Capitolo 27
«Il padre! Uscite il nome del padre!» le urla di Jocelyn si diffusero nella stanza come il polline trasportato da una folata di vento primaverile senza condividerne però la medesima leggiadria, piuttosto furono taglienti e inaspettate.
Provai pena per Sarah, una ragazza così giovane e colpevole di nulla, forse di aver amato la persona giusta nel momento sbagliato.
Sempre se poteva parlarsi di colpa.
«Non posso, Vostra Maestà!» le parole spezzate dal nodo alla gola fecero capire a malapena quello che aveva appena detto.
Jocelyn attese del tempo in silenzio e poi acquisì una postura incredibilmente rilassata «Mia cara, sapete il perché non posso accettare queste cose dentro casa mia?»
La ragazza annuì freneticamente con la testa, strozzando i singhiozzi.
La principessa le alzò il mento con la mano e la guardò con fare materno «E se voi foste in me, accettereste una cosa simile dentro casa vostra?»
Sarah non rispose.
In quel frangente di tempo mi fermai a riflettere sul ruolo che aveva assunto il principe in quella situazione: nessuno.
Era rimasto seduto tutto il tempo, con il volto rivolto verso lo spicchio di panorama che si intravedeva da dietro la finestra e con i capelli arruffati che mostravano a malapena i suoi occhi cerulei. Il suo profilo, che avevo sempre considerato perfetto e geometrico, in quel momento non riuscì ad addolcire lo sdegno che provavo nei confronti della sua indolenza.
Come poteva accettare che sua moglie trattasse in quella maniera una sua dipendente, e più di questo, come poteva accettare che la principessa umiliasse così una persona, a tal punto da farla denudare davanti al resto della servitù?
Nella sua pazzia, non provava un minimo di gelosia al pensiero che suo marito potesse avere accesso liberamente alla vista delle forme di un'altra donna che non fosse lei? E si trattava della stessa persona che tempo prima aveva espresso il suo disappunto, anche con una certa collera, sul fatto che il suo consorte avesse offerto un passaggio a cavallo alla sottoscritta per rientrare a palazzo durante una giornata di pioggia.
Provai un grande senso di rabbia alla vista di quella scena. La prepotenza di una principessa paragonata al disinteresse di un sovrano che avrebbe dovuto contemplare, tra i suoi compiti principali, la tutela dei suoi sudditi.
Un sovrano che, invece, fino ad allora non si era pronunciato e che non aveva fatto altro che interessarsi alle scene di vita quotidiana che stavano avendo luogo nel giardino della residenza.
«Accettereste dentro casa vostra una donna disonorata?» la principessa incalzò, con l'evidente intenzione di ingenerare in lei, se non accrescere, un profondo senso di colpa.
Jocelyn purtroppo centrò il suo obiettivo. La povera domestica si accucciò su se stessa, mise le mani davanti la faccia per coprirsi dall'onta che l'aveva travolta e continuò il pianto che aveva iniziato da almeno un'ora.
Perché piangeva in realtà? Per l'umiliazione subita o per il senso di colpa? Sicuramente per entrambe, ma cosa prevaleva tra i due?
«Non ho più intenzione di ripetervelo. Ora mi direte immediatamente chi è la persona che ha contribuito a mettervi in questa condizione, così da estrometterla immediatamente insieme a voi.»
Sarah improvvisamente smise di piangere e la guardò con occhi seri e inespressivi.
«Mi dispiace Vostra Maestà, ma dato che questo è il destino che mi aspetta non credo abbia nulla da perdere a non comunicarvi l'identità dell'uomo.»
Rimasi sbalordita da quella presa di posizione e sussultai dentro di me per il godimento che ciò mi aveva provocato.
Jocelyn non doveva di certo aspettarsi quella risposta, eppure non si scompose e tornò calma dopo una prima parvenza di collera.
Capii allora che quando attorno a lei sopravveniva il sereno era proprio il momento da temere di più.
Sospirò e si guardò le scarpe per dare l'apparenza di essere mortificata, ma chiunque sapeva che in realtà la sua era solo una facciata o una parte mal interpretata «Credo a questo punto che sia io a dover prendere la decisione, corretto?» si voltò verso suo marito che però le rispose con una smorfia indecifrabile, si girò allora verso Sir Jacques, il quale più per obbedienza che per condivisione della causa, annuì tentennante.
«Dato che la vostra compagna non vuole confessare, mi trovo costretta io a dover prendere una decisione.» un vociare confuso e incontenibile partì tra le file dei domestici.
Cosa aveva in mente?
«Ne sceglierò uno a caso tra di voi che accompagnerà la vostra collega alla porta» rise «per sempre si intende.»
Il vociare si trasformò in un accenno di schiamazzo, sempre contenuto ma più rumoroso dei bisbigli precedenti.
«Non potete farci questo!»
«Confessa!»
«Non dobbiamo rimetterci noi per uno sbaglio che non abbiamo compiuto!»
I più temerari provarono a far sentire la loro voce, ma con scarsi risultati. Avrebbero confessato se solo avessero saputo chi fosse l'imputato.
Per fortuna sono donna, pensai.
Jocelyn indirizzò uno sguardo beffeggiatore a Sarah «Anche di fronte al malcontento che avete generato siete irremovibile?»
Irremovibile fu anche la sua postura, non solo la sua convinzione.
«Come mi aspettavo del resto. Sono quasi affascinata dalla vostra fermezza. Bene, allora vediamo chi sarà il prossimo.» Jocelyn avanzò verso le schiere, poggiando gli occhi su ognuno di loro per decidere a chi avrebbe inflitto lo stesso destino. Un atteggiamento questo del tutto incorretto e dispotico.
Si fermò improvvisamente di fronte ad un ragazzo poco più alto di me, dalla carnagione bruna e dagli occhi vispi. Rimase in silenzio a osservarlo e questi, temendo il peggio, reagì indietreggiando di qualche passo, come se potesse fuggire alle grinfie della sua sovrana.
Inaspettatamente la principessa si girò di scatto verso il ragazzo che aveva di fianco e gli fece capire, con un solo cenno del capo, che era stato lui il prescelto.
Questi crollò nel panico «Vostra Maestà ve ne prego! Non conosco neanche quella ragazza! Non l'ho mai vista!»
Jocelyn scrollò il capo in senso di disappunto «Capite? È proprio la lealtà che richiedo da parte vostra. Se manca la sincerità sono queste le conseguenze a cui voi stessi mi conducete!»
«Diteglielo Sarah! Confessate la vostra verità e ammettete che io e voi non ci siamo mai incontrati prima d'ora!»
Sarah prese un respiro profondo «È vero, avete ragione.»
«Vostra Grazia, avete sentito? Avete avuto la dimostrazione che in tutta questa situazione io non centro nulla!» il panico che lo aveva accompagnato all'inizio lo abbandonò poco a poco, per la falsa convinzione che quella plateale ammissione avrebbe potuto cambiare la sua sorte.
Jocelyn scoppiò in una fragorosa risata «Sir Jacques, per favore accompagnate i due alla porta. La questione termina qui.»
L'uomo ricadde nello sconforto, consapevole che non avrebbe avuto modo di cambiare quel fato che era stato ormai scritto.
Sarah e il suo falso amante lasciarono la stanza del trono sotto l'espressione compiaciuta della principessa. Jocelyn non capì che, in fondo, Sarah aveva avuto la sua parte di vittoria non rivelando l'identità del suo amato in modo che questi continuasse a ricoprire la sua posizione, per quanto poi la sua risolutezza fosse costata le dimissioni di un innocente.
Con una certa pacatezza e allo stesso ritmo della processione di Ferragosto, la servitù lasciò la stanza dove si era appena conclusa quella che poteva essere considerata una sentenza ad armi impari.
Carlyle rimase seduto fino alla fine e mi domandai se si fosse accorto che tutto era terminato, nel peggiore dei modi per giunta. Stavo per incamminarmi anche io quando mi fermai e puntai i miei occhi fulminei proprio verso quest'ultimo. Quasi come se avesse percepito all'improvviso il mio sguardo su di lui, si girò per contraccambiare l'occhiata.
I nostri occhi rimasero incollati per qualche secondo.
I miei scuri per la rabbia, i suoi privi di espressione.
Illusa.
Delusa.
In collera.
Era così che mi sentivo.
Al richiamo di Lydia, che si era accorta che ero rimasta ancora dentro, staccai la vista dall'uomo che mi aveva provocato un uragano di emozioni e, senza volergli dare la minima soddisfazione, non gli concessi l'ultimo sguardo.
Me ne andai, ma sentii ancora a lungo i suoi occhi inespressivi poggiati su di me, per quanto non ne potessi avere l'effettiva certezza.
Raggiunsi dunque Lydia con una certa velocità e nel men che non si dica ci trovammo di nuovo nel vestibolo.
«Hai qualcosa da fare ora?» le domandai per tagliare un minimo la tensione che si era andata creando fino a quel momento, nonostante poi noi due non ne fossimo state le dirette interessate.
Agitò le mani e sbuffò impetuosamente dalla bocca «Oggi arriva il nuovo taglialegna.»
«Davvero? Ne avremo un altro?»
«Credo fosse arrivata l'ora! La sottoscritta sarebbe stata in grado di spaccare più ciocchi con l'accetta in un giorno che il vecchio Eric in una settimana!»
Si rivolgeva al taglialegna precedente, che serviva la famiglia Kynaston da così tanto tempo da risultare difficile anche a Sir Jacques ricordare quando aveva fatto per la prima volta ingresso nella vecchia baita in fondo alla proprietà del palazzo.
«Sei diretta al suo nuovo alloggio immagino.»
Rannodai il grembiule che tra una corsa e l'altra aveva rischiato più volte di cadere a terra.
«Oggi mi aspetta questo, e la cosa peggiore è che dovrò andare completamente sola.»
Avevo terminato in anticipo il mio turno e quel pomeriggio, diversamente dal solito, avrei avuto la giornata libera.
«Se vuoi posso accompagnarti. In due ci metteremo sicuramente meno tempo e poi potrei cogliere l'occasione per memorizzare meglio la strada che conduce alla malga. Sai, sono stata lì così poche volte che quasi mi fa strano.»
Lydia parve apprezzare la mia proposta dal momento in cui non se lo fece ripetere due volte che già mi aveva preso sottobraccio. Scendemmo le scale dell'ingresso e notammo una scena che fece stringere il cuore a entrambe, o per lo meno alla sottoscritta.
Sir Jacques mentre abbracciava un'affranta Sarah pronta alla partenza, con in mano le poche cose che era riuscita a racimolare dalla sua stanza. Era visibilmente provato e addolorato per quell'improvviso addio e altrettanto Sarah che più volte dovette nascondere il volto nel cappellino di paglia per proteggere il suo stato d'animo da occhi indiscreti.
Per quanto Théodore desse l'impressione di essere il più burbero e pretenzioso dei servitori che Jocelyn avesse mai potuto assumere, si celava sotto di lui un profondo strato di affettuosità e sentimento paterno. Credevo che bene o male ci considerasse tutte come sue figlie, un po' per la concreta differenza di età tra di noi, un po' perché si prendeva la briga di rimproverarci quando serviva e lodarci quando ce lo meritavamo. Quella fu l'ultima volta in cui vedemmo Sarah e fu l'ultima probabilmente anche per Sir Jacques, non c'era motivo a che infatti la ragazza tornasse indietro e di certo la principessa non avrebbe mai accolto di nuovo una peccatrice tra le sue mura quando già era stato difficile liberarsene una volta.
Quello di Sarah, e di Jade a suo tempo, era stato l'insegnamento che Jocelyn aveva voluto impartire al resto dei domestici: punirne uno per educarne cento.
Raggiungere la baita non fu troppo difficile e per di più ci volle meno tempo di quanto pensassi. Percorremmo la strada parallela a quella per mezzo della quale si raggiungeva il giardino botanico e dopo aver attraversato completamente il faggeto vi sopraggiungemmo.
Era una piccola costruzione in legno di quercia in cui avrebbero vissuto comodamente due persone, ma non di più. La trascuratezza con cui era stata trattata nel corso degli anni era resa evidente dalla presenza di una moltitudine di vecchi nidi che popolavano il caminetto e che nessuno si era mai preoccupato di togliere, senza calcolare il rischio che, nell'ipotesi peggiore, avrebbero potuto prendere fuoco.
Contrariamente alle aspettative, i licheni che decoravano le pareti a mo' di tappeto conferivano invece un non so che di confortevole e accogliente. Assomigliava nel complesso alla casa delle fate di cui nonna Rosalie era solita narrare a me e Daisy durante la nostra prima infanzia.
Un odore di chiuso si riversò su di noi una volta aperta la porta principale. Non sapevo con precisione da quanto tempo Eric avesse lasciato la proprietà ma, giudicando lo stato della casa dall'esterno, non doveva prestare neanche troppa attenzione alla cura dell'ambiente interno. Tuttavia, contrariamente allo stato in cui riversava lo stabile, l'ambiente era molto accogliente e avrebbe rappresentato la soluzione perfetta per una coppia che avesse gradito custodire la sua intimità al riparo dalla caotica vita di paese.
L'ingresso riversava su un piccolo soggiorno che doveva rappresentare la stanza principale e anche quella in cui sarebbero stati accolti gli ospiti: un tavolo centrale con un numero insufficienti di sgabelli per ospitare una famiglia di medie dimensioni, una credenza con solo qualche piatto a ingenerare l'impressione che fosse meno vuota e un orologio a pendolo attaccato alla parete che segnava le ore errate del giorno in cui aveva smesso di funzionare.
Lydia scostò le tende prima dell'una e poi dell'altra finestra per lasciare entrare la luce mite e nostalgica che si intrufolava tra gli alberi del bosco e poi aprì le finestre per permettere all'aria silvana di impadronirsi e dare vita nuova a quell'ambiente.
Si accarezzò i fianchi, poi si guardò intorno «Sono molto invidiosa, sai?»
Attirò la mia attenzione e corrucciai la fronte «Di cosa dovresti essere invidiosa?»
Spalancò i suoi occhi bruni «Di questo!» indicò la casa «Non capite?»
«Ti piacerebbe avere una tua proprietà?»
«Mi piacerebbe molto» cominciò a giocherellare con le punte dei suoi capelli, poi riprese «mi piacerebbe poter abitare in una casa del genere con un marito, dei figli...»
La mia espressione si intenerì «Ti piacerebbe avere già qualcuno intorno?» capì che mi riferivo a una figura maschile.
«Sai» si avvicinò e mi prese per le braccia «avrei voluto fare quel passo tanti anni fa. Non ho avuto purtroppo ancora la fortuna.» i suoi occhi si inumidirono.
«Non scoraggiarti, sei una bella donna e sono sicura che la tua occasione è proprio dietro l'angolo! Basta solo saper aspettare!»
I venti anni appena compiuti rendevano giustizia al suo incarnato perlaceo, sul quale si posavano due grandi occhi color cioccolato e una bocca carnosa dalle sfumature viola. Il suo fisico, nonostante non fosse troppo slanciato per la media, ero sicura avesse attratto la maggior parte degli scapoli che le erano passati vicino.
«Mi piacerebbe credere alle parole che dici» si imbarazzò un minimo «non intendo dire che non sono veritiere, ma che spero si realizzino il prima possibile.»
«Altrimenti sarai destinata a dare il tormento al povero Sir Jacques per il resto della sua vita!»
Scoppiammo a ridere e ci avvicinammo al giaciglio per avvolgerlo con le candide lenzuola che erano state lavate proprio la mattina stessa.
Cominciò a sbattere il materasso con un bastone di legno e una fumata di polvere si intrufolò nelle sue narici, provocandole tosse e qualche starnuto, poi si rivolse a me.
«E tu invece? Hai qualcuno per la testa?»
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