi se foste così gentile da rilasciarmi l'autorizzazione per i miei due giorni di riposo.»
«Certamente, venite nel mio ufficio.»
L'ufficio di Sir Jacques era quello che sarebbe spettato per prassi al primo maggiordomo di corte: ambiente non troppo ampio, con parquet di mogano sul pavimento e fino a metà parete e scrivania ad altezza bacino, con carte arruffate e vecchi calamai in cima.
Prese una pergamena un po' ingiallita, scribacchiò qualche frase indecifrabile e poi vi appose la sua firma.
«Quasi dimenticavo, che giorni sarete assente?»
«Stavo pensando se fosse possibile assentarsi oggi e domani, sempre che il mancato preavviso non sia un problema.»
«Non dovrebbero esserci complicazioni, le cose a corte sono abbastanza tranquille.» segnò le due date sul foglio che fui in grado di riconoscere. Ormai con i numeri avevo iniziato a prendere dimestichezza, poi aggiunse «l'importante è che siate presente la settimana prima di Natale, lì dovrete proprio dimenticarvi di mettere piede fuori da palazzo.»
«Potrò dimenticarmene proprio perché non avrò più giorni disponibili.» gli strizzai l'occhio.
Mi porse la pergamena «Ora manca solo il sigillo, andate.»
«Vi ringrazio, scappo dalla principessa!» mi voltai con uno scatto fulmineo, tanto che la mia gonna si aprì a cerchio, ma fui immediatamente attirata indietro.
«Oh no, la principessa è uscita per delle commissioni con le sue dame di compagnia, c'è il principe al posto suo. Rivolgetevi a lui.»
Un tuffo al cuore fu l'unica cosa che percepii con i miei cinque sensi.
«P...principe?» balbettai.
«Sì, e vi consiglio di sbrigarvi prima che esca per la sua battuta di caccia.»
La rapidità che mi avrebbe fatto strada verso le stanze della principessa venne sostituita da un andamento traballante e incerto. Avevo imparato, a seguito di tante perlustrazioni, che il principe dopo la colazione usava recarsi presso la Biblioteca Palatina per consultare i tanto amati volumi latini con il fine di carpirne qualche insegnamento di vita; trascorsa un'ora, abbandonava poi i suoi studi per dedicarsi al suo passatempo preferito.
Non avevo un faccia a faccia con il principe da qualche mese e non sapevo che cosa mi sarebbe aspettato quel giorno. Temevo mi avrebbe liquidato con un battito di ciglia o che, peggio ancora, non avrebbe acconsentito a ricevermi.
Procedetti con andamento lento fino alla porta che mi separava dalla sala in cui si trovava. Sentii le budella contorcersi e una sensazione di nausea salirmi su dalla bocca dello stomaco. Racimolai quel frammento di coraggio che ero sicura avere in qualche parte del mio corpo e, con un movimento insicuro, bussai alla porta.
«Avanti!» rispose una voce calda e profonda.
Entrai, cercando di minimizzare qualsiasi tipo di rumore, come se desiderassi in cuor mio di non essere vista. I miei tentativi sembrarono funzionare dal momento in cui il mio ingresso non parve disturbarlo dalla sua consuetudinaria lettura.
Lui era lì, seduto e perfetto come me lo ricordavo dal giorno precedente e da quello antecedente ancora. Il tiepido sole mattutino illuminava la sua chioma ricciuta di riflessi rossastri e rendeva la sua pelle bianca cipria ancora più perlacea, le sue folte ciglia coprivano totalmente i due zaffiri sottostanti e le sue mani affusolate e virili seguivano sollevando una pagina dopo l'altra, con gesti talmente delicati da sembrare inesistenti.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi fermai proprio qualche passo più in avanti. Se non avessi avuto la sicurezza di trovarmi in quella sala, avrei detto, senza ombra di dubbio, che stavo viaggiando su una nave in balia di una tempesta per quanto mal di mare provavo.
Solo dopo qualche secondo il principe alzò il capo e mi rivolse uno sguardo disattento, per poi tornare a rivolgere l'attenzione alla sua distrazione.
Alzò nuovamente la test. Questa volta però si rese conto chi avesse davanti. Vidi il suo corpo irrigidirsi, le sue mani così eleganti divennero nodose e paralitiche; il suo petto smise di espandersi come faceva fino a poco tempo prima e cominciò ad alternare tra di loro movimenti spastici.
Scaraventò su un lato della scrivania il tomo, fino a quasi farlo cadere e poi appoggiò le mani davanti a sé per alzarsi. Non fu necessario poiché mi avvicinai e feci la consueta riverenza.
Come una calamita, i suoi occhi cominciarono a perlustrarmi: sulla fronte, sulla bocca, sul petto, sulle mani, sui fianchi per poi risalire sui capelli e infine cadere a sua volta sui miei occhi.
Fino al giorno prima mi aveva ignorata, adesso invece sentivo la sua attrazione magnetica cercare di farsi spazio dentro di me alla disperata ricerca di qualcosa.
Percepii un forte calore salirmi dal ventre, fino a incendiarmi le tempie e, molto volentieri, mi sarei scaraventata come un'aquila sulle finestre per respirare e fare il pieno dell'aria ghiacciata dell'esterno pur di non soffocare.
Eppure, non ero un rapace ed ero lì per un motivo preciso.
Gonfiai a pieno i polmoni per quello che il mio corpetto mi concesse e poi cominciai ad articolare una parola dopo l'altra.
«Vostra Maestà, sono qui per richiedere l'apposizione del vostro sigillo su questa pergamena affinché io sia autorizzata a lasciare il palazzo.» gliela consegnai e lui me la strappò dalle mani.
«Per quanti giorni starete via?» replicò lui, senza quasi permettermi di concludere la richiesta. La sua non era tanto una domanda, quanto una necessità di sapere.
«I giorni che mi spettano per contratto, Vostra Maestà.» risposi, occultando l'emozione.
«E quando partireste?»
Tutte le informazioni che cercava erano riportate sul documento che stringeva tra le mani, ciò nonostante perché continuava a farmi domande?
«Oggi stesso, Vostra Maestà.»
Spalancò gli occhi «Oggi?» rispose scioccato.
«Sì, Vostra Maestà. Sir Jacques ha approvato la mia richiesta e attendo solo l'apposizione del vostro sigillo.»
Carlyle si alzò dalla scrivania e cominciò a camminare nervosamente per la stanza, tenendo la pergamena tra le mani. Finalmente si fermò, ma quello che proferì dalla sua bocca non mi piacque affatto.
«Voi oggi non partirete.»
Ascoltai le sue parole lapidarie e le bevvi in un solo sorso. L'agitazione cominciò a parlare per me.
«Vostra Maestà, non capisco, per quale motivo? Per favore, non potete farmi questo! È la prima volta che mi allontano da palazzo per rivedere la mia famiglia!» lo sforzo per impedire alle lacrime di fuoriuscire fu immane.
«Perché non me lo avete detto!» urlò così forte che la sua voce riecheggiò nel corridoio e chi non era a conoscenza del fatto che dentro quella stanza ci fosse una semplice domestica, avrebbe potuto pensare che il principe stesse conducendo un qualche incontro diplomatico destinato a terminare nel peggiore dei modi.
Rimasi sorpresa dalla sua risposta e mi chiesi se avessi sbagliato la procedura, se avessi prima dovuto richiedere l'approvazione della reggenza e poi sottoporre la mia richiesta a Sir Jacques. Ripercorsi a mente tutte le istruzioni che mi erano state impartite e comprovai che no, non avevo sbagliato.
«Vostra Maestà, se mi state dicendo che dalla prossima volta dovrò rivolgermi prima a vostra moglie per evitare spiacevoli inconvenienti, allora farò così. Vi prometto che lo farò anche con largo anticipo.»
Mi sembrava quella la risposta più logica da dargli, ma non parve soddisfarlo.
Si scaraventò sulla finestra, tirò le tende e poi le spostò. Aprì i battenti e lasciò entrare il vento umido che si impossessò della stanza, si sporse al di fuori e cominciò a respirare rumorosamente. Sembrava in preda a un attacco di pazzia.
Si girò di nuovo, prese il tomo latino, lo scaraventò a terra e mancò poco che non lo calciasse.
Ero completamente pietrificata, non sapevo che fare e come muovermi.
Se avessi peggiorato la situazione?
Quando si girò nuovamente procedette verso di me come una furia e si fermò a un metro di distanza.
«Quando tornerete qui?» era evidente che cercava di controllarsi il più possibile, ma la smorfia della sua bocca e l'assenza di luce nei suoi occhi dimostravano quanto scuotimento ci fosse dentro di lui.
«Domani sera.» scandii bene le mie parole, ogni lettera e ogni respiro. Volevo tranquillizzarlo, non potevo vederlo in quello stato... per il semplice fatto di aver avanzato una richiesta che mi spettava di diritto?
«Me lo promettete? Domani sera, non un'ora di più?» proferì disperato. Cosa doveva passargli per la testa? Perché non mi era stato dato il dono di leggere nelle menti?
«Certo Vostra Maestà, non potrei disobbedire a vostra moglie.»
Quando nominai sua moglie aggrinzì le estremità dei suoi occhi e della bocca e lì capì che Jocelyn era veramente l'ultimo dei suoi problemi.
Il vortice di emozioni che lo aveva reso schiavo continuò con il suo gioco e parve compiacersi dello stato in cui lo aveva ridotto.
«Come arriverete a destinazione?» si mise le mani tra i capelli, se avesse potuto se li sarebbe strappati.
La domanda meno semplice.
«Stavo pensando di camminare fino in città e poi pagare un cocchiere per trasportarmi a casa mia.»
Divenne rosso in faccia e i suoi occhi si trasformarono in quelli di un lupo indemoniato «State scherzando spero! Non capisco come possiate pensare certe cose!»
«Vostra Maestà, temo di non avere alternativa.»
Mi afferrò per un braccio e l'onda perfetta delle sue labbra insieme alla virilità della sua mascella mi sciolsero al suolo.
Dannazione, perché mi faceva quest'effetto!
Continuò «Avete idea dei pericoli che correreste? Pensate che spostarvi di notte sia più sicuro che partire a quest'ora?» si staccò da me e lanciò un pugno sulla scrivania per scaricare la tensione.
Il vetro delle finestre tremò.
Spostai il peso su di un piede «Ho ponderato questi aspetti ma temo di non avere altra scelta. Non dispongo di un mio calesse e tantomeno mia madre.»
Dimenticandosi di essere un principe, si sedette a cavalcioni sul tavolo, con la schiena ricurva e le braccia incrociate.
«Non arriverete a casa vostra in quel modo.» mostrò i denti e si disperò «non potete mettervi in pericolo... non potete... farmi... questo!»
Continuavo a essere sempre più allibita e spaesata per la sua reazione.
Improvvisamente qualcuno bussò alla porta. Carlyle non gli prestò attenzione e lo fece solo in seguito a un mio invito a rispondere.
«Un attimo, non vedete che sono occupato?» alla sua voce scura non seguì nessuna risposta.
«Prima di andare, dovete dirmi dove abitate.»
Altra domanda insolita, altra domanda a cui sentivo l'esigenza di rispondere.
Sentivo che dovesse conoscere tutto di me. Tutto e ancora di più.
Non fu pertanto per me difficile confidargli un'informazione così privata.
«Se sapete dove abitano i coniugi Patel, non sarà complicato capire qual è la mia residenza. Bisognerà procedere per il sentiero della pineta, sempre dritto e poi voltare a destra, in direzione della foce del Leheton. La mia casa è proprio l'ultima sulla strada.»
Fu il momento in cui vidi finalmente il principe rilassarsi. Cambiò il suo aspetto, tornò a essere quello armonioso e luminoso di sempre. Cambiò la sua posizione, il suo fiato, la sua espressione e perfino la sua voce. Non era più l'ululato di un lupo ma il canto di un merlo. Aveva ripreso colore sul viso e finalmente riconobbi l'uomo che mi faceva battere il cuore ogni volta che ne sentivo parlare.
«Ora andate. Vi aspetto per domani, ricordatevelo.» mi sorrise e persi un battito.
Quando uscii mi imbattei in una dama di compagnia che mi scrutò da cima a fondo con uno sguardo schifato. Segno che la principessa fosse rientrata.
Mi fiondai allora in camera per raccogliere le mie poche cose, aprii il cassetto e racimolai anche tutti gli scudi che avevo messo da parte proprio in vista dell'occasione.
Una volta uscita sul giardino mi trovai di fronte una carrozza reale e un cocchiere che mi faceva cenno di salire.
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