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Capitolo 3

Decisi di non dire nulla dell'accaduto. A nessuno. Neanche a Daisy.
Mi sentivo terribilmente in colpa, come se in qualche modo fossi stata io a causare quello che era successo.
Iniziai a dimenarmi tra mille pensieri per capire quale potesse esser stata la causa a dare seguito a quel comportamento invadente.
Forse è stata colpa della camicia troppo stretta, pensai. Forse avrei dovuto cederla a mia sorella come mi aveva detto mia madre tempo addietro e l'episodio accaduto il giorno prima non si sarebbe mai verificato.
Eppure che colpa ne avevo io. Di quell'episodio ero solo la vittima, ciò nonostante mi sentii spiacevolmente sporca.
Non capivo se stessi dando troppo peso all'accaduto: alla fine avevo evitato il peggio e non gli avevo concesso di oltrepassare i limiti del permesso.

Purtroppo fu quello il mio primo approccio alla sessualità. Un approccio sgradevole e imposto. Non avevo mai avuto una relazione con un uomo prima di allora, non mi ero mai innamorata e forse non sarebbe mai successo. 
Sarei stata ipocrita a dire che non sentivo anche io, di tanto in tanto, delle pulsioni che arrivavano direttamente dal basso ventre, sensazioni di calore miste a sensazioni di umido ma non mi era mai capitato di sfogarle e di vedere fino a dove sarebbero giunte. La mia innocenza aveva subito le prime crepe nell'istante in cui Orville aveva mosso in maniera inopportuna la sua mano su di me.
Che vergogna.
Che sensazione di disagio provai.

Si era fatta mattina inoltrata, saranno state circa le nove e ancora non mi ero alzata dal letto. Staccai il volto dal cuscino umido e mandai indietro i capelli per permettere ai raggi del sole di darmi conforto. Chiusi gli occhi e respirai. Lasciai per qualche secondo che il sole autunnale intiepidisse i miei pensieri gelidi e poi, finalmente, mi alzai. Mi infilai nella vestaglia di lana e scesi con molta calma in cucina. Mia sorella si era già alzata ed era in procinto di fare colazione, così mi diressi verso il fuoco dove c'era del latte a scaldare e me ne versai una tazza.
«Anthea lo sai? Lo sai?» gemette Daisy non appena mi sedetti. Il suo sorriso ampio faceva trapelare a malapena la gioia che doveva provare in quel momento: aveva un leggero tremolio alle mani, il suo respiro era visibilmente troncato e i suoi occhi lucidi, come quelli di una persona che si era da poco commossa.
«Cosa Daisy? Cosa dovrei sapere?» dissi io dopo aver deglutito il primo sorso di latte. La mia curiosità era naturalmente giustificata.
«Mi sposo!» strepitò lei.
Il secondo sorso di latte mi andò di traverso, strabuzzai gli occhi e l'unica cosa che mi venne spontaneo dire fu «Cosa?» tossii con veemenza per ripristinare una respirazione soffocata e proseguii «Che tipo di scherzo è questo? Non è uno scherzo? Stai dicendo sul serio?»
Daisy non proferì parola dall'emozione ma i suoi occhi risposero al suo posto.
«Ah quindi sei seria! Quando sarebbe stato deciso tutto questo? Chi sarebbe il tuo futuro marito? Mi trovi assolutamente impreparata e anche un po' delusa a dir la verità per venirlo a scoprire a cose già fatte!»
«Delusa di cosa? L'ho saputo anche io ieri!» ribatté lei soffocando una risatina.
Non potevo crederci.
«Daisy, per favore, non puoi dire sul serio! Vorresti dirmi che ti sposi con un uomo che non hai mai conosciuto né visto? Immagino non sei stata tu a deciderlo...» feci un respiro per placare il battito cardiaco e proseguii «Non riesco a credere a ciò che mi stai dicendo. Mi dispiace ma non posso. Vorrei essere dalla tua parte... ma come fai ad assecondare tutto questo?»
La gioia senza freni di Daisy si placò.
«Lo hanno deciso mamma e papà. Il mio futuro consorte si chiama Thomas Forks.»
Forks. Forks. Non mi veniva in mente nessuno con quel nome.
«Mamma dice che è un uomo molto rispettabile, rimasto vedovo da poco. Con la sua precedente moglie non ha avuto figli e ha espresso il desiderio di mettere al mondo famiglia prima che, ahimè, passi a miglior vita.» quella frase fece balenare una domanda che non poteva essere più evitata.
«Perché parli cosi? Quanti anni ha Mr. Fork?»
«25 in più a me.» rispose lei quasi bisbigliando e abbassando gli occhi in segno di imbarazzo.
«40 anni!» sbattei la mano sul tavolo e iniziai a scuotere la testa di qua e in là, in segno di disapprovazione.
«Capisci che questo Mr. Forks potrebbe essere benissimo tuo padre? Anzi è addirittura più grande del nostro! Come viene loro in mente, a tutte e due! Un adulto che sposa una bambina!»
«Lui ha detto che mi ama!» ribatté con molta convinzione.
«Daisy per favore! Come fai ad affermare una cosa del genere? Come fa un uomo ad amarti da un giorno all'altro, senza averti mai vista per giunta!» il mio tono era un misto tra incredulità e risata. Vidi molta innocenza e inconsapevolezza nella giovane donna che avevo davanti. Mi meravigliai io stessa che i miei genitori avessero insinuato in lei, con quella proposta, desideri e fantasticherie chissà da quanto sopite. La loro mi sembrò una decisione molto egoistica, presa da due persone che non avevano fatto i conti con le paure che avrebbe potuto avere la loro figlia minore una volta sposata - per la prima notte di nozze ad esempio - con le delusioni che si sarebbero palesate una volta che Daisy avesse scoperto che la realtà che si era costruita con l'immaginazione sarebbe stata molto diversa da quella effettiva. Non volevo che mia sorella, un volta maritata, si fosse sentita come un uccello chiuso in gabbia.
«Non è vero che non l'ho mai visto!»
«Ah si? E quando?»
«La settimana scorsa al mercato. E mi ha anche sorriso se vuoi saperlo!»
«Dunque mi stai dicendo che sulla base di un incontro e di un sorriso hai deciso quale sarà il destino della tua vita?» dissi io in tono di sfida, intrecciando le braccia e accavallando le gambe.
«Dici così solo perché sei invidiosa di me! Dici così perché fino a ora nessun uomo si è palesato a chiederti la mano!»
«Daisy!» respirai rumorosamente per non cadere nella provocazione «ti rendi conto di cosa stai dicendo? Le mie parole sono solo dettate da un profondo senso di preoccupazione! Non so come puoi pensare che io possa essere invidiosa di mia sorella! Sto solo dicendo che non mi capacito del fatto che tu abbia deciso di dare una svolta così importante alla tua vita, nel giro di così poco tempo!»
«Parli come chi è estranea alla realtà delle cose, sai dopo quanto tempo si sono sposati re Giorgio e la regina Carlotta? Dopo una manciata di giorni, Anthea! E ora sei qui per rimproverarmi di una scelta che la maggior parte delle donne entrate in società condividerebbe!»
Mia sorella si alzò senza aspettare una mia risposta e si diresse verso le scale che portavano al piano di sopra. Dal rumore tonfo dei suoi passi capii che si stava dirigendo verso la camera. Dopo qualche secondo scese con un piccolo frammento che si era staccato dallo specchio che avevamo in bagno.
Si posizionò dietro di me, si chinò all'altezza delle mie spalle e posizionò il frammento davanti al mio viso.
«Guardati, Anthea. Guardati»
Avevo lo sguardo confuso.
«Non capisci? Tu non hai ricevuto proposta da alcun uomo semplicemente perché non l'hai cercata, semplicemente perché non ti interessa, tu stai bene così. Io no. Guardami Anthea, guardami a fondo.» mi voltai e osservai il suo occhio e poi il suo labbro. Un nodo alla gola si legò ben stretto. «Io non ho il lusso che tu puoi concederti, ogni occasione per me è quella giusta, ogni occasione per me potrebbe essere l'ultima. Pensi che io non abbia mai desiderato decidere per conto mio l'uomo con cui vivere, con cui condividere il letto e con cui amarmi ogni notte? Ahimè, io non posso, anzi non potrò mai, non sono quel tipo di ragazza che gli uomini si girano a guardare mentre passeggia per strada, a cui magari accennano anche un fischio. No...io non lo sono!»
Il nodo alla gola si tese ancora di più, come le corde di un salterio. Gli occhi si bagnarono e la guardai attentamente. Le lacrime avevano già iniziato a rigare il suo volto e il naso tratteneva a forza il muco che voleva uscire. La forma che aveva assunto la sua bocca era prova del suo grande sconforto. Quel discorso non l'aveva fatto la Daisy infantile e sognatrice, che si emozionava per ogni nonnulla, no, quel discorso era stato fatto da una Daisy adulta, consapevole della sua delicatezza.
«Scusami se ho parlato più con la mente che con il cuore. Sono mortificata per averti fatto sentire umiliata, per aver trasformato quello che per te è un momento di contentezza in un momento di così grande dispiacere. Ricordati che la tua bellezza non è qui» le toccai l'occhio e poi il labbro «ma qui» e le toccai il petto.
Terminato lì il nostro dialogo Daisy si asciugò le lacrime con il lembo della gonna e poi salì in camera, alla ricerca di un po' di intimità. Mi disse che voleva avere del tempo per sé.

Rimasi a guardare il poco latte rimasto nella tazza e che si era ormai raffreddato in religioso silenzio. Tutto fuori era calmo. Dentro di me invece sentivo un vortice di emozioni che mi stringeva il petto.
Orville, il matrimonio, il prestito in denaro. Orville, il matrimonio, il prestito in denaro.
Mi sentivo pesante, come se fossi la sola a dovermi accollare quella zavorra; sola in tutto quello. Abbandonai la testa tra le mani, con i gomiti poggiati sul tavolo e cercai di ordinare i pensieri come potei.
Improvvisamente sentii la porta aprirsi. Era mia madre di ritorno dall'orto. Alzai lo sguardo e lo puntai, inespressivo, sul suo. Lei capì che qualcosa era successo in suo assenza, magari una conversazione iniziata e finita male, magari un argomento sgradevole.
«Hai saputo?» chiese mia madre.
«Certo che ho saputo!» risposi seccamente io mentre riabbandonavo la testa tra le mani. Era evidente quale fosse l'oggetto della discussione.
«È la scelta migliore per lei.»
Alzai di scatto la testa. «Scelta che però, madre, a quanto pare non è stata lei a prendere!»
«Non avrei mai obbligato mia figlia a prendere un strada che non voleva!» ribatté con tono fermo.
«Come puoi lasciare che tua figlia sposi un uomo che ha più del doppio della sua età e che per di più non conosce! Questa tu la chiami scelta consapevole? Avete scelto voi per una ragazzina che non sa neanche come è fatto un uomo! L'avete illusa con le vostre fandonie e con le vostre storielle e sarete voi responsabili della sua miseria un giorno!» mi sentii un fiume in piena.
Il mio grido fu il veicolo per liberarmi del senso di oppressione che sentivo in corpo. Sentivo il bisogno di scaricare la mia tensione su qualcuno, avevo bisogno che qualcuno ne fosse partecipe insieme a me e che non fossi l'unica a sentirmi sovraccaricata.
All'udire quelle parole mia madre sgranò gli occhi e si fece rossa in volto. Si avvicinò a me e con impeto mi tirò uno schiaffo carico di rabbia. Portai la mano sulla guancia colpita e la guardai esterrefatta, non ancora certa che fosse successo veramente.
«Non permetterti mai più di rivolgerti così a me. Alla tua età non mi era permesso neanche di guardare negli occhi mia madre mentre mi rimproverava. Ragazzina maleducata e prepotente! A quanto pare io e tuo padre non siamo riusciti ad insegnarti nulla.»
Capii di aver alzato troppo il tono e di essermi concessa delle libertà che non mi erano ancora ammesse e che forse con i miei genitori non lo sarebbero mai state.
Abbassai lo sguardo e con un filo di voce sussurrai «Chiedo scusa.»
Un fastidioso silenzio calò nell'ambiente.
«Quando è prevista la data del matrimonio?» chiesi io un po' per curiosità, un po' per rompere il nostro mutismo.
Mia madre interruppe di impastare la farina e inclinò un poco la testa «In base a quando avremo disponibile una dote dignitosa per Mr. Fork, allora in quel momento decideremo la data.»
«Ma forse per questo ci sarà bisogno di tempo, di molto tempo» obiettai io.
«Di questo io e tua madre ne siamo consapevoli.» osservò mio padre, inserendosi nella nostra conversazione. Non mi ero accorta che era rientrato e che si era fermato sull'uscio della porta ad ascoltare i nostri discorsi.
Con il pensiero di voler fare ammenda e con il bisogno di rendermi utile per quell'evento, dissi «Se questa è il desiderio di Daisy vorrei contribuire anche io in mia parte, per poterlo realizzare. Non so come però...»
Vidi mio padre sballottolare la testa in qua e in là, come se credesse che quell'impegno fosse responsabilità dei genitori, non di una ragazza. Poi, all'improvviso divenne tutto pensieroso. Iniziò a strofinarsi il palmo della mano sulla barba, come se quel gesto lo aiutasse a concentrarsi meglio.
«Oggi al mercato...» cominciò dopo essersi schiarito la voce «stavo ascoltando la signora Bell parlare con Mrs. Coore. Mi sembra di aver capito che Sua Maestà Jocelyn Kynaston stia cercando personale per Livingstone Palace. È una mansione che né io né tua madre possiamo permetterci di prendere in carico però tu potresti tentare la sorte, figlia mia. Non so dirti quale sia la paga, ma lavorare a cospetto della famiglia reale assicura senza dubbio un compenso allettante.» si interruppe e rimase pensieroso, poi aggiunse «Tuttavia non ve lo sto dicendo con ingordigia. La questione mi rattrista un poco, non voglio sia tu a doverti far carico di una faccenda di cui dovremmo occuparci io e tua madre. Potrebbe comunque essere una buona alternativa per assicurarti almeno una vita meno indigente di quella corrente.»
«Accetto!» gridai io, come se fossi stata già assunta. Ero veramente contenta dell'opportunità che mi si prospettava davanti. Sarebbe stato il primo vero mestiere della mia vita. Avrei guadagnato denaro a sufficienza in modo tale da accumulare una dote soddisfacente per Daisy e quello che mi fosse avanzato lo avrei messo da parte per comprarmi la così tanto agognata fattoria.
«Quando è previsto il giorno per recarsi a Palazzo? Per...cioè si... insomma...avete capito no?»
«Dovrebbe essere questo sabato, ma non posso garantirtelo con certezza. Se domani mi capitasse di rincontrare Mrs. Bell lo chiederò a lei in persona.»
«Grazie, papà.»
Diedi un bacio sulla guancia a mio padre e mi precipitai in camera da Daisy per comunicarle la buona notizia.
Dopo averle spiegato le mie intenzioni vidi in lei riaccendersi una luce che da quella mattina si era sopita.
«Anthea, per favore, non sentirti in debito con me. Non voglio che sia tu a dover pensare a una questione che riguarda me, non voglio che ti trovi costretta a utilizzare per me il denaro che un domani - speriamo - sarai in grado di guadagnarti.»
«Daisy, non dire sciocchezze. Se non per voi, per chi altro? Non posso che appoggiarti nelle tue scelte ormai, sebbene avrei immaginato per te qualcosa di diverso. Ma io sono io e tu sei tu. Il tuo benessere, per me, è prezioso. Tu, per me, sei preziosa.»

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