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28.1. Il tempo viene per tutti - Parte I

Quel pomeriggio, Vittoria Conte aveva condotto per le vie di Catania la corsa in moto più spericolata della sua vita. La testa le scoppiava, aveva paura per l'incolumità sua e di Edoardo che, per fortuna, non aveva creato problemi nel bilanciamento del peso sul mezzo a due ruote.

Mentre entrava all'interno del parcheggio del Policlinico, sentiva il ragazzo aumentare l'intensità della stretta attorno al suo corpo e le sue mani tremanti. Comprendeva benissimo ciò che provava, l'unica cosa che poteva attraversare il corpo in millesimi di secondo e mandare tutto in cortocircuito: la paura. Ne sentiva l'odore, percepiva il nefasto flusso di neurotrasmettitori nel suo corpo.

Ne aveva davvero tanta: per Davide, per Edoardo stesso.

Il ragazzo le aveva raccontato, in diverse occasioni, un po' quella che era stata la loro amicizia fino a quel momento anche se, del resto, non era dimostrabile a parole. Lei non poteva per nulla biasimarlo: con Giuliana, il discorso era identico.

Ripensò per qualche istante alle situazioni scomode in cui si cacciava ai tempi dei suoi studi universitari, assieme a lei: il furto di qualche mascherina in più dalle sale operatorie, gli scherzi ai maschietti stronzi e senza cervello del loro corso. Quante gliene facevano passare, tra sgambetti e qualche presa per il culo in pubblico!

La donna sorrise a quei pensieri, ripromettendosi di chiamare Giuliana al più presto per organizzare un viaggio e vedersi: aveva fin troppe cose da raccontarle e non era il caso di farlo tramite un telefono. Nulla poteva sostituire la magia di una bella conversazione face-to-face.

«Allora, come hai intenzione di fare con la de Magistris?» Edoardo interruppe il suo viaggio mentale nel tempo, facendola trasalire. Nel frattempo, i due iniziarono a correre verso la Clinica, camminando lateralmente alla carreggiata e raggiungendo la struttura da una via traversa, praticamente opposta a quella dalla Scuola di Medicina.

Vittoria non sapeva che dire: conosceva i punti deboli di quel Primario, quindi aveva un minimo di vantaggio su un possibile piano d'azione, ma aveva bisogno di capire quanto grave fosse la cosa.

«Prima cerchiamo di parlare con Davide, poi me la vedo io con lei» sentenziò la donna, continuando a correre. I capelli ondulati e colorati come le castagne quasi le tagliavano il viso, tale era la violenza dell'impatto dovuto alla corsa; iniziava a sentire i vestiti un po' stretti che si piegavano e distendevano in sincronia con i suoi movimenti, a partire dalla maglietta bianca fino ad arrivare ai jeans. Dentro di lei, le sensazioni erano molto simili: all'altezza dello stomaco, nella mente, nell'anima.

I due entrarono nella struttura, trovando Mamma Lucia in piedi mentre parlava al telefono. Questa riagganciò immediatamente non appena li vide, il viso teso e i capelli tenuti insieme dalla cuffia color del mare.

«Il dottor Campofiorito si trova in Sala 4» proruppe lei. «È lì dentro da più di un quarto d'ora e non ha messo neanche mezzo piede fuori... » lasciò in sospeso l'infermiera, sospirando e poggiando i palmi delle mani sul bancone chiaro come la neve.

Edoardo si avviò prontamente verso la stanza indicatagli, dove trovò il suo migliore amico che camminava avanti e indietro, palesemente indeciso sul da farsi. Lo vedeva agitato, complici le mani tremanti, le imprecazioni sussurrate e i sospiri continui.

«Edo, grazie al Cielo, sei qui!» Davide sbarrò gli occhi alla sua vista, emozionato quasi come un bambino a Natale. Trascinò l'amico con sé dentro la stanza padroneggiata dal riunito dalle tinte delle arance di Sicilia, così come quelle quattro pareti che tutto trasmettevano fuorché ansia.

«Si può sapere cos'è successo? Abbiamo corso come dei pazzi per strada... » gli domandò Edoardo secco. Il cuore batteva più veloce del solito e la paura continuava ad aumentare. Incrociò le braccia al petto, pendendo dalle labbra del suo migliore amico. La telefonata l'aveva scosso non poco, soprattutto i toni utilizzati da Davide.

«Beh, ecco... è meno grave del previsto, ma... »

«Aspetta un attimo» lo fermò subito l'altro. «Se mi hai fatto venire qui per una minchiata, giuro che ti-»

«Edo! Se non risolvo questa cosa e la de Magistris dovesse venire a saperlo, sono cazzi amari!»

Il giovane Rinaldi sbuffò dal naso infastidito. Perché Davide continuava a temporeggiare, invece di dire cos'era successo e basta?

«Vuoi parlare o no?» gli chiese quasi come fosse un ordine.

«Seguimi negli spogliatoi, così ti potrai cambiare.»

Edoardo sospirò; quel "così ti potrai cambiare" significava solo una cosa: doveva intervenire soprattutto medicalmente parlando e più i minuti passavano, più la curiosità mista all'ansia cresceva a dismisura.

I due si avviarono verso la stanza in cui avevano spesso trascorso la maggior parte del loro tempo, in quell'ultimo anno pieno di sorprese - sia belle che brutte - e soddisfazioni. Vittoria, invece, era salita nel suo ufficio a cambiarsi, nel caso in cui i ragazzi avessero dovuto aver bisogno di aiuto.

Edoardo si grattò il capo per alcuni secondi, mentre apriva l'armadietto e ne tirava fuori la divisa.

«Allora, che hai combinato, compà?» gli riformulò il ragazzo, mentre indossava quegli indumenti dalle tinte turchesi e il camice bianco.

Quel capo dai toni chiari lo faceva sentire così fiero e felice: era un dentista a tutti gli effetti, con tanto di abilitazione conseguita e percorso specialistico da iniziare. L'aveva solo sognato, l'aveva solo bramato. Dal giorno del conseguimento del titolo in poi, era diventato tanto reale quanto l'aria che respirava ogni giorno.

Davide si sedette sulla panca di fronte agli armadietti, con la schiena un po' curvata in avanti e i gomiti poggiati sulle ginocchia.

«Parto dall'inizio: ero in esercitazione con Mancuso, quando questi è dovuto correre via per una riunione urgente.»

Edoardo vedeva quanto velocemente il suo amico si stringesse e strofinasse le mani: era ancora più nervoso di prima e probabilmente non sarebbe riuscito a tornare a ritmi normali prima del previsto.

«Quindi ti eri liberato, in un certo senso... » tirò le somme il giovane Rinaldi, mentre prendeva la cuffia color del carbone con il logo dei Queen per indossarla. Guardava Davide con attenzione, gli occhi chiusi leggermente a fessura, come se fosse in procinto di studiarne le mosse successive.

Edoardo sapeva che spesso l'altro tendeva a ingigantire le cose, per cui decise di prendere la situazione con calma, a dispetto della corsa dalla spiaggia assieme a Vittoria.

«Più o meno... Comunque, dopo essermi liberato, come hai detto tu, sono uscito a prendere un po' d'aria fresca, ma la de Magistris mi ha fermato poco dopo per chiedermi di tenere d'occhio i suoi laureandi, dato che doveva correre alla riunione anche lei.» Davide continuava a raccontare la storia per filo e per segno, senza tralasciare nessun dettaglio; l'altro aveva capito quanto la situazione l'avesse messo in difficoltà già da quando il Primario gli aveva chiesto quel favore.

Il dottor Campofiorito si alzò dalla panca e i due amici stettero in piedi l'uno di fronte all'altro, mentre nella stanzetta simile a uno spogliatoio sportivo aleggiava un'aria tutt'altro che serena. Davide si stropicciò gli occhi con una certa rapidità e sospirò preoccupato.

«Avevo il quadro clinico chiaro, ma per poter eseguire l'operazione, i ragazzi avrebbero dovuto aspettare lei, nonostante ci fossi io presente in qualità di medico» continuò. «Non ho le competenze per poter intervenire, solo il Primario, ma... »

Edoardo spalancò gli occhi e si strinse nelle braccia nervoso: quelle ultime parole non erano di certo un buon segno e l'aveva capito dall'ininterrotto tremore delle mani di Davide.

«Dimmi che uno di loro non ha preso l'iniziativa... » domandò poi, scuotendo la testa e sospirando. Anche lui era stato impulsivo nei suoi mesi di tirocinio – non che fosse cambiato radicalmente -, ma aveva già imparato la lezione da quando aveva fatto quella figuraccia con Vittoria.

L'altro annuì con lentezza, confermando i dubbi che attanagliavano l'amico: avrebbero sul serio dovuto intervenire, altrimenti a qualcuno sarebbe saltato il posto nelle ore successive.

Edoardo gli fece cenno di seguirlo fuori dallo spogliatoio, facendosi indicare da Davide la stanza in cui si trovava il "problema".

«One man, one goal

Ha, one mission

One heart, one soul

Just one solution!»

«Credi che mi butteranno fuori per questo? Insomma, avrei dovuto frenarli in tempo, ma non l'ho fatto, mi sono distratto solo un attim-»

«Davì, calma!» I due si bloccarono sul posto, esattamente a metà del corridoio principale della Clinica. «Nessuno perderà niente e adesso cercheremo di risolvere, ok?» lo rassicurò, poggiandogli una mano sulla spalla e lasciandogli poi una bella pacca. «Andrà tutto bene, vedrai!»

Davide gli mostrò un sorriso tirato ma pieno di speranza. Nonostante tutto quello che era successo tra loro, Edoardo era tornato e l'aveva salvato, ancora una volta. Ogni giorno, a partire dal momento in cui aveva scoperto quella verità, si malediva per aver dato ascolto a quella donna dai capelli rossi che non aveva fatto altro che usarlo come una marionetta per la sua vendetta.

«Bravo, Sherlock Holmes, che intuito. Ma sappi che l'ho fatto per proteggerti: quel Primario ha già intossicato Edoardo e non volevo che lui facesse lo stesso con te... »

Non sapeva se fosse stato uno scherzo o meno, ma la sera in cui aveva cacciato via Marika da casa sua si era sentito più sollevato, nonostante il dolore che provava per il battibecco con Edoardo. Se solo se ne fosse accorto prima, si ripeteva spesso, avrebbe evitato tutto il casino.

Avrebbe immediatamente preso le distanze dalla ragazza.

Se solo avesse chiesto prima a Edoardo cos'era successo alla festa, avrebbe risparmiato così tanto dolore agli altri e a se stesso.

«Ragazzi, si può sapere cos'è successo?»

La voce di Vittoria li sorprese più del dovuto: erano in allerta, perché temevano che la dottoressa de Magistris sarebbe potuta arrivare da un momento all'altro. I tre proseguirono il cammino verso la sala, mentre spiegavano al giovane Primario tutta la situazione ed eventualmente trovare un modo per farsi aiutare.

Arrivati davanti alla Sala 1, Edoardo e Vittoria strabuzzarono gli occhi sorpresi: si aspettavano di vedere tutto fuorché la calma della paziente coinvolta nell'incidente e la palpabile tensione dei due laureandi, che cercavano di ricontrollare le procedure dell'intervento che avrebbero dovuto affrontare.

Forse.

«Dottore! Per favore, li mandi via! Sono degli incapaci, santo Cielo!» La donna seduta sulla poltrona iniziò a lamentarsi con Davide, come se non l'avesse fatto già una prima volta. I suoi capelli color carbone erano legati in uno chignon alto e il trucco leggero le donava un'aria composta e fine, ma i suoi modi non esattamente pacati stonavano con tutti i suoi lineamenti.

«Signora... ina, signorina, mi perdoni» si corresse in tempo il ragazzo. «Non hanno fatto quasi nulla su di lei, cosa c'è che non va?»

«Cosa c'è? Lei ha il coraggio di chiedermi cosa c'è che non va? Questi due incapaci hanno iniziato a mettermi le mani in bocca senza nessun consenso da parte della sottoscritta... e poi, chi mi dice che non sbaglino e non sappiano che fare?»

Davide sospirò, cercando di farla ragionare in qualche modo.

"Che Dio ce la mandi buona, non la sopporto" convenne poi, palesemente scazzato.

Edoardo e Vittoria, dal canto loro, si scambiarono un paio di occhiate e scossero la testa, abbastanza sconvolti. Il Primario, poi, si voltò alla sua sinistra, osservando da lontano la figura della dottoressa de Magistris che si appropinquava verso di loro.

«One flash, one bone, one true religion

One voice, one hope, one real decision!»

«Merda! E ora che facciamo?» Edoardo si poggiò una mano sulla fronte, consapevole che la situazione sarebbe precipitata di lì a poco.

Come colpita da un fulmine, Vittoria schioccò le dita e un sorrise prese possesso del suo volto.

«Ora ci penso io a lei!» esclamò, dirigendosi verso il Primario di Parodontologia a passo spedito e discutendo un po' con lei.

Edoardo iniziò a respirare sempre più velocemente: nonostante Vittoria conoscesse i modi per far leva sulla psiche di quella donna, aveva sempre quel lato che metteva in conto che qualcosa potesse andare storto.

Se Vittoria non fosse riuscita nel suo intento, le conseguenze sarebbero potute essere molte, troppe: sospensione dei laureandi, denuncia ai danni del Policlinico, sospensione dei medici coinvolti nel caso, tra cui Davide...

"Di rischiare, rischiamo tutti... " tirò le somme Edoardo, alla fine dei conti.

Dopo qualche secondo di esitazione, il Primario iniziò a seguire Vittoria lontano da loro, con il suo caschetto ramato alla AeonFlux ben curato e un sorriso stampato sul volto.

«Grazie a Dio, siamo salvi... per ora» sussurrò Edoardo, entrando nella stanza per provare a intervenire e sistemare le cose, dato che Davide non stava risolvendo un granché.

Non appena lo vide, la paziente si calmò all'istante, come sotto l'effetto di un tranquillante.

«E lui chi è?»

«Sono il dottor Rinaldi, collega e migliore amico di quest'altro qui» scherzò lui, indicando Davide che roteò gli occhi al cielo divertito.

I due si strinsero la mano e la donna si morse il labbro inferiore, guardando Edoardo con un certo interesse.

«Da quando i dentisti sono così carini? A saperlo, sarei venuta molto prima, dottore... » quasi sussurrò lei con voce calda e sensuale.

I due ragazzi si guardarono tra loro abbastanza imbarazzati, poi tornarono a guardare lei. Edoardo si morse l'interno della guancia per cercare di non ridere. Ah, se solo l'avesse sentito Vittoria, la sua reazione sarebbe stata l'esatto opposto della compostezza!

Davide, dal canto suo, mostrò un sorriso tirato, cercando di non scoppiare in una fragorosa risata al pensiero di una possibile scenata di gelosia di Vittoria.

«Ne sono felice. Comunque, può spiegarci cos'è successo?» 

La donna inserì le proprie mani in mezzo alle cosce, poco sopra le ginocchia e poi tornò a guardare il ragazzo.

«Secondo la dottoressa de Magistris, dovrei fare una gengivectomia [1] perché devo inserire una protesi qui, in fondo» spiegò la paziente, mentre mostrava ai due ragazzi lo spazio tra il primo molare e il penultimo premolare dell'emiarcata superiore sinistra.

Edoardo s'infilò un paio di guanti in pochi secondi e diede un'occhiata al punto indicato.

«E come mai i ragazzi non hanno già iniziato?» le chiese il ragazzo, mentre regolava la poltrona a un'altezza ragionevole e spacchettava lo specchietto dalla confezione sterilizzata, in modo da poter fare un esame obiettivo quanto più accurato possibile. Indossò una mascherina chirurgica e ritornò a esaminare la paziente che, nel contempo, lo osservava con occhi languidi, letteralmente rapita dallo sguardo del medico.

Edoardo cercò di non farci troppo caso. Anzi, era più concentrato nel trovare una soluzione al problema, piuttosto che preoccuparsi di un flirt.

«Uno dei due giovincelli lì, in fondo» intervenne Davide, indicando con la testa i due laureandi - un maschio e una femmina - che continuavano a rivedere i propri appunti, «stava iniziando un curettage [2], ma quando è arrivato al sito da trattare con la gengivectomia, ha pensato di poter aggirare il problema, cercando di scavare più a fondo.»

Edoardo posò gli strumenti sul vassoietto mobile sotto la faretra di frese e turbine, abbassandosi poi la mascherina e scuotendo leggermente la testa.

"Credo di conoscere un'altra persona molto simile a loro" meditò tra sé e sé, soffocando un risolino sotto i baffi.

«Davì, spiega per bene tutte le procedure alla signorina. Io mi occupo dei laureandi» ordinò Edoardo in maniera pacata e lanciando un'occhiata a Davide, sperando che questi lo capisse al volo.

Edoardo uscì dalla sala e fece cenno ai due ragazzi di seguirlo; non li avrebbe di certo sgridati come un tenente ai suoi soldati, sia perché erano quasi coetanei, sia perché era consapevole del fatto che con un po' di tatto in più si poteva ottenere tutto.

E insegnare tutto.

«Allora, chi è stato l'autore del misfatto?»

Si rivolse ai due ragazzi con un sorrisino tirato ma tutto sommato tranquillo. Si strinse nelle braccia e divaricò leggermente le gambe, in modo da mantenere una postura corretta.

Un paio di sguardi gli bastarono per capire cosa sentissero quei ragazzi: ansia, paura. L'aveva sperimentata anche lui quella continua agonia, fin dal primo giorno di tirocinio. Come poteva mai biasimare due suoi colleghi?

Il ragazzo alzò timidamente la mano destra quasi all'altezza della spalla, sotto gli occhi anch'essi colpevoli della sua collega.

«Dottore, mi dispiace così tanto, ho pensato che fosse la cosa giusta da fare... »

Edoardo gli poggiò una mano sulla spalla, cercando di frenare quella sua parlantina improvvisa.

«Ascoltami bene. Primo, dammi del Tu perché avrò, sì e no, un anno in più di te. Chiamami semplicemente Edoardo e io con il tuo nome.»

Il laureando annuì vigorosamente, con i suoi capelli corti e dal ciuffo ben stirato e laccato che ondeggiava leggermente sulla testa.

«Lorenzo... sono Lorenzo» rispose quello a voce bassa, mentre si contorceva le mani e respirava un po' più veloce del solito.

«Bene, Lorenzo. Secondo, comprendo la tua voglia d'imparare, ma devi sempre avere il permesso di un tuo superiore, prima di procedere verso qualsiasi tipo di terapia.»

Il dottor Rinaldi continuava a spiegare come stavano le cose al ragazzo, notando quanto questi si dondolasse spesso sul posto.

«Terzo... mi piace il tuo spirito propositivo e curioso. Mi ricordi me l'anno scorso, quando ho iniziato il tirocinio» aggiunse come ultimo punto, viaggiando a ritroso con la mente al giorno in cui aveva iniziato quell'ultimo step.

Il giorno in cui aveva incrociato gli occhi color del cioccolato di Vittoria per la prima volta.

Il giorno in cui il suo cuore aveva iniziato a battere pieno di sangue puro e adrenalina.

«Anche tu hai rischiato di cacciarti nei guai?» rise il laureando.

Edoardo rise quasi di gusto, attento a non farsi sentire.

«Per prima cosa, ho incassato una bella figura di merda con il Primario di Chirurgia Odontostomatologica, giusto il primo giorno. Poi mi sono beccato una denuncia per aver difeso una persona a me cara e... »

«Minchia, tu ci batti tutti, in quanto a voglia di imparare!» Edoardo non riuscì a trattenersi una seconda volta e scoppiò a ridere allo stesso modo con cui vedeva gli sketch del trio comico che più adorava. Il giovane dottore si sentì più tranquillo: quei pochi secondi di conversazione gli avevano fatto bene e avevano contribuito ad aumentare il suo livello di autostima.

Parlando d'impulsività, lui era probabilmente in cima alla classifica di quella lista, ma quell'ultimo anno l'aveva fatto meditare tanto sulle scelte da prendere e sul modo di vedere e affrontare le cose.

«Comunque, Lorenzo» riprese Edoardo, «conta fino a dieci, ogni volta che dovrai fare qualsiasi cosa e pensaci sempre. A volte, essere impulsivo può giocarti brutti scherzi... » lasciò in aria lui, ricollegandosi mentalmente al primo scontro avuto con Guzzardi, dove non aveva per nulla dato ascolto alla sua coscienza, ma solo al proprio istinto.

Come se le altre volte fosse stato più pacato.

«Ora andrai lì dentro, porgerai le tue scuse alla paziente e poi riprenderai a fare il curettage, d'accordo?»

Lorenzo annuì con convinzione e mostrò un sorriso colmo di sicurezza, la stessa che Edoardo gli aveva infuso con le sue parole. Il dottore, d'altro canto, sapeva che sarebbe dovuto restare dentro la sala per tutto il tempo dell'esecuzione del trattamento, sia perché voleva assicurarsi che tutto sarebbe andato bene, sia perché doveva trovare un modo per guadagnare tempo con la dottoressa de Magistris. Non aveva idea di quanto Vittoria avrebbe potuto fare ancora, voleva giocare d'anticipo ed evitare la qualsivoglia catastrofe; per fortuna, dovevano eseguire solo un curettage e niente più.

I tre rientrarono nella stanza come se non fosse successo niente; Edoardo riuscì a convincere la paziente a far ritentare Lorenzo, nonostante fossero partiti con il piede sbagliato.

«D'altronde, questo è un Policlinico universitario, è giusto che i ragazzi imparino e facciano pratica... ovviamente, senza far del male a nessuno!»

Questo è ciò che le aveva riferito, seguito da altre postille dei programmi del corso di studio in generale e della politica etica dell'Ateneo. E non meno importante, Edoardo era riuscito a farle cambiare idea sfruttando la palese attrazione che esercitava su di lei.

"Va bene l'intervento, ma questa chi se la scolla più di dosso?"

Già, come avrebbe fatto?


(continua...)



Piccole note a margine!

[1] Gengivectomia: Intervento chirurgico odontoiatrico in cui viene rimossa una parte del tessuto gengivale, mirato al trattamento di alcune patologie parodontali, per poter eseguire altre terapie come carie sottogengivali o corone protesiche o per un fine estetico come nel caso di un sorriso gengivale.

[2] Curettage: Trattamento di routine per la pulizia e la prevenzione dei disturbi dentali che si esegue nello studio dentistico sotto anestesia locale. Si tratta di una vera e propria levigatura della radice del dente che viene pulita e liberata dagli strati di placca e tartaro accumulati.

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