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🤍CAPITOLO SETTE

Silenzio.

Ancora e ancora silenzio.

E' la prima cosa che penso quando tento di riaprire gli occhi. Le mie mani percepiscono un tessuto diverso da quello del mio letto e i profumi che sento mi ricordano solo una cosa. Impossibile per me non associare entrambe le cose ad un luogo che purtroppo conosco bene.

Sono sicuramente in un ospedale.

Una lacrima mi scende per la gravità sul cuscino ancora prima di aprire gli occhi e quando lo faccio, la prima cosa che vedo sono fiori. Ce ne sono di molti tipi, alcuni più freschi e altri meno, il che mi fa pensare di essere stata qui per diversi giorni.

Fin da quando ero piccola, infatti, mia mamma e mio papà mi portavano un mazzo diverso ogni giorno quando venivano a trovarmi durante i miei lunghi ricoveri. Li riconoscerei ovunque, i loro fiori.

Dovrei essere grata per questo affetto ma il mio corpo reagisce da sé, accecato dalla rabbia. Non voglio fiori, non voglio stare qua ma soprattutto voglio capire cosa mi è successo e perchè ho sentito quella bellissima musica.

E quella voce.

Mentre stacco da me quello che rimane di una flebo, le mie mani stanno già gettando a terra tutti quei colori innocenti. Sono molti, più del previsto.

Quanti cazzo di giorni sono stata in questo posto di merda?

Butto in terra tutto ciò che trovo generando così sicuramente un gran fracasso. Mentre la porta si spalanca di colpo, i miei occhi notano un dettaglio in mezzo a tutta la confusione riversata a terra.

Un fiore, una specie di rosa per l'esattezza, ma non una qualsiasi, perché i suoi petali dividono la rosa simmetricamente in due colori: bianco e nero.

Mentre qualcuno cerca di afferrarmi per le spalle mi scosto con violenza per raccogliere da terra quel piccolo fiore con mani tremanti: il gambo è interamente ricoperto di spine piccolissime e i petali sono morbidi come velluto. Non c'è né un nastro né della carta a proteggerlo e tanto meno un biglietto. Mi guardo intorno per capire chi possa averlo portato.

Solo allora metto a fuoco le persone che sono entrate nella stanza. Ci sono i miei genitori, tre infermiere e un medico. La prima a tentare di avvicinarsi a me è proprio mia madre che subito inizia a segnare.

«Ellie, tesoro, cerca di calmarti. Vieni a sedere e ti spiegheremo cosa è successo.» E' preoccupata. Molto preoccupata.

Le indico subito la rosa che tengo in mano ma lei scuote la testa triste facendomi capire che non l'ha portata lei.

«Quanti giorni sono stata qui?» adesso tocca a me fare le domande e non ho nessuna intenzione di starmene tranquilla seduta su quel dannato letto.

«Cinque.» Questa volta è mio padre che risponde mettendomi un braccio intorno alle spalle.

Cinque fottuti giorni.

«Chi mi ha portato qui?» chiedo mentre mi lascio condurre a sedere sulla poltrona vicino al letto.

A questo punto è il dottore ad intervenire, parlando anche lui con la lingua dei segni: « Ti ricordi qualcosa di quello che è successo?»

Perché questa domanda? Sono io che dovrei chiederlo.

I miei occhi guardano prima lui e poi quel fiore tra le mie mani e tutto mi torna alla mente: ma come potrei mai dimenticare quello che mi è successo?

Ho l'impressione che invece, loro, non sappiano nulla aspettandosi da me qualche spiegazione logica. Dato che di logico non c'è un bel niente, decido di mentire fingendo di non sapere niente, scuotendo semplicemente la testa e ripetendo quello che avevo chiesto io. Non ho intenzione di farmi prendere per pazza.

«Chi cavolo mi ha portato qui.» Non è una domanda ma un ordine preciso rivolto a quel cazzo di dottore.

«Ellie, adesso calmati per favore», interviene mia mamma, «il dottor Morris vuole solo aiutarti.»

«Perchè non volete dirmi chi mi ha portato qui?» la guardo disperata.

Lei sospira e torna a guardarmi negli occhi.

«Perchè non lo sappiamo, ecco perché.» Si siede vicino a me, sul bracciolo, accarezzandomi la testa prima di continuare.

«Qualcuno ti ha portata qui poco prima che Susan ci chiamasse dicendo che ti eri sentita male e che eri svenuta in un pub. Abbiamo chiesto a lei cosa sia successo ma dice che non era lì con te in quel momento. Quando si è accorta di quello che stava succedendo eri già stata portata via, ma non sa da chi di preciso. Mi dispiace così tanto tesoro. I medici dicono che forse hai avuto un altro svenimento come quello della sera prima di partire e per questo forse è il caso di rimandare l'Università al prossimo semestre. Verrai a casa con noi e cercheremo di capire cosa ti stia succedendo. Ho già contattato l'equipe del Dott. Morris che si è preso a cuore il tuo caso e...»

«No.» Mi scosto da lei interrompendola prima che finisca quella frase del cazzo.

«Non tornerò a casa. Non rimanderò l' Università. Non comincerò un altro ciclo del cazzo tra visite e dottori. Mi sono spiegata?»

Guardo solamente i miei genitori ignorando completamente le infermiere e quel dottore che già mi sta sulle palle. Stringo quel fiore ancora di più tra le mie mani e mi rendo conto di star sanguinando.

Per fortuna, e mai avrei pensato di associare tale parola a lei, Susan si affaccia dalla porta palesemente in imbarazzo insieme a Peter.

Le infermiere ne approfittano per dileguarsi all'istante seguite dal dottore, mentre i miei genitori rimangono a fissarmi.

«Usciamo un attimo. Ne parliamo dopo.» Mia mamma mi dà un bacio lascivo sui capelli e porta fuori mio padre che era rimasto a guardarmi pensieroso.

«Ehi, bella addormentata! Ce ne hai messo di tempo!» inizia Susan guardandosi intorno, «perché hai buttato tutti i fiori in terra? Questi li avevo scelti io!»
Si china a raccogliere un mazzo di margherite colorate con aria delusa mentre aspetta una mia risposta. Non posso fare altro che scuotere le spalle e lei in quel momento si accorge di ciò che tengo ancora tra le mani.

«Oh, ma è stupenda! Non ho mai visto una rosa così, chi te l'ha portata?»

Scuoto subito la testa perché davvero non lo so. Guardiamo entrambe Peter chiedendo se fosse sua ma lui alza le mani in segno di resa facendo cenno di no.

Mi volto di scatto ricordandomi solo ora del regalo di Susan che qualcuno aveva appoggiato sul comodino togliendomi gli oggetti dalle tasche dei jeans. Mai avrei pensato di usarlo, soprattutto con Susan, ma devo comunicare con lei.

Scrivo quel messaggio con mano tremante.
La vedo diventare seria e per la prima volta, in difficoltà. Mi prende la penna di mano e inizia a scrivere.

Le tolgo il foglio di mano.

Glielo ricaccio in mano guardando anche Peter.

Lei aspetta qualche secondo prima di riprendere la penna.

Si ferma incerta se continuare o meno.


Sono scioccata da quello che sto leggendo e da quello che ha più volte cancellato.

Chi è quel lui di cui parla Susan?

Lei sembra percepire il mio pensiero e riprende a scrivere.

Cazzo. Perchè? Era sua la voce quella che ho sentito? O era un altro dei miei sogni?

Le strappo di mano quel dannato quadernino, nessuno dovrà mai leggere quello c'è scritto, il perché non lo so ma sento che molte cose non tornano.

Per la seconda volta in poco tempo penso e scrivo una cosa che mai e poi mai avrei associato alla persona che ho di fronte.


Dal viso di Susan spunta un enorme sorriso e appena le sue braccia si allungano per abbracciarmi io mi scanso all'indietro guardandola male. Ancora non siamo a questi livelli.

Lei, fintamente offesa, mostra il messaggio a Peter che a sua volta alza entrambi i pollici mimando un: «Forte!».







જ⁀➴spazio autrice

Che ne pensate ? Questa è la bellissima rosa che Ellie trova al suo risveglio

Bella vero? 🖤🤍
Chi l'avrà portata ? 😏

Come promesso vi metto il presta volto di Peter, perché e' troppo simpatico per rimanere anonimo !
Eccolo

Lo conoscete Bach Boquen?

Come sempre stellinate, commentate e diffondete! ⭐️⭐️⭐️

જ⁀➴Un abbraccio dalla vostra creatrice di lacrime.

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