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Capitolo 25

Non dovevo essere completamente pazza.
La stretta di mano, le occhiate veloci, gli orecchini, il rincorrermi nel bosco e poi quei due baci.
Al solo ricordo le mie budella parvero cedere dall'emozione e il cuore prese a battermi all'impazzata per poi rallentare e sciogliersi in una pozzanghera.
Ripetei di nuovo nella mia mente che non potevo aver perso il senno.
Non di fronte a dei gesti così evidenti.
Eppure era passato un mese da quell'episodio e l'unica volta che avevo scorto Carlyle era stato in un nebbioso martedì mattina, mentre rientrava dalla caccia con il suo gruppetto di compagni fidati.
Mi stava per caso evitando?
Era questa la domanda che rimbombava costantemente tra gli angoli della mia testa. In alcuni momenti mi ripetevo che quelle dimostrazioni di interesse che mi aveva rivolto non si sarebbero ripetute in futuro e che avrei passato il resto della mia permanenza a palazzo rivestendo semplicemente il ruolo per il quale ero stata assunta. Era un principe e, da che mondo era stato creato, ogni sovrano aveva i suoi momenti di debolezza.
In altre occasioni invece, quando si faceva buio e nascondevo la testa sotto le lenzuola, iniziavo a fantasticare sulla volta successiva in cui il principe mi avrebbe guardata per rivolgermi un accenno di sorriso.
La cosa su cui non stavo riflettendo però era che l'uomo, il cui pensiero mi occupava gran parte della giornata, fosse sposato, indipendentemente dal fatto che avesse sangue reale o meno.
Era ormai costume che molti regnanti avessero un vasto stuolo di amanti e che spargessero bastardi in qua e in là, noncuranti non solo dell'opinione pubblica ma neanche di quello che avrebbero potuto pensare le loro consorti. Era altrettanto vero però che non solo gli uomini usavano dilettarsi fra le gambe di un'altra donna, ma che anche le regine erano solite civettare tra le braccia di un altro uomo e chissà se su un qualche trono d'Europa sia mai salito il figlio di un garzone o di uno stalliere, spacciato per discendente della Corona. Dunque ciò che ai regnanti veniva riconosciuto come un vizio, se non un diritto, diventava per i comuni mortali la più grande fonte di onta.
Carlyle, dal canto suo, avrebbe potuto avere tutte le amanti che avrebbe desiderato, di questo ne ero pressoché certa. Il gusto nel vestirsi, il fisico portante e l'andamento fiero avrebbero colpito anche la donna meno avvezza ai sentimenti, eppure non credevo che oltre al vizio del boccale di vino delle cinque avesse anche quello delle donne.
Come spiegarsi altrimenti la reazione che aveva avuto dopo essersi reso conto di aver effettivamente mancato di rispetto a sua moglie.
In fin dei conti era Jocelyn il problema.
O forse lo ero io.
Distolsi dalla testa l'idea della principessa che scopriva dell'accaduto e mi prodigai nel dare inizio alla giornata. Per quanto la principessa non rientrasse nella schiera di persone che preferissi maggiormente, mi sentii quasi in colpa nei suoi confronti solo per aver desiderato lo sguardo di suo marito.

Scansai la coperta e mi alzai velocemente, anche troppo, poiché ebbi un leggero sbandamento di testa.
Mi diressi verso il bagno per dare una rinfrescata al mio viso ancora intorpidito e poi infilai la mia solita sottoveste.

L'esterno del palazzo era ancora nella quiete. Il richiamo del gallo avrebbe atteso ancora un po' a farsi sentire e le stelle brillavano ancora in cielo come se fosse stata notte profonda. Era l'inizio della settimana e come ogni lunedì indossai la nuova divisa da lavoro, infilai la testa nella camicia bianca e poi fissai la gonna nera di velluto al bacino. Stavo per dimenticarmi del grembiule, quando per fortuna la sua presenza sul letto me ne fece ricordare. Per ultimo, raccolsi i capelli in uno chignon arruffato.
Da quel che Marfa mi aveva comunicato, Sir Jacques le aveva organizzato il turno per quella mattina, lei nel giardino botanico e io nelle cucine per servire la colazione.
Un brivido mi percosse la schiena al solo pensiero che forse avrei rivisto il principe dopo tutto quel tempo.

Ero pronta per uscire dalla mia camera quando mi resi conto che Marfa era ancora con la testa sotto le coperte, con solo qualche ricciolo che le usciva dalle pieghe delle lenzuola. Mi avvicinai al suo letto pensando fosse bene svegliarla quando mi accorsi che in realtà stava piangendo.
La chiamai sussurrando il suo nome «Marfa!».
Lei non rispose e continuò a piangere strozzando i singhiozzi. Provai una sensazione di angoscia e impotenza di fronte a quella situazione.
Girai l'angolo del suo letto e accesi la candela sul comodino per illuminarne il volto, mi sedetti vicino a lei e aspettai in silenzio qualche suo movimento.
L'unica cosa che sentii furono però i suoi respiri alternati a lamenti. Provai a chiamarla di nuovo ma, anche in quel caso, lei non mi rispose.
Mi feci coraggio, temendo anche una sua reazione, e scansai le lenzuola dal suo volto.
Aveva il viso coperto e una mano a protezione. Quando la presi inizialmente tentò di opporre resistenza, poi agevolò il mio movimento e infine tolsi anche le ciocche dalla sua faccia.
Aveva il viso contrito dal dolore e bagnato dalle lacrime.
«Hai dormito questa notte?» le domandai dolcemente.
Fece cenno di no con la testa e le occhiaie nere sotto i suoi occhi ne erano la prova. Alcuni capelli le erano rimasti incollati sulle guance cocenti così che spostai anche quelle e infine mi alzai in cerca di un fazzoletto da porgerle.
«Cosa ti succede Marfa?»
Non mi rispose, soffocando un gemito nella gola.
«Non puoi certo rimanere così per tutta la giornata!»
Alla fine cedette «Oh, sì che posso.»
Scansai ulteriormente le lenzuola e notai che nella mano destra stringeva un calzino di lana della lunghezza di qualche centimetro.
Trasalii alla vista di quell'oggetto. Da dove aveva potuto prenderlo essendo un indumento da bambino?
Quando si accorse che avevo visto quel piccolo oggetto lo nascose velocemente tra le gambe e infine richiuse la coperta fin sopra la sua testa.
«Marfa, se non mi dici cosa ti succede non posso di certo aiutarti!» piagnucolai.
«Non è il tuo aiuto che sto cercando.»
Quelle parole non passarono inosservate e mi offesero un po' per giunta. La perdonai nell'immediato però, perché sapevo che quelle non dovessero niente altro che essere il frutto del suo stato emotivo.
«Forse non lo stai cercando, ma magari potresti trarne giovamento.»
Le asciugai una lacrima che aveva appena fatto capolino dall'angolo del suo occhio.
Rimase ahimè però sulle sue posizioni «Apprezzo la tua vicinanza, ma purtroppo non sei tu che puoi aiutarmi in questo momento.»
«E chi potrebbe invece?»
«Oh, proprio nessuno.» detto questo scoppiò nell'ennesimo pianto.
Ripensai a quel calzino che avevo visto stretto tra le sue mani una manciata di secondi prima. Doveva essere in qualche maniera causa del suo turbamento.
«Marfa, hai fratelli?»
Si asciugò le lacrime con un lembo della federa del cuscino e poi alzò leggermente la testa. «Fratelli?»
«Sì, intendo dire che mi parli così poco di te e non so neanche se hai fratelli o meno.»
Mi guardò perplessa «Ho un fratello più piccolo.»
«Quanti anni ha?»
«Sedici.»
Abbandonai allora l'idea che stesse piangendo per suo fratello. Magari però quel calzino apparteneva a qualcuno che era legato a lei in qualche altro strano modo.
Mi convinsi che non avrei ricavato neanche un barlume di confessione da quel dialogo. Decisi di gettare la spugna per quella volta, sperando che l'episodio però non cadesse nel dimenticatoio.
La ricoprii con le coperte e la salutai, dicendole che si stava facendo tardi e che Sir Jacques sicuramente mi stava già aspettando.
«Digli che sono malata, per favore.»
«Come vuoi.» spensi la candela con un soffio e uscii dalla camera.

Servii la colazione come di mio consueto: panini all'olio imburrati con un velo di marmellata alle more, pan di Spagna con panna e frutta di stagione, il tutto accompagnato da del tè caldo alla cannella e agrumi.
La principessa si era presentata da sola per la colazione, cosa del tutto inusuale, che parve meravigliare anche il resto della servitù presente. Se il principe avesse deciso di anticipare la sua colazione per quel giorno, qualche membro della servitù ne sarebbe stato al corrente per imbandire la sala d'Autunno in tempo; nel caso in cui invece avesse deciso di consumare il pasto in camera qualcuno avrebbe dovuto invece servirlo e, fino ad allora, nessuno era stato convocato.
La principessa prese una porzione di ogni cosa presente sul tavolo, si lamentò dell'assenza dell'orzo che reclamava da giorni e infine bevve una tazza di tè che nel frattempo si era raffreddato.
«Cosa ci aspetta oggi per pranzo?» chiese a Sir Jacques, mentre questi si apprestava a entrare nella stanza.
«Avete delle preferenze, Vostra Maestà?»
Si alzò, fece svolazzare i lembi del suo abito azzurro e ridiede forma alla gorgiera, per poi allontanarsi.
«Come al solito, evitate ciò che non mi piace.»
Osservazione alquanto lapalissiana ma impossibile da decifrare. Sir Jacques si limitò ad annuire e accompagnò la principessa fino all'ingresso, dopodiché fece gesto di smantellare la tavola e di passare lo straccio sul pavimento.
Nel giro di venti minuti tutta la sala era tornata a essere accogliente e pulita. Scambiai poi quattro chiacchiere con i miei colleghi su quanto sarebbe stato desiderabile sostituire la nostra solita tazza di latte con il pane della mattina con qualcosa di più appetitoso e su come invece la nuova cavalla della principessa dovesse essere rimasta gravida per la prima volta dopo tanto tempo.
Augurai una buona giornata al resto della servitù presente nella sala e poi afferrai il catino con l'acqua e lo straccio perché era la volta della pulizia della cappella Palatina.

La chiesetta privata di palazzo Livingstone avrebbe ospitato un numero sufficiente di credenti data la sua grandezza e avrebbe di certo affascinato la maggior parte di essi circa l'abbondanza di oro che ricopriva l'abside, il deambulatorio e la volta. In meno di una manciata di minuti mi ero precipitata nel vestibolo, facendo cadere in qua e in là qualche goccia di acqua nel tragitto, e da qui subito nella Cappella Palatina.
Il vestibolo era stato concepito come il perno centrale dell'intero edificio, i cui bracci mediani si incontravano nel mezzo. Il principe Carlyle aveva voluto infatti che la cappella fosse raggiungibile non appena fatto l'ingresso dall'entrata principale, dagli altri bracci invece si procedeva verso gli appartamenti reali e verso le sale adibite all'accoglienza dei sudditi.
La cappella aveva base rettangolare, con un abside semicircolare retrostante l'altare e un corridoio centrale dai motivi geometrici, costeggiato da file di banconi in legno. La cupola a cassettoni sovrastava un altare in marmo verde e dalle decorazioni in stucco dorato, sopra il quale si ergeva un dipinto rievocante scene sacre.
Non appena entrata, feci un segno della croce sbrigativo senza accorgermi se avessi cominciato da destra o da sinistra, poi avanzai e poggiai il secchio d'acqua ai piedi della piccola serie di scale che conduceva all'altare.
Stavo per cominciare il mio lavoro quando mi resi conto di un leggero movimento della tenda che copriva l'ingresso della sagrestia. Mi fermai per capire se me lo fossi immaginato ma poi subito dopo ne uscì padre Baruffaldi.
Mi rincuorai e fui addirittura contenta di vederlo, essendo l'unico ad avermi offerto qualche tempo prima un minimo di conforto per una situazione completamente inaspettata. Quel giorno lo vidi più riposato e, sebbene fosse anziano, mi sembrò più giovane di come lo avevo visto la prima volta. Era nell'intento di cingersi la vita con il tipico cordone da chierico quando si rese conto della mia presenza e mi rivolse un sorriso sincero.
«Buongiorno, mia cara. Come state oggi?»
Feci cadere lo straccio nel catino, facendo fuoriuscire ulteriori schizzi che di lì a poco avrei lavato via.
«Meglio padre, rispetto a una settimana fa.» alzai le sopracciglia «peggio rispetto all'inizio dell'inverno.»
«Una ferita del genere non si rimarginerà presto, forse mai, ma siete giovane per vostra fortuna e avete Iddio sempre al vostro fianco.» il suo sguardo si fece dolce e le palpebre cadenti resero ancora di più questa apparenza.
«Pensate dunque che da una parte è meglio perdere un proprio genitore in giovinezza piuttosto che in vecchiaia?» la mia domanda non aveva affatto fini accusatori, ero invero incuriosita.
Rispose al mio quesito ridacchiando qualche secondo «Oh no affatto! Intendo dire che quando si è giovani si superano molte più cose con facilità. Voi avete tutta la vita davanti, pensate a chi un genitore non l'ha mai conosciuto. Ebbene, ne avete uno davanti.»
«Non avete mai conosciuto...?»
«Mio padre. Abbandonò mia madre prima ancora che io nascessi e lei non volle mai dirmi chi fosse l'uomo che aveva contribuito a mettermi al mondo.» fece spallucce, ma fu più un gesto dettato dalla consapevolezza che questi erano stati gli eventi e che non avrebbe potuto cambiarli.
Mi accorsi subito che forse avrei potuto evitare quella domanda per il timore di poter esser risultata scortese.
«Oh no, Anthea, non rattristatevi. Non ho mai provato rancore per quell'uomo, avrà avuto i suoi motivi e di certo mia madre è stata coraggiosa abbastanza da svolgere entrambi i ruoli. Pace alla sua anima.» si fece il segno della croce.
Lo feci anche io di riflesso e poi, un po' confusa, cominciai a pulire il pavimento.
«Padre, posso farvi una domanda?»
Questi annuì e iniziò a rimettere in ordine i banconi che erano stati spostati dai fedeli in uscita dalla celebrazione.
«Perché portate un saio da frate?» Baruffaldi mi guardò un po' perplesso.
Mi appoggiai al manico dello scopettone «Intendo dire, ho sempre visto parroci con il consueto abito nero lungo fino ai piedi e mi domandavo perché voi indossaste uno tipico dei frati dal momento in cui io... non penso siate frate.»
«Mi reputo un francescano, per quanto non abbia mai preso parte all'ordine. A volte mi chiedo se non era stata questa la mia strada.»
«Che cosa intendete?»
«Intendo dire che lo sfarzo allontana il buon cristiano dal Creatore e che per questo mi sento più a mio agio con un pezzo di stoffa grezzo ricucito addosso che con un abito del più pregiato tessuto. Guardatevi intorno» seguii la sua mano «ritengo che tutto questo oro sia superfluo. Pensate che al Signore interessi più che la sua casa sia lussuosa piuttosto che adornata di sole rocce? Dal mio canto, preferirei celebrare la messa in un rudere di campagna.»
Non capii subito la profondità dei suoi ragionamenti ma lì per lì accettai la sua risposta. Non mi reputavo una credente fervida, conoscevo quelle poche preghiere che venivano insegnate per consuetudine durante l'infanzia ma difficilmente avevo preso parte a qualche celebrazione di mia spontanea volontà; a volte tuttavia, mi era capitato di percepire una grande sensazione di pace di fronte l'ingresso di un posto sacro.
«Il principe è mai stato un uomo credente? Immagino di sì per abbellire così tanto una cappella...»
Sembrò quasi sconcertato dalla domanda «Il principe avete detto?»
Annuii, con il timore di aver posto una domanda sciocca.
«Il principe non perderebbe mai la celebrazione della domenica e, quando gli affari glielo consentono, prende parte anche a quelle infrasettimanali.»
«Non lo avrei mai detto!» aggiunsi con una smorfia di incredulità.
«Merito di suo padre, grande uomo di chiesa.»
«Avete avuto modo di conoscerlo in maniera approfondita?»
«Molto bene direi.»
«Non vorrei risultare inopportuna...»
«Dite mia cara, siamo solo io, voi e Gesù Cristo, come potete vedere.»
«Non ho mai capito se aleggia un alone di mistero attorno alla famiglia Kynaston. Ho avuto questa impressione da quando ho messo piede qui dentro.»
Baruffaldi si schiarì la voce «Potremmo prendere per buona questa cosa.»
«Quindi mi state dando ragione» osservai «presumo» aggiunsi con imbarazzo.
«È una storia lunga di cui ancora si parla molto, ma solo pochi sanno veramente.»
Schiarii i pensieri e presi in considerazione l'idea di aprirmi un poco, consapevole anche che per l'abito che indossava avrebbe dovuto mantenere il segreto, se di segreto poteva parlarsi.
«Considero il principe una persona molto misteriosa!» esclamai, come se fossi in procinto di confessare qualche peccato.
«E non avete tutti i torti a pensarlo. O meglio, mostra solo ciò che intende mostrare e naturalmente con le persone che dice lui.»
«Pensate davvero?»
«Certo, chi meglio di me potrebbe dirlo. Lo conosco da quando era ancora in fasce più o meno.»
«Ritengo dunque che siano poche le persone che veramente dimostrano di amarci e ancora meno quelle di cui ci si può fidare. Immaginate poi se queste persone sono incoronate sovrani di qualche regno.»
Baruffaldi alzò le sopracciglia e aprì le braccia a segno di condivisione del mio pensiero, poi mi guardò dubbioso.
«Come mai nutrite tutto questo interessamento sulla vita del sovrano?»
Sebbene l'osservazione, non mi scomposi e strizzai lo straccio per fargli perdere l'acqua in eccesso.
«Vedete, una volta entrati a palazzo è inevitabile farsi domande, non necessariamente con l'intento di sembrare ficcanaso ma semplicemente per desidero di conoscenza. A maggior ragione se si proviene dalla campagna come la sottoscritta.» risposta molto generica la mia, ma almeno non lo avrebbe insospettito ulteriormente.
Sospirò «E ha una direzione precisa il vostro desiderio di conoscenza?»
«Vaga, ma verso nessuna meta in particolare.»
Ero nell'attimo in cui avrei voluto fargli molte domande ma ciò non mi fu permesso a causa dell'inaspettata comparsa di Lydia.
«Ah eccoti finalmente!» asciugò il sudore della sua fronte con il grembiule, segno che aveva fatto una bella corsa tra i corridoi del palazzo alla ricerca di quante più persone fosse in grado di richiamare «Vieni, forza! È successo di nuovo!»
«È successo di nuovo?» risposi con tono interrogativo.
«Te l'ho detto! Sbrigati!»
Sì, ma cosa era successo di nuovo?

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