Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

2. Il Primario


Edoardo arrivò al finestrone della Galleria che dava sulla sala operatoria e, con aria attenta, osservava il personale sanitario che sistemava ogni minima cosa, dalla minuscola punta alla poltrona e le sue protezioni.

La visuale da quella piccola stanza, nonostante tutto, era perfetta, c'era anche un televisore che permetteva di vedere meglio il campo operatorio. L'effetto non era sicuramente ottimale, ma se ne poteva comunque approfittare per imparare qualcosa di nuovo.

Arrivò Davide, con le mani in tasca e lo sguardo un po' perso. Camminava come un pinguino: goffo, ma divertente allo stesso tempo.

«Carini e coccolosi, ragazzi. Carini e coccolosi » scherzò Edoardo, sussurrando quella frase nelle sue vicinanze.

Davide scoppiò a ridere, abbandonandosi poi sulla sedia blu della prima fila.

"Quanto durerà tutto questo?" si chiese costui, augurandosi che l'intervento non assorbisse fin troppo tempo. Nonostante lo affascinasse, le sedute blu della Galleria erano abbastanza sufficienti a rendere nervoso chiunque, con il poco comfort che offrivano.

Entrarono qualche altro laureando e alcuni specializzandi del primo anno, poiché nessuno si voleva perdere quell'intervento.

«Che cos'è, cena e spettacolo, oggi?» azzardò Davide a Edoardo, parlandogli nell'orecchio.

«Beh, se così fosse, avrei già prenotato il privé!» rise l'amico, fissando il gruppo del personale sanitario nella sala pronto a operare.

Una voce iniziò a propagarsi in quello stanzino non troppo angusto, predominato dai toni bruni delle pareti costellate di poster medici.

«L'intervento di oggi, cari spettatori » iniziò la Garozzo, parlando a un microfono posizionato su una delle pareti della sala – quella di fronte l'ingresso -, «verrà eseguito da uno dei nostri migliori chirurghi, nonché dal Primario di Chirurgia Odontostomatologica, la dottoressa Vittoria Conte. I laureandi avranno il piacere, nonché l'onore, di fare la sua conoscenza lunedì, in sede di tirocinio. Se avete domande, fatele adesso» concluse, chiudendo la comunicazione.

«Ma che... » sobbalzò Edoardo, poggiando la mano destra sul petto e respirando profondamente. La voce della professoressa all'interfono l'aveva ridestato dal suo mondo fatato. «Ma cos'ha la Garozzo nel cervello, le scimmie urlatrici? [1]» replicò Edoardo, seguito da una pacca sulla spalla del suo compare.

Davide si mise a ridere, notando lo sguardo scosso dell'amico.

«Si è cagato sotto il caghetta, eh? [2]» scherzò, aprendo e chiudendo la mano velocemente davanti al suo compare. I colleghi subito dietro di loro risero di gusto, scuotendo la testa e dando loro qualche pacca sulle spalle.

Per i due ragazzi, era diventato un mantra ironizzare sulle loro disgrazie con le battute del trio comico italiano che, da diversi anni a quella parte, aveva dato vita a personaggi entrati negli annali della comicità, come Pdor, gli agenti Sugar, Dexter e il capitano Tiger.

Gli stessi che avevano compiuto un viaggio burrascoso sterminando tutta la fauna dell'Appennino per arrivare a Pizzo Calabro [3].

Nessuno batté ciglio e dopo pochi istanti, la voce metallica della docente riprese a risuonare nella Galleria. «Bene, questo è quanto. Ah, un paio di avvertenze. Questo caso è molto complesso, ragion per cui, la dottoressa Conte ha dato direttive di non far entrare nessuno in sala operatoria, se non personale autorizzato. E inoltre, eccezionalmente in questo caso, la dottoressa ha espressamente richiesto di non porle domande durante l'intervento, poiché ha bisogno di estrema concentrazione.»

Fissando la sua divisa azzurra senza troppi sforzi, Edoardo ignorò volutamente quell'avvertenza. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto far prevalere la sua sete di conoscenza. Si sentiva un po' stordito, confuso, come se fosse stato improvvisamente tagliato fuori dal mondo: la testa pesante, gli occhi restii al rimanere aperti.

Forse avrebbe fatto prima ad andarsene.

Ma a che pro? Solo per ripicca?

Per il sentimento di giustizia che celava dentro di sé?

O era il suo solito lato infantile che cercava disperatamente di mettersi in mostra, che l'avrebbe solo fatto apparire come un cretino?

«Cosa ci scommetti che sarà la solita quarantenne prossima alla menopausa e in preda a una crisi di nervi?» farfugliò poi al suo compare.

Davide scoppiò a ridere. Gli piacque quella descrizione della dottoressa Conte fatta dal suo migliore amico, al punto da condividerla. O quasi.

Edoardo provò a immaginare quel Primario, con i capelli raccolti in maniera scrupolosa, i vestiti lunghi fino ai piedi e persino il burqa. Non aveva molte informazioni su cui basarsi ma, data la sua esperienza all'interno dell'università, aveva imparato a riconoscere, assieme a Davide, le varie tipologie di professori al primo colpo.

Peccato che i due non sapevano che la dottoressa Conte non rispondeva a nessun punto di quella descrizione.

Tutt'a un tratto, la porta della sala operatoria si spalancò ed entrò il Primario, che si voltò di spalle e si mise il camice sterile, la lampada portatile sulla testa e un paio di occhiali protettivi. Si avvicinò alla poltrona e si voltò poi verso la Galleria. 

Non era facile riconoscerla, ma le si potevano intravedere gli occhi, molto piccoli. Probabilmente erano contornati da un filo sottile di eyeliner, a prima vista.

«She's a Killer Queen
Gunpowder, gelatine
Dynamite with a laser beam
Guaranteed to blow your mind
Anytime.»

I suoi occhi riflettevano una sicurezza e un'austerità senza precedenti. Edoardo li fissò per qualche istante ed ebbe come una scossa. Una sensazione strana, ma familiare. Neanche lui riuscì a capire cosa fosse.

Che fosse qualcosa in particolare?

O solo l'odio nei suoi confronti in costante aumento?

«Buongiorno a tutti.» La dottoressa salutò il personale e coloro che assistevano all'intervento dalla Galleria. «È tutto pronto?» chiese con un tono di voce quasi tendente all'annoiato.

Edoardo non poté fare a meno di notare quelle note pressocché sprezzanti nei confronti della Garozzo. Iniziò ad avere qualche sospetto.

Gli venne quasi la pelle d'oca. Forse iniziava a temerla.

O forse no.

«Nei minimi dettagli, dottoressa Conte. I valori sono nella norma e anche i parametri vitali. Può procedere, quando vuole» disse la professoressa Garozzo tutto d'un fiato, posizionata accanto al paziente, al lato assistente.

«Bene. Ringrazio coloro che ci stanno seguendo oggi. Come vi sarà stato riferito, non è possibile alcun tipo di interazione. Mi dispiace tantissimo, ma è un intervento abbastanza particolare, per cui non potrò rispondere a nessuno. Spero che ciò che vedrete sia di vostro gradimento» concluse la dottoressa Conte stizzita, prendendo la siringa con l'anestesia per dare il via ai giochi.

* * * *

Edoardo e Davide erano estasiati.

Quel lunghissimo intervento li aveva presi così tanto che non avvertirono nessun genere di stanchezza. 

«Ammettilo, è veramente una dea» iniziò Davide, alzandosi e poggiandosi le mani sulla zona lombare della schiena, per stiracchiarsi.

Edoardo lo seguì a ruota, inalberato.

«Assolutamente, è stato pazzesco» sorrise Edoardo compiaciuto. Quale maestria, quale delicatezza nei gesti: il suo ego non si era mai sentito così appagato. Toccò leggermente i suoi baffetti con le prime due dita della mano destra, mettendosi in una posizione simile a quella di un filosofo, come se la sua mente stesse compiendo elucubrazioni maestose.

Uscirono dalla Galleria e tornarono agli spogliatoi, meditando sulle ore appena trascorse.

Nonostante lo spettacolo a cui aveva assistito, Edoardo era assillato da un piccolo, fastidiosissimo tarlo. Non ne capiva la provenienza, eppure... qualche pezzo non combaciava, in tutta quella faccenda.

«Però c'è qualcosa che non mi convince, in tutta questa storia» sibilò, aprendo l'armadietto blu scuro della stanza per prendere la borsa e guardando Davide che tirava fuori una confezione di Pringles dalla borsa.

«Cioè?» chiese l'altro esasperato, mentre iniziava ad aprire la confezione.

«Sai, la dottoressa sembrava quasi scazzata, stamattina. Non so fino a che punto avesse potuto impedirci di entrare in sala.»

Davide ritrasse la testa, mentre i dubbi iniziarono a farsi strada nella sua mente. Si mise una mano sulla sua cresta nera come il carbone, passandola poi su tutto il viso come a voler stropicciare i propri lineamenti, a volerli deformare.

«Non hai tutti i torti, ma è pur sempre un intervento difficile, Edo. Magari era solo tesa e non voleva darlo a vedere. E dal tono di voce, mi è sembrata fin troppo giovane» ipotizzò.

Per quanto Edoardo cercasse di avere ragione, Davide aveva detto qualcosa con un fondo di verità. La dottoressa Conte non sembrava affatto una quarantenne: il suo portamento leggiadro e aggraziato, il suo fisico all'apparenza minuto, il viso che sembrava fresco e giovane, nonostante le varie protezioni addosso.

Edoardo iniziò a pensare alle più svariate ipotesi, mentre cercava di non prendersela per quel divieto imposto dal Primario. Sapeva perfettamente che si sarebbe messo nei guai - e in quelli seri -, se avesse cercato di ribellarsi.

Spesso e volentieri, la sua voglia di imparare lo portava fuori strada, persino ad avere scatti d'ira che lo rendevano fumantino agli occhi di chi gli stava attorno, cosa che lui cercava costantemente di evitare.

Prese gli auricolari dal borsone e ascoltò un po' di musica per distrarsi. Nonostante ciò, i suoi pensieri iniziarono a correre a quell'intervento. 

O quasi.


Davide si sedette sul bordo del vaso in mattoni di terracotta di uno dei grandi ulivi del cortile del Policlinico, mentre sgranocchiava qualche patatina.

Edoardo, invece, si mise a sedere sul muretto attaccato al vaso, facendo attenzione a non cadere nella terra bagnata da poco dai giardinieri che curavano le piante dell'ateneo. Si sdraiò a pancia in su e si mise a osservare il cielo, azzurro come il mare che lambiva le coste catanesi.

Spesso e volentieri, veniva in facoltà solo per rifugiarsi nei suoi pensieri. Strano a dirsi, ma quell'ambiente lo rilassava. Ogni volta che varcava l'ingresso di quel Policlinico universitario, provava le stesse emozioni di quando aveva iniziato gli studi, al primo anno. Mosse un po' la testa all'indietro, notando la sommità della Scuola di Medicina, con la sua insegna che faceva da padrona all'ampio spiazzo antistante.

La parte che più amava di quel complesso di edifici, però, era il cortile della Clinica, con i suoi alberi e le innumerevoli piante dai colori variopinti, che riprendevano le tonalità del giallo della ginestra che cresceva sull'Etna e del blu, dell'azzurro delle acque che caratterizzavano quella città siciliana che aveva dato i natali a personaggi illustri, come lo stesso Giovanni Verga o Vincenzo Bellini – il cui nome era stato dato all'aeroporto.

«Edo?» iniziò Davide, rimuovendo le ultime briciole dalle labbra salate. «Posso farti una domanda?»

«L'hai già fatta, Davì» rispose l'amico, ridendo e giocando con una piccola margherita. L'accarezzava delicatamente, come un orsacchiotto di peluche, ne percepiva la stessa morbidezza e delicatezza. Staccò una fogliolina dal gambo reciso e lo poggiò sulla maglietta cerulea della sua divisa, dove una taschina all'altezza del petto cercava di non far cadere le penne che il ragazzo vi aveva conservato.

Davide scosse la testa, poi si voltò verso di lui. «Sul serio. Stamattina ti ho visto un po' disorientato... Posso sapere cos'hai sognato? Insomma, non avevi una bella cera.»

«Ero così da funerale?»

«Pare che il carro funebre non ti abbia trasportato, ma direttamente investito» rise Davide, alzando le spalle. Nonostante quella battuta – forse di cattivo gusto, pensava lui, tra le altre cose -, voleva capire cosa tormentasse l'animo del suo amico.

Edoardo sospirò, poggiando poi quel piccolo fiorellino sul petto. Si mise le mani dietro la testa e le usò come cuscino su quel muretto. Sentiva lo stomaco contorcersi, il respiro tremante, gli occhi pesanti e carichi di dolore. Riesumare quegli attimi non era affatto un piacere, ma sapeva che, se non avesse parlato, avrebbe iniziato a dare di matto nei giorni successivi, senza essersi confidato con qualcuno. 

Soprattutto se quel qualcuno era Davide.

«Ho sognato me stesso da piccolo, mentre giocavo in giardino con mio padre. Era tutto così bello, eravamo felici. Poi, un temporale e tutti se ne furono andati, ero rimasto solo.»

«C'era qualcun altro con te?» domandò Davide, cercando lo sguardo perso del suo migliore amico.

«Elisa, ricordi?»

Era la cugina di Edoardo; Davide non l'aveva mai conosciuta, ma era come se l'avesse fatto. Le poche foto viste e le storie raccontate avevano creato in lui un'immagine perfetta, una figura presente. Edoardo aveva dei bei ricordi con lei, i giochi e le giornate al mare, le risate e gli abbracci. Ogni tanto, un po' di nostalgia di quei momenti si faceva sentire.

«Come potrei dimenticare. Vai avanti, non è finita qui.»

«Dal sogno, so solo che è sparita, subito dopo il temporale. Ti sembrerà una scemenza, ma non so fino a che punto possa esserlo, sai?» pensò ad alta voce Edoardo, convinto che quell'incubo avesse qualche elemento che lo traeva in inganno. Non riusciva a fermarsi alle apparenze: doveva indagare più a fondo.

«Chiedi agli studenti di Psicologia, magari riescono a scavare dentro quel server che hai al posto del cervello» propose Davide, scherzando.

"In effetti, uno psicologo non gli farebbe male" pensò poi il ragazzo. 

Era sempre così restio a confidarsi: Davide riusciva a farlo parlare solo tirandogli fuori le cose con le tenaglie. Non ne capiva mai il motivo: da quando l'aveva conosciuto, sapeva che era sempre stato un tipo abbastanza socievole e molto propenso al dialogo.

E con spiccate abilità nella dialettica, all'occorrenza.

Ma quando qualcosa di particolare lo colpiva, si rintanava come un paguro nella sua conchiglia. E non riusciva a uscirne facilmente.

«Almeno tu hai un padre amorevole... » sibilò poi Davide, portandosi le ginocchia al petto e rannicchiandosi.

Edoardo si mise a sedere e gli poggiò una mano tra il braccio e l'avambraccio. Percepiva il disagio e la sofferenza dell'amico a pelle, conoscendo la situazione che tanto l'attanagliava.

«Per l'amor di Dio, basta!»

«Sei solo una puttana, non sarai mai un buon esempio per i tuoi figli!» Davide percepiva il dolore di una madre, di una donna sfregiata nel profondo. Le urla impazzavano, tutto sembrava un coro di disperazione, atrocità e sofferenze.

«Sono il paramedico. La ragazza è grave, la stiamo portando in ospedale.»

«Ilenia, no!»

I pianti si consumavano, in quella notte. Dilaniato dal dolore, Davide cercava di farsi forza, ma non ci riusciva.

A Davide scappò qualche lacrima, bagnando il suo polso cinto da un bracciale d'argento che indossava sin da quando era bambino: era il regalo di battesimo dei suoi nonni materni e non se ne sarebbe separato facilmente. Gli ricordava il legame speciale che aveva con loro, forte come le radici di un albero ancorate saldamente al terreno.

Era l'unico ricordo vivo che aveva di loro, delle uniche persone che l'avevano forse amato davvero; non poteva gettarlo via come se niente fosse.

Edoardo si rattristò profondamente. Sapeva quanto il suo migliore amico stesse soffrendo, il dolore lo divorava dall'interno, come un leone che non vedeva cibo da mesi. Non poteva fare molto, non sapeva come. Davide gli diceva sempre che gli bastava la sua vicinanza a farlo stare meglio, a distrarlo dai suoi problemi. Edoardo, dal canto suo, sentiva di non fare abbastanza.

In quel momento, però, gli venne un'idea in mente: prese un biscotto alla Nutella da quelli comprati diversi minuti prima al bar del Policlinico, rinomato per i suoi dolci, e glielo mise sul dorso della mano, cercando di non farlo cadere.

Davide sorrise, prendendo quel piccolo pezzo di felicità e divorandolo in pochi secondi.

«Meglio di qualsiasi altra medicina» sentenziò a bocca piena. Poi ingoiò il boccone e sorrise al suo migliore amico. «Grazie, Edo.»

Il ragazzo ammiccò di contraccambio e, insieme, si alzarono per tornare all'interno della struttura. Camminavano a passo lento ma deciso, ciondolando da un lato all'altro ogni tanto. Continuarono a sgranocchiare qualche altro dolcino, giusto per non arrivare affamati al pranzo.

«Se continuate a mangiare biscotti, vi sentirete male, ragazzi» li rimproverò qualcuno dietro di loro, tanto da fermarli e farli voltare alla loro destra, verso quella cattedra piena di scartoffie e timbri.

«Mamma Lucia!» esclamò Davide, rivolgendosi all'infermiera dietro al banco dell'accettazione.

Era, tra tutte le infermiere della Clinica, la più grande e la più saggia. Tutti gli studenti la chiamavano così perché aveva un carattere davvero dolce ed era sempre pronta ad abbracciare i ragazzi, per risollevarli dai loro problemi, diversamente rispetto agli altri membri dello staff di tutto il Policlinico.

«Non erano biscotti! Erano... crackers integrali!» cercò di giustificarsi Edoardo.

«A me non la dai a bere, giovanotto. Vi conosco da quando eravate delle semplici matricole e so per certo che non mangereste cibo salutare nemmeno se veniste pagati» sorrise la donna, legando la sua chioma dorata e riccioluta in una mezza coda.

Edoardo e Davide si guardarono e scossero la testa simultaneamente. A Mamma Lucia non si poteva nascondere nulla: conosceva tutto di tutti e le bugie per lei avevano le gambe cortissime.

Anzi, non le avevano proprio.

«Andate in Sala 4, fra poco dovrete iniziare» aggiunse poi, sistemando tutti i dati e i documenti.

I ragazzi si allontanarono quanto bastava per non bloccare il viavai di medici e personale sanitario che vi faceva tappa: chi per firmare dimissioni di pazienti, chi cartelle cliniche, chi per chiedere informazioni.

A metà del corridoio principale, Davide si chinò a terra per allacciarsi una scarpa che aveva deciso di ribellarsi ai suoi doveri. Edoardo l'aspettò, con le mani sui fianchi, ma con la coda dell'occhio scorse qualcuno che si stava avvicinando al banco.

Era una ragazza con la cuffia indosso, che stava firmando qualcosa, ma non si sapeva cosa. Mentre lo faceva, sorrideva. Edoardo cominciò a guardarla, a studiarla. Vedere con quale maestria lei firmava quei fogli, la dedizione che vi metteva. I movimenti delicati. Era come una visione paradisiaca, non si era mai sentito così bene. Davide lo notò, dopo alcuni minuti. «Edo, va tutto bene?» chiese, dopo essersi rialzato.

Lui rispose con un flebile «Sì».

«Secondo te, chi potrebbe essere?» 

Edoardo era completamente rimbambito, non riusciva a formulare una frase di senso compiuto. Poi si risvegliò e si girò di scatto verso Davide.

«Come?»

«Dico, secondo te chi potrebbe essere la ragazza che stai fissando?» domandò di nuovo Davide.

«Non ne ho idea, forse una specializzanda in Medicina. O in Odontoiatria. Di sicuro, non è una laureanda» asserì, notando la divisa blu notte che indossava, insieme al camice bianco, totalmente differente da quella turchese dei laureandi. Mentre finiva quella frase, la ragazza alzò gli occhi e fissò per alcuni istanti Edoardo, il quale, ebbe come una scossa. «Ha un'aria familiare, credo di averla vista altre volte.» Si rigirò nuovamente verso Davide e poi fissò il muro di fronte a lui, cercando di ricostruire e studiare quell'immagine.

Occhi color delle castagne, intensi. Quello fu l'input che lo portò a restare rincoglionito per il resto della giornata.


Edoardo non smetteva di pensare a quella ragazza, nessun pensiero riuscì a distoglierlo. Tranne il Primario di Endodonzia che, nelle due ore di lezione precedenti, volle la massima attenzione durante il lavoro.

I due restarono in sala, in attesa di nuove direttive. «Stai ancora pensando a lei?» chiese Davide, sorridendo e facendo un po' di stretching. 

«Ora un po' meno, ma sì. Era molto bella» sussurrò l'amico, poggiando una mano sul bancone attaccato al muro. Immaginava quella donna davanti a lui, quel suo sorriso, quella sua grazia. Non la conosceva nemmeno, eppure aveva un qualcosa di familiare. Troppo familiare.

«Mi trovo costretto a darti ragione, sai?»

Edoardo si massaggiò le tempie con delicatezza. Sorrise leggermente, alzandosi e poggiandosi sul bancone. Quella stanza padroneggiata dal riunito non dava molto spazio alla sua immaginazione, ma furono i suoi colori a far scattare quella marcia in più. I toni d'arancia tinteggiavano quell'ambiente di un'armonia particolare, a tratti perfetta. Le tende color sabbia lasciavano entrare la luce del sole a tratti, donando a quella sala un'atmosfera quasi pacifica. Edoardo si avvicinò alla finestra e si mise a osservare la parte del complesso ospedaliero che dava sulla via Santa Sofia, punto di snodo dei poli scientifici dell'ateneo etneo, situato quasi al confine tra la provincia siciliana e i paesini alle pendici dell'Etna.

«Edo, dobbiamo prepararci per il prossimo intervento, non distrarti.»

«Lo so, Davì. Scusa, è che non riesco a concentrarmi, oggi.» 

Edoardo iniziò a tornare coi piedi per terra, non voleva mandare a monte il primo giorno di tirocinio. Non lui, che era sempre così preciso in ciò che faceva.

«Sai che, continuando così, non arriverai mai a certi livelli?» incalzò Davide, con una leggera nota d'ironia nella voce. Sorrise leggermente, come a voler stuzzicare il suo migliore amico. Il suo sguardo si accese un po', come se quello scambio ironico gli avesse fatto ritrovare la spensieratezza. I suoi baffetti vibrarono a contatto con il respiro del ragazzo, come filini d'erba mossi dal vento.

«Cosa intendi dire?» Edoardo lo guardò dubbioso, voltandosi di scatto e fissando le due ossidiane che Davide aveva incastonate nel volto.

«Lo sai che non potrai mai diventare un dio dell'odontoiatria, o meglio ancora, della chirurgia odontostomatologica?» aizzò ancora, marcando chiaramente il riferimento alla dottoressa Conte, la principale persona odiata dal suo migliore amico.

«Non diventerò mai come lei» rispose Edoardo stizzito. Per quanto fosse competente, non aveva per niente gradito il suo comportamento in merito all'intervento di quella mattina. Iniziò a riflettere sulle sue parole: sarebbe mai riuscito ad arrivare ad alti livelli? Avrebbe resistito fino alla fine?

«Nel senso di competenze?»

«Naaah» esclamò Edoardo, «mi dispiace tantissimo, ma è un intervento abbastanza particolare, per cui non potrò rispondere a nessuno, ma per piacere, dai!» continuò, dimenandosi e cercando di emulare i gesti e le frasi pronunciate dal Primario. «Non lo so, a me tutta questa storia non convince affatto.»

Davide continuava a ridere come un cretino, quell'imitazione gli sembrava quasi tale e quale l'originale.

«Ma, Edo, è stato un caso secondo me, non l'avrà fatto apposta... »

«Lei non può dare direttive del genere, sapendo di trovarsi in un Policlinico Universitario. E soprattutto, non può farlo il primo giorno.» Edoardo cercava di essere razionale, evitando di mostrare troppo il suo rancore per quell'occasione mancata. Si sentiva come se gli fossero state tarpiate le ali. Per quanti altri interventi ci sarebbero stati durante l'anno accademico, lui reputava quello come unico, essendo un caso raro trattato durante il tirocinio. «Sai che c'è?» esordì poi, voltandosi subito verso il suo migliore amico e guardandolo con sguardo fermo e deciso.

«No, che cosa?» chiese Davide, fissando il suo collega a braccia conserte.

"Spero che non se ne esca con una sparata delle sue" pensò esasperato, cercando di evitare il peggio. Si mise le mani dietro la nuca, aspettando l'ennesima cazzata.

«La prossima volta, entreremo lo stesso in sala.»

Davide scosse la testa vigorosamente: sapeva che Edoardo avrebbe annunciato l'ennesima impresa già catastrofica in partenza. Se avesse solo avuto l'intenzione di farlo davvero, le ripercussioni sarebbero state forti, soprattutto sul loro curriculum universitario.

«Con la Conte? Ma tu sei matto!» esclamò poi l'amico, mettendosi la sua cuffia degli Avengers in testa. Aveva assunto l'aria da animatore per bambini, più che da laureando in Odontoiatria: lo sguardo semi serio, le braccia conserte e le gambe divaricate, come fosse Capitan America. Mancava solo lo scudo.

«Che sarà mai, Davì?»

«Senti, hai visto com'era stamattina. Se solo provassi a contraddirla, lei... » 

Davide rimase a bocca aperta, nell'intento di dire qualcos'altro, ma non riuscì.

«Che vadano a quel paese lei, le sue stupide direttive e la sua eloquenza del cazzo, allora!» esclamò Edoardo, facendo spallucce e sorridendo.

Continuò a fissare il panorama esterno soleggiato e immerso nel verde, mentre pensava a come portare a termine quella Mission Impossible. Improvvisamente, però, qualcuno sbucò dalla porta che dava sul corridoio principale.

Davide spalancò gli occhi, impietrito, mentre Edoardo restò fermo dov'era. Poi si voltò verso il suo migliore amico.

«Che c'è?» sussurrò il ragazzo, voltandosi poi alle sue spalle.

Si ritrovò davanti la ragazza che aveva visto prima, al banco dell'accettazione. Ammutolì, senza dire altro, sentiva di aver fatto una cattiva impressione su di lei. Questa sorrise, in un modo abbastanza inquietante. Con i capelli color del legno che le cadevano morbidi sulle spalle, si mise le mani sui fianchi e s'indirizzò ai due laureandi.

«Oh, che bello, qualcuno che finalmente mi dice la verità in faccia. È la prima volta! Curioso, non è vero?»

«To avoid complications

She never kept the same address

In conversation

She spoke just like a baroness.

[...]

She's a Killer Queen

Guaranteed to blow your mind
Anytime.»

Edoardo la fissò in modo strano, poi capì che aveva parlato nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Non solo aveva fatto una cattiva impressione su di lei, ma aveva appena fritto la sua carriera universitaria. Abbassò il capo, coprendosi il volto con una mano dalla vergogna che provava in quel momento.

"Che figura di merda" si disse, tornando a fissare la dottoressa.

«Comunque molto piacere, dottoressa Vittoria Conte, Primario di Chirurgia Odontostomatologica. Ci vediamo presto» sentenziò lei, sparendo dopo poco nel corridoio.

Edoardo era pietrificato, non riusciva a muovere nemmeno un dito. Davide lo fissava attonito, assestandogli una cozzata sulla nuca. «Guarda che hai combinato, Paladino della Giustizia. Ci siamo giocati la laurea!»

«No, io sono nei guai» rispose Edoardo, mettendosi le mani nei capelli, ripensando al gesto eroico che aveva appena portato a termine. 




Piccole note a margine!

[1]Ma cos'ha la Garozzo nel cervello, le scimmie urlatrici?  = tratta dal film "Chiedimi se sono felice" di Aldo, Giovanni e Giacomo.

[2]Si è cagato sotto il caghetta, eh? = battuta tratta dallo sketch teatrale "La gita in montagna " - I Corti di Aldo Giovanni e Giacomo.

[3]: Gli stessi che avevano compiuto un viaggio burrascoso sterminando tutta la fauna dell'Appennino per arrivare a Pizzo Calabro. = tratto dallo sketch teatrale "Il Viaggio" - Tel chi el telùn di Aldo, Giovanni e Giacomo.

- Nei vari capitoli, troverete diverse citazioni del trio. Man mano riporterò gli spettacoli o i film da cui sono tratte! ^^

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro