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Capitolo 29

Ci alzammo dal letto con calma, consapevoli di esserci riservate un riposo molto lungo e che il resto della baita non si sarebbe pulito da solo.
Ci stiracchiammo la schiena, come quando si fa dopo un tipico pisolino estivo e poi demmo una sistemata al nostro abito che aveva preso delle brutte pieghe per via della posizione poco elegante che avevamo assunto.
«Come ti stavo dicendo, il loro matrimonio non è stato sempre così infelice.» andammo in sala e passammo una spolverata sui mobili.
«Credi sia meglio dare una sciacquata anche a questi piatti?» domandò del tutto fuori contesto.
«Credo di sì.» chi avrebbe voluto mangiare del resto su una coltre di polvere.
Aprì la credenza e ne estrasse uno a uno, facendo attenzione a non farli cadere. Erano d'altronde così pochi e non si poteva rischiare di far fuori anche quelli rimasti.
«Ti stavo dicendo, quindi, che i primi anni da marito e moglie non sono stati così malvagi per i Kynaston.»
Drizzai le orecchie e mi estraniai da tutti i rumori di sottofondo per concentrarmi solo sul suono della sua voce.
«Secondo te che cosa ha fatto cambiare allora la loro relazione?»
«Credo in generale la mancanza di un erede. Aggiungiamo anche il fatto che una persona non conosce l'altra fino a quando non va a viverci sotto lo stesso tetto... e sai meglio di me che il temperamento della principessa non è dei migliori.» storse le sopracciglia.
«Credi che ne avranno mai uno?»
«Se non è arrivato in più di dieci anni ne dubito, e questo è causa di grande agitazione per il principe.» tossì via la polvere ingerita e iniziò la pulizia del primo piatto.
«Se non avessero eredi chi sarebbe il successore al trono?»
«Godwin, senz'altro!» esclamò con adito.
Traballai «Oh no, non sia mai! Non che io lo conosca, ma dalle poche parole con cui me lo hai descritto non deve di certo essere il massimo della simpatia!»
«Simpatia? Quell'uomo non sa neanche cosa sia! Se divenisse lui principe, trasformerebbe Sommerseth da quiete Principato a territorio belligerante.» sospirò e poi si portò la mano alla fronte per scacciare via lo scenario che si era già immaginata.
«Non voglio neanche pensarci, non potrei mai accettarlo.» pensai alla mia famiglia e a come mio padre fosse morto proprio per colpa della guerra.
«Come se a Godwin interessasse qualcosa della tua opinione!» scoppiò a ridere di cuore.
Ringhiai e le diedi un pizzicotto sul braccio, lei sogghignò e si avvicinò di scatto con le mani protese per farmi il solletico. Saltai in aria con un balzo e cercai riparo dall'altra parte del tavolo, così che sarebbe stato impossibile per lei accalappiarmi. Prese quello che era iniziato come un gioco in una sfida, girò l'angolo con un balzo felino, poi allungò il braccio per afferrare un lembo della mia veste ma fortunatamente non ci riuscì. Passai all'altro fianco e, nel cercare di essere il più agile possibile, diedi una botta con l'anca all'angolo del tavolo. I piatti iniziarono a vacillare sempre di più per poi cadere in mille pezzi.
«No!» urlò Lydia.
Inevitabilmente il danno era stato fatto.
«Ora Jocelyn non ci darà la paga per due mesi!» sbottammo in una fragorosa risata al solo pensiero.
Raccogliemmo i cocci uno per uno e poi li accatastammo in un angolo.
«Tornando al discorso di prima, credo che inevitabilmente il Principato sarà destinato a finire nelle mani di Godwin o di qualche suo bastardo. Non credo che Carlyle avrà mai un erede.»
«Non penso che il principe ambisca a lasciare il trono a suo fratello. Non ci potrebbero essere soluzioni a questo problema?»
«E quali Anthea? Il loro matrimonio è suggellato e così è destinato a rimanere.»

Mi affacciai dalla porta e notai che il sole si era già congedato da tempo ormai; al suo posto, il caldo colore della notte aveva fatto il suo ingresso e con esso tutti gli animali che la abitavano. Una piccola pioggerellina aveva accompagnato i nostri discorsi fino ad allora, lasciando nell'aria un leggero sentore di fresco e terra bagnata. Era raro assistere a una di quelle scene, essendo sempre impegnata a sbrigare qualche incombenza dentro la residenza, così decisi di approfittarne e di fare tesoro di quel piccolo quadro pittoresco.
Tornai all'interno e condivisi con Lydia quello che era il mio punto di vista.
«Ho sentito dire che, se il matrimonio non produce frutti, può essere richiesto l'annullamento al Papa.» credevo fosse la cosa più ragionevole da dire in quel momento e anche la più logica per le sorti di un principato.
«Riuscire in ciò in cui Enrico VIII ha fallito?» domandò perplessa.
«Non vederla così. Sappiamo entrambe che il desiderio del defunto Re, che Dio lo abbia in gloria, era quello di sposare Anna Bolena e cercare di concepire con lei un erede maschio. La storia poi ha fatto il suo corso ed entrambe, ahimè, la conosciamo.»
Quella del Re Tudor era una storia che aveva iniziato ad affascinarmi dal momento stesso in cui Padre Baruffaldi aveva iniziato a parlarmene, in una tranquilla mattinata di dicembre al cospetto delle statue marmoree di Bacco e Arianna, presso la sala d'Autunno.
Si grattò la testa «Con la sola differenza che il capriccio di un Re ha poi posto le fondamenta a un altro credo religioso.» osservò Lydia.
«Ma non sarebbe il caso del principe, sbaglio?»
«Di questo ne sono certa.»
«Sarebbe una strada percorribile allora.» la mia faccia, sicura e fiera, contribuì a conferire robustezza al mio ragionamento.
Scrollò la testa con movimenti rapidi «Diventeremmo così vassalli inglesi senza neanche rendercene conto.»
Mi ricordai all'improvviso di quelle frequenti volte in cui mia madre, prima dell'arrivo dell'inverno, trascorreva le ore davanti al caminetto acceso per lavorare ai ferri qualche maglione, due o tre coperte e i soliti berretti che mio padre indossava per lavorare nei campi prima dell'alba. Un po' come tutte le figlie, capitava spesso di chiederle di iniziarmi al lavoro e lei, un po' titubante ma sicuramente soddisfatta, più di una volta mi aveva messo i ferri in mano per insegnarmi le prime e più semplici tecniche. Capitava quasi sempre che terminassi il mio piccolo lavoretto in anticipo per colpa del solito nodo che si formava tra uno sferruzzare dei ferri e un altro. La reazione era sempre la solita: mi innervosivo e abbandonavo tutto lì.
In quel momento mi trovavo nuovamente di fronte a un nodo, non certo il mio ma comunque sentivo mi appartenesse. Provavo a scioglierlo insistentemente ma, in quel caso Lydia, mi sottoponeva ogni volta di fronte all'evidenza di quanto fosse complicato.
Dopodiché fuoriuscì, da un angolo remoto della mia testa, un pensiero che avevo fagocitato per tanto tempo e di cui però non ero sempre stata consapevole, un pensiero che aveva stimolato la mia mente molto a lungo e che, inconsciamente, avevo sempre avuto.
«Il principe ha mai avuto delle amanti?» schiettamente, senza interruzioni e con un'unica emissione di voce.
Vidi Lydia arrossarsi in volto, spalancare gli occhi e dividere leggermente le labbra dallo sgomento.
«Amanti?» traccheggiò un minimo e fu l'unica cosa che disse.
«È quello che ho detto.» la sicurezza che mi aveva guidata all'inizio, cominciò ad abbandonarmi poco a poco, ma di questo non ne volli dare spettacolo.
Spostò le pupille in qua e in là nervosamente, alla ricerca delle giuste parole da dirmi.
«Questa domanda mi trova un po' impreparata, tuttavia non credo proprio che il principe abbia mai avuto delle amanti. Immagina... credo si sarebbe già scoperto a corte, no?»
Mi grattai il mento per capire quanto di vero ci fosse nella sua affermazione.
«Lo reputi però una persona capace di questo?»
Seguirono altri minuti di attesa in un silenzio che mi parve assordante.
«Non saprei, probabilmente no. Non metto in dubbio che abbia fatto visita ai bordelli più rinomati della città, ma non credo si sia mai portato amanti in casa sua. Più che altro per non mettere in giro voci...»
«Credi dunque che abbia il bisogno di rimanere pulito agli occhi altrui, ovvero di non fare brutta figura?»
«Presumo di sì e credo anche che non voglia causare un crollo emotivo a sua moglie.»

Stavamo per terminare le ultime cose, era infatti ora di rientrare a palazzo per gustare il caldo brodo di gallina che la cuoca ci avrebbe servito quella sera. Amavo quella pietanza, ottima per una fredda sera di dicembre come quella e perfetta per godere di un sonno ristoratore.
«Il principe deve essere davvero una persona onesta e... rispettosa!» aggiunsi. Le mie guance divamparono e tentai di coprirle con la spessa mantella di lana. Fu un gesto del tutto inutile perché la penombra che ci aveva avvolto avrebbe fatto il resto.
«E hai ragione a pensarlo.»
Ci assicurammo di aver chiuso tutte le ante delle finestre e di aver accatastato anche qualche ciocco di legna vicino al camino, in modo tale che il nuovo arrivato sarebbe stato accolto nel migliore dei modi, per quanto poi fosse proprio quello il suo mestiere. Salutai con un tenero pensiero quella piccola baita che aveva suscitato in me parvenze nostalgiche di una vita che forse non avrei mai avuto: tranquillità, proprietà e autonomia. Mi congedai con la promessa che sarei tornata a far visita a quel piccolo posto remoto, non per entrarvi senza permesso, ma per scrutarlo dal di fuori e per imprimerlo ancora meglio nella mia mente una volta che la sua immagine avesse preso a sbiadirsi.

Ricordavo la strada di ritorno più illuminata e facile da percorrere di come me la trovavo davanti in quel momento. Un sentiero frondoso, scuro e popolato dai primi occhi gialli notturni che non provavano timore per le figure umane che stavano invadendo il loro habitat naturale.
L'unico rumore percettibile era quello dei nostri piedi sui rami secchi e sulle foglie che calpestavamo a cui si aggiungeva di tanto in tanto il richiamo di una civetta e il rarissimo bramito del cervo.
Una forte umidità si impossessò delle mie ossa e un vento impetuoso ci costrinse ad accostarci ancora di più tra di noi. Infilai le mani sotto i lembi del mio cappotto e addossai ancora di più la cuffietta sulle orecchie. Velocizzammo il passo per raggiungere nel minor tempo possibile le nostre stanze e soprattutto per fuggire da quel freddo natalizio che pareva non voler dare scampo neanche all'imminente arrivo di Gesù bambino.
«Sai molte cose Lydia, devo ammetterlo. Con oggi ho avuto modo di farmi una prima cultura sulla famiglia reale. Mi sento meno... ignorante grazie a te!» nascosi la faccia sotto la sciarpa cosi da ripararla da quel freddo spinoso e mi concessi una risata tra me e me per l'aver paragonato l'ignoranza alla penuria di pettegolezzo che popolava le mie giornate.
«L'esperienza dei veterani!» mormorò a labbra strette.
Affrettammo il passo fino a quando l'abbaiare improvviso dei cani ci rassicurò sul fatto che fossimo vicine a palazzo. L'oscurità piombò ulteriormente sulle nostre spalle e un brivido ghiacciato si impossessò delle nostre menti.

Improvvisamente comparve una lucina in lontananza. Inizialmente un soffuso chiarore, poi un barlume più definito e infine una lucerna ben distinguibile.
Una lanterna si avvicinava ma non era facile capire chi la stesse trasportando.
Io e Lydia ci accostammo l'una all'altra, timorose di chi fosse lo sconosciuto che si celava dietro quella fiammella accesa. Indietreggiamo di una manciata di passi in maniera automatica e cercammo di trovare rifugio dietro qualche tronco, ma fu del tutto inutile essendo che, la figura che si stava avvicinando a noi con passi rapidi e felpati, ci aveva già notate.
«Ehi, voi due!» gridò una voce maschile.
L'agitazione pervase le estremità più sconosciute del mio corpo e un incostante tremolio si impadronì delle mie ginocchia. Lydia mi prese per un braccio e si nascose dietro di me, le tappai la bocca con un gesto fulmineo per impedirle di gridare. Rimanemmo bloccate in attesa di capire chi fosse quell'uomo e se sarebbe stato fonte di pericolo per due ragazze indifese che vagabondavano nel faggeto della tenuta.
Una figura maschile continuò a procedere nella nostra stessa direzione fino a quando non si palesò a qualche metro di distanza.
«Siete due domestiche della famiglia Kynaston?» domandò d'un tratto.
«Sì, e voi chi siete?» Lydia prese un pizzico di coraggio e fuoriuscì dal suo nascondiglio, assumendo una posizione di sfida.
Davanti a noi un ragazzo sulla ventina, alto, robusto e dagli occhi scuri. Un mucchio di capelli biondi incorniciavano un volto armonioso e labbra sottili accompagnavano un'espressione smarrita.
«Mi chiamo Ethelwulf, sono il nuovo taglialegna.»
Il macigno che si era fermato sulla bocca del mio stomaco si volatilizzò alla stessa velocità con cui si era palesato e finalmente potei ricominciare a respirare a un ritmo regolare.
«Ci avete messo un bello spavento sapete?» gracidò la mia compagna che aveva abbandonato le vesti della ragazza impaurita per vestire quelle di una donna scontrosa e sicura di sé. Io la strattonai per la veste per evitare che procedesse con il suo tono accusatorio e riservasse un benvenuto quanto più cortese al nuovo arrivato.
Ethelwulf barcollò un minimo per la reazione del tutto inaspettata della sua nuova futura collega e con fare imbarazzato continuò «Perdonatemi, non era questa la mia intenzione» abbassò gli occhi a terra.
Mi sentii in dovere di dire la mia «Non preoccupatevi, l'ora tarda della sera e la fatica della giornata hanno ingigantito dei timori non così fondati, vero Lydia?» mi girai verso di lei e questa rispose con un seccato cenno della testa, preoccupandosi di non rivolgere lo sguardo al povero ragazzo che invece palesava la necessità di sentirsi perdonato.
«Sareste così gentili da indicarmi dove si trova la baita che mi ospiterà da oggi in poi? Il maggiordomo di corte me lo ha spiegato ma già non ricordo più le sue indicazioni...»
Gli spiegai in poche parole che non era difficile arrivarvi e gli diedi poche e concise informazioni che gli avrebbero permesso di raggiungerla senza troppo difficoltà.
Ci salutammo con l'avvertimento che per qualsiasi cosa avrebbe potuto rivolgersi a noi due.
Una volta rincasata ingurgitai il brodo con mosse fameliche, senza dimenticarmi di rivolgere i consueti complimenti alla cuoca, dopodiché corsi a dormire.
Il giorno dopo mi attendeva un'occasione importante.

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