Capitolo 18
Tutto ciò che Hector si sarebbe aspettato di ascoltare durante quella giornata sarebbe stato solo il rumore dell'aratro che solcava la terra e magari i brontolii di Claire una volta arrivata la sera sul fatto, che per l'ennesima volta, era rientrato più tardi del previsto.
Eppure lui, disinteressandosi delle lamentele di sua moglie alle quali aveva ormai fatto l'abitudine dopo anni di matrimonio, si alzava ogni mattina sempre più contento di recarsi presso la sua terra per preparare il terreno alla semina. Si poteva considerare un uomo fortunato per aver trovato un'occupazione che lo rendeva soddisfatto di chi era, senza aver la necessità di ricoprirsi di oro o di gingilli vari.
Ultimamente gli affari stavano andando discretamente, riusciva a racimolare quella quota fissa a ogni mercato del venerdì, in più sua figlia maggiore riusciva a inviargli buona parte del suo stipendio a ogni fine del mese, sebbene sapesse che quel gruzzoletto sarebbe stato destinato al matrimonio imminente dell'altra sua figlia.
Eppure la quiete delle giornate settembrine venne interrotta proprio quel giorno dall'arrivo al trotto di due emissari reali.
Il sole rovente dell'estate trascorsa aveva seccato il terreno, creando crepe tra una zolla e l'altra e facendo crescere tra queste le solite fastidiose erbacce che Hector aveva avuto la premura di estirpare una dopo l'altra. Sperava che l'arrivo dell'autunno avrebbe portato con sé anche le dissetanti piogge della stagione, le quali avrebbero contribuito a fare parte del lavoro che altrimenti sarebbe toccato a lui. Per quanto un terreno possa essere fertile non lo si potrà mai considerare fruttifero se mal lo si disseta.
Aveva pensato a lungo su quanto fosse importante anche investire sull'acquisto di una vacca. I suoi trentasei anni iniziavano a farsi sentire e non avrebbe avuto ancora a lungo le forze per spingere il vomere tra le onde della terra, avrebbe piuttosto gradito che ci fosse stata una bestia bella grassa al suo posto, la quale si sarebbe scoperta utile anche per concimare il terreno.
Era stufo del resto di dover acquistare ogni volta il letame ai Clareton.
«Siete voi il signor Gleannes?»
Udì una voce da lontano. Di solito non passava nessuno per quelle strade, se non Rob Clareton, ma in quel caso se ne sarebbe accorto dal crocidare dei suoi marmocchi.
Eppure quel giorno non lo aveva visto.
Rimase pertanto abbastanza meravigliato che qualcuno passasse per quella zona e soprattutto che stesse cercando proprio lui.
Si voltò non appena sentì pronunciare il suo nome, poggiò il suo aratro e rilasciò i muscoli delle gambe; solo allora si rese conto di quanto gli facessero male. Strinse gli occhi per mettere ben a fuoco e vide in lontananza due uomini al galoppo, accompagnati dai loro elmi lucenti.
«Ehi voi! Rispondete sì o no?» gridò uno di loro.
«Sì, sono io!» esclamò Hector in tutta risposta. L'ultimo tributo di residenza lo aveva saldato, di solito gli emissari venivano a cercarlo in caso di ritardo nei pagamenti, ma non poteva essere quella la circostanza. Si chiedeva pertanto per quale motivo stessero chiedendo di lui.
Non appena varcò la porta di casa sua venne pervaso dall'odore dolce di mele cotte al fuoco. Sua moglie ne aveva ricevuto un cestino da parte della signora Bell che di tanto in tanto andava a farle visita e non perdeva mai l'occasione per chiederle come si trovasse sua figlia maggiore a palazzo. Ogni volta la risposta era sempre la stessa «Molto bene, signora Bell. Siamo contenti che nostra figlia abbia trovato il suo posto a Livingstone.»
La realtà era che non ricevevano notizie da Anthea da quando aveva indossato per la prima volta il grembiule bianco. Più volte Hector si era lamentato del fatto che non avevano mai dedicato tempo sufficiente all'educazione delle figlie, troppo presi dal lavoro nei campi quando ancora erano delle bambine. Sentivano la sua mancanza perché mai erano stati per così tanto separati dalla loro figlia maggiore. Se Anthea avesse saputo scrivere avrebbe per lo meno avuto modo di inviargli di tanto in tanto qualche lettera. Avevano preso dunque l'abitudine di aspettarla ogni giorno all'uscio per riabbracciarla e per ricevere notizie da quella figlia che non vedevano da mesi. Ogni giorno credevano fosse quello giusto.
Ogni giorno, alla fine, si concludeva nella speranza nel giorno successivo.
Le uniche lettere che Anthea conosceva, qualche vocale e ancora meno consonanti, non le avrebbero mai permesso di scrivere una frase di senso compiuto, di conseguenza, a inviare una lettera ai suoi genitori, non ci aveva neanche mai provato.
Hector in tal senso era sempre stato un uomo all'avanguardia, consapevole a differenza della moglie, che il destino delle donne non era solo quello di partorire e prendersi cura della casa, ma che imparare l'arte della lettura e della scrittura avrebbe concesso loro di non cadere nei tranelli dei mal intenzionati.
Il rientro del marito prima ancora del tramontare del sole lasciò Claire abbastanza perplessa. Quello che però la fece preoccupare fu piuttosto il viso scuro di cui si era vestito l'uomo. L'aveva lasciato la mattina con il solito volto allegro, gli aveva avvolto il pranzo in un fagotto e, dopo aver dato un bacio a Daisy, lo aveva lasciato andare per la sua destinazione.
Rientrando notò addirittura che non aveva consumato il pasto e che tantomeno aveva la fronte e i vestiti intrisi di sudore, cosa a cui era invece abituata.
Lasciò il mestolo dentro il tegame con le mele, avendo cura ad aggiungere un pizzico di cannella in più. Aspettò che fosse suo marito per primo a proferir parola, ma da lui non udì niente, neanche i sospiri.
Dall'altro lato della stanza invece Daisy, che non si era accorta di nulla perché estraniata tra i suoi pensieri, era impegnata a mettere in pratica gli insegnamenti sul ricamo che le aveva impartito sua madre in uno dei suoi pochi momenti liberi. Si era messa in testa da quel momento di doversi confezionare da sola il velo per il suo matrimonio e, dato che per quell'occasione di tempo non ne mancava molto, avrebbe dovuto anche accelerare.
«Come mai di ritorno così presto? Non vedevi l'ora di sentire i miei borbottii, dì la verità.» Daisy alzò finalmente la testa, ripiombando nel mondo reale dal quale si era allontanata.
Claire pensò che la cosa migliore sarebbe stata quella di iniziare il discorso ponendolo sul piano dello scherzo. In realtà la spiritosaggine non sortì alcun effetto. Hector continuò a camminare per la stanza come un fantasma, con gli occhi persi nel vuoto e con la stessa espressione corrucciata con la quale si era presentato.
Sua moglie allora si tolse il grembiule sporco di sciroppo e lo appoggiò su di una sedia. Vide suo marito che si era finalmente deciso a porre fine alla sua via crucis intorno al tavolo e che aveva anche egli trovato posizione fissa nella stanza.
Quasi a farlo a posta anche il cane del vicino smise di abbaiare.
Si era fermato, ma il suo sguardo era sempre lo stesso, paralizzato su di una piastrella del pavimento sulla quale un insetto aveva deciso di andare in perlustrazione di qualcosa da mangiare. Con il piede iniziò a seguirlo e a disturbarlo ma questi si allontanava sempre di più per sfuggire al pericolo, portando con sé quella mollichina di pane che aveva trovato dopo tante ricerche. Continuava a stargli alle calcagna e questi scappava senza darsi pace.
Come si sentiva Hector, senza pace nel cuore.
Notò che il calore proveniente dal camino si era affievolito di molto e solo allora si rese conto che un'ombra davanti a lui impediva al fuoco di sciogliere il suo animo ghiacciato.
Era Claire che lo guardava dall'alto con le braccia conserte e con sguardo impaurito. Emanava un misto di angoscia e di irritazione poiché non sapeva cosa passasse per la testa al marito. Questi ancora non le aveva dato una spiegazione.
«Non mi sposterò da qui fino a quando non mi dirai il motivo del tuo stato d'animo. Cristo, ti ho lasciato sorridente questa mattina e ti ritrovo con l'umore di un cane abbandonato in una giornata di pioggia!» la voce di sua moglie tremava.
«Parto.» rispose Hector con un filo di voce.
«Parti?»
«Hai capito bene.»
«Cosa vuol dire che parti?» la donna sciolse le braccia, pronta a ricevere una spiegazione.
«Vuol dire che parto. Domani mattina all'alba. Vado a Rochefort.»
Claire si sentì destabilizzata. Spostò l'ultima sedia rimasta libera nella stanza e vi si sedette. Si trovava ora faccia a faccia con suo marito. Lei con la schiena dritta e rigida, le braccia incrociate; lui con il busto ricurvo e la testa tra le mani.
«Per quale ragione, spiegami meglio. Di punto in bianco vai in Francia, per conto di chi poi. Chi ti ha messo in testa questa cosa?» in un'altra occasione Claire non avrebbe preso sul serio le parole del marito, convinta che si sarebbe trattato di una delle sue solite burle. Quella volta però una consapevolezza di fondo le diceva che non stava mentendo e che scenari oscuri si stagliavano all'orizzonte.
«Vado in guerra, Claire. Sommerseth partecipa alla spedizione verso Rochefort a fianco dell'Inghilterra e io sono uno di quelli che è stato convocato alle armi. Sono venuti questa mattina due emissari del principe a convocarmi.» nel confessare, si sentì una briciola più leggero, come se avessero sollevato una piuma da sopra di dieci quintali di piombo.
Claire voleva dire qualcosa, ma quello che riusciva a fare era solo emettere suoni sconnessi dalla bocca.
Hector la guardò e gli parve che sua moglie fosse invecchiata di almeno dieci anni nell'arco di qualche secondo. Era rimasta immobile come si era seduta e sentì l'esigenza di volerla toccare per capire se respirasse ancora.
«Domani mattina all'alba parto per imbarcarmi a Brighton e da lì alla volta di Rochefort. Entro dopodomani a mezzogiorno dovrei essere arrivato.»
Sua moglie, che nel frattempo era riuscita a trovare le forze per articolare una frase di senso compiuto, riuscì a rispondergli.
«Perché con gli inglesi? Cosa c'entriamo noi con gli inglesi!» era affannata e il cuore poteva esploderle da un momento all'altro.
«Non lo so Claire, non farmi domande alle quali non saprei rispondere. Di certo avrò più informazioni una volta partito.»
Sua moglie esitò un attimo.
«Per quanto tempo starai via?»
«Questo purtroppo non lo so, la guerra la fanno gli uomini e potrebbe durare pochi giorni come mesi. Spero di essere con te di nuovo quanto prima.»
Eppure non era sicuro di quello che diceva. Ognuno sapeva di dover partire ma nessuno aveva la certezza di tornare e il tremore nel profondo del suo cuore scaturiva proprio da questo. Sapeva che anche Claire ci pensava ma probabilmente non voleva parlarne per evitare di rendere la paura più reale.
«Se questo è un destino a cui non possiamo sfuggire dammi almeno la certezza che ti rivedrò di nuovo. Promettimelo!» Claire si appigliò ai lembi del colletto della sua camicia, tirando con tanta forza che Hector temette che il cotone potesse strapparsi da un momento all'altro.
I pensieri di Hector alla fine non si erano rivelati molto fondati.
«Claire per favore...quanto possono contare le mie parole rispetto a un futuro incerto?»
La donna scoppiò in un pianto interminabile. Claire, che era sempre stata la madre e la moglie dal carattere risoluto, non riuscì a trattenere le sue emozioni in quel momento e si lasciò andare e scoprire per quello che era veramente. Una donna fragile, affatto infallibile e desiderosa di affetto.
Hector le si avvicinò e la abbracciò. Daisy, che era stata lì ad ascoltare e che non si era mai intromessa, cercò di portarle sollievo in qualche modo. I tre si abbracciarono e rimasero in quella posizione per qualche minuto.
L'uno asciugando le lacrime dell'altro.
L'uno facendosi carico dei dolori dell'altro.
Perché il dolore si sarebbe sopportato meglio se lo si fosse condiviso.
«Mi scriverai, vero?» Claire alzò lo sguardo e guardò il marito con gli occhi ancora gonfi e pullulanti di lacrime.
«Sarà la cosa che farò ogni mattina appena sveglio.» rispose Hector con tono tremolante ma dolce.
«Oh Hector, perché di nuovo, perché? Non bastava la guerra di anni fa?» nascose la testa nel torace dell'uomo per cercare protezione e per assaporare ancora una volta il calore che la sua pelle emanava.
Hector non rispose, non sapeva neanche lui il perché.
Claire e Hector si sciolsero dall'abbraccio, cercando di ricomporsi un poco. La donna prese il grembiule per asciugarsi le lacrime e il muco che non le permetteva più di respirare liberamente e così facendo si ingrassò tutto il viso con lo sciroppo di mele. Suo marito guardando come si era conciata sghignazzò sotto i baffi e così fece lei.
«Daisy, vado ad aiutare tuo padre a preparare la bisaccia che dovrà portare con sé, pensi tu alle mele?»
«Sì mamma, vai.»
Per quanto Daisy fosse ormai adulta non capì che, in fondo, quella era solo una scusa.
I due amanti salirono nella loro stanza e vi si chiusero dentro. Rimasero a fissarsi, l'uno di fronte all'altro. Hector si tolse la camicia e si sbottonò i pantaloni, gettando le scarpe in un angolo della stanza. Claire sciolse il corpetto e sfilò la veste. I due corpi si adagiarono sul talamo e divennero un'anima unica. Gustarono i loro sospiri e respirarono a fondo l'odore della passione che li aveva travolti. Abbandonarono le vesti dei due uomini adulti e indossarono, anche se per breve tempo, quelle degli adolescenti con le quali si erano conosciuti carnalmente.
Quella notte si amarono come non facevano da anni, riassaporando i tempi in cui si conobbero per la prima volta, confidandosi segreti nascosti e emozioni sopite. Dal primo momento in cui si videro capirono infatti che erano destinati e che erano l'uno per l'altro l'altra metà della mela.
Quella notte dimenticarono di mangiare e anche di dormire perché l'unico cibo di cui avevano veramente bisogno era la pelle dell'altro.
«Platone aveva ragione.» rivelò Hector alle prime luci dell'alba.
«Cosa significa?» Claire levò il capo, cospargendo il petto del marito con i suoi capelli castani.
«Ognuno tenta di ricongiungersi alla sua metà primordiale. Tu sei la mia.»
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