Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

15.2. Avere il dente avvelenato - Parte II

Con la rabbia che le ribolliva in corpo per quelle parole, Vittoria scattò in piedi come una furia.

«Adesso basta, ne ho abbastanza delle sue stronzate!» tuonò, puntando il dito contro il suo avversario. «Prima mi dà della puttana, poi denuncia Rinaldi per un motivo davvero futile e adesso, pensa che io, Vittoria Conte, il medico più autoritario e corretto di questo stracazzo di Policlinico universitario, abbia raccomandato un mio studente? E per cosa, poi?»

Guzzardi si divertiva a vederla in quello stato, complice il suo sguardo osservatore.

«Non neghi l'evidenza... » continuò il medico, inclinando leggermente la testa verso la sua destra. «Sappiamo quanto lei e il signor Rinaldi siete legati. Testimoni le ore di tirocinio che ha svolto nel suo corso, che sono molte di più di quelle richieste e di qualsiasi altra disciplina specialistica.»

In quelle parole cariche d'odio e veleno, c'era un minimo fondo di verità. Edoardo, soprattutto a partire da gennaio, aveva cominciato a fare più ore di tirocinio in Chirurgia Odontostomatologica, piuttosto che nelle altre materie. Che fosse una scusa per imparare o per stare con Vittoria, il laureando era quasi sempre insieme a lei: avevano creato tanti piccoli tasselli, in tutti quei momenti, costruendo quel bel rapporto tra loro, come una rosa fiorente nel più bel giardino del mondo.

Purtroppo per loro, ogni rosa aveva sempre le sue spine.

«Cos'è? Le da fastidio che sia interessato a Chirurgia? Perché non guarda i suoi di studenti, dato che la sua specializzazione è la meno scelta dai laureati e, tra le altre cose, solo come piano B?» capovolse le carte Vittoria, in un impeto di rabbia.

«Guardi, non mi sorprende che si sia indirizzato verso la sua branca. D'altronde, basta vedere chi c'è a capo: una donna incapace di mostrare i propri sentimenti e che si scaglia come una furia con chiunque, per non parlare della sua propensione ad attirare gli studenti sulla sua scrivania

Quelle frasi la colpirono talmente forte da farla quasi sbilanciare: dovette poggiare le mani sul tavolo, per evitare di cadere. Sentiva il dolore di mille spade roventi dritte in gola, nel petto, nella sua anima. I suoi occhi iniziarono a bruciare per le lacrime in arrivo, ma voleva evitare di dargliela vinta, nonostante Guzzardi conoscesse i suoi punti deboli.

«Dottor Guzzardi, sta risultando inopportuno. Le chiedo di ritirare subito quello che ha detto, oppure sarò costretto a... » fece Cassarino per intervenire, alzando leggermente la mano verso il Primario, con dei movimenti leggeri dall'alto verso il basso, come a voler placare gli animi.

Ormai, la guerra era sul punto di esplodere.

Guzzardi, d'altro canto, aveva solo iniziato a servire quell'antipasto al vetriolo.

«Io sto solo difendendo i valori etici sui quali si basa quest'Ateneo, non permetterò che questa donna, pur di soddisfare le proprie pulsioni personali, ne distrugga l'immagine.»

La dottoressa alzò il capo di scatto, con le lacrime agli occhi e la rabbia evidente, con la vena sul collo che stava iniziando a sembrare sempre più marcata.

"Quando è troppo, è troppo" pensò tra sé e sé.

«Senta, grandissimo figlio di puttana che non è altro» iniziò Vittoria, con le lacrime agli occhi e le mani che stringeva in un pugno tanto serrato da imbiancarle le nocche. «Provi a dirlo un'altra volta e le giurò che il dolore che proverà, sarà tale da rendere un ascesso parodontale qualcosa di insignificante!»

«State entrambi rischiando la sospensione da questo Consiglio, badate bene a ciò che fate!» tuonò Cassarino, che avvertì una forte fitta allo stomaco, più per le parole rivoltanti di Guzzardi che per il gesto della donna. Iniziò a provare una serie di sentimenti contrastanti, sapendo che, sicuramente, quella conversazione sarebbe finita molto male. «Dottoressa Conte, la prego» aggiunse poi, lanciando delle occhiate torve a entrambi.

Gli sguardi dei due Primari carichi di sfida, d'odio, segno di un rapporto andato distrutto in mille pezzi. E per cosa? Un posto da Primario nella specializzazione più ambita dell'università, se non del Sud Italia? O ancor di più, una tra le più selezionate in tutto lo stivale?

Sì. Era bastata una semplice carica a mutare il rapporto che intercorreva tra loro, fatto di aiuto, sostegno, motivazione, confidenze e soddisfazioni a mandare tutto in fumo.

Vittoria ripensò al momento in cui, a Roma, aveva appena consegnato la sua tesi al relatore.

Lo stesso uomo che aveva di fronte in quegli istanti.

Ricordava il sorriso soddisfatto sul suo volto fresco, con i capelli brizzolati dal ciuffo acchiappafemmine, come lo definivano nell'Ateneo romano. Ricordava le sue dita sapienti del mestiere che accarezzavano dolcemente la sua barbetta incolta, il respiro calmo, tipico di chi era assorto nella lettura.

Ricordava persino il luccichio nei suoi occhi, quando aveva finito di leggere il frutto di sei anni di studio della sua tesista.

«Fosse per me, ti avrei già proclamata dottoressa. Sono davvero orgoglioso di te» le aveva detto contento. Per una volta, si era sentito bene. Leggere quella tesi sulle innovazioni chirurgiche in Odontostomatologia l'aveva emozionato: aveva davvero trasmesso qualcosa a lei, le aveva donato tutto il suo amore per quella disciplina, per quel mestiere.

Sarebbe stata una dentista perfetta, secondo lui. L'avrebbe vista anche nei dipartimenti di ricerca, nei master.

Ma sarebbe rimasta per sempre la sua allieva, quella che gli aveva fatto riscoprire il piacere dell'insegnamento e della convivialità universitaria.

Quello che non sapeva era che, qualche anno più tardi, la sua allieva avrebbe battuto il maestro, spaccando in due il ponte che avevano faticosamente costruito.

«The years of care and loyalty

Were nothing but a sham it seems

The years belie we lived a lie... »

«Di certo, non sarà più forte di quello che proverà il signor Rinaldi, quando scoprirà la sua vera natura, cara Vittoria» sputò acido il Primario, sapendo perfettamente quali tasti toccare, nell'anima della giovane dottoressa Conte.

«Lei non sa proprio nulla di me» ringhiò lei, per cercare di respingere quegli attacchi, come una preda dai lupi, nel cuore della notte. Avvertiva un freddo gelido penetrarla fin dentro le ossa, così come una sensazione di sconforto che la bloccò, con le lacrime che scorrevano come fiumi.

«Oh, davvero lei crede ancora che io non la conosca?» continuò lui, affondando ancora di più gli artigli nel cuore della donna. «Ne so meglio di chiunque altro qui dentro, compreso il signor laureando per cui prova palesemente dei sentimenti.»

Vittoria non riuscì ad avere più il controllo delle sue emozioni, iniziando a singhiozzare e ad abbassare lo scudo che aveva sempre tenuto alzato. «Questi non sono affari suoi.»

Sentì poi tante paia di occhi addosso che la studiavano curiosi, allibiti. Nessuno aveva mai visto la dottoressa Conte piangere, prima di quel momento.

«Io so com'è lei. Non si fida di nessuno, nemmeno di se stessa. Quando Edoardo Rinaldi arriverà al punto di potersi meritare piena fiducia da lei, raggiungerà il suo obiettivo e poi la manderà a quel paese, mandandola in pezzi.» Il Primario sorrise al vedere le lacrime della donna anche se, forse, un minimo accenno di senso di colpa stava comparendo.

Ma no, doveva fargliela pagare cara, nonostante l'infame prezzo che stava pagando, rivelando a tutti i punti deboli di quella donna tanto autoritaria quanto fragile.

«Lei è un bastardo, Edoardo non lo conosce, lui è... »

«Diverso dagli altri? Credo di averla già sentita questa storia!»

«Mi faccia il favore di non intromettersi mai più nella mia vita. Avevo riposto tutte le mie speranze in lei, tutte!» urlò Vittoria, con la voce spezzata dal pianto e il viso distrutto. Gli occhi scuri iniettati di sangue, la sua mente ormai sul punto di cedere, così come il suo cuore. «E adesso, per una stupida carica da Primario, oserebbe pure mettermi in cattiva luce? E io che pensavo che fosse un modello da seguire, dottore.»

«Non sono stato io a farlo, ma lei stessa. Lei sta portando avanti una raccomandazione: questo è ciò che l'ha resa una persona di poco rispetto davanti a tutti noi.»

Cassarino volse il suo sguardo verso la donna, allibito. Non poteva credere a ciò che aveva appena sentito: la dottoressa Conte che favoriva un suo studente? Non l'avrebbe mai concepita una cosa del genere e, per quanto odiasse Guzzardi, doveva ammettere che c'era qualcosa che non andava.

Sospirò pesantemente, con il cuore in gola e gli occhi lucidi e altre paia puntate addosso.

«Dottoressa Conte, mi dia una buona ragione per non presentare una denuncia per favoreggiamenti a danno suo, per favore... » sibilò in un fiato, trovandosi gli sguardi allibiti di quel Primario distrutto e della De Luca addosso che, in quei momenti, aveva il cuore in pezzi, per quella donna che stava subendo le peggiori pene dell'inferno, ma che non poteva aiutare.

Vittoria riflesse alcuni istanti, guardando il suo riflesso sulla superficie lucida del piano del tavolo. Sospirò, poi alzò lo sguardo verso Cassarino.

Stava per mollare, aveva sofferto abbastanza. Aveva tentato di tutto ma, quando le furono toccate le corde giuste, la partita cessò in via definitiva.

«Non faccia nulla» singhiozzò la donna, stringendo il suo tesserino appeso al taschino della divisa blu notte. «Lascio il posto di Primario di Chirurgia Odontostomatologica, a favore di qualcuno che si ritiene più corretto e capace di me» pianse poi, sapendo di star buttando via tutti i sacrifici fatti fino a quel momento.

Così come tutto quello che aveva passato con Edoardo.

Ah, come avrebbe fatto a dirglielo senza scoppiare a piangere?

«Dottoressa, lei non può andarsene, non- » fece Cassarino per bloccarla, ma senza risultato. Stava perdendo una punta di diamante, cosa che l'università non poteva permettersi. E nemmeno lui, che aveva trovato una buona amica in quella donna dal potenziale straordinario e dall'animo puro ma distrutto.

«Tutto ciò che si fa, è destinato a tornare indietro, come un boomerang. Quando vi accorgerete del vero Giuda, sarà troppo tardi. Domattina avrete le mie dimissioni firmate» sentenziò poi Vittoria, uscendo dalla Sala Riunioni.

Svoltò subito a destra, camminando a passo spedito, come quello delle sue lacrime. Strappò via il suo tesserino con forza e lo scaraventò sul pavimento color del cielo che, dopo tanti anni, aveva perso un po' di vividezza, così come il suo cuore in quel momento.

Entrò nel suo ufficio sbattendo la porta e togliendo via il camice e la divisa, per rimettersi i suoi vestiti.

«Vittoria... » fece la dottoressa De Luca, sopraggiunta in quel momento con il fiatone.

«Lasciatemi in pace, vi prego!» piagnucolò la giovane, prendendo l'indispensabile e riponendolo nella sua tracolla.

«Non puoi andartene così!»

Il Primario s'infilò una maglietta a maniche corte nera, come il suo umore in quel momento, mentre le lacrime dalla tonalità mista tra il trasparente e il carbone disegnavano solchi dolorosi sul suo volto. Ogni goccia era tanto irritante come camminare sui carboni ardenti.

«Vai via, Carlotta, ti prego... » provò a scacciarla poi. Prese i suoi jeans neri e li abbottonò, seguiti poi dagli stivali alti - e dello stesso colore - e dalla giacca in pelle rinforzata per i motocicli.

«Dottoressa Conte, lei non può andare via così, all'improvviso!» si aggiunse preoccupato Cassarino. Per quanto quel racconto l'avesse intaccato, non avrebbe mai creduto che la donna avesse portato avanti una raccomandazione.

«Non m'importa» sputò secca. «Aspettatevi notizie dal mio avvocato, vi farò cadere così in basso da implorare pietà.»

Neanche lei si era resa conto di quanto potere aveva avuto in quegli istanti, sparando via quelle parole come i proiettili di un cecchino.

Così come era entrata nell'ufficio, così ne era uscita: correndo via, ma con la tracolla addosso e il casco nelle mani, mentre sentiva i suoi capelli ondeggiare come il mare in tempesta e le lacrime che avevano ormai distrutto l'armonia del suo volto, così come quella della sua anima.

Mentre correva verso l'esterno della Clinica, provò a ritornare sui suoi passi.

Che stava facendo?

Perché scappare via in quel modo?

Come avevano potuto i membri del Consiglio, compresi Cassarino e la professoressa De Luca, credere alle parole di quell'uomo che le aveva appena rovinato la vita?

Forse avrebbe dovuto agire in maniera diversa, ma il suo cuore era talmente debole da non poter reggere altri confronti.

Il problema era che ne mancava ancora uno all'appello: quello con Edoardo.

«Save me, save me, save me!

I can't face this life alone!

Save me, save me, save me!

I'm naked and I'm far from home.»

Dopo aver terminato gli interventi con il Primario di Endodonzia, Edoardo si prodigò nel rimettere a posto il riunito in pochi secondi. 

Che fosse per l'ordine o la voglia di una pausa, non avrebbe lasciato la poltrona non sterilizzata e disordinata. Di base, non era un tipo ordinatissimo ma, quando si trovava nel suo ambiente, tutto doveva trovarsi esattamente al suo posto, preciso al millimetro.

Con la strumentazione metallica da portare in Sala Sterilizzazione, il ragazzo ripensava alla valanga di sensazioni per niente confortanti di quegli ultimi giorni. 

I sogni dolorosi, i sospetti sulla madre, la lontananza di Davide.

Non aveva molti elementi di base su cui partire, ma sapeva di dover continuare a cercare. Troppi dubbi irrisolti, imbrogliati in una matassa enorme. Sarebbe mai riuscito a dare luce a quei pensieri tetri e a sciogliere quei nodi così soffocanti?

In tutto quel contesto di angoscia, aveva comunque trovato una gioia.

Il relatore per la tesi di laurea.

Aveva già iniziato a stendere i propri progetti in merito alla prova finale di quel percorso durato sei lunghi anni, doveva solo affidarsi a qualcuno di competente.

E l'aveva trovato in lei, in quel Primario che ormai era diventato il suo pensiero fisso.

La sua Beatrice.

Interruppe quel suo fluire di pensieri quando si accorse di aver già rassettato tutta la stanza: pulita, con il forte odore di disinfettante che tanto caratterizzava quella struttura ospedaliera.

Si tolse la cuffia dei Queen e decise di contemplarne le stampe: il nero dominante, ma allo stesso tempo sovrastato dai toni aranciati del logo della band, i segni zodiacali risaltati dalle sfumature più chiare e più scure, nei vari dettagli.

Edoardo si rese conto di quanto l'amore per la loro musica avesse superato ogni barriera: avevano toccato tutti i generi, dall'hard rock all'opera, alla disco, al pop. Solo dei geni come Freddie Mercury, Brian May, Roger Taylor e John Deacon potevano creare delle vere e proprie opere d'arte.

"Ah, se Freddie fosse ancora vivo... assieme agli altri, avrebbe molto da raccontare..." pensò malinconico, con una nota d'angoscia che lo pervadeva al ricordo del frontman scomparso nel novembre del 1991.

L'AIDS l'aveva portato via.

Aveva strappato al mondo uno dei più grandi musicisti della storia, un uomo carismatico, ma amato da tutti.

I Queen, per lui, erano pura linfa vitale e li avrebbe sempre seguiti, fino alla fine dei suoi giorni.

A un tratto, con la coda dell'occhio, scorse qualcuno entrare nella sala.

Era Davide, poggiato allo stipite della porta e con il telefono in mano. La testa che ciondolava leggermente da un lato all'altro, come se andasse per i fatti suoi.

«Giornata pesante?» iniziò Edoardo per rompere il ghiaccio.

Davide scrollò le spalle, indifferente. «Al solito» tagliò corto con voce atona.

A quel punto, Edoardo iniziò ad avere qualche sensazione strana, talmente forte da contorcergli lo stomaco. «Posso sapere che ti succede?»

«Niente, sto bene» ribatté l'altro secco, quasi sbuffando e continuando a guardare il feed notizie di Instagram.

In realtà, a tutto pensava, tranne che a capire cosa i post su quel social network volessero trasmettere.

«Compà» lo richiamò Edoardo, con una nota di fermezza più evidente nel tono di voce. «È da un po' di tempo che non parliamo più, io cerco di avere tue notizie, ma è come se mi stessi evitando» continuò, con un brutto presentimento che stava facendo capolino dentro di lui. 

Davide lo guardò in viso, quasi come se non gliene importasse più di tanto.

Edoardo notò con sua sorpresa il suo sguardo perso, con gli occhi vacui e un po' rossi, i capelli un po' arruffati e i baffi che facevano da cornice assieme alla barba abbastanza curata.

"Che ha fatto per ridursi così?" formulò in mente, cercando di capire il perché il suo migliore amico fosse così strano.

«Sei sicuro di stare bene? Hai bisogno di qualcosa?» accorse in suo aiuto poi.

«No, grazie» rispose Davide con fermezza. «Ce ne hai messo di tempo, per chiedermelo.»

Quella risposta lasciò di stucco Edoardo, come se avesse visto cadere un fulmine davanti a lui. Il cuore ebbe un forte sussulto, come se una bomba fosse esplosa dentro di sé. Mai si sarebbe aspettato che una frase del genere uscisse dalla sua bocca.

«Ma che stai dicendo? Lo sai che ti cerco sempre!»

Davide sbuffò e uscì dalla sala, seguito poi da Edoardo che cercava di raggiungerlo e tentava di instaurare un dialogo perlomeno civile.

Un tremore improvviso iniziò a correre lungo tutta la spina dorsale, poi dritto al cuore.

In entrambi, senza differenze.

«Davì, mi spieghi che ti prende?» domandò ancora il giovane Rinaldi, palesemente inalberato.

«Che t'importa, scusa? Anche se te lo dicessi, che differenza fa?»

«Cazzo, Cap» lo riprese Edoardo, su di giri e con le lacrime che iniziavano a pizzicargli gli occhi. «Sono il tuo migliore amico, è ovvio che voglio sapere come stai, come te la passi, no?»

«Ah, certo!» esclamò Davide, che in quel momento si trovava a distanza da lui, nel corridoio principale della Clinica. Le altre sale chiuse, il poco movimento all'interno della struttura. Tutto si era fermato, intorno a loro, così come il tempo. «Sei il migliore amico solo quando ti conviene» sputò fuori, con gli occhi lucidi.

«They said we made a perfect pair... »

Davide percepiva un forte vuoto e senso di disgusto, dentro di sé. Guardava Edoardo con lo stesso sguardo truce di un militare intento a compiere un esecuzione. Un soldato senza alcuna pietà per il proprio prigioniero.

Edoardo ebbe un tuffo al cuore, più devastante del precedente.

"Non può averlo detto sul serio, non può averlo detto a me... " constatò.

«Davì, ma che cosa stai dicendo... » sibilò il laureando, totalmente disorientato. Se avesse perso Davide, sarebbe stato finito. Perdere colui che era il suo compagno di sventure, sarebbe equivalso alla potenza distruttiva di una bomba atomica. «Io non capisco-»

«Appunto, tu non capisci un cazzo!» ringhiò il giovane Campofiorito. «Che cosa ne vuoi sapere tu, dato che te la stai spassando felice e contento con la dottoressa dei tuoi sogni? Dove cazzo sei stato in questo periodo, eh?»

«Non permetterti un'altra volta, sai?» rispose l'altro, cercando di mettersi sulla difensiva. «Ma mi spiegate cos'avete tutti contro Vittoria?»

Non fece in tempo a correggersi che una risata isterica prese possesso del corpo di Davide.

«Ora la chiamiamo pure per nome! Ma che carini, davvero! Ora difendi lei, piuttosto che me!»

«Davide, lo sai che per te ci sono sempre stato, non puoi affermare il contrario, o mi sbaglio?» ripropose Edoardo, quella volta con rabbia pura, ma sul punto di piangere come un disperato.

«Edoardo, ti rendi conto che stare con quella donna ti ha mangiato il cervello? Non fai altro che parlare di lei, pensare a lei e stare solo ed esclusivamente con lei.»

«E allora? È anche la mia relatrice, adesso. Quindi ho tutto il diritto di stare con lei e con chi cazzo mi pare! Davide, stai davvero diventando ridicolo.»

«Da che pulpito!» sogghignò Davide, mentre dentro di sé stava avvenendo una guerra davvero devastante. Voleva davvero bene a Edoardo, ma ciò che gli aveva detto Marika aveva delle prove concrete: doveva allontanarsi, soprattutto per il suo bene. «Ti definisci come qualcuno che odia i tradimenti e le ingiustizie, ma sei il primo a portarli avanti... »

«Ma che cosa stai dicendo... » provò a dire Edoardo, quando vide una figura dai capelli rossi avvicinarsi al fianco di Davide, con i battiti del suo cuore che iniziarono a mancare. Il volto pallido, il sangue raggelato nelle vene.

«Chi si rivede, il primo della classe!»

Quel tono di voce femminile era l'ultimo che avrebbe mai voluto sentire in quel momento.


(continua...)

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro