Capitolo 23
Girolamo Baruffaldi era un uomo sulla settantina, dal temperamento arzillo e coinvolgente. I pochi capelli argentati che gli erano rimasti incorniciavano un viso solcato dai segni dello scorrere del tempo, le palpebre cadenti sembravano non voler rendere manifesto il colore bruno dei suoi occhi e il suo naso aquilino lo faceva apparire più burbero di quello che sicuramente doveva essere.
La prima volta che lo vidi indossava il saio marrone tipico dei frati, con i sandali ai piedi nonostante il freddo pungente che iniziava a prendere il posto delle miti giornate autunnali. Era un uomo molto magro e anche abbastanza alto se non fosse stato per la lieve gobba che doveva contraddistinguerlo ormai da tempo.
Sebbene fossi a conoscenza del suo arrivo, il suo incontro fu per me del tutto fortuito.
Fui chiamata nella Sala Grande a servire del tè per degli ospiti venuti appositamente per rendere omaggio alla principessa. Per l'occasione pensai di portare anche più tazze di quelle che sarebbero servite per quanto poi mi resi conto che nella Sala mi aspettavano solo la principessa e quello che sarebbe diventato da quel momento in poi il sostituto del compianto padre Wilson. Il sacerdote di Palazzo Livingstone aveva infatti fatto la sua dipartita qualche giorno prima, tra gli interminabili lamenti causati dalla malattia e i passeggeri momenti di benessere. Diceva che voleva ricongiungersi al suo Creatore e che non aspettava altro da quando si era a lui consacrato. Le sue preghiere fortunatamente conseguirono gli effetti sperati e nel giro di qualche giorno i dolori terreni lasciarono spazio alla beatitudine celeste.
Serviva dunque presto un sostituto e il principe Kynaston si affrettò più di quanto avrebbe fatto in altre occasioni per chiamare a corte il suo tanto amato Baruffaldi.
Quando entrai nella Sala mi resi conto che non era presente il gruppo di ospiti che mi aspettavo e che invece l'unica visita prevista era proprio quella del nuovo sacerdote.
Nel momento esatto in cui feci capolino, il vecchio sacerdote si voltò per guardare chi fosse entrato nella stanza mentre Jocelyn rimase nella sua posizione, a braccia conserte sul ventre.
Mi fermai all'uscio in attesa di venir chiamata dalla principessa. Passarono alcuni minuti prima che la donna si rendesse conto della mia presenza e mi parve quello un lasso di tempo interminabile, aggravato dal peso del vassoio che trasportavo che cominciava a farsi sentire sempre di più.
«Venite su!» ordinò Jocelyn con una smorfia di sfida per poi riprendere con pacatezza la conversazione con il parroco.
Mi avvicinai al tavolino all'angolo della stanza e poggiai finalmente la teiera. Versai del tè in due tazze e le coprì con un coperchio in porcellana così che la fragranza fumante non fuoriuscisse e altresì per evitare che il tè si raffreddasse.
Le poggiai sul vassoio in argento e mi avvicinai all'ospite e alla padrona di casa.
Jocelyn prese la sua tazza e annusò l'ondata di vapore che fuoriuscì dalla coppa non appena sollevò il coperchio. Profumo di cannella e agrumi.
«Prego padre, prendete ce n'è anche per voi.» esortò Jocelyn sorseggiando le prime gocce.
«Oh no vi ringrazio Maestà ma per me si avvicina l'ora della cena e non vorrei rovinarmi l'appetito.»
«Come preferite!» mi fece cenno con le mani di allontanarmi, così riposai il vassoio e rimasi lì ferma in attesa che la principessa mi impiegasse in altra mansione.
«Piuttosto, posso chiedervi una sedia? Le mie povere membra iniziano a lamentarsi e con non poca difficoltà riesco a metterle a tacere.» da quando ero entrata avevo visto l'anziano spostare il peso prima su una gamba e poi sull'altra, con l'illusione che questo movimento rendesse meno reali gli acciacchi della sua età.
«Oh certo!» si girò verso di me «Beh? Non avete sentito? Il nostro ospite ha bisogno di una sedia!»
Non c'era alcun motivo che Jocelyn usasse quel tono, di certo non obbedivo a ordine se non mi veniva richiesto. Mi guardai attorno e una sedia in velluto verde fu la prima cosa che vidi davanti a me. La puntai e la portai al sacerdote.
Gli feci cenno che era quella la sedia su cui si sarebbe potuto riposare e lui mi ringraziò con i suoi occhi bruni. I suoi erano solo occhi ma sembravano più espressivi di qualsiasi altra bocca. Chissà quante cose avevano visto e quante altre cose erano in grado di raccontare.
«Credo che quest'anno festeggeremo il Natale in mezzo alla neve, Vostra Maestà.» osservò padre Baruffaldi dopo essersi finalmente adagiato e aver poggiato la schiena alla spalliera della sedia.
«Credete? Sarebbe la prima volta qui a Sommerseth!» esclamò la principessa.
«In seminario si dice sempre che se nevica durante il periodo di Natale deve esserci in serbo qualcosa di speciale.» continuò il sacerdote.
«Mi auguro sia veramente così allora.» Jocelyn sorseggiò gli ultimi centellini di tè e poi mi porse la tazza da lontano, aspettando che io andassi a prenderla.
«Che la nascita del Signore quest'anno porti più gioia nei nostri cuori di come ha fatto fino a oggi.» stava fuoriuscendo a quel punto il suo spirito cristiano.
«A proposito del Natale, avete in mente qualcosa per quell'occasione?» da quel che sapevo la principessa era una grande amante degli eventi e di certo non si sarebbe fatta mancare il Natale, la festa più aspettata dell'anno.
«Con tutta onestà, non vi ho ancora pensato. Sono ancora stanco per il viaggio dall'Italia.»
«Allora mi aspetto che organizziate qualcosa per l'evenienza, padre» aggiunse la principessa, come a dimostrare che volesse avere lei l'ultima parola.
Povero vecchio, pensai. Alla sua età l'unica cosa a cui avrei avuto voglia di pensare sarebbe stato il riposo.
Non pensavo che per quel Natale sarei tornata a casa mia. Sentivo molto la mancanza dei miei genitori e altrettanto quella di mia sorella. Non avevo loro notizie da quando ero arrivata a palazzo ma la promessa con cui ci eravamo lasciati era che qualsiasi cosa fosse successa, bella o brutta, mi avrebbero messa al corrente. Quello sarebbe stato il primo dei tanti Natali che avrei passato lontano da loro e che avrei trascorso magari in un posto più accogliente rispetto a quello di casa mia. Eppure cosa conferisce più calore, l'amore di un genitore o il focolare acceso di una stanza in festa?
Il pensiero volò poi a Daisy e a come si stesse occupando da sola dei preparativi nuziali.
Thomas Forks era veramente quello giusto per lei? Farla sposare con un uomo che non conosceva era stata l'unica scelta possibile? E se avesse sofferto per il ritrovarsi dentro casa con uno sconosciuto?
Erano queste le domande che mi tormentavano ogni notte e la cosa che più mi rattristava era che non sapevo a chi confidarle. La mia compagna di stanza ultimamente si era fatta ancora più schiva e sempre più frequentemente non rientrava in stanza a dormire. Mi ero autoconvinta che avesse una seconda vita e che non sarebbe mai stata disposta a parlarne con qualcuno, tantomeno con me. Dal canto mio mi sentivo sola spesso e volentieri, a parte quelle rare volte in cui avevo modo di scambiare quattro chiacchiere con Lydia. Nei giorni a seguire avrei probabilmente chiesto a Sir Jacques di organizzare i miei orari in maniera tale da condividere sempre con lei il turno.
Forse alla fine, anche Lydia si sentiva un pizzico come me.
Avrei trascorso il Natale a palazzo sì, ma di questo in fondo in fondo non ero così dispiaciuta.
Era capitato spesso, durante la mia permanenza a Livingstone, che non vedessi il principe per giorni e che ne sentissi la mancanza. Provavo una sensazione dolce amara nei confronti di quell'uomo, sensazione che non mi era mai capitata di avere con nessuno, neanche con le prime cotte infantili.
Mi sentivo in colpa per il desiderare un uomo che non sarebbe mai stato mio e che aveva scelto la sua strada.
Mi sentivo sciocca per cercare un uomo che era anche il mio sovrano e di tutto ciò davo la colpa alla mia giovane età. In fin dei conti, nella mia vita non c'era mai stato nessuno.
Eppure ancora non avevo trovato il modo per sopire le urla che provenivano dalla mia pancia, che chiamavano il principe e che lo desideravano tutto per me, che affermavano quanto fosse palese che provasse qualcosa per la sottoscritta se mi aveva destinato un suo presente.
Tutto questo era pura follia, mi diceva il cervello.
E io ero dalla sua parte.
Quasi a farlo apposta in quel momento entrò Carlyle nella stanza. Sentii nuovamente un liquido vischioso strisciarmi fuori dall'inguine. Il principe accolse Girolamo Baruffaldi con il più bello dei sorrisi.
«Girolamo!» gridò con entusiasmo non appena lo vide.
«Carlyle!» rispose questi con lo stesso impeto.
Il principe tagliò in diagonale la stanza cercando di fare meno passi possibili per raggiungerlo prima e abbracciarlo.
Nel momento in cui furono a pochi centimetri di distanza si guardarono per capire se fossero veramente reali e presenti, l'uno di fronte all'altro. Quando costatarono questo, si avvinghiarono in un lungo abbraccio.
Jocelyn, dal canto suo, guardò la scena con un po' di incredulità e disgusto, consapevole che certi atteggiamenti non sarebbero mai dovuti essere propri di un principe.
«Girolamo!» ripeté nuovamente il principe per prendere coscienza che sì, l'uomo che non vedeva da anni era veramente lì tra le sue braccia.
«Mio caro vecchio ragazzo! Siete cresciuto molto dall'ultima volta che vi ho visto!»
Non ne ero veramente sicura, ma credetti che una timida lacrima fosse fuoriuscita silenziosa dall'occhio semichiuso del principe.
Carlyle, con le sue enormi spalle, copriva quasi per intero il gracile corpo del suo confidente d'infanzia e l'unica cosa che si riusciva a intravedere di questi era la sua testa: essendo molto alto infatti, per poter abbracciare il sacerdote dovette piegarsi con la schiena, con il risultato di avvolgerlo completamente.
Dopo qualche minuto si ricomposero e si staccarono l'uno dall'altro.
«Quante cose avete da raccontarmi, Girolamo.» mise le mani sui fianchi e increspò gli angoli della bocca per l'emozione.
«Quante cose avete da raccontarmi voi, mio caro Carlyle.»
«Molte sicuramente.» si sbottonò in seguito la giacca marrone che indossava e che doveva rimanergli un po' stretta.
«L'ultima volta che vi ho visto era ancora vivo vostro padre e ora vi ritrovo qui, addirittura sovrano!» Girolamo ridacchiò e poi si sedette di nuovo sulla sedia di velluto.
Carlyle si apprestò a versarsi del tè.
«Dove siete stato fino a ora?»
«A Ferrara, Vostra Maestà.»
«Oh per l'amore di Dio, io per voi sarò sempre Carlyle come quando mi insegnavate il latino, ricordate?»
«Come posso dimenticare, eravate un ragazzino così sveglio eppure a volte vi applicavate poco.» Baruffaldi riprese a sogghignare con la stessa risata roca tipica degli anziani.
«Cosa sarei stato io ora senza di voi.» Carlyle tornò dal parroco e si posizionò vicino a sua moglie.
«Dunque Ferrara dicevate.» bevve un primo sorso di tè.
«Ebbene sì, la mia città.»
«Pensate che vi mancherà la temperature mite italiana?» domandò Jocelyn con disinteresse. Quello fu il massimo che la principessa riuscì a fare durante tutto l'incontro. Era palese che non provasse le stesse emozioni che trasudava suo marito e per evitare di mostrarsi del tutto indifferente alla presenza del suo ospite pensò bene di rivolgergli quella domanda, sebbene di fatto non le interessasse minimamente la risposta.
«Per il tempo che sarò qui, sì.»
«In che senso, Girolamo? Sarete qui solo per un breve periodo?» notai sul volto di Carlyle posarsi un velo di malinconia.
«Mio caro Carlyle, per quanto io sia desideroso di chiudere gli occhi in mezzo alle persone che ho sempre considerato la mia famiglia, la mia città mi chiama e la mia grande fede devo mostrarla prima a Dio e poi a Ferrara.»
«Cercheremo di godere della vostra presenza il più intensamente possibile allora.» mandò giù un altro sorso di tè ma parve non essere di suo gradimento.
«Sir Jacques!» urlò.
Questi, che era sempre rimasto fuori la sala guardingo a che nessuno disturbasse la riunione in corso, fece il suo ingresso in una manciata di qualche secondo.
«Desiderate, Vostra Maestà?»
«Portate qui del buon vino rosso, il migliore che abbiamo in enoteca.»
Sir Jacques guardò il principe un po' perplesso e poi spostò la sua attenzione verso di me, alzando le spalle in segno di disinteresse.
«Mio caro» cominciò Jocelyn «Per quale ragione dovete incaricare Sir Jacques se abbiamo qui una cameriera pronta all'uso»
Pronta all'uso?
«Perché Sir Jacques se ne intende di vini sicuramente più di quanto se ne intenda questa ragazza.» rispose schietto e Jocelyn non seppe cosa controbattere, roteò solo gli occhi e strinse ancora di più le braccia sul ventre.
Fu improvvisamente distratta dal rumore delle ruote di una carrozza battere sul brecciolino del vialetto sottostante così che si avvicinò alla finestra, intenzionata a capire chi fosse venuto a farle visita.
Fu quella l'occasione di cui Carlyle approfittò per rendermi la protagonista dei suoi sguardi, sebbene cercasse invano di nascondere le sue occhiate da dietro la coppa di vino procuratagli da Théodore. Vidi posare i suoi occhi azzurro mare prima sul mio viso, poi sui miei fianchi e infine sul resto del corpo. Per un breve lasso di tempo i nostri occhi si incrociarono, ma li distolsi subito per il timore di venir scoperta da sua moglie. Fu la prima occasione in cui mi sentii analizzata da capo a fondo, come se fossi stata sotto una lente di ingrandimento, e avrei detto una bugia se avessi negato la mia eccitazione.
«Ah è arrivata Ms. Thompson» gracidò lei non aspettandosi quella visita «vado ad accoglierla, perdonate?»
«Andate pure mia cara, mi intrattengo ancora un po' con padre Baruffaldi.» rispose Carlyle mentre si apprestava a versare una coppa di vino anche per il suo ospite che però rifiutò con garbo.
Il loro discorso sul soggiorno a Ferrara del sacerdote, sulla morte di Freiderich Kynaston e sull'attuale gestione del palazzo venne interrotto dall'ingresso di un servitore annunciando ci fosse posta per il principe.
«Prego, entrate e portatemi la missiva.» sentii Carlyle borbottare che doveva trattarsi dell'ennesimo invito da parte di qualche membro della nobiltà, a cui lui non aveva mai dato modo di sperare. Il ragazzo, che era rimasto al centro della tavola, si voltò verso di me e mi chiese se sapessi dove trovare Miss Gleannes.
«Siete fortunato perché ce l'avete proprio davanti!»
Questi sospirò, sollevato di non dover andare in giro per i corridoi del palazzo alla ricerca di una cameriera di cui non conosceva il volto.
«C'è un biglietto per voi.» mi informò.
«Per me?» mi porse il biglietto e subito lo afferrai per esaminarlo con cura. Riconobbi la scrittura di mia madre e quello che era il suo nome. Una sensazione di contentezza mi pervase perché non vedevo l'ora di sapere cosa fosse stato riportato nero su bianco. Tuttavia il piacere lasciò presto il posto alla malinconia di non essere in grado di decifrare cosa ci fosse effettivamente scritto.
Padre Baruffaldi se ne accorse e con fare paterno si avvicinò a me.
«C'è qualcosa che non va mia cara?»
Guardai i suoi occhi.
«Solo che avrei bisogno di qualcuno che leggesse questo biglietto per me. Provo quasi vergogna a confessarvi che non so cosa ci sia scritto!»
«Per così poco? Datelo a me.» estrasse una lente dal taschino che aveva in vita e poi aprì con cura il biglietto.
Carlyle a sua volta, dopo aver cestinato l'ennesimo invito non gradito, non aveva smesso di analizzare la situazione e altrettanto di rendermi destinataria di occhiate indiscrete.
Padre Baruffaldi increspò il naso e la bocca e poi spese qualche secondo a leggere il contenuto delle poche righe che si intravedevano dal riflesso della carta semitrasparente alla luce del sole invernale.
Notai il suo volto passare da un'espressione neutra a una più contrita.
Motivo per cui anche la mia calma si trasformò in preoccupazione.
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