Capitolo 1
Los Angeles, 2021
Il nulla. Quella sensazione di vuoto che ti divora l'anima. Non riesci più a distinguere quello che è vero da quello che è solo frutto della tua immaginazione. Pian piano perdi la cognizione del tempo e non ti ricordi nemmeno cosa hai mangiato a colazione. Il respiro si fa più pesante, gli occhi non vedono più la realtà e ti senti estremamente stupido. Il mondo comincia a girare più velocemente, ti fa perdere l'equilibrio. Le stelle sembrano cadere e il sole sembra perdere luminosità, con una lentezza che appare innaturale. Poi rimane il vuoto. Nello stomaco, nella testa, nel petto. Tu sei nel vuoto e non sai come uscirne.
Era così che si sentiva Kilie, o almeno era quella la sensazione che provava in quella giornata affannosa. Seduta su un muretto in cemento, stava aspettando l'inizio delle lezioni. Il primo giorno di scuola, in una nuova scuola. Si era appena trasferita a Los Angeles contro la sua volontà, ma non aveva avuto altra scelta, glielo avevano imposto gli adulti. E così si era ritrovata in una nuova casa, che odiava e che non le ricordava minimamente quella in cui viveva nella sua città natale, con delle nuove persone con cui doveva condividere il proprio quotidiano.
I capelli castani erano legati da un elastico rosai e i suoi occhi verdi erano nascosti da un paio di occhiali da sole che avrebbe tolto all'imminente entrata a scuola. Alcuni ragazzi si stavano piazzando davanti al cancello di ferro dell'istituto, l'unica via di accesso all'edificio.
La campanella suonò e il suo rumore inondò di pensieri la mente della giovane. Scese dal muretto e si diresse anche lei verso l'entrata della scuola.
Il ciclo noioso della vita di tutti i giorni stava per ricominciare e Kilie sapeva che non ne sarebbe uscita molto presto. L'estate era passata troppo velocemente. La tranquillità delle giornate era destinata a estinguersi e la scrivania sarebbe stata invasa di nuovo da libri e quaderni nel giro di qualche giorno. Il rapporto che la ragazza aveva con la scuola non era odio puro, anzi, a lei piaceva studiare e andare a lezione per accrescere la sua cultura, ma stare chiusa sei ore al giorno in un edificio, in compagnia di coetanei che il più delle volte considerava stupidi, era un inferno.
«Ehy, spostati dall'entrata.»
Kilie si girò e vide un gruppetto di tre ragazzi alti, vestiti con pantaloni della tuta e felpe nere. La fantasia non è il loro forte, pensò. La stavano squadrando dalla testa ai piedi, con sorrisi beffardi. Si stavano prendendo gioco di lei.
La giovane postò la sua attenzione dalle loro espressioni all'ambiente che la circondava; non si era infatti accorta di essersi fermata davanti all'ingresso e di stare bloccando il passaggio di alcuni studenti. Assorta da tutte quelle riflessioni, si era arrestata in quella foresta tetra nella sua testa, costituita da pensieri intrusivi che non riusciva a non ignorare, senza badare a ciò che le stava attorno. Le piaceva evadere dal mondo reale, a volte. Le piaceva cambiare realtà, andare con la mente in luoghi distanti da dove si trovava e che non poteva raggiungere perché, a volte, la sofferenza era troppa da sopportare anche per lei, che ne aveva passate di situazioni difficili.
«Scusate.» disse ricominciando ad avanzare e imboccando il corridoio principale. Non appena scorse un bagno ci si fiondò dentro, si diresse davanti a un lavandino, buttò lo zaino per terra e aprì l'acqua. Si lavò la faccia quasi violentemente e le sue guance si arrossarono. Chiuse il rubinetto e si guardò allo specchio: si spostò alcuni capelli che le si erano incollati al viso. Poi si accucciò per prendere il suo mascara dallo zaino. Si sistemò il trucco in fretta, sforzandosi di sorridere, ma la sensazione di vuoto nello stomaco la stava facendo soffrire perché, oltre al dolore fisico, si portava con sé ricordi bui del passato. Fece qualche respiro profondo, mise in bocca una pastiglia per il mal di stomaco, che mandò giù con la saliva, e uscì dalla stanza. La folla di studenti la riavvolse in un'atmosfera soffocante.
La sua prima lezione si sarebbe tenuta nella classe di biologia, aula 9f. Kilie non sapeva minimamente dove andare; si dovette rassegnare all'idea di seguire il flusso costante di adolescenti che rideva e scherzava, ma che sembrava non volersi mai fermare.
Quando il corridoio iniziale la costrinse a scegliere se andare a destra o a sinistra, si accinse per la seconda opzione.
«Scusa. Sai dov'è l'aula 9f?» domandò a una ragazza dai capelli rossi lunghi. Lei non la degnò nemmeno di uno sguardo, anzi, raggiunse un'amica e si mise a ridere con lei.
Che cosa ha da ridere?, si domandò fra sé Kilie, anche se sapeva che non avrebbe trovato una risposta seria. In quella scuola tutti parevano prenderla di mira e giudicarla, come se fosse diversa dalla massa. Ma forse, diversa, in fondo, lo era veramente.
«Se vuoi ti posso aiutare io.»
Sentì una mano sulla sua spalla destra che quasi la costrinse a voltarsi. Si ritrovò davanti un ragazzo alto, dai capelli castani, forse un po' più chiari dei suoi, e due occhi penetranti del medesimo colore. Kilie era rimasta quasi accecata da quella visione, non sapeva dove guardare. In poco tempo aveva già memorizzato ogni singolo lembo di pelle del viso di quel ragazzo.
«Sì, grazie. Ho la prima lezione nella classe 9f.»
Deglutì. Non si era mai sentita in quel modo, quasi a disagio. Più quel ragazzo le stava davanti, più quella sensazione si faceva forte. In un certo senso la stava asfissiando, ma non sapeva se in maniera negativa o positiva.
«È di qua.»
Le fece cenno di seguirlo e la condusse per i corridoi di quell'edificio.
«Mi chiamo Marcus, comunque.» disse il ragazzo sorridendole.
«Piacere, io sono Kilie.» rispose lei, un po' in imbarazzo.
Dopo cinque minuti, Marcus si fermò davanti a una porta che di fianco aveva una targhetta con incisa la numerazione dell'aula.
«Questa è la classe che stavi cercando.» disse gentilmente facendo un mezzo inchino e indicando la porta di legno chiaro. Kilie emise una risatina, più isterica che divertita.
«Grazie.» pronunciò quelle parole e poi entrò nell'aula. Anche quello studente fece lo stesso e gli si sedette vicino.
Sembra uno stalker, pensò la ragazza, mentre un sorriso si fece spazio sul suo volto.
❣
Houston, 2020
Il cielo era nero e non c'era neanche l'ombra di una stella. La luna splendeva alta, ma la gente non sembrava interessata a quello. Dentro lo stadio, l'unica cosa che destava interesse era l'enorme palco che si ergeva di fronte alla quasi interminabile folla. Dopo pochi minuti, tutte le luci si spensero e qualcuno cominciò a urlare da un microfono. La gente presente cominciò a battere i piedi per terra, ad applaudire e a fare rumore.
Degli scintillii cominciarono a pervadere tutto lo spazio e a illuminare di colori diversi il palco: tutte le luci puntavano sul la persona che aveva cominciato a cantare. Kilie non sapeva chi fosse, si trovava lì solo perché i biglietti le erano stati regalati. Erano tre: uno per lei, uno per suo padre e uno per sua madre. Non le piaceva stare in mezzo a molta gente, ma ai suoi genitori era piaciuta l'idea di passare una serata in famiglia, e lei aveva accettato di andare con loro.
Le canzoni finivano e ogni volta ne ricominciavano altre. Gli schiamazzi non si erano fermati neanche per un secondo e questo fece venire mal di testa a Kilie, che si sedette sulla sedia che aveva dietro di lei. Era l'unica accomodata e, per questo motivo, non riusciva a vedere niente.
Quando ormai l'uomo sul palco annunciò la fine, la ragazza si rialzò, felice di potersene andare. Si incamminò verso l'uscita. Dietro di lei suo padre e sua madre non c'erano, si trovavano a una decina di metri più indietro. Probabilmente alcune persone si erano messe davanti a loro per raggiungere il passaggio che le avrebbe portate fuori da quell'immensa struttura. I genitori di Kilie le fecero cenno di saluto con le braccia e lei si rimise in cammino; li avrebbe aspettati fuori.
Quasi all'uscita qualcosa la fece fermare. Un boato esplose all'interno dello stadio, rompendo quelle urla di felicità che incessanti avevano continuato a invadere quella sera.
Poi avvenne il caos: la gente cominciò a spingere Kilie e lei, costretta a seguire il flusso della folla spaventata, perse di vista i suoi genitori. Le persone cominciarono a moltiplicarsi e a correre sempre più velocemente, fino a che Kilie non resse più quell'andatura frastornante e cadde a terra. Il dolore cominciò a pervadere il suo corpo e quelle fastidiosissime grida a invadere la sua testa. La mente era piena di pensieri mischiati alla paura. Nello stomaco, invece, cominciò a farsi largo una sensazione che non aveva mai provato prima, che non sapeva nemmeno descrivere.
Qualcuno, improvvisamente, la prese da terra, la portò fuori e la appoggiò contro un albero.
Poi un'altra persona, probabilmente una donna, si chinò su di lei.
«Dobbiamo portarla in ospedale, e in fretta.»
Quelle furono le ultime parole che riuscì a sentire prima di perdere completamente i sensi.
❣
«Signorina Kilie, sta bene?»
La ragazza si risvegliò improvvisamente. La sensazione di vuoto non era sparita, ma si era attenuata. Le guance erano bagnate di lacrime salate e il respiro si era fatto più affannato.
«Marcus, accompagnala fuori.»
Il ragazzo seduto a fianco a lei le prese gentilmente il polso e la aiutò ad alzarsi. Le veniva da vomitare.
Aiutandola a camminare, la condusse fino in bagno, poi si fermò all'entrata facendole segno di continuare da sola. Lei fece qualche passo poi cedette e si accasciò per terra, sulle mattonelle fredde.
«Al diavolo il bagno delle ragazze.» disse Marcus che si affrettò a raggiungere Kilie. La ritirò su, poi, sempre aiutandola, la fece avvicinare a un gabinetto. Aiutata dal ragazzo, lei si inginocchiò e cominciò a vomitare. Quando finì si accasciò contro la parete di plastica che divideva i bagni e ricominciò a respirare normalmente. Si strinse la pancia. Tutto quello che aveva provato negli ultimi istanti era sparito, come per magia.
«Cos'è successo?» domandò debolmente alzando gli occhi verso il viso di Marcus.
«La professoressa di biologia stava parlando di te, per introdurti a noi compagni. Ha cominciato a raccontare da dove venivi e cazzate varie» fece una pausa per accasciarsi vicino a lei. Il ragazzo le sfiorò il braccio volontariamente e Kilie provò ad allontanarsi leggermente da lui, ma non aveva ancora recuperato appieno le forze e non ci riuscì.
«Poi ha cominciato a parlare di ciò che ti è successo l'anno scorso.»
Marcus le fece intendere che la professoressa aveva raccontato tutto di lei, non risparmiandosi nemmeno un dettaglio, sperperando a tutti il suo passato doloroso, come se fosse stato una bella storia da raccontare ai propri figli, come se la sofferenza provata dalla ragazza fosse stata un dettaglio di poca importanza.
«E poi hai avuto un attacco, un attacco... Non so neanche io cosa ti è successo. So solo che hai cominciato a piangere e il tuo respiro si è fatto improvvisamente pesante.»
Marcus deglutì, quello che era successo lo aveva un po' turbato.
Kilie si alzò e si diresse verso i rubinetti. Ne aprì uno alla massima potenza e mise le sue mani sotto il getto d'acqua, per poi portarle alla faccia. Prese da un contenitore dei pezzi di carta assorbente e si asciugò il viso. Poi si girò verso il suo compagno di classe, ancora seduto a terra.
«Ora sto bene, grazie.»
«Sei sicura? Possiamo restare ancora qui, così puoi riprenderti con calma.»
Marcus si alzò e si diresse verso la ragazza, prendendole le mani. La cominciò a guardare negli occhi, verdi, interessanti.
«Non voglio restare ancora qui. Non ti conosco neanche, perché mi stai così attaccato? Sembri un fottuto stalker, cazzo.» urlò Kilie, lasciando bruscamente la presa del ragazzo. Uscì dal bagno sbattendo la porta.
Dopo aver preso un respiro profondo, Marcus, si avvicinò a un lavandino.
Dal valico del bagno riapparì la ragazza, cogliendo di sorpresa Marcus per l'ennesima volta.
«E stammi lontano!» gridò Kilie per poi tornarsene definitivamente in classe.
Marcus si guardò allo specchio. Cosa aveva fatto di male? Voleva solo aiutarla, non voleva fare nient'altro. Gli occhi si erano arrossati e pian piano stavano diventando lucidi. Li chiuse e li riaprì più volte, poi, con l'aiuto delle mani, si bagnò la faccia con dell'acqua. Prese qualche pezzo di carta assorbente, si asciugò il viso e rivolse di nuovo lo sguardo al suo riflesso affranto.
Perché mi merito questo?
Improvvisamente, dalla porta entrarono due ragazze.
«Cosa ci fai nel bagno delle ragazze?» disse una delle due che indossava un maglioncino rosa e una gonna grigia. Incrociò le braccia e si avvicinò a Marcus, il quale, rimasto impietrito, aveva uno sguardo di disperazione sul volto. «Su, avanti, vattene.»
Marcus si mosse improvvisamente e, cercando in tutti i modi di chiedere scusa, uscì di fretta dal bagno. Fece un respiro profondo e si diresse in classe.
❣
«Sta bene ora, signorina Kilie?»
«Sì, grazie professoressa. Ora va molto meglio.»
Nel frattempo era rientrato anche Marcus, che si era accomodato al proprio banco, di fianco alla ragazza. Ella si voltò e lo vide assente. Gli occhi erano leggermente rossi, sembrava aver appena pianto.O meglio, quasi sicuramente, era stata troppo dura con lui. Non era abituata a tutte queste attenzioni, soprattutto da parte dei ragazzi. Non aveva mai avuto a che fare con ragazzi. Non era sicura neanche che gli piacessero. Non si era mai fatta domande riguardo all'amore, tutto ciò che aveva a che fare con questo sentimento lo aveva dato per scontato, come dava per scontato che le piacessero i ragazzi. Può darsi che quella fosse l'ora buona per cominciare una relazione con qualcuno?
Ma perché ci sto pensando?, si domandò la ragazza. Rideva fra sé quando si comportava in questa maniera: faceva sempre riflessioni interessanti in momenti poco idonei -pensare che cinque minuti prima aveva letteralmente mandato a 'fanculo Marcus-. C'era comunque qualcosa in quel ragazzo che le coglieva l'attenzione, anche se il suo carattere brusco e irascibile aveva avuto la meglio. Odiava essere così impulsiva, quasi senza filtri; le impediva di farsi amici. Ma in fondo era fatta così, anche prima che i suoi genitori morissero si comportava in quel modo.
La campanella interruppe i pensieri di Kilie. Un'ora di lezione era passata. Ne mancavano ancora quattro. Tutti i suoi compagni di corso si alzarono, facendo un baccano infernale. Le sedie che si spostavano produssero un rumore stridente, le zip delle cartelle aumentarono la confusione: ecco un altro aspetto che odiava della scuola.
Anche lei se ne andò dalla classe e si diresse nell'affollato corridoio. L'amato affollato corridoio. Visto che all'inizio della giornata non aveva avuto il tempo di cercare il suo armadietto, cominciò a vagare per l'edificio. Arrivò vicino ai bagni e cominciò a guardare ogni singolo numero scritto sopra a quelle piccole porticelle di metallo dipinte di giallo.
«K16, dovrebbe essere questo.» disse a bassa voce rivolgendosi a sé stessa.
Posò tutti i suoi libri dentro l'armadietto e lo richiuse con il lucchetto a combinazione numerica. Lasciò fuori solo il libro di storia, materia della sua prossima lezione. Si girò e, intenta a cercare la prossima aula, si guardò attorno. Tra tutti quei ragazzi notò la ragazza dai capelli rossi, quella che non si era degnata di aiutarla. Anche lei notò Kilie. Sorridendo, quest'ultima, alzò il braccio sinistro, serrando tutte le dita, tranne una, quella centrale. Sul viso della rossa apparve un'espressione di rabbia mista alla vergogna. Aveva avuto ciò che si meritava. Quasi mezza scuola si girò verso loro due. Alcuni si erano messi a ridere, altri erano stupiti e altri ancora avevano preso in mano i propri cellulari per filmare la scena.
Forse aveva beccato la ragazza più popolare della scuola, ma questo non le importava. Non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno, tantomeno da una persona così maleducata.
Alcuni studenti affiancarono Kilie, soprattutto giocatori di rugby.
«Abbiamo un'altra stronzetta a scuola!» ridacchiò il ragazzo che un'ora prima l'aveva soprannominata 'troietta'.
«Cambi molto spesso il modo in cui ti rivolgi alle persone, coglione.»
Gli diede una spallata camminando, spostandolo leggermente e facendogli cambiare subito espressione. Poi non disse niente, si limitò a sorridere, dirigendosi verso l'aula dove si sarebbe tenuta la sua prossima lezione.
Sapeva già dove andare poiché aveva visto la stanza quando era tornata dal bagno.
Si sentiva ancora male per Marcus: era un po' impacciato, ma estremamente timido e lei non si doveva comportare come aveva fatto prima, anche se non le piaceva raccontare dei fatti suoi. Non voleva spiattellare i ricordi che si teneva nel profondo del cuore, non voleva parlare del trauma che aveva subito e non voleva assolutamente che nessuno lo venisse a sapere. Non voleva diventare la ragazza depressa della scuola. Anche se non lo era, l'avrebbero scambiata per tale. Era riluttante, per lei, la gente che fingeva di fare carità. Oh, povera. Chissà come sarà stata dura per lei, o peggio, Capisco cosa provi, è del tutto normale. Le faceva schifo. Le persone non avevano la minima idea di quello che lei provava ogni giorno.
A un trattò, un ricordo sfocato si fece largo nella sua mente.
La stanza bianca, il letto bianco. Tutto spoglio di vita. La signora anziana vestita di nero alla porta. Poi a fianco a lei. Lei, la ragazza di un anno fa, che non riusciva ad alzarsi dal letto dell'ospedale, che in un paio d'ore aveva perso tutto. Anche la sua anima. Parole incomprensibili sussurrate all'orecchio. Le giravano attorno alla faccia senza entrare. Poche erano riuscite a raggiungere la sua mente: Genitori. Non. Fatta.
Era morta.
«Tu non entri?»
Una voce frantumò i ricordi sfuocati che avevano cominciato a riflettersi nella testa della ragazza. Ella girò leggermente lo sguardo verso la fonte delle parole. Era una donna sulla quarantina, alta, con i capelli rosso scuro e mossi. Era fuori dall'aula e teneva la porta per la maniglia, evidentemente intenta a chiuderla per iniziare la lezione. Senza accorgersene era arrivata alla classe giusta e, visto i corridoi deserti, era deducibile fosse già suonata la campanella.
«Sì, mi scusi. Voglio entrare.» confabulò quasi a bassa voce. La signora si scansò per farla entrare, poi richiuse la porta alle sue spalle, provocando un tonfo che fece smettere di parlare tutti gli studenti presenti. Kilie si sedette in prima fila, nel terzo banco a partire da sinistra.
«Tu devi essere la nuova ragazza.» disse la professoressa prendendo in mano un gesso e avviandosi verso la lavagna. «Ti va di presentarti ai tuoi nuovi compagni?»
«Lei è quella che ha fatto il dito medio a Lexi!» esclamò un ragazzo seduto in ultima fila. Tutta la classe si mise a ridere, sollevando un baccano generale.
«Non è divertente!» aggiunse una ragazza. Le parole arrivarono dal banco posto esattamente dietro a Kilie, che si girò per vedere chi fosse stato ad averle pronunciate. Dietro di lei era seduta la rossa che, con le braccia incrociate e la fronte corrugata, stava incitando i compagni a stare zitti.
«Voglio silenzio. Allora, vuoi presentarti?» continuò la professoressa con tono autorevole.
«Dipende da quante cose devo dire.»
«Quelle che vuoi.» le rispose la donna in un tono di sfida.
«Beh... Mi chiamo Kilie e vengo da Houston. Non ho nient'altro da aggiungere.»
La professoressa sorrise.
«Benissimo, se non hai nient'altro da aggiungere allora posso iniziare la lezione.» si tirò su le maniche e cominciò a scrivere alla lavagna con il gessetto bianco.
RICERCA DI COPPIA, erano le parole leggibili sulla tavola dipinta di nero.
«Visto che siamo all'inizio dell'anno scolastico e molti di voi partecipano a questo corso di storia per la prima volta,» la docente si fermò per squadrare Kilie, poi come niente continuò, «farete una ricerca di coppia. Visto che sono molto appassionata del mondo romano, voglio che facciate una ricerca sui lavori che facevano le donne del tempo. Quello che volete. Vediamo quante cose vi ricordate del mio piccolo approfondimento dell'anno scorso. Visto che quelli nuovi non erano con me, vi metterò insieme a qualcuno che dovrebbe sapere già qualcosa sui romani. Spero vivamente che anche voi abbiate fatto qualcosa nella vostra vecchia scuola.»
Si sedette dietro alla cattedra e prese un foglio da un cassetto. Cominciò a leggere il pezzo di carta e ad annunciare le coppie.
«Kilie e Marcus.»
La ragazza si girò di scatto perquisendo tutta l'aula. Intravide il ragazzo due file di banchi dietro di lei. Possibile che non si era accorta della sua presenza entrando? Ormai non importava più. Era evidente che si sarebbe dovuta incontrare con lui dopo la scuola.
❣
La lezione proseguì tranquillamente e senza ulteriori interruzioni. Al suono della campanella si alzarono tutti. La ragazza si avviò verso la porta, ma venne bloccata dalla donna che sedeva dietro alla cattedra. Le disse di aspettare un momento e, non appena uscirono tutti, le cominciò a parlare.
«Non mi sono presentata prima. Mi chiamo Melissa Richards.»
Le porse la mano e Kilie la strinse debolmente.
«Benvenuta al mio corso di storia. Spero che tu ti possa adattare presto in questa nuova scuola. Non so come veniva insegnata questa materia nella tua vecchia classe, ma qui io pretendo serietà. Rimunererò adeguatamente l'impegno e lo studio e penalizzerò tutti quelli che non si daranno da fare. Quindi, se vuoi finire l'anno con buoni voti, ti dovrai impegnare a stare sui libri. Se lo farai, noi due andremo molto d'accordo. Detto questo, puoi andare.»
«Grazie per i consigli e buona giornata.» le sorrise Kilie. La ragazza sapeva certamente come studiare e se la cavava anche bene. Non ci sarebbe stato nessun problema con i libri di storia. Fece per uscire, ma indietreggiò subito non appena sentì una voce dentro alla classe. Qualcuno l'aveva chiamata e non era di certo la professoressa Richards. Era un'altra persona. Ne era sicura. Si girò furtivamente e, stranamente, dietro alla cattedra c'era solo Melissa, ma le luci dell'intera stanza si erano fatte soffuse. Sentì di nuovo il suo nome. Era uscito dalla bocca della donna, ornata da un rossetto rosso fuoco che le donava autorità e sensualità. La voce, però, non era affatto la sua. Si sforzò a ricordare da dove proveniva, chi era il proprietario, ma venne interrotta da una frase.
«Stai attenta, il male è dietro l'angolo.»
E a un tratto si ricordò: la voce era di sua madre.
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