3.
Signori, non sono morta ma ho più o meno smesso di dormire (appunto) comunque, arranco ma non mollo. <3
-Benvenuta, ti aspettavamo.
Mi tirai su di scatto, accecata dai bagliori della pressione bassa. Quando lo sfarfallio si diradò, dell'ombra di cui ero sicura aver percepito la presenza non c'era alcuna traccia. Mi guardai intorno, il vagone era deserto fatta eccezione per l'inserviente che spazzava via le tracce del viaggio.
la valigia rossa era accanto a me.
Mi tastai il fianco, il portafogli invece non c'era. E neanche il cellulare.
Interpellai lo spazzino che mi fissò con espressione beota mentre gli esponevo la situazione. Non mi capiva.
Dov'ero?
Arraffai la valigia con un riflesso incondizionato e scesi dal treno.
Faceva caldo, molto più caldo rispetto a casa mia. Casa mia, soppressi sul nascere un motto di disperazione. Non si torna indietro. Avevo dei vestiti più leggeri nel fardello che mi portavo appresso ma per qualche ragione mi rifiutavo di prenderli. Quella valigia non l'avrei aperta mai più. Dovevo solo trovare la prossima occasione buona per disfarmene, pensavo sudando.
Nel frattempo mi ero addentrata nel viale anonimo che mi si era parto davanti all'uscita dalla stazione. Seguivo il profilo stentoreo di due filari di arbusti rachitici. La cappa di umidità schermava il sole e appiattiva le ombre, vagavo sullo sfondo di una scenografia piatta. Mi trovavo in un grande città questo era certo. Ma non sapevo altro. Le facciate grigie dei palazzi sfilavano discrete, cercavo gli occhi dei passanti, mi sfuggivano. Di fronte a me la prospettiva senza fondale di una strada dritta e lunga. Nessun punto focale su cui soffermarsi.
Questo posto non aveva uno sguardo. Lo sguardo, il primo atto di scelta che include o dimentica. Che comunica o esclude, qui non esisteva.
Mi sfiorò lo spostamento d'aria di un grosso autobus a due piani. In mancanza di idee, ci salii. Non fece altro che procedere dritto, senza accelerare o con brusche frenate. Solo dritto. A bordo cerano poche persone. C'era qualcosa di strano, non che si assomigliassero ma avevano qualcosa in comune, come se qualcuno avesse desaturato la loro immagine. Prenotai la fermata successiva con un'unica idea il capolinea di questo autobus sarebbe stato la futura dimora de mio bagaglio rosso. Le porte si aprirono e mi liberarono – di nuovo – di quel peso. Cominciai a sentirmi subito meglio.
Vagai per il resto del pomeriggio per farmi un' idea del nuovo mondo che mi circondava, con la leggerezza delle decisioni non ancora prese. Avrei potuto andarmene o rimanere o entrambe le cose a distanza di pochi secondi. Quando però la giornata declinò verso il crepuscolo realizzai di colpo che l'unico paletto alla mia liberà, era l'imperativo di trovate un tetto per dormire, e un pasto. E anche alla svelta. Piegai verso uno svincolo che mi condusse a un desolato quartiere dormitorio. Moltissime case avevano le tapparelle abbassate e l'aspetto triste dell'abbandono. Scelsi la più miserevole di tutte e scassinai la porta. Sarebbe stata il mio rifugio per la notte.
Fu nell' ingresso deserto e polveroso che trovai ad aspettarmi, ritta e sgangherata la mia valigia rossa.
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