Capitolo 10
Il principe Carlyle, dopo aver approfittato di un bel bagno caldo, si era recato nella Biblioteca Palatina, al primo piano di Livingstone Palace. La biblioteca non era molto grande, aveva forma quadrata e un tetto a cassettoni dorati. Alle pareti erano stati posizionati diversi scaffali in ebano, contenenti manoscritti di chissà quale inestimabile valore. Al di sopra di ogni scaffale si ergevano quadri della lunghezza di una parete intera, raffiguranti scene di mitologia greca e romana. Il pavimento lucente in marmo marrone era abbellito da due mappamondi, uno a ogni lato della stanza. Il principe, anni prima, si era chiesto se il principato fosse stato mai segnato su ognuno dei due o se invece fossero entrambi troppo vecchi da sapere che negli anni a venire la loro fabbricazione, un piccolo lembo di terra britannico avrebbe conquistato la sua autonomia. Era un dubbio a cui Carlyle non aveva mai dato risposta, un po' per paura di conoscerla già, un po' per timore di dover acquistare un mappamondo nuovo nel prossimo futuro, nel caso in cui la situazione geopolitica di Sommerseth si fosse rigirata a suo svantaggio.
Seduto dietro a una lunga scrivania in faggio, sul lato apposto a quello della porta d'ingresso bianca e dorata, c'era lui assorto tra i suoi pensieri e le sue carte, alcune ancora da aprire, altre solo da firmare.
Si sentiva ancora frastornato dalla riunione a cui aveva dovuto prendere parte una settimana prima. Si chiedeva se aveva preso la scelta giusta, se mandare in guerra mille uomini che avevano un volto proprio e una famiglia fosse stata l'unica alternativa, e a che prezzo poi. In ogni caso, qualsiasi scelta avesse preso, ci sarebbe stato un prezzo da pagare. Rimembrò le lezioni di latino che ricevette dal suo precettore venti anni prima: una delle poche parole di cui ricordava il significato era proprio decidere.
Il verbo decidere era composto dal prefisso de- più -caedere che in latino significava proprio tagliare via. E lui in quel caso aveva dovuto tagliare via una scelta, sperando di aver optato per quella meno sanguinolenta. Erano diversi i pensieri che lo attanagliavano in quel periodo.
Aveva ormai trentun'anni, ma si chiedeva quanto di concreto avesse compiuto fino ad allora. Era salito al trono da ben tredici anni che si erano rivelati molto tranquilli per sua fortuna e proprio quella tranquillità aveva fatto sì che la sua figura fosse concepita più come ornamentale piuttosto che battagliera. Eppure suo padre, quando ancora era vivo, gli aveva detto più volte che il suo nome non era stato scelto per puro caso ma che Carlyle derivava da due termini di provenienza celtica: «walo» che significava principe e Lugus, dio della guerra. Lui era infatti un principe, e probabilmente battagliero. Il conflitto anglo-francese sarebbe stato un buon teatro di prova per le sue doti logistiche e militari.
Aveva trentun'anni, e si domandava quanto tempo ancora avrebbe trascorso così, tra le mura di un palazzo e con la costante angoscia di poter scomparire da un momento all'altro senza lasciare traccia. Perché sì, Carlyle e Jocelyn non avevano figli e purtroppo non sapevano se ne avrebbero mai avuti. La stirpe, oltre a soddisfare un mero desiderio di paternità, avrebbe assicurato un futuro certo al principato che, in alternativa, sarebbe finito tra le mani degli inglesi.
Un'altra volta.
I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dall'ingresso di Jocelyn nella stanza. La guardò impassibile, ricordandosi dei rari momenti in cui si era sentito felice insieme a lei in passato. Era una bella donna e indubbiamente i sovrani delle altre monarchie lo avrebbero invidiato nell'avere una consorte dall'aspetto così gradevole, ma la bellezza per lui non era tutto e, per quanto le volesse bene, non era oltre l'affetto quello che provava per lei. Di contro lei si era mostrata sempre passionale nei suoi confronti. Quando condividevano il letto, lei lo cercava con le mani nella sottoveste, nelle parti intime, sui pettorali e lo accarezzava sul volto, cercando di memorizzare ancora meglio la forma di quel viso che conosceva ormai da dieci anni.
Quella donna lo amava, anche se non l'aveva scelto, e forse lo avrebbe amato per sempre. Per lui non era così e di questa cosa si sentiva tremendamente in colpa.
«Amore mio, eccovi, vi ho trovato finalmente!» squittì Jocelyn avvicinandosi a passi lunghi presso la scrivania. La principessa era curata come al solito, indossava un abito in raso ocra e adornato in pizzo bianco sulle estremità, stretto in vita e con un'ampia gonna marrone, il bustino invece era impreziosito da pietre opache e da un piccolo drappo in seta sulla parte del seno. Aveva optato per un abito che lasciava poco all'immaginazione e probabilmente era la scelta ideale per convincere il principe ad adempiere ai suoi doveri coniugali.
«Oggi il giorno è perfetto! Il medico ha detto che se proviamo oggi ci sono buone opportunità!» Jocelyn nel dire quelle parole sembrava raggiante. La sua pelle, sebbene opacizzata da un velo di cipria, risplendeva più che mai e le sue labbra avevano assunto la forma delle onde del mare mentre si infrangono con dolcezza sulla riva.
«Oh Jocelyn, per favore, adesso non posso. Sapete che ho molto da fare e il vostro medico dice ogni volta la stessa cosa.» probabilmente Carlyle in quel momento ci era andato giù troppo pesante, ma la nebbia che pervadeva la sua mente, congiuntamente alla mancanza di sonno della notte prima, non lo aveva fatto riflettere sulle parole giuste da dire.
«Mio caro, ma se mai proviamo mai potrà succedere! È un mese che non mi toccate e tantomeno mi guardate. Capisco le vostre esigenze da sovrano in una situazione geopolitica così delicata ma pensate anche ai vostri doveri coniugali!»
Il principe all'udire le parole doveri coniugali sbuffò. Si passò la mano tra i capelli con impeto e successivamente si stropicciò la faccia, come se si fosse appena svegliato. Gettò lo sguardo sulla scrivania alla ricerca di qualche documento particolare, poi si ricordò del carteggio che aveva scambiato con il Duca di Newcastle, pensando fosse importante condividere con la moglie quelle che erano le preoccupazioni sue e del primo ministro inglese. L'Inghilterra ormai era a conoscenza dell'impegno che Sommerseth aveva assunto, a quel punto non avrebbe potuto più ritirarsi neanche volendo.
«Mia cara, cosa fareste voi al mio posto?» esordì Carlyle dopo qualche secondo di riflessione.
«Dite nella guerra anglo-francese?» Jocelyn si sentì un po' amareggiata dal tentativo del marito di cambiare discorso. C'erano momenti per discutere di politica e altri, indubbiamente, in cui la politica non sarebbe dovuta entrare.
«A quello mi riferisco.»
«Cosa volete che vi dica. Avete fatto la scelta migliore per rispetto a mio padre. Sono contenta che non parteciperete alla spedizione in prima persona ma sono consapevole anche del fatto che la vostra presenza sul campo di battaglia avrebbe lanciato un grande segnale e avrebbe rinvigorito gli animi dei nostri uomini.»
«Non posso partecipare in prima persona. In quel caso mi sarei schierato palesemente a favore dei Bianchi o dei Rossi e io, dal canto mio, non mi sento nella posizione di sposare nessuna delle due teorie.»
«Avreste dovuto invece!» controbatté Jocelyn stizzita.
«Perché mai?» Carlyle si trovò incuriosito da quella risposta. Sua moglie non aveva mai preso parte attiva nelle questioni di politica estera del Principato e si trovò meravigliato dal fatto che lei avesse espresso un suo parere personale in merito.
«Per la promessa fatta a re Giorgio I da vostro nonno!» le sue parole furono sentenziose.
«Accidenti Jocelyn! Ancora pensate a quel dannato patto!» il principe sbatté le mani sulla scrivania, lasciando cadere parte delle carte in terra che né lui né sua moglie si prodigarono a raccogliere.
«Certo amore mio! È vincolante e voi lo sapete meglio di me.»
«Capite che per un patto siglato anni fa, Sommerseth si trova a essere tacita vassalla dell'Inghilterra? Capite che così io non sono un vero sovrano ma solo un semplice burattino nelle mani del re inglese di turno?»
«Che io sia inglese, mio caro, non è un caso. Ma questo con la politica non ha nulla a che vedere. Io vi amo davvero.» i suoi occhi si trasformarono e assunsero una forma più tenera, tornarono a essere le fessure di una donna bisognosa d'affetto e pronta a darne in abbondanza.
«So bene che non è un caso!» Carlyle in quel momento si sentii veramente impotente. Non prestò attenzione all'ultima parte del discorso e Jocelyn si domandò se l'avesse almeno ascoltata.
«La cosa più importante, mio caro, è che non vi siate dimostrato sostenitore della Francia o della Prussia. Conoscete meglio di me le mire conquistatrici di entrambe e state certo che se aveste mostrato appoggio a una delle due non avrebbero atteso neanche la fine della guerra per invaderci. Adottando la vostra politica siete riusciti a non attirarvi le ire dell'Inghilterra, sebbene io avrei optato per un più marcato affiancamento, fossi stata in voi.»
«Quello giammai!»
«A ogni buon conto mio caro abbandoniamo questi discorsi e ritorniamo al motivo per cui sono venuta qui da voi.» nel giro di poco tempo la Jocelyn diplomatica aveva ceduto il posto alla principessa adolescente e bramosa di attenzioni.
Dopo un momento di riflessione il principe rispose con le parole che pensava avrebbero potuto dare sollievo a un cuore desideroso di amore «Vi prometto che verrò questa notte nelle vostre stanze e vi accontenterò.»
Il volto raggiante della principessa si scurì in un baleno, furiosa per le parole da poco proferite dal marito. Cinse le mani di fronte il bacino e alzò il mento per ricalcare la sua figura. Lo scrutò da capo a piedi per capire se veramente quell'affermazione fosse uscita da lui, dopodiché si spostò in direzione della grande finestra antecedente la scrivania, gettando uno sguardo al panorama dell'esterno.
«Perché queste tende gialle?» esordì lei.
Carlyle rimase un po' spiazzato, non capendo cosa c'entrasse ora quell'argomento.
«Mi sembra di ricordare che siano quelle scelte da voi, ma se preferite...»
Jocelyn non gli concesse neanche il privilegio di terminare il discorso. Si girò di scatto con lo sguardo di chi era stato da poco ferito. Con passi lenti e ondulati si avvicinò a lui, dapprima gli sorrise, per poi tornare a irrigidire la bocca. Iniziò a guardarsi le mani e la luce che rifletteva l'anello di rubini che indossava all'anulare destro.
Con lo sguardo ancora rivolto al suo gioiello, a mo' di chi voleva sembrare distaccata dalle proprie parole, disse «Mi accontenterete? Mi reputate un passatempo oppure un oggetto piuttosto che una persona?»
Carlyle ruotò gli occhi «Non era quello che intendevo!» Jocelyn non lo ascoltò poiché continuò con la sua accusatoria.
«Dunque credete che io abbia bisogno delle vostre attenzioni per poter vivere decentemente? Che se non vi tocco io stia male?» anche lei sapeva che era proprio così, ma di certo non voleva darlo a vedere. E in quel momento ci stava riuscendo.
«Mia cara, perdonatemi per le parole poco cortesi che vi ho appena rivolto, come vi ho già detto verrò da voi questa notte.» Carlyle voleva troncare quel discorso. Sapeva che una volta innescata Jocelyn avrebbe continuato fino a esaurire anche l'ultima goccia di rabbia.
«Quante volte ancora dovrò sentirmelo dire prima che questo accada davvero? Quante altre volte dovrete illudermi?» gli occhi di Jocelyn si erano fatti lucidi. Non si sentiva amata e non capiva per quale motivo non vedeva corrisposti i sentimenti profondi e genuini che provava per il marito.
Il loro, come il matrimonio della maggior parte dei nobili, era stato deciso a tavolino dalle rispettive famiglie eppure lei non lo aveva mai considerato come un matrimonio che aveva dovuto subire. Si era innamorata di quell'uomo dal primo momento in cui lo aveva visto e sperava fosse successo anche a lui prima o poi.
«Come vi ho già detto, questa sera sarò da voi e proveremo a concepire.» rispose così, scandendo bene le parole.
Jocelyn all'udire quell'asserzione, che prese come vera, si rinsavì un poco. Sentii il sangue ribollire all'interno delle vene e un'intensa sensazione di calore sulle gote. Come un ghepardo che rincorre la sua preda, aggirò il tavolo e si gettò sopra di lui con il massimo dell'agilità che poteva consentirle il vestito ingombrante che indossava.
Allontanò la scrivania con tutta la forza che aveva in corpo, lasciando cadere in terra una serie di documenti che avrebbero fatto meglio a rimanere custoditi in qualche portacarte. Si mise sulle ginocchia e si avventò con le mani sui pantaloni del marito. Cercò il bottone dei calzoni per slacciare i due lembi, trepidante di sentire la sua pelle calda tra le mani.
Carlyle che fino a quel momento era rimasto inerme, rimase quasi impietrito dal tentativo della moglie.
«Jocelyn ma cosa fate? Siete per caso impazzita?» sbraitò lui. Cercò di allontanarla mettendoci la forza necessaria per evitare di farle del male, ma evidentemente insufficiente dal momento in cui era riuscita già a slacciargli i pantaloni.
«Per favore, ci metterò poco. Lasciatemi fare ve ne prego!» la voce di Jocelyn era diventata tremolante. Ansimava per l'eccitamento e per il desiderio di toccare ciò che era sempre stato suo.
«Voi siete uscita fuori di testa! Non pensate a cosa potrebbe succedere se entrasse qualcuno e ci vedesse?» detto questo Carlyle la spinse abbastanza forte da farla cadere in terra. Si alzò e si riabbottonò i pantaloni, senza togliere lo sguardo sconcertato sul viso della moglie.
«Cercate di porre un freno ai vostri istinti animaleschi! Non capisco come possiate comportarvi in questo modo considerato il vostro rango e la vostra posizione.»
Sua moglie non si rialzò subito da terra, anzi rimase a osservarlo con occhi di fuoco. Non le interessava del freddo del marmo sul palmo delle mani, non le interessava che il suo abito si era sgualcito, le interessava solo cercare le parole giuste per colpire suo marito come era stata colpita a sua volta.
«Ora alzatevi da dove siete, venite.» lui le porse la mano per aiutarla ma lei la scansò con impeto e voltò lo sguardò in direzione contraria a dove si trovava suo marito, torcendo il naso e aprendo le narici, come quelle di un toro che si appresta a squarciare il suo bersaglio.
Con la compostezza che si addice a una figlia di re, Jocelyn si rialzò da terra con molta calma, pronta a colpire nel profondo l'uomo che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Voi siete un mezz'uomo.» serpeggiò «voi siete un mezz'uomo impotente, altrimenti a quest'ora sarei già madre.» le parole di Jocelyn furono lapidarie e avrebbero colpito qualsiasi uomo di cui è messa in dubbio la virilità. Nel mentre in cui le proferiva emise un ghigno angusto per quanto i suoi occhi fossero diventati lucidi, amareggiata per esser stata trattata in quel modo dall'uomo che desiderava ogni notte ma che fino a quel momento non sembrava aver preso in considerazione le sue nostalgie.
All'udire quelle calunnie l'ira di Carlyle divenne funesta, il suo volto paonazzo, i suoi occhi furenti e i suoi pugni, per come erano stretti, avrebbero potuto fracassare un'arancia. Si alzò dalla sedia con la velocità di un'aquila e si avventò sulla moglie, alzando il braccio destro e spalancandone la mano. Quando Jocelyn si rese conto di ciò che stava per succedere rimase immobile dove era, cercando di farsi da scudo come poteva con le braccia.
Invece non successe nulla.
Aprì gli occhi sommessamente e, rimanendo con le braccia che le coprivano il volto, cercò di farsi spazio tra le piccole fessure tra un arto e l'altro.
Vide che Carlyle era rimasto immobile, con la gamba destra tesa all'indietro e quella sinistra piegata in avanti, il torace piegato a quarantacinque gradi e il braccio destro pronto a essere scagliato come una mazzafionda. Capendo che il pericolo non si era concretizzato, tornò composta, diede una stirata alla gonna e tamponò i capelli, alla ricerca dei ciuffi che erano fuoriusciti dall'acconciatura.
Anche suo marito si riprese e rimase a guardarla per qualche secondo con sguardo inespressivo prima di pronunciare mezza parola.
«Questo è il male che vi sareste meritata, ma a differenza vostra io non voglio farvene, perché siete una donna, perché siete mia moglie e perché siete la mia sovrana.»
Lei rimase a osservarlo, ma non aggiunse nulla.
«Ora andate via, sarò di ritorno questa sera da una battuta di caccia.»
«A questa sera, mio caro.» come se non fosse successo nulla, Jocelyn alzò i tacchi e con una schiena più dritta che mai, si diresse verso la porta, soddisfatta per aver raggiunto il suo obiettivo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro