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35. Catania.

«Ehi, hai finito qui?»

Una voce squillante arrivò alle orecchie del dottor Rinaldi come un missile.

«Allora?»

«Vittoria, sono nel bel mezzo di un'estrazione, ti dispiace?» ribatté lui, mentre con la mano destra stringeva la pinza estrattiva, ancorata su un molare e con la sinistra si appoggiava accanto alla testa del paziente, per poter applicare un po' di forza in più nella manovra.

«Ti aspetto fuori» concluse lei, chiudendo la porta della Sala 2.

Edoardo prese un bel respiro, poi riprovò a forzare il sito e a estrarre, ma quel dente del giudizio non veniva via neanche con le cattive.

"Devo trovare un'alternativa" pensò, riponendo la pinza sul portatray sotto la faretra e osservando le varie turbine montate su quest'ultima.

Improvvisamente, un colpo di genio lo fece muovere verso il mobiletto alla sua sinistra, dietro la poltrona, cercando lo scatolino contenente le frese da montare sulla turbina.

«Dottore, che cosa le serve?» La voce dell'assistente di sala s'insinuò nei suoi pensieri.

«Lo scatolo delle frese.»

«Apra il terzo cassetto. Sulla destra, coperchio azzurro.»

Ah, già, le infermiere di sala sapevano sempre tutto, pure il minimo dettaglio.

«Ancora devo abituarmi al vostro innato senso dell'orientamento» commentò lui ridendo, mentre afferrava l'oggetto delle sue ricerche e tornava accanto al paziente.

Il camice l'aveva appeso all'appendiabiti all'ingresso della sala, restando solo con la divisa azzurro scuro degli specializzandi. La cuffia dei Queen - questa volta bianca e con lo stemma aranciato - gli copriva tutto il capo, lasciando scoperte solo le basette laterali e giusto qualche riccio ribelle alla base della nuca.

«Siccome questa benedetta mola non vuole venir fuori, andrò a dividerla in due parti, così da poter creare nuovi punti di leva e poter proseguire senza problemi» spiegò con sicurezza al paziente, mentre agganciava la fresa allo strumento. «Ci metterò pochissimo, promesso.»

Edoardo continuò il suo intervento con calma, andando a dividere in due quel dente che tanto lo stava mettendo in difficoltà. Una volta fatto, riprese la pinza e ritentò l'estrazione.

Un paio di manovre e la prima metà venne subito fuori.

«Ci siamo quasi... » sussurrò quasi a voler infondere sicurezza e coraggio.

Per sua fortuna, il paziente non sembrava agitato. Anzi, tutto il contrario. A giudicare dall'aspetto, sembrava quasi un suo coetaneo, se non un paio d'anni più giovane di lui. I suoi occhi non erano specchio di puro terrore - come spesso Edoardo notava, quando la gente stava seduta sulla poltrona -, bensì di relax.

"Eh, valli a trovare, i coraggiosi... " convenne il dottore, mentre estraeva anche l'altra metà della radice rimasta ancorata al sito alveolare. Ce l'aveva fatta: alle volte, il piano B era sempre la soluzione a tutti i problemi.

Prese il cucchiaio alveolare* e andò a ripulire il buco dove fino a poco prima stazionava quella mola del giudizio così ostinata da non volersi staccare. Poi, prese ago e filo e iniziò a suturare. Gli spuntò un sorriso, che il paziente non poteva vedere perché coperto dalla mascherina chirurgica.

Forse perché aveva appena aiutato un'altra persona, facendola stare meglio.

Forse perché gli ricordava Vittoria e le sue manine d'oro mentre manovravano le pinze che stringevano il sottilissimo filo in polipropilene che teneva saldi i due lembi della gengiva.

Forse proprio perché quella delicatezza lo calmava, un po' come la meditazione in cui spesso s'immergeva, per stemperare la tensione.

«Finito!»

Il paziente alzò il pollice in alto, in segno di approvazione; poi, si poggiò la borsa del ghiaccio sul viso, poco sotto la sua basetta destra. «Quanto devo aspettare, prima di poter togliere i punti?» biascicò questi, con la bocca ancora un po' intorpidita dall'anestesia.

«Io direi un paio di settimane, per essere totalmente sicuri» rispose Edoardo, mentre si abbassava la mascherina e toglieva i guanti. «L'assistente ti fisserà un appuntamento, non preoccuparti. Poi, mi raccomando, evita fumo, alcol e mangia cibi freddi, come yogurt, gelati e succhi di frutta.»

«Grazie mille, doc. È stato super!»

Edoardo sorrise, poi mollò una pacca sulla spalla del ragazzo, salutandolo e uscendo dalla Sala, per dirigersi agli spogliatoi - al corridoio parallelo a quello in cui si trovava - e cambiarsi.

Si rese conto che in Clinica c'era poca gente, neanche tanti odontoiatri, men che meno studenti.

"E certo, c'è la sessione" si rese conto lui, scuotendo leggermente la testa. Si passò le mani sui capelli, come a portarli tutti indietro, arrivando poi dietro la nuca e continuando a camminare così, spavaldo ma spensierato allo stesso tempo.

Abbassò il capo e iniziò a osservare i propri piedi muoversi piano piano: prima un passo, poi un altro.

Un po' come nella propria vita, come aveva sempre fatto e come stava continuando a fare.

Una cosa per volta, senza farsi travolgere da troppo entusiasmo, che l'avrebbe solo fatto andare fuori strada e impazzire.

Anche se, in cuor suo, percepiva qualcosa. Un po' come una vocina che gli diceva di forzare la mano e rischiare, una volta ogni tanto... un tocco di brio in più, gli avrebbe solo potuto fare bene.

Si avvicinò al banco dell'accettazione, dove un'annoiata Mamma Lucia stava finendo alcune operazioni al computer.

«Giornata lunga?» iniziò Edoardo.

La donna si voltò a guardarlo ancora più stufa di prima, con un'espressione che lasciava trasparire una risposta anche fin troppo ovvia.

«È da ieri che c'è il mortorio, qui. Chi impegnato con gli esami, chi è in centro per la festa... insomma, mi sto divertendo un sacco.» Si sfilò la cuffia verde acqua dal capo, rivelando una capigliatura riccia biondo scuro con riflessi castani. «La prossima volta, devo ricordarmi di portare un libro da leggere nei tempi morti.» Si massaggiò le tempie con le dita, cercando di ritrovare un po' di calma.

«Effettivamente, è strano, dato che qui si corre quasi tutti i giorni... »

«Edo, siamo noi infermiere a correre dietro voi medici» puntualizzò la donna, scuotendo la testa. «Poi, voi dentisti siete ancora peggio... »

«Ehi! Che vi abbiamo fatto di male?» chiese lui divertito, mentre l'osservava alzarsi con alcune cartelle in mano. Notò quanto fosse in forma, cosa che non era mai cambiata, da quando l'aveva conosciuta la prima volta, nei primi tirocini.

Solo qualche ruga in più sul viso dava prova del passaggio del tempo, nulla più.

«Siete così pignoli da farvi odiare da chiunque. E a volte, anche un po' stronzi.»

«Io non sono pignolo. O almeno, non mi risulta!»

Mamma Lucia rise, poggiando la mano sulla spalla di Edoardo. «Ah, caro Edoardo. Non sarai stronzo, o almeno, non lo sei fino a quando le assistenti non verranno a lamentarsi con me... ma di essere pignolo, lo sei fino al collo!»

«E andrà sempre peggio, fidati!» aggiunse una voce in lontananza, che Edoardo avrebbe riconosciuto in capo al mondo.

«Siete sempre così gentili con gli specializzandi?» sbuffò lui, mentre Vittoria veniva ad abbracciarlo da dietro, facendogli sciogliere gli ultimi muscoli tesi, così come fece regolarizzare il suo respiro.

«Soprattutto con quelli che ci stanno più a cuore!» ammise il Primario, con un sorriso sul volto alquanto sadico, ma divertito, seguita da una risata di Mamma Lucia.

Edoardo scosse la testa e sospirò, rassegnandosi a quella realtà.

«Avete interventi programmati?» chiese l'infermiera, mentre sistemava qualche foglio volato fuori dalle cartelle.

«No no» risposero i due dentisti in coro, guardandosi in faccia, poi tornando sullo sguardo di lei.

«Allora, perché non scendete in centro? Starà passando il fercolo di Sant'Agata!»

«È il quattro febbraio... ecco perché c'è poco movimento, oggi!» constatò il dottor Rinaldi, voltando la testa in tutte le direzioni. Neanche i sassi si stavano muovendo.

Mamma Lucia scosse la testa, poi si allontanò dalla coppia con passo aggraziato.

«C'era bisogno di cacciarmi in malo modo, prima?» punzecchiò Vittoria, assestando un pizzicotto sul fianco del compagno, il quale si ritrasse per il fastidio.

«Non sono stato scortese! E poi, avevo un dente del giudizio bloccato con le pinze, potevo mai darti piena considerazione?» Edoardo provò a difendersi, cosa che divertì lei al punto da scoppiare a ridere come una matta. Poggiò le proprie mani sui fianchi e iniziò a osservarla piuttosto contrariato. «Beh, se l'avessi fatto a te, mi avresti fatto passare l'ira di Dio!»

«È vero, è vero» ammise la dottoressa, imitando il compagno a sua volta. Era senza il camice, ma sotto la divisa blu notte indossava una maglietta a maniche lunghe nera, in modo tale da non soffrire troppo il freddo invernale. Quel giorno, aveva raccolto i capelli in uno chignon improvvisato - tenuto insieme da una matita, tra l'altro -, con due ciocche arricciate che scendevano delicate sul viso. A ogni suo movimento, queste dondolavano, facendo giocare gli occhi color cacao a nascondino: un gioco sinuoso di onde castane e pensieri nascosti, una danza delicata di visioni suggestive e di tuffi nel mare degli occhi.

Gioco interrotto dalla mano di Edoardo che, con la sua delicatezza, andò a posizionarle i due ciuffetti dietro le orecchie.

«Hai gli ormoni alle stelle, o mi sbaglio?» ipotizzò Vittoria, mentre lasciava che il dottor Rinaldi le cingesse i fianchi con un braccio e la stringesse a sé. Passò una mano sulla chioma semi-riccia del compagno, osservandolo mentre questi chiudeva lentamente gli occhi per fare suo ogni tocco della donna.

«Ah, se solo sapessi... Non farmi parlare assai, per favore!» Edoardo le fece l'occhiolino e le infuse tutta la sua passione con un bacio lungo e intenso, con le lingue che s'intrecciavano e si perdevano di continuo. Sentivano il calore, la passione, l'amore che li teneva incollati, senza far perdere loro la magia di quel momento nato per caso.

Ma erano proprio i migliori: per Edoardo, erano le classiche effusioni spontanee e non programmate.

«Sei bellissima.»

«Ma devi dirlo ogni volta che ci baciamo?» rise la donna. Passò il dito indice sulle labbra di Edoardo, per arrivare poi ai baffi, poi alla barbetta, perlustrando ogni centimetro di quel viso i cui sguardi l'ammaliavano ogni singola volta.

«Sarò la tua persecuzione, al di fuori di questi momenti intimi.»

Un altro bacio, poi si staccarono.

«Ehi, ci sei mai stata alla festa di Sant'Agata?»

Vittoria sorrise imbarazzata, come colta alla sprovvista. «Non ne ho mai avuto l'occasione, soprattutto per la compagnia... »

«Cambiati, stasera scenderemo in centro. Ma ti avverto» la bloccò lui, facendola voltare sul posto, «ci sarà un sacco di gente!»

Lei alzò le spalle per fargli capire che le importava poco quel dettaglio, poi risalì al suo ufficio per vestirsi, mentre Edoardo correva agli spogliatoi per fare esattamente lo stesso.

«Semu tutti devoti tutti?»

«Cittadini! Cittadini!»

Un unico grido si elevava tra i devoti alla santa patrona di Catania, la giovane Agata martire di cui si celebrava la ricorrenza ogni cinque febbraio di ogni anno. Anche se, a dire il vero, i festeggiamenti iniziavano già dal tre, per poi continuare nei due giorni successivi.

«Ma dov'è la Santa?» domandò Vittoria confusa, mentre tanta gente le passava di fianco nell'affollata via Etnea, cuore pulsante dell'hinterland catanese. In quei giorni di festa, tante bancarelle erano attive in città: dai souvenir allo street food, ai dolciumi, soprattutto con il famoso Torrone di Sant'Agata, un gustoso dolce alle mandorle cosparso di zucchero fuso.

«Probabilmente sarà un po' più lontano da qui... » Edoardo non sapeva che risposta darle, perciò rimase sul vago. L'aria profumava di dolci e festa: ciò che Edoardo amava di più della terra che gli aveva dato i natali, per ventiquattro anni fino a quella parte.

Si sistemò lo scaldacollo dentro al cappotto nero, poi prese Vittoria per mano e continuò a passeggiare, scendendo fino a Piazza Duomo. Si voltò alla sua destra, per osservare il panorama circostante.

Poi, i suoi occhi caddero nuovamente su Vittoria.

Un cappotto bianco, con il cappuccio peloso - come lo definiva lei -, custodiva le sue forme e la proteggeva dal freddo. Sembrava una dolce e innocente bambina ingenua, i cui pensieri erano solo i cartoni animati e le bambole. Ma Vittoria, sapeva bene Edoardo, non aveva mai avuto il tempo di pensare a quelle cose, solo a come non farsi del male con le frasi pungenti e il comportamento duro del padre.

Anche se, la maggior parte delle volte, finiva spesso con lacrime versate e abbracci a Mr. Pringles, il suo orsacchiotto rimastole sempre accanto. L'unico che non l'avrebbe mai tradita, forse.

A volte, dubitava anche di quello.

Poco prima di arrivare, la coppia vide delle figure familiari sbracciare a più non posso nella loro direzione, ma il dottor Rinaldi non riuscì a riconoscerle subito.

«Edo!»

«Davide?!» esclamò sorpreso. «Ma che ci fate qui?» Era così contento di vederlo, tanto che gli diede un forte abbraccio.

«Sono qui con Federico e i due romani» si spiegò il dottor Campofiorito. «Stavamo facendo vedere loro cosa significassero folklore e festa religiosa a Catania.»

Edoardo ammiccò, poi salutò anche i tre rimasti un po' indietro, rispetto a Davide.

«Dottoressa Conte!» Mirko e Claudia, un po' imbarazzati, strinsero la mano a Vittoria. Non si aspettavano di certo di uscire assieme al Primario di Chirurgia.

«Chiamatemi Vittoria, non fatemi sentire più vecchia di quel che sono!» rise lei, trascinandosi gli altri. «E allora, dottor Cicerone Rinaldi, le va di farci fare un giro per questa meravigliosa città?»

Lui non perse tempo, mentre portava con sé il gruppo, per le vie della cittadina ai piedi dell'Etna.

«Che bedda Catania, Catania di notti

E iu sentu ca u cori m'abbatti cchiù fotti!

Ppe' stradi 'nde chiazze e intra i curtigghi

Catania fa a matri e annaca i so figghi... »

Un passo alla volta, mentre le luci di Catania risplendevano per tutta la loro visuale. Luminarie, candelore, anche le più piccole lampadine e batterie di lucine dei ristoranti dei vicoli, come quelli di via Santa Filomena: tutto ciò rendeva l'atmosfera ancora più magica.

Il gruppo continuava a conversare allegramente, mentre passeggiava sulla strada in pietra lavica.

«Stanno arrivando sempre più persone» pensò Federico ad alta voce. «Spero che arriviamo in tempo a vedere il fercolo che passa!»

«Ma sì, certo! Anzi, ritorniamo in via Etnea, verso Piazza Stesicoro, così poi riscendiamo alla piazza principale...» Davide prese in mano le redini della situazione, ma sembrava alquanto confuso.

«Ehm, Davì... » Edoardo s'intrufolò nel discorso. «Se tagliamo a sinistra, saremo già in via Vittorio Emanuele. Basta poi andare a destra e arriviamo direttamente al duomo, che te ne pare?»

«Ma Mirko e Cla non hanno mai visto quei posti! Potevamo approfittarne!»

«Ciccio, tanto ci passiamo, nel risalire la via Etnea» gli spiegò il dottor Rinaldi. «Ascolta me, prima che finiamo nel Wyoming

Quella battuta suscitò una risata molto forte, con leggera disapprovazione da parte di Davide, il quale poi si sciolse.

«Catania é na pupa capiddi castani

Labbra carnusi e l'occhi ruffiani

E quannu mi sapi luntanu du ionna

Ca so vuci d'angelu mi dici "torna".»

«Oh, siamo arrivati! Ci voleva tanto?»

«In effetti, la tua è stata un'alternativa migliore» dovette ammettere Davide, nonostante si fosse disinteressato un po' a quel dettaglio. «Ma non montarti la testa!»

Edoardo non rispose, solo scosse la testa. Davide non sarebbe mai cambiato... ed era proprio per questo che gli voleva bene.

Forse quello che avevano passato, poco più di un annetto prima, era stato l'ostacolo più grande mai affrontato.

Con la famosa prova del nove confermata dal dottor Rapisarda.

«Ragazzi, avete sentito i notiziari, ultimamente?» Federico spezzò la quiete che si era venuta a creare nel gruppo. In posizione eretta, con le braccia incrociate al petto e il fumo freddo che usciva dalla bocca per le basse temperature, il dottor Montanari sembrava più serio che mai.

«In merito a che cosa?» intervenne Vittoria.

«Pare che dalla Cina sia partita un'epidemia... e che si stia diffondendo a macchia d'olio in tutto il mondo.»

«Ah, sì! L'hanno chiamato Coronavirus, se non sbaglio» confermò Claudia, abbastanza seria, ma tranquilla. «Secondo le autorità sanitarie, si tratta di un ceppo proveniente dalla famiglia dello stesso virus che ha causato la SARS nel 2003.»

I ragazzi s'incupirono all'improvviso. Non erano laureati in medicina, ma avevano studiato molte materie a essa comuni. E non ci voleva molto per capire che non era da sottovalutare.

«Quanto è grave?» Edoardo sembrava tutto fuorché sereno. O forse, era la sua solita curiosità senza confini che l'aveva fatto parlare.

«Non è aggressiva quanto la SARS, secondo i vari casi studiati. Si manifesta come un'influenza normale, che può degenerare in broncopolmonite» spiegò Federico, nonostante ci fossero pochi dati a disposizione. Si sistemò il cappellino nero che avvolgeva il suo capo dai capelli rosso ramato e schioccò un'occhiata veloce a tutti i presenti.

Nessuno sapeva cosa pensare. Forse aveva appena sganciato una bomba bella pesante... e stava iniziando a pentirsene.

E se avesse fatto la cosa giusta, invece?

«L'importante è che non arrivi qui, in Italia» si tranquillizzò Edoardo, stando a quanto aveva detto poco prima il collega. Se era rimasta in Cina, o comunque, si era diffusa solo nei paesi a essa confinanti, non c'era molto da preoccuparsi, forse.

«Edo, cinque giorni fa hanno trovato il primo caso a Roma. Fortunatamente è stato importato, non interno.» Federico spense il suo entusiasmo in pochi secondi, facendo spuntare sul suo volto un'espressione quasi assente.

«Speriamo resti isolato...»

Aveva fiducia nella scienza, nella ricerca.

Nella medicina.

Sperava solo che quel caso in capitale restasse unico e che non coinvolgesse altre persone. Federico aveva dato altre informazioni in più e, se le cose non fossero andate bene, il rischio di sviluppare un'epidemia in Italia si sarebbe alzato non di poco.

«Ragazzi, sta arrivando la Santa!» Ci pensò Davide a risollevare gli animi, indicando il fercolo della patrona trasportato dai fedeli lungo la via Etnea, in direzione della cattedrale stessa.

«Musica, c'é musica, Catania canta

Tutti cco saccu, sta passannu a Santa!

Vadda Catania ch' é lesta ccu l'abitu d'a festa!»

La piazza era gremita di persone tra turisti, paesani e religiosi vestiti col sacco, il classico abito bianco del fedele devoto a Sant'Agata. Tutti sventolavano un fazzoletto bianco al cielo, per onorare il passaggio del fercolo con la statua di quella donna diventata simbolo di Catania.

Edoardo le schioccò un bacio in lontananza. Lo faceva sempre, un po' come una piccola preghiera. Gliel'aveva trasmesso sua madre, soprattutto con il cuore.

«Manda un bacino alla Santa e ti proteggerà sempre.»

Aitina, Sant'Aita, 'A Santuzza: nomi diversi per indicare la stessa entità.

Ma Sant'Agata non era solo una festa, per i catanesi. Era una tradizione, era un punto fermo.

Non solo era una delle feste più importanti d'Italia - e forse anche a livello europeo -, ma aveva un valore affettivo mai visto prima, per i suoi cittadini.

Edoardo, preso dall'entusiasmo, decise di prendere Vittoria in braccio, per farle ammirare quello spettacolo dall'alto.

«Ma che fai? Sono pesante!»

«Zitta e siediti sulle mie spalle, senza discutere!»

Senza aggiungere altro, Vittoria si fece aiutare da Davide e prese posto dove Edoardo le aveva detto di stare.

E sì: da lì, il panorama era ancora più bello.

Tante teste con i fazzoletti bianchi sventolati, i ceroni accesi accanto al fercolo e Sant'Agata che proteggeva la sua città con il suo sguardo puro e dolce.

Vittoria si sentì come nuova: forse era vederla che le stava facendo provare quelle emozioni così forti.

Si fece un segno della croce e pregò in mente, sperando che la voce del suo cuore potesse sovrastare quella della folla in festa.

«Questa è la nostra Catania, ragazzi» affermò Edoardo contento, rivolto a tutti il gruppo. «Nonostante i mille difetti, è casa nostra e come tale dobbiamo preservarla. Anche se c'è sempre casino!»

Tutti si misero a ridere, poi Edoardo alzò la testa per guardare Vittoria, la quale era in uno stato di euforia mai provato prima. Non l'aveva mai vista così contenta e questo non faceva che renderlo felice, sperando che tutto quello potesse durare per sempre.

Sì, sarebbe rimasto lì, a vederla con quegli occhi pieni di gioia, illuminati da quell'atmosfera di festa. Quegli occhi che si erano appena chinati a guardarlo.

«Edoardo, tutto questo è meraviglioso... » iniziò lei, dimenandosi un po' per scendere e ritornare alla sua altezza. Una volta a terra, si posizionò di fronte al suo compagno e gli prese le mani, per poi riprendere a fissare le sue iridi scure.

«Non voglio che tutto questo scompaia. Restiamo qui per sempre, per favore.»

«Se potessi, ti darei ben più di questo. Ma una cosa è certa» lasciò in sospeso per prendere un bel respiro e cercare di tenere a bada il tremore che aveva preso possesso del suo corpo, «donerei anche la mia vita per rivederti così felice... così tu.»

Lei non disse nulla, lasciò che qualche lacrima lambisse le proprie guance, poi si gettò sulle labbra di Edoardo.

Sì, era felice. Lo era davvero.

Anche lui era felice.

Erano un concentrato d'amore puro, un medicinale più potente di un antidolorifico.

Erano solo loro due: Edoardo e Vittoria. Sotto il cielo di Catania in festa e sotto lo sguardo della patrona della città.

«Cittadini ri Catania, viva Sant'Aita!»


«Non centrunu i soddi, non centra a fortuna

Catania ndo munnu ci n'é sulu una.»



Piccole note a margine!

*cucchiaino alveolare: si tratta di un piccolo strumento, con la punta proprio a forma di cucchiaino, che serve per andare a eliminare eventuali residui rimasti nell'alveolo (il buchino che ospitava il dente, per farla breve)!

*faretra: l'unità centrale dove sono poggiate e collegate le varie turbine, come le siringhe aria/acqua, le turbine per i trapani, l'ablatore (tutto l'ambaradan con i tubi XD).


The etnabooks' Corner!

Ciao, ragazzi belli!

Questo capitolo, tutto sommato, è stato tranquillo...

Tutto sommato...

Però ammettiamolo, un po' di ansia ve l'ho caricata lo stesso (sì, I'm very sadica, I'm sorry)!

Dal prossimo e per i prossimi 9 (mi pare? ops) capitioli, ci sarà il bello, arriverà tutto d'un fiato XD

I love u, come sempre. E non vi ringrazierò mai abbastanza.

So che questo viaggio sta durando tanto, ma spero di mettervi un punto molto presto!

Un abbraccio, vostra Claudia.

P.s. scusate se ho dimenticato le note a margine, ultimamente, presto rimedio anche nei capitoli precedenti!


P.p.s. vi lascio qui un video sulla festa di Sant'Agata, per i più curiosi!

https://youtu.be/3-E69jZGBWo


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