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Capitolo 21

Erano in cammino da circa due ore, Hector sempre ultimo rispetto agli altri.
Il bosco in cui si erano addentrati era talmente fitto da non permettere neanche al chiarore pallido della luna di illuminare loro il cammino. Non seguivano uno schema preciso di marcia, sapevano solo quale era la loro destinazione e che nel raggiungerla non avrebbero dovuto attirare troppa attenzione.
Si muovevano a macchia di leopardo e di questo Hector non se ne capacitava. Se qualcuno li avesse scoperti non avrebbero avuto all'occorrenza le forze necessarie per difendersi. Credette quindi che i suoi commilitoni non dovevano essere molto esperti e che forse era proprio quello il giorno in cui avrebbero battezzato una baionetta.
A parte qualche parola il silenzio regnava sovrano. Gli abeti predominavano imponenti e risultava difficile alzare lo sguardo e trovare un pezzo di cielo che si ritagliasse tra i rami degli alberi. Di tanto in tanto lo squittio della civetta si levava, a segno di come l'alba avrebbe tardato ad arrivare. Dopo circa una mezzora di cammino una densa foschia avvolse i loro spiriti e l'evento rese ancora più difficile mantenere un'andatura compatta. 
Un tuono in cielo squarciò il silenzio e subito dopo iniziò a piovere. L'atmosfera prese a farsi umida e la pioggia sempre più impetuosa.
«Comandante, quanto manca ancora?» il ragazzo che aveva parlato sarà stato poco più che un ragazzino. Forse l'unico uomo della sua famiglia, forse un modo per ripagare un debito. Gracile, con la giubba che gli sarebbe entrata due volte e con in mano il fucile che riusciva a trasportare a stento. Era inglese e si sentiva dall'accento. 
Il vento freddo e la coda di una volpe che si nascose in un cespuglio per non farsi vedere.
Poi uni rantolo.
Il ragazzo cadde a terra con gli occhi spalancati, coprendosi con la mano il petto. Le dita rigide mentre cercavano di interrompere il sangue che usciva dalla zona in cui era stato appena pugnalato. Ansimò per qualche minuto mentre si lamentava e chiedeva aiuto.
Poi i respiri cessarono e anche il suo guaito.
«Questo succede a chi rischia di farci scoprire.» Il comandante Ferguson era impassibile, come se non avesse appena ucciso un ragazzo che sarebbe potuto essere suo nipote. Raccolse delle foglie secce, vi pulì il pugnale sporco di sangue e poi le gettò in faccia al giovane senza vita.
«In marcia ora!» riprese in spalla la sua baionetta e fece cenno agli altri di rimettersi in cammino. Hector sentì le sue budella contorcersi per lo scempio a cui aveva appena assistito. Si rese conto che era rimasto fino a quel momento con la bocca spalancata: conosceva la crudeltà, ma non credeva sarebbe mai potuta arrivare a quel punto.
Ripresero la marcia senza troppe cerimonie. Si voltò a guardare il ragazzo per l'ultima volta.
Un ragazzo, un figlio di qualcuno, che forse si sarebbe trasformato in cibo per corvi, morto su suolo straniero per mano di chi non conosceva misericordia. 

Camminarono per un'altra ora circa. La gamba iniziava a fargli male e la sentiva pulsare, come se il suo cuore invece che restare nel petto si fosse spostato nel suo arto inferiore.
Il bosco era quasi finito e man mano che procedevano, tra i rami degli alberi, si scorgevano i padiglioni francesi, i resti di un fuoco spento e qualche soldato rimasto di guardia ma che con il calare della notte si era addormentato. L'accampamento era molto quieto e nulla faceva presagire l'idea che di lì a poco si sarebbe versato del sangue. 
Il comandante Ferguson fece cenno alla sua squadra di abbassarsi il più possibile verso terra e di diminuire anche il rumore dei loro respiri. Hector si nascose dietro una roccia così da potersi sedere e riprendere fiato. Quelle ore di cammino erano state davvero estenuanti e poi dirette dove? Verso una fine di cui non voleva sapere nulla.
Durante il tragitto il comandante si era preoccupato che venissero raccolte cortecce ben spesse che sarebbero servite a mo' di scudo, in sostituzione dei veri scudi medievali che da almeno quattrocento anni non si era più soliti utilizzare. 
Tutti i soldati erano nascosti tra gli alberi, i cespugli e i tronchi in attesa che il capitano facesse loro un cenno. Ferguson si incamminò per primo. Come il comandante di una nave era l'ultimo a scendere da un vascello che affondava, il condottiero credeva che sarebbe dovuto essere lui il primo ad aprire le danze.
Puntò un uomo appoggiato di schiena a un tronco con il collo piegato verso l'indietro, evidentemente addormentato. Il comandante gli picchiettò la faccia con la punta della spada per dargli il benvenuto. Questi inizialmente spostò la spada con la mano, pensando di sognare, poi aprì gli occhi lentamente e solo dopo si rese conto di cosa stava succedendo. Sgomentato, prese più fiato che poté per dare l'allarme. 
«Les anglais! Les anglais!» l'accampamento si svegliò al richiamo del francese. Un soldato in lontananza si apprestò a prendere il corno e a dare l'allarme.
Con fretta e furia il soldato che aveva dato l'allarme provò ad alzarsi per prendere e puntare il fucile contro lo sgradito visitatore.
«Non siamo inglesi, fils de putain!» Ferguson strinse con saldezza il manico della spada con tutte e due le mani e la puntò sul collo del francese. La testa di questo rotolò a terra e il corpo esamine si accasciò dalla parte opposta.
Infilzò il cranio grondante di sangue con la spada e lo alzò al cielo trionfante, a segno di monito.
«Per il principe Carlyle! Per Sommerseth! Per la gloria!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola, con le vene gonfie sulla fronte che sembravano volergli scoppiare e gli occhi iniettati di adrenalina più grandi di come erano davvero.
«Vous ne pouvez pas! C'est contre toute la loi militaire! Bâtards! Lâches! Mangeurs de merde!» Un colpo di fucile interruppe la sua obiezione. Il secondo francese fino a quel momento. 
Un'orda di soldati dalle giubbe blu fuoriuscì dal nascondiglio e al grido di guerra si scagliò contro i soldati gallici. Rumori di fucili ovunque, corpi cadere a terra per l'impatto dei proiettili. 
Hector guardava tutto da dietro della sua roccia, con solo gli occhi che fuoriuscivano dal suo nascondiglio. E se il bagliore della sua paura avesse attirato la loro attenzione?
«Le feu! L'huile!» Hector non capiva cosa si stessero dicendo, non conosceva la loro lingua. Vide però che un gruppo di cinque uomini, protetto dai loro compagni, accumulò una pila di legna secca e la cosparse di polvere da sparo. Ne lasciarono una striscia in terra e vi diedero fuoco. Subito la pila di legno si incendiò. Con molta difficoltà vi posizionarono sopra un calderone pieno di olio bollente e attesero il tempo necessario affinché questo si scaldasse.
Gli altri francesi, resosi conto del fuoco acceso, si apprestarono a imbevere le punte delle loro frecce nell'olio e a dargli fuoco. Le scoccarono in aria e per un momento diedero l'impressione di una scia di stelle cadenti che illuminavano il cielo, per poi ricadere a terra e dare fuoco ai soldati nemici. 
Questi iniziarono a dimenarsi, a gettarsi in terra per spegnere le fiamme. Alcuni ci riuscirono, altri invece con l'intento di spegnere il fuoco che li divorava, si conficcarono ancora di più la freccia nel punto in cui erano stati colpiti e morirono dissanguati.
«Cosa state facendo razza di incapaci! Vi state facendo battere da un nemico che avreste dovuto sconfiggere a occhi chiusi!» detto questo, Ferguson infilò il pugnale precisamente tra gli occhi del soldato che stava per colpirlo alle spalle. 
I francesi nel frattempo avevano avvicinato una catapulta al calderone pieno di olio bollente ma al posto di avervi posizionato una palla di stoffa o di piombo all'estremità, vi era un recipiente. 
Hector si chiese in fin dei conti se i francesi non fossero a conoscenza dell'attacco dal momento in cui nella loro impreparazione si erano dimostrati molto più preparati dei soldati che avevano teso loro un attacco a sorpresa. 
Ferguson, sempre più sbalordito dell'incapacità dei suoi sottoposti, cercò di trovare il modo per ridurre la velocità delle perdite che fino ad allora aveva subito. 
«Soldati a testuggine!» i commilitoni si unirono stretti in un quadrato attorno al loro comandante.
«Alzate le corteccie!» la prima fila alzò i tegumenti a protezione del loro busto mentre le file centrali a protezione delle loro teste.
«Procedete!» le milizie iniziarono ad avanzare il più velocemente possibile, con le prime file che facevano da protezione e le seconde che invece sparavano proiettili verso i nemici. La mossa fu considerata dai soldati stessi abbastanza intelligente fino a quando non partì la catapulta. Una macchia di olio si levò in aria e sorvolò le loro teste fino a quando non ne vennero colpiti. Urla di dolore e strazio si levarono. Ma non era finita lì. Dalla stessa catapulta partirono palle di stoffa infuocate che incendiarono l'olio che li aveva appena bersagliati. 
Torce umane scappavano in qua e in là, alla ricerca di una riserva d'acqua per un po' di refrigerio, ma che per volere della sorte non trovarono. Lamenti interminabili si alzavano in cielo, mentre i francesi erano pronti a sparare di nuovo. Alcuni soldati presero la fuga tra i boschi circostanti, consapevoli che se fossero stati ritrovati sarebbero stati accusati di alto tradimento nei confronti della corona. Il loro destino da quel momento sarebbe stato quello di vagare senza meta, alla ricerca di una porta a cui chiedere asilo politico o di una cella in cui scontare il resto dei loro giorni.  
I più coraggiosi rimasero in campo a difesa dei valori in cui credevano e nel rispetto della missione a cui erano stati chiamati a prendere parte. Il loro era un suicidio annunciato ma Ferguson avrebbe preferito morire in battaglia piuttosto che tornare vigliaccamente all'accampamento. 
«Sparate! Sparate figli di puttana!» i suoi sottoposti obbedirono e cominciarono a sparare senza prendere di mira qualcuno in particolare. L'importante era farne fuori almeno uno.
«Scaricate le pallottole addosso a questi bastardi mangiamerda!» Il comandante svuotò le sue corde vocali ed Hector per poco non pensò che gli sarebbe preso un attacco di cuore di lì a poco. 
Ferguson in breve tempo si ritrovò con i suoi pochi fidati al centro, presi di mira dai francesi intorno a loro con i fucili puntati.
«Rendez- vous au Roi Louis XV! Vous serez traités comme otages de guerre et rien ne vous arrivera!»
«Preferirei piuttosto venir mangiato vivo dai corvi!» caricò il fucile e lo scaricò proprio addosso all'uomo che aveva parlato. Questi cadde morto a terra tra lo sgomento dei suoi compagni. Si trattava di un vero e proprio affronto verso un'offerta di pace.
Con la stessa determinazione di Leonida e dei suoi Trecento, il condottiero rimase in campo ad aspettare il suo destino.
O sopra lo scudo o con lo scudo. Era questo il suo motto. Avendo praticamente azzerate le possibilità di tornare a casa con lo scudo di certo avrebbe preferito non tornarvi piuttosto che rincasare da vinto. 
Si girò a guardare i suoi subordinati e per la prima volta in vita sua provò pena. Sentì il suo petto espandersi e scaldarsi per una sensazione che non aveva mai provato. I suoi soldati lo capirono e, con uno sguardo fiero, gli ribadirono il loro appoggio.
«E ora facciamoli fuori tutti. Con le armi o con le mani. Ci vedremo tra poco all'Inferno!» Come un sasso che cade in acqua e crea tante piccole onde concentriche, così i soldati si avventarono contro i nemici.
La lotta era passata dalle armi alle spade e infine dalle spade alle mani. 
Quasi nessuno sparava più. I francesi erano numericamente superiori rispetto alle milizie straniere e questo permise loro anche di concentrare più uomini su di un unico soldato. La carneficina proseguì con il ritmo con cui era iniziata.
Uomini infilzati da pugnali come maiali pronti al macello.
Uomini che vomitavano sangue o che soffocavano nel loro stesso rigurgito.
Nell'arco di poco tempo non rimase anima viva sul campo che non fosse francese. Seguì un urlo di vittoria e qualche esaltazione in lingua. 
Hector ebbe un sussulto quando si rese conto che era l'unico della fazione nemica a esser rimasto vivo sul campo di battaglia e ancora di più quando si accorse di un soldato francese in procinto di avvicinarsi nel punto in cui si trovava.
«Je vais pisser. Si vous voulez, vous pouvez venir à tenir mon oiseau.» seguì una fragorosa risata. La paura lo rese prigioniero. Cercò un modo per nascondersi e l'agitazione che provò in quel momento gli fece pensare fosse logico coprirsi di foglie, come se fossero state sufficienti a confonderlo con l'ambiente circostante. Quando si rese conto che non sarebbe stata di certo una scelta intelligente la prima cosa che fece, prima ancora di permettere al cervello di dare un ordine, fu quella di fuggire - o meglio - di strisciare. 
Se fino a quel momento nessuno si era ancora accorto della sua presenza, fu palese a un tratto che non tutti i nemici erano morti. 
«Qui est là! Qui est là!» urlò il francese. Questi iniziò a correre e Hector a strisciare ancora più veloce. Purtroppo i suoi tentativi furono vani tanto che nel giro di qualche secondo lo aveva raggiunto. 
Hector interruppe la sua fuga affannosa nel momento in cui se lo ritrovò davanti. Alzò la testa e lo vide.
«Il y a un autre ici.» gridò l'uomo. I suoi compagni, interessati più ai loro boccali stracolmi di birra che a quello che avevano appena udito, gli risposero qualcosa distrattamente.
«Per favore risparmiatemi, per favore! Catturatemi, ma non fatemi del male!»
L'atmosfera era piena di terrore e i suoi occhi ricolmi di lacrime. 
Il francese estrasse una pistola e la puntò al petto dell'uomo.
Hector in quel momento pensò di trovarsi in un incubo. Solo quando sentì il suo sfintere cedere si rese conto che era tutto vero. Urina e feci macchiarono la sua divisa.
Il francese, divertito dalla scena che si trovò davanti, scoppiò a ridere. Poi tornò gelido e tolse la sicura.
Uno sparo al petto.
Un altro sparo.
Rivoli di sangue cominciarono a fuoriuscire dai fori sul suo torace. Sentì sempre più le forze venirgli meno e la vista anche si fece poco a poco offuscata. 

Volete voi, Hector Gleannes, prendere in moglie la qui presente Claire Cullighan?
«Sì, lo voglio!» urlò in preda alle allucinazioni.

Singor Gleannes, auguri! Siete diventato padre di una bellissima bambina!
«Fatemela vedere, per favore!» Hector girava freneticamente i suoi occhi.

Torna presto a casa, io e Daisy ti aspettiamo.
«Sto arrivando Claire, eccomi non avere paura!»

Riprese a piovere. Hector aprì gli occhi per accogliere quante più gocce gli fosse possibile e si abbandonò a una lacerante tranquillità. Respirare divenne sempre più difficile ma inaspettatamente ne sentì sempre meno il bisogno. 
Gradualmente perse il contatto con ogni parte del suo corpo e poi si addormentò. 
Quando riaprì gli occhi vide solo una luce abbagliante. 






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