17. 𝘐 𝘊𝘢𝘯'𝘵 𝘓𝘪𝘷𝘦 𝘞𝘪𝘵𝘩 𝘠𝘰𝘶
Nei giorni successivi a quel momento intenso, sotto la pioggia, in balia delle paure e dei forti sentimenti che provava, Vittoria non riusciva a placare la guerra che ardeva dentro di lei.
Dopo qualche giorno di ferie forzate imposte dal direttore - e quindi tempo per rimettere a posto le idee -, aveva abbandonato l'idea delle dimissioni dal ruolo di Primario.
A mente fresca, aveva convenuto che non poteva darla vinta a quell'uomo che da mentore era passato all'essere il suo peggior incubo di sempre. Andare via dal Policlinico di Catania sarebbe equivalso a bruciare in pochi secondi tutto il lavoro e tutti i sacrifici fatti fino a quel momento.
Sia il dottor Cassarino che la professoressa De Luca avevano insistito per farla rimanere, aiutandola a rialzarsi da quell'abisso in cui era caduta. Era certo comunque che il direttore avrebbe avviato delle indagini - a detta sua formali - per verificare la reale sussistenza di una raccomandazione, ma sapeva che, in fondo, la dottoressa era innocente.
Anzi, sospettava del fatto che qualcuno avesse voluto incastrarla... e che questi fosse più vicino di quanto pensasse e, con la scusa delle indagini, si sarebbe adoperato per scoprire la verità.
I suoi pensieri erano corsi immediatamente a quel Primario tanto competente quanto particolare, senza un preciso motivo, forse. Aveva ormai imparato a conoscere Guzzardi e tanti elementi iniziavano a non quadrargli... in qualche modo, sperava di riuscire a portare alla luce la realtà dei fatti.
Tornando con i piedi per terra, Vittoria scacciò le immagini di lei assieme ai due che l'avevano convinta a restare, spostandosi a quella giornata uggiosa che le aveva cambiato la vita.
Alla persona a cui aveva gridato i suoi sentimenti.
Sentiva ancora il sapore delle labbra del ragazzo bagnate dalla pioggia.
Percepiva ancora addosso le sue mani un po' fredde che le accarezzavano il viso dolcemente, come fosse fatto di seta.
Ricordava ancora il cuore in corsa durante quei secondi, quello stesso tempo in cui tutto il mondo aveva smesso di girare, lasciando solo lei ed Edoardo avvolti in un abbraccio puro, spontaneo.
Ricordava anche le lacrime che aveva versato, nel dire al ragazzo che quel gesto era stato qualcosa di sbagliato.
Ma era stato davvero un errore?
Perché la dottoressa continuava a nascondere a se stessa quello che provava per lui da tempo, ormai?
Perché tentava di riavvolgere, quando le cose andavano storte, quel filo che la collegava all'anima di vetro del giovane laureando?
Si sentiva come Arianna con il Minotauro.
Ma con due gemelle, due versioni della ragazza.
La prima, che tirava indietro il filo che la conduceva a Edoardo.
La seconda, che ne districava un altro verso quella creatura mitologica proiezione del suo dolore e dei suoi segreti più profondi, delle sue insicurezze.
Proiezione del Muro di Berlino che Edoardo aveva abbattuto, ma che lei stava forse tentando di ricostruire.
Ma no, non doveva più farlo. Mandare a monte tutti quegli sforzi le sarebbe costato tanto e avrebbe vissuto con il costante rimorso di aver buttato fuori dalla sua vita il laureando, la stessa persona che l'aveva aiutata a rimpossessarsene.
Quei pensieri le fluivano in mente come un torrente durante una tempesta, distruttore di tutto ciò che incontra sul proprio percorso, mentre era in Sala 4 ad assistere Edoardo durante un piccolo intervento di routine.
Nonostante la sua soglia di lucidità non fosse alle stelle, ebbe modo di notare quanto il ragazzo fosse al suo stesso livello di tranquillità. Se ne mise a contemplare i capelli scuri e semi-ricci compressi dalla cuffia, la mascherina alzata e le mani che impugnavano con delicatezza gli strumenti.
Ormai era consapevole di quanti progressi avesse fatto lo studente in quei mesi, sapeva che era ormai pronto: glielo leggeva negli occhi ogni volta che eseguiva le terapie, che illustrava i casi clinici. Si poteva rimproverare molte cose fatte nella sua carriera di medico, ma Vittoria era convinta al cento percento di una cosa: Edoardo aveva davvero la stoffa per diventare un chirurgo odontoiatra d'eccellenza.
Aveva la stoffa per diventare un ottimo insegnante.
Aveva la stoffa per prendere in mano il suo sogno e farne una degna realtà.
Ma sentiva che, per non creare problemi né a lui, né a se stessa, doveva necessariamente allontanarlo, soprattutto dalla propria vita privata.
Non sapeva come, ma un modo doveva pur trovarlo, ponderò.
In quel momento, l'unico elemento che la fece rinvenire fu vedere la lentezza e lo smarrimento del ragazzo, durante quegli istanti.
"Ma che gli prende oggi?" confabulò con se stessa, da sotto la mascherina. I suoi occhi color del cioccolato, la sua cuffia protettiva dai toni aranciati e violetti che le fasciava la testa, lasciando scoperti solo alcuni filini lungo il volto preoccupato. Si sentì un po' avvampare, complici i momenti con il laureando che stavano facendo capolino nella sua mente.
Edoardo stava eseguendo un'estrazione molto semplice, ma che a tratti gli stava risultando quasi impossibile. Cercava di lavorare tranquillamente, senza creare problemi al paziente.
Vittoria, però, si accorse del leggero tremore che aveva preso possesso delle sue mani e decise quindi di prendere il suo posto. «Finisco io qui, prenditi un caffè. Offro io» iniziò lei, per sciogliere un po' il ghiaccio.
Non era arrabbiata, ma semplicemente aveva capito che, in Edoardo, qualcosa non stava andando per il verso giusto.
Ed era sicuramente collegato a quel bacio che entrambi speravano di riassaporare e rivivere.
«Ti ringrazio, ma non ne prendo» rispose lui, sorridendo leggermente da sotto la mascherina.
«Fidati, ti serve. Vai» ridisse lei diretta, facendogli cenno con la testa di uscire.
«Davvero, non ne ho bisogno» insistette il laureando, cercando di fare buon viso a cattivo gioco. Non comprendeva il motivo di tanta insistenza da parte del Primario, o meglio, non ne comprendeva la freddezza. Che il suo tremore - abbastanza evidente - l'avesse esasperata a tal punto da togliergli il comando?
«Edo, credimi. Ti serve» concluse Vittoria, rincarando la dose.
Incapace di comprendere il perché di quelle parole abbastanza lampanti, il ragazzo fece quanto detto e si avviò verso l'atrio principale della Clinica.
Che avesse sbagliato qualcosa e lei non voleva farglielo notare in sala? O doveva parlargli in privato e con la scusa del caffè lo aveva fatto uscire?
Mille domande gli frullavano in mente senza tregua, assieme ai ricordi di quella pioggia di sentimenti che batteva sulle loro teste e sui loro corpi, in quella giornata che era stata devastante per entrambi. Arrivato alla macchinetta automatica, accanto al banco dell'accettazione, vi si poggiò di lato e si guardò i piedi per qualche istante, cercando di fare due più due ma senza risultato.
Si sfiorò il dorso della mano con i polpastrelli, avvertendo dei brividi che percorrevano il suo corpo per intero, intensificati ancor di più al pensiero di sentire le dita di Vittoria accarezzargli la schiena, il collo, il viso.
Chiuse gli occhi per alcuni istanti, lasciando che il suo cuore lo guidasse in quel piccolo viaggio all'interno dei suoi pensieri.
Scorci di luce fuggenti in una tempesta senza fine.
Appigli sicuri di una montagna impervia durante una tempesta.
Ormai Vittoria era diventata la sua vera priorità, era entrata nella sua vita a pieno titolo.
Ciò che lui provava, quando la guardava negli occhi, quando udiva le dolci melodie della sua voce, quando sentiva il suo profumo di acqua alle rose, rasentava le porte del Paradiso, come Dante con Beatrice.
L'amore che provava per lei gli mozzava il respiro, lo inibiva e allo stesso tempo stimolava peggio del più forte degli enzimi di un qualsiasi processo biochimico, gli regalava un biglietto di sola andata per destinazioni che avrebbe voluto esplorare solo con lei, di cui avrebbe voluto immortalarne i momenti con la fotocamera della sua anima e imprimerli nel suo cuore come inchiostro indelebile.
Giurò a se stesso che, a qualsiasi costo, avrebbe protetto Vittoria fino alla fine.
Da tutto.
Da tutti.
Sapeva, sentiva, percepiva che la donna stava lottando contro qualcosa di più grande di lei, ma mai si sarebbe sognato di lasciarla da sola: l'avrebbe affiancata, in ogni momento.
Edoardo gettò un'occhiata alla parte posteriore del bancone, dove Mamma Lucia soleva stare tutto il giorno. Quel giorno, però, lei non c'era e avrebbe tanto voluto parlarle, anche solo per sfogarsi, come faceva sempre da quando aveva iniziato l'università.
Al ragazzo bastò udire pochi, ma pesanti passi per capire che la situazione stava per precipitare e che doveva necessariamente fare ritorno alla realtà. Alzò lo sguardo di fronte a sé e incrociò quello di Vittoria, nero come la pece.
"Presagio di sventura" si maledì ripetutamente, come Aldo Baglio mentre osservava due condor volare [1].
«Vieni con me. E subito» tuonò lei perentoria. Il tono di voce era diventato quasi atono, senza nessuna vena espressiva.
«Che ho combinato?» chiese il laureando preoccupato. Socchiuse leggermente le labbra per provare a dire qualcosa, cercare di capire, ma nessun suono riuscì a uscire dalle sue corde vocali. Si sentì tremare nuovamente, pensando al peggio.
«Vieni e basta. Saliamo nel mio ufficio.»
A quelle parole, il suo cuore balzò in gola e quasi gli mancò il respiro. Era davvero nei guai e avrebbe dovuto rimediare. Seguì il Primario su per le scale della Clinica, le cui pareti che ne circondavano la tromba erano dello stesso colore del cielo sopra Berlino nel luglio 2006, anche se un po' più scolorito.
Dal suo metro e ottanta, il ragazzo non poté fare a meno di notare i movimenti a tratti fluidi, a tratti stridenti di Vittoria, che aveva le mani strette in un pugno talmente forte da quasi conficcare le unghie nella carne e farsi del male. Solo poco dopo le distese per poter spingere la porta in legno di quercia lucida del suo ufficio personale, cercando di non guardare il ragazzo negli occhi per la troppa rabbia.
O per evitare qualche altro crollo, forse.
Vittoria chiuse la porta dietro di sé e si sedette sulla sedia girevole nera dietro la scrivania. Giunse le mani, poggiandole sulla superficie in legno lucido del mobile, che risaltava con il bianco non eccessivamente monotono delle pareti, arricchite da mensole dalla geometria quadrata.
«Che cos'hai?» gli domandò con voce non molto ferma. Poggiò la mano sul viso, all'altezza della fronte, cercando di non sbottare alla minima parola. Sentiva i nervi a fior di pelle: da un lato, voleva solo lasciarsi andare e stringerlo a sé, come un tenero pupazzo di peluche.
Come il suo Mr. Pringles, quand'era bambina.
Dall'altro, doveva escogitare in fretta un modo per cacciarlo via dalla sua vita.
Ma sarebbe stata davvero la cosa giusta da fare?
Il ragazzo non riuscì a rispondere, solo ad alternare lo sguardo tra gli elementi di quella stanza e gli occhi della donna.
Cosa avrebbe dovuto dirle che non sapeva già? Che se avesse potuto, l'avrebbe baciata lì stesso? Che l'avrebbe stretta talmente forte da non lasciarla andare via, non come aveva fatto quel giorno?
Non ricevendo nessuna risposta, il Primario si alzò di scatto. Nonostante volesse apparire tranquilla, in quel momento non le riusciva.
Non perché il laureando fosse un incompetente, ma semplicemente il suo cuore e la sua mente erano andati in panne sin dall'inizio.
«Edoardo, ascoltami. Sai bene che, in queste settimane prima della fine del semestre, stai entrando in Clinica da studente per l'ultima volta e, fra qualche mese, sarai già laureato e abilitato, se tutto va bene. Oggi avresti dovuto dare il duecento percento, cosa che non hai fatto» lo rimproverò, incrociando le braccia.
«Certo che sì!» cercò di giustificarsi il ragazzo, inutilmente. Ma come poteva farlo davvero, dato che a tutto pensava, tranne che a dare il massimo?
«Non credo proprio. Ti sei trovato in difficoltà di fronte a una semplice estrazione e non è da te. Puoi per favore dirmi che cavolo ti prende oggi?»
"Potrei farmi la stessa identica domanda" convenne poi il Primario.
Edoardo sapeva di essere stato colto nel segno. Non poteva più nascondersi, ma le parole non uscivano, erano bloccate. Si passò una mano sui capelli scuri, massaggiandosi un po' la testa per tentare di riacquistare un po' della lucidità perduta.
Vittoria, dal canto suo, non poteva biasimarlo più di tanto. Sentiva il petto bruciarle forte, così come le mani. Voleva solo abbracciarlo e dirgli quanto l'aveva aiutata in quei pochi mesi in cui si erano conosciuti.
Ma il cuore venne sopraffatto dalla razionalità che le suggeriva di rialzare le barriere e cancellare tutto quello che c'era stato.
Allora, Vittoria quasi strattonò il laureando a sé, tirandolo per il colletto della divisa e creando un vis-à-vis molto pericoloso. «Vuoi parlare o devo passare alle cattive?»
«Vittoria, non ho niente» rispose Edoardo, ritornando a posto, ma nel suo tono di voce si percepivano la sua incertezza e il suo crollo quasi imminente. «Piuttosto, vorrei sapere cos'hai tu!» ribaltò le carte in tavola lui, leggermente spazientito da quel comportamento fin troppo strano.
La donna si ritrovò spiazzata, come se un fulmine le fosse appena caduto davanti agli occhi. Ma era consapevole del fatto che il laureando avesse tutte le ragioni del mondo per chiederglielo.
«Edo, non è semplice da spiegare.»
«Prego, sono pronto ad ascoltarti» ribatté lui, abbattendo definitivamente quel sottile muro di inflessibilità che la donna aveva cercato di adottare.
«So a cosa stai pensando, a cosa ti ha fatto distrarre oggi... » provò a dire lei, ma le parole le morirono in gola.
Edoardo puntò il suo sguardo negli occhi della dottoressa che, nello stesso momento, stava osservando i suoi. Riusciva a leggerle un certo velo di tristezza, ma vi trovò anche un certo luccichio. Che fossero lacrime o meno, sentiva chiaro e forte i battiti del suo cuore che correvano in sincronia con i propri.
«Ah, lascia stare, è inutile» sussurrò lei, ma non abbastanza piano da non farsi sentire.
Quelle parole colpirono il ragazzo come un gancio di boxe in pieno volto.
«Cosa sarebbe inutile? Vorresti, per cortesia, darmi una spiegazione plausibile? Perché ti stai comportando così?» quasi iniziò a supplicarla Edoardo, muovendo le mani come se stesse elemosinando le attenzioni della dottoressa dagli occhi color castagna. «Vittoria, sono più di due settimane che mi eviti come la peste e non ne capisco il perché!»
La donna non poteva non dare ragione al laureando: i loro contatti si erano drasticamente ridotti al minimo del minimo indispensabile, cosa che aveva scatenato un forte conflitto di sentimenti in entrambi. Lui non poteva fare a meno di lei e viceversa, ma l'altra sentiva che forse avevano fatto il passo più lungo della gamba e che dovevano ritornare a essere come prima: due perfetti sconosciuti.
«Non c'è nessuna spiegazione: io sono un Primario, un docente, un medico. Tu sei uno studente. I nostri contatti devono semplicemente limitarsi alle esercitazioni e basta.»
"Bella questa" meditò il ragazzo, ridendo, nonostante il minimo fondo di verità. Ma cominciò a capire che, dietro quelle parole, si stava nascondendo una realtà ancora più dura di quella immaginata.
«Dillo che ti stai nascondendo, dillo che ti stai tenendo tutto dentro» aizzò il ragazzo, tentando il tutto per tutto per cercare di riprendersi quella donna che, in quel momento, faticava a riconoscere come la vera Vittoria Conte. «Perché lo fai? Perché continui a negare quello che c'è stato tra noi, quel giorno?»
Vittoria sbuffò dal naso, cercando di trattenere le lacrime.
«Io non nascondo nulla... » provò a dire con fermezza, ma il suo sguardo rigato da rivoli d'acqua la tradì. «Edoardo, lasciami stare.»
«Non ci penso nemmeno.»
Nemmeno lui riusciva a mantenere un minimo di compostezza, soprattutto nel tono di voce. Vedere Vittoria piangere era la sua kryptonite: lo indeboliva fin troppo.
«Te lo chiedo per favore e non una volta di più: tutto quello che c'è stato tra noi è stato un errore e come tale dev'essere cancellato. Edoardo, ti prego... » singhiozzò lei, non molto convinta.
Il ragazzo scosse leggermente la testa, all'udire di quelle parole.
"Perché lo sta facendo?" provò a chiedersi, senza risposte sensate.
«I can't let you stay
Ooh, but I can't live if you go away.»
«Dimenticami, per favore.»
«Nemmeno se me lo chiedesse il Presidente della Repubblica» provò a ironizzare lui, ma con la rabbia in costante aumento. «Ti rendi conto di quello che stai dicendo?»
«Nel pieno possesso delle mie facoltà mentali. Forse quello che non capisce sei tu!»
«Cos'è che non capisco, cosa? Questo tuo improvviso odio verso di me?» inveì lui, con le ultime briciole di lucidità ormai scomparse.
«Non è come pensi!»
«Ah no? Perché a me stai facendo capire questo: tu mi odi, mi vuoi fuori dai piedi. Non è così?»
La dottoressa sbarrò gli occhi, cogliendo il misunderstanding che aveva appena trasmesso al ragazzo.
«Sai che non ti odio, anzi... al contrario» affermò lei decisa, senza vacillare nemmeno per un secondo. Scosse per alcuni secondi la testa per dare un po' di ordine alla sua chioma le cui onde avevano perso un po' di vitalità, come se fossero connesse con il suo cuore, trafitto da tanti dardi spinosi e dolorosi. «Ma sai che cosa succederebbe se si venisse a sapere di noi due? Uno scandalo, cosa che né io, né quest'ateneo possiamo permetterci.»
Edoardo sbuffò con forza, quasi corrodendo le narici. Voleva evitare di dare in escandescenze, ma ogni secondo di più era sempre più vicino al cadere in tentazione. Il cuore iniziò a correre come un pazzo, senza nessun pilota al comando.
Era la rabbia?
O la paura di perderla, ma davvero, questa volta?
«Benvenuta in Italia, il paese degli scandali continui, sorella» ribatté lui, umoristicamente parlando. «Pensi davvero che ciò che proviamo sia oggetto di vergogna? Da quando amare qualcuno con tutto se stesso è diventato uno scandalo?» alzò la voce Edoardo, con un tono a metà tra il disperato e l'esasperato. «Quello che tu definisci come tale potrebbe essere una nostra eventuale relazione sessuale, con secondi fini, non l'amore tra due persone!»
Sentiva la testa bruciargli, gli occhi scoppiare di lacrime, i muscoli del corpo atrofizzarsi, incapaci di reggere ancora quel suo peso, aggravato dalle parole di Vittoria.
«Edoardo, io non-»
«A te non è mai interessato nulla di me, ma solo la tua immagine all'interno dell'ambiente universitario» sferrò lui ancora una volta, a briglie sciolte. Sapeva di stare camminando sui carboni ardenti, sia perché stava mettendo alla prova la pazienza della donna - conoscendo il suo carattere molto particolare -, sia perché non voleva che i suoi sentimenti fossero nuovamente calpestati come mozziconi di sigaretta. «Ora capisco perché ti chiamano la donna di ghiaccio: se qualcuno cerca di scioglierti e riportarti in vita, tu lo trascini con te fino a farlo morire assiderato.»
«Questo non è assolutamente vero!» gli puntò il dito contro Vittoria, riavvicinandosi a lui con sguardo feroce, trasformandosi poi in una distesa di lacrime. «Tu non sai che cosa ho dovuto passare nella mia vita e non puoi pretendere di arrivare così, all'improvviso, e cambiarmi!»
«Allora quel "ti amo" erano solo parole buttate al vento... »
«No! Quelle erano verissime!»
«Allora dimostramelo, cazzo!» urlò ancora Edoardo, mentre le lacrime continuavano a scendere come la pioggia in autunno. Fredda, malinconica, che spazza via quel poco di bello che resta.
Seguirono alcuni istanti di silenzio, poi il laureando riprese.
«Vittoria, io per te ho rischiato e perso tutto! Ho perso il mio migliore amico e quasi la mia carriera universitaria. Cos'altro devo fare per farti capire che sarò sempre al tuo fianco, che ti proteggerò sempre, che ti amerò per il resto della mia vita?»
La dottoressa stette in silenzio, mentre il suono del suo cuore si propagava dentro tutta la stanza. Lo sentiva, ne avvertiva il calore, la forza pulsante: non era di ghiaccio, ma era vero, puro. Ancora una volta, Edoardo l'aveva colpita in pieno e lei aveva capito che il ragazzo non era come tutti gli altri: una persona dall'anima nobile, di vetro, proprio come quella sua.
Loro due, a onore del vero, erano più simili di quanto pensassero.
Vittoria stava per replicare, guidata da quell'elemento che le batteva forte ogni volta che incrociava lo sguardo del laureando, quando la sua parte razionale, sfortunatamente, prese il sopravvento.
«Nessuno te l'ha mai chiesto. Io non ti ho mai chiesto di difendermi.»
«We're stuck in a bad place
We're trapped in a rat race
And we can't escape
Maybe there's been some mistake... »
Nessun'altra frase fu più distruttiva di quella, neanche quando si era scontrato con Davide.
Edoardo rimase interdetto, completamente privo di qualsiasi parola, né pensiero che avesse un senso compiuto.
Vittoria era l'unica - e anche l'ultima, probabilmente - persona rimasta di cui poteva fidarsi. Avrebbe voluto tanto credere di essere in uno dei suoi incubi, ma il suono nefasto della realtà venne a bussare violentemente nella sua mente, calpestandola; nel suo cuore, bruciandolo; nella sua anima, distruggendola.
Nessuna risposta del suo sistema nervoso fu in grado di controllare i fiumi salati che iniziavano a scorrere lungo il viso: bruciavano peggio dell'alcol sulle ferite, peggio del doposole dopo un'insolazione.
Il ragazzo chiuse gli occhi per alcuni istanti e poi irrigidì la mascella, incapace di frenare i fiumi di parole che stavano per venire fuori.
«Nessuno me l'ha mai chiesto?» iniziò lui, sbarrando gli occhi, più irato che mai. «Dico, ma si può sapere che cazzo di problemi avete, in questa facoltà? Prima Davide, poi i miei colleghi e adesso tu! Vittoria, avevo riposto tutte le mie speranze in te! Mi sono aperto, ti ho confidato i miei dolori e insicurezze, credendo di potermi fidare di te. E tu che fai? Prendi le mie parole e le bruci come carta, incolpandomi pure di aver preso le tue difese?» le domandò a raffica, senza nessuna pietà.
La pazienza del laureando era ormai finita, così come le parole dolci e di conforto. Nonostante sapesse del rischio che stava correndo, rivolgendosi in quel modo a un Primario, non si sarebbe di certo fermato davanti a nulla: quelle parole l'avevano ferito troppo, ancor di più ripensando a tutto quello che c'era stato tra loro.
«Sai che c'è? Stavolta te lo dico davvero, perché te lo meriti: vai a fanculo tu, le tue stupide direttive e la tua eloquenza del cazzo!» rincarò la dose Edoardo, ricollegando per alcuni istanti al loro primo incontro in sala, quando aveva collezionato una figuraccia colossale in compagnia di Davide.
Vittoria raddrizzò la schiena e si mise a fissare il laureando con uno sguardo di fuoco, nonostante sapesse che non le potevano essere additate parole più veritiere di quelle.
"Sono andata oltre il limite e me lo sono meritato", pensò la dottoressa tra sé e sé.
Ma ciò che ne scaturì subito dopo fu una bella batosta per entrambi, soprattutto per il laureando.
«Adesso te lo dico io che c'è: esci da quest'ufficio e vai a cercarti un altro relatore. Non ho intenzione di lavorare con tesisti irrispettosi come te» sentenziò decisa lei.
Non sapeva perché lo stava facendo, ma sentiva che era l'unico modo per allontanarlo. Peccato che gli avrebbe creato non pochi problemi con la laurea, rischiando di slittare la propria sessione di diversi mesi. In quei momenti, la donna non ci aveva fatto caso, perché trascinata dai propri sentimenti.
E a conti fatti? Cosa sarebbe accaduto davvero?
«I travelled a long road to get hold of my sorrow
Tried to catch a dream
But nothing's what it seems.»
Edoardo non ebbe il tempo di replicare che la dottoressa gli sbraitò contro come una iena: «Fuori di qui!»
«Sappi che stai facendo un errore, soprattutto con te stessa, ricordatelo. La saluto, dottoressa Conte, le auguro una buona vita» concluse il ragazzo, imbracciando la carpetta con tutti i progetti per la tesi di laurea che il Primario gli aveva restituito e uscendo di corsa dalla stanza.
«I can't live with you
But I can't live without you.»
Mentre Edoardo correva con passo pesante lungo i corridoi degli uffici amministrativi della Clinica, Vittoria aveva richiuso con forza la porta del suo ufficio e si era poi poggiata a essa, lasciandosi scivolare fino a sedersi sul pavimento.
Sì, aveva fatto davvero il passo più lungo della gamba.
Aveva buttato fuori Edoardo dalla sua vita - o quasi -, ma dentro di sé un forte senso di colpa e di solitudine iniziò a pervaderla, facendola singhiozzare come una disperata. Il trucco sbavato, il cuore in fiamme, i capelli ormai dal colore spento e senza vita.
Ripensando allo scontro avuto con il ragazzo, si rese conto di quanto questi avesse ragione: aveva dato peso alle parole degli altri, a ciò che pensavano di lei, ma non al suo cuore, l'unico che avrebbe dovuto ascoltare davvero.
E solo in quel momento realizzò, riascoltando le parole del giovane Rinaldi, di aver commesso un grave errore e iniziò a pregare, con tutta se stessa, di riuscire a riprenderlo con sé.
Non le importava quanto ci avrebbe messo, né contro chi si sarebbe messa.
L'unica cosa che contava davvero era Edoardo.
Solo il suo sorriso e il suo cuore nobile, la sua cura a ogni male.
«I can't live without you... »
Piccole note a margine!
[1]: "Presagio di sventura": citazione di Aldo Baglio, tratta dal film "Così è la vita" (1998) di Aldo, Giovanni e Giacomo.
The etnabooks' Corner!
Salve, miei amati amici!
Dopo un mese esatto dalla pubblicazione dell'ultimo capitolo - mannaggia sessione -, Edo e Vittoria sono tornati!
E che ritorno, direte voi... Una cosa è certa: per Edoardo, il mai na gioia è sempre dietro l'angolo.
Poverino...
«Claudia, la colpa è tua se mi fai cascare mille disgrazie addosso!»
Hai ragione, Edo, lo so, ma sai com'è... XD
Anyway, pareri? Domande?
Pronta a rispondere!
Alla prossima settimana con il new capitolo!
Claudia :)
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