10.2. Alea Iacta Est - Parte II
Mentre faceva slalom tra i passanti, Edoardo cominciò a domandarsi tante di quelle cose da non sapere da dove cominciare a trovare una risposta. A ogni falcata verso la struttura, sita praticamente al lato opposto alla zona del bar, la sua mente iniziava a elaborare le ipotesi più assurde.
Qualche sorpresa da parte di Vittoria, come quell'intervento?
Qualche incarico?
Non sapeva dove andare a parare, solo correva come un forsennato, entrando nella Clinica e scappando verso gli spogliatoi, dove si cambiò in meno di cinque minuti.
Nonostante la fretta, era riuscito a sistemarsi bene. Si diede un'occhiata allo specchio, massaggiandosi il viso all'altezza degli zigomi, passando poi sotto il contorno degli occhi.
In quel vetro, vedeva un ragazzo stanco. Le occhiaie abbastanza marcate, il viso spento. Aveva bisogno di rilassarsi un attimo: non si era fermato negli ultimi mesi e, quelli a seguire, sarebbero stati come un pressure test fino alla laurea. L'ultimo semestre, da godersi ma in cui dare il duecento percento.
Decise di concedersi qualche secondo per ritornare in sé, per poi avviarsi verso la sala. Stava per voltarsi di spalle, quando vide il riflesso di Vittoria sullo specchio, a braccia conserte, poggiata sullo stipite della porta.
Sobbalzò, alla visione della donna, cercando di mostrarsi tranquillo.
«Pensavo di trovarti in sala... » iniziò il ragazzo, buttando fuori un bel quantitativo d'aria. Si voltò poi verso di lei, situata al polo opposto della stanza. Accorciò la distanza tra loro, arrivando a pochi centimetri dal proprio viso.
I nasi quasi si sfioravano, assieme ai loro sguardi che trasudavano le sensazioni più varie.
Il respiro di Edoardo quasi venne a mancare, scrutando e studiando la fisionomia del Primario, del suo viso, dei suoi occhi, dei suoi capelli.
«Dobbiamo andare... » sibilò lei con voce flebile, voltandosi poi verso il corridoio.
I due si avviarono verso la Sala 4, a passo sostenuto.
«Posso sapere che succede?» domandò Edoardo, alternando il suo sguardo tra Vittoria e il cammino davanti a sé, confinato dalle mura bianche e venate da vari colori della Clinica.
«Non ne ho idea, so solamente che vorrebbero parlarti. Avevo il tuo numero e quindi mi sono offerta di rintracciarti.» La donna si portò una delle ciocche castane pendenti dietro l'orecchio, sfiorando delicatamente i lineamenti del suo viso.
«Dove l'hai trovato? E soprattutto, chi vorrebbe parlare con me?» chiese il ragazzo, cercando di capire come avesse fatto a contattarlo.
«Mi sono fatta aiutare dalla Segreteria Studenti... e dal portale» ammiccò la dottoressa, cercando di trattenere un risolino. «Comunque... siamo arrivati, vedrai tu stesso.»
Edoardo sorrise a sua volta, solo per alcuni istanti, lasciandosi poi travolgere da una sensazione di sconforto non appena la porta in vetro opaco venne aperta.
I due entrarono in sala, con la luce del sole che filtrava indisturbata nella stanza. I toni delle arance del mobilio erano risaltati dall'illuminazione naturale per alcuni tratti, da quella artificiale in altri.
Nel momento stesso in cui misero piede lì dentro, Edoardo ebbe un colpo al cuore. Si ritrovò addosso lo sguardo preoccupato della professoressa Garozzo.
E purtroppo, non solo il suo.
«Professoressa De Luca?» domandò timidamente il ragazzo alla presidente del Corso di Laurea, poggiata al bancone con le braccia conserte. Le sue onde bionde cadevano morbide sulle spalle, le labbra carnose erano risaltate da una tinta nude e gli occhi non sembravano eccessivamente truccati, restando sempre su toni neutri.
La donna annuì lentamente, con lo sguardo preoccupato. I suoi movimenti si riflettevano anche sul camice bianco, tirato da alcune parti e disteso e raggrinzito in altre, assieme alla divisa verde.
Oltre lei, anche un'altra persona aveva assunto la stessa espressione.
«Direttore?» domandò Vittoria in un evidente stato confusionale. L'unica persona che aveva incontrato quella mattina era la Garozzo che, in quel momento, era poggiata all'altro tavolo del bancone ad angolo, con le braccia conserte e il capo chino verso la poltrona, ma con lo sguardo rivolto al vuoto totale.
«Dottoressa Conte, signor Rinaldi... » salutò Federico Cassarino, il direttore del Dipartimento Specialistico del Policlinico. O meglio, del corso di laurea in Odontoiatria. I capelli brizzolati tenuti abbastanza in ordine definivano il volto del medico, assieme alle basette ben curate e alla barba anch'essa brizzolata, ben tenuta. Gli occhi scuri facevano da padroni sul suo volto e, in quel momento, sembravano emanare tutto fuorché tranquillità.
Si scambiò un'occhiata con la De Luca, alla sua destra, poi tornò a guardare i nuovi arrivati.
«Se non vi dispiace, io tornerei ai miei interventi... » pronunciò Vittoria, facendo per uscire dalla sala, ma Cassarino la bloccò immediatamente.
«Dottoressa, le chiedo di restare qui. Riguarda anche lei... » quasi ordinò il direttore, con non poco sconforto. Vittoria ritrasse la testa, voltandosi lentamente verso di lui.
Iniziò a chiedersi cosa avesse a che fare con loro. Che fosse per l'autorizzazione chiesta per l'intervento?
Una fitta allo stomaco fece la sua comparsa, assieme a un'espressione preoccupata sul suo volto roseo, ma tinto di rosso sulle guance. Respirò profondamente, poi chiuse la porta in vetro opaco della stanza e si diresse verso il suo allievo che, con le mani sui fianchi, guardava la presidente e il direttore con lo sguardo tipico di chi avesse visto un fantasma.
Quando c'era la De Luca, si respirava aria di guai.
La Garozzo si mise le mani sul viso, come a volersi nascondere.
Si massaggiò il viso, all'altezza degli occhi e si legò le ciocche bionde e venate di un castano molto spento in una coda alta.
Guardò poi Edoardo con aria affranta, le braccia conserte, le labbra quasi incurvate verso l'alto. Lei sapeva ed era per quello che dentro di sé provava uno sconforto tale da sentirsi quasi un'inetta.
«Signor Rinaldi, vede... » cominciò la De Luca, cercando di restare quanto più impassibile possibile.
Ma le sue espressioni l'avevano tradita sin dall'inizio. Sentiva un enorme peso sul cuore, così come Cassarino e la Garozzo. «Abbiamo ricevuto una convocazione straordinaria del Consiglio del Corso di Laurea, per la prossima settimana... uno dei punti all'ordine del giorno riguarda lei.»
In quel momento, un brivido molto freddo percorse il corpo di Edoardo. Le parole della presidente non lasciavano adito a dubbi.
"Che gran figlio di puttana... " pensò il laureando, rivolgendo quelle frasi non molto amichevoli al Primario contro il quale si era scagliato qualche tempo prima.
Era certo che si trattasse di qualche postumo legato a quello scontro.
A quel punto, la stessa Garozzo prese la parola, guardando il giovane con occhi quasi vacui. «Mi dispiace, ho cercato di evitarlo... » quasi piagnucolò, mettendosi le mani sul petto.
In quegli istanti, il suo carattere militaresco era totalmente crollato, lasciando spazio all'empatia e all'ansia.
Il ragazzo non capì a cosa si stesse riferendo la professoressa, ma aveva un bruttissimo presentimento.
Non a caso, erano presenti alcune tra le massime autorità del corso di laurea.
«Rinaldi» tuonò il direttore preoccupato. Contrasse il viso in un'espressione che lasciava ben poco spazio all'immaginazione. Avrebbe voluto raggirare la cosa, ma dura lex, sed lex. «Lei verrà denunciato al Consiglio per oltraggio a pubblico ufficiale» buttò fuori il medico, senza girarci attorno. Sentiva di aver sganciato una bomba; un'azione che aveva voluto evitare lui stesso ma che, ahimé, doveva comunque portare a termine, in quanto garante del regolamento d'Ateneo.
Edoardo si sentì come mancare, sostenendosi sul poggiatesta della poltrona, al centro della stanza. Per quale motivo Guzzardi sarebbe dovuto arrivare a un simile gesto?
Che cosa avrebbe mai risolto con una denuncia, se non macchiando la fedina penale - sempre se fosse andata in porto dalle autorità giudiziarie - di un giovane studente che aveva semplicemente difeso una persona?
Cercò di normalizzare il respiro, mentre il cuore iniziava a mancare diversi battiti a più riprese. Sapeva di essere sempre stato fin troppo impulsivo.
E sapeva che un giorno, purtroppo, quel suo senso di giustizia gli avrebbe causato qualche problema.
Anche se, in fin dei conti, una piccola parte di sé cercava di rincuorarlo, ricordandogli la persona di cui aveva preso le difese.
Vittoria gli posò una mano sulla spalla, preoccupata.
«Che sta dicendo, direttore?» rispose il Primario allarmato. Non capiva il motivo di una simile azione disciplinare...
Peccato che lei non era a conoscenza di ciò che era successo in quel giorno.
E di chi avesse iniziato quella guerra.
«L'ha fatto davvero?» tuonò il ragazzo, rimettendosi in piedi e stringendo i pugni. In quel momento, voleva solo tornare indietro e non aver risposto a tono al medico.
Dall'altro, non si era pentito di aver difeso Vittoria che, nonostante tutto, era ancora lì.
I tre medici annuirono, con gli sguardi affranti.
«C'è dell'altro... » continuò la De Luca. Il laureando alzò lo sguardo verso di lei, preoccupato come non mai. Le cose non si stavano mettendo affatto bene.
«Rinaldi, date le premesse... » provò a dire la presidente, ma senza risultato, troppo era lo sconforto che albergava dentro di lei.
A quel punto, ci pensò Cassarino a dare il colpo di grazia. «Lei rischia di perdere l'anno accademico e la possibilità di laurearsi» disse l'uomo, con le braccia conserte e un tono parecchio cupo.
«Flick of the wrist and your dead baby
Blow him a kiss and you're mad
Flick of the wrist
He'll eat your heart out!»
Edoardo si sentì morire, pensando di perdere tutto il lavoro di sei anni in una manciata di secondi.
Spalancò gli occhi sconvolto, non poteva credere a ciò che aveva sentito. «Cosa?»
La dottoressa Conte, allora, intervenne furiosa più che mai.
«Ma non vi rendete conto? Si può sapere cos'è successo?!» urlò, con il cuore impazzito e le lacrime che pizzicavano gli occhi.
Era fuori di sé, la miccia era ormai esplosa.
«Dottoressa Conte, stia al suo posto, per favore!» la riprese il direttore.
«Non se mi date una spiegazione convincente, adesso!» ribatté il Primario.
Vedeva Edoardo confuso, allarmato, stordito. Una forte fitta allo stomaco la fece inasprire ancora di più.
Non avrebbe lasciato che andasse in pasto ai lupi.
"Col cappio che lo abbandono, mi cascasse una spada di Damocle sulla testa!" pensò deciso il Primario.
«Si calmi, per favore. Adesso le spiegheremo tutto» cercò di rasserenarla la De Luca.
La presidente non sapeva come dirle quell'amara verità: conosceva la storia del giovane Primario, sapeva quanto fosse professionalmente legata al dottor Guzzardi, sapeva quanto ci tenesse.
E sapeva che il suo cuore sarebbe andato in frantumi da un momento all'altro, così come i suoi ricordi e le sue convinzioni.
«Il signor Rinaldi verrà denunciato perché ha avuto la sfacciataggine di minacciare qualcuno... che le ha rivolto certe frasi, dottoressa» continuò la presidente.
Vittoria parve inizialmente disorientata, poi assunse uno sguardo disgustato al solo pensiero.
"Magnifico, adesso abbiamo anche i pervertiti, in questa facoltà" pensò il Primario, serrando le labbra in una linea sottile tanto forte da imbiancarle.
Edoardo si sentiva profondamente in colpa per non averle detto nulla prima, ma non aveva più avuto l'occasione giusta per farlo, dal giorno in cui ci aveva provato, interrotto poi da Riccardo e andando a soccorrere Davide.
«Voglio il nome di questa persona, immediatamente» tuonò Vittoria, stringendo i pugni e con il viso rosso dalla rabbia, contornato da alcune ciocche dei capelli legati in una coda improvvisata.
Si avvicinò con passo lento ma deciso verso il direttore, ma questi la bloccò con poche parole.
«Dottoressa io non... » provò a fermarla la presidente, ma inutilmente.
«Adesso» minacciò ancora la dottoressa, quasi vicino al direttore.
Cassarino, in quel momento, si ritrovò come in un vicolo cielo. Incrociò le braccia al petto, coperto dalla divisa blu notte e il camice bianco, con il taschino pieno di penne, tesserini e blocchetti.
Sospirò, lasciando poi che la parte razionale facesse il suo corso.
«È stato Guzzardi, dottoressa» sentenziò lui, abbassando il capo sconfitto.
La donna temeva di non aver capito.
«Come... » cercò di dire, ma le parole le morirono in gola. Il cuore in frantumi, l'anima bruciata da quei tre semplici gruppi di parole. «Edoardo, tu lo... tu lo sapevi?» chiese al laureando con voce roca, gli occhi vacui e pizzicanti per le lacrime. Cercò il suo sguardo, completamente assente, in quel momento.
«È quello che cerco di dirti da un po' di tempo a questa parte... » cercò di giustificarsi il ragazzo, con la voce tremante e il dolore percepibile in maniera evidente. «Vittoria, mi dispiace...»
«No, non è vero... » continuò lei, indietreggiando fino ad arrivare quasi alla porta della sala. «Non può essere stato lui, non mi farebbe mai una cosa simile, lui... » ripeteva a se stessa e agli altri, mentre le lacrime avevano già riempito i suoi occhi e iniziato a scendere impervie sul suo viso, rigandolo come le montagne erose dalle piogge.
Non voleva piangere: la faceva sentire debole. Non poteva mostrarsi così davanti a quelle persone.
Davanti a Edoardo, che aveva letteralmente sacrificato se stesso per proteggerla. Lo guardò per alcuni istanti, desiderosa di essere da sola insieme a lui e di stringerlo forte per cercare un riparo in quella stanza che, in quei momenti, le stava facendo del male, con le pareti che sentiva venirle addosso.
Cercò di mantenere la sua autorità e compostezza, ma il troppo dolore la tradì e scoppiò a piangere, scappando poi fuori dalla sala.
La presidente la seguì a ruota, cercando di riprenderla e non abbandonarla a quella rivelazione che l'aveva scossa come un terremoto alla massima magnitudo.
Edoardo si sedette sulla poltrona trasversalmente e mise una mano sul viso, distrutto.
«Sacrifice your leisure days
Let me squeeze you till you've dried.»
«È tutta colpa mia, avrei dovuto dirglielo prima... » si assunse la responsabilità, trattenendo a stento le lacrime.
Vederla soffrire in quel modo, l'aveva colpito come uno schiaffo potente in pieno volto. Non se lo sarebbe mai perdonato.
E giurò a se steso che avrebbe fatto piangere lacrime amare a Guzzardi fino alla fine.
Il direttore, che aveva assistito a tutta la scena, prese una delle sedie girevoli e si mise accanto al laureando, sedendosi con le braccia poggiate sullo schienale rivolto in avanti e le gambe aperte. Da toni più seri e formali, decise di cambiare totalmente registro.
«Sa una cosa?» iniziò, cercando lo sguardo del laureando che aveva le mani sui capelli scuri ma spenti, in quel momento. «Guzzardi non mi è mai piaciuto come medico, men che meno come persona.»
Edoardo alzò gli occhi e li puntò verso Cassarino, curioso di conoscere la sua versione.
«Non è la prima volta che causa scompigli in dipartimento, ma nessuno aveva mai osato sfidarlo finora. Lo ammetto, lei ha avuto non la sfacciataggine, come ha detto la De Luca, ma le palle di smontare quel suo carattere da esaltato» pronunciò, ricevendo uno sguardo disorientato e sbalordito del laureando di tutta risposta.
"Congratulazioni, Edo, hai vinto il premio per il coglione dell'anno" pensò il ragazzo.
Si mise a studiare i lineamenti ben curati di Cassarino, cercando un piccolo conforto in quei capelli brizzolati e gli occhi scuri ma dal taglio delicato.
«Sentivo qualcosa dentro di me che diceva di non lasciare quelle parole impunite. Se me ne fossi semplicemente fregato, avrei ferito la dottoressa Conte in una maniera dieci volte superiore a quella di Guzzardi» pensò ad alta voce. «Lei non si merita parole del genere, non dopo tutti i sacrifici che ha fatto per arrivare fino a dove si trova adesso... no, lei non merita quest'odio.»
Cassarino sorrise, guardando poi il ragazzo negli occhi.
Non servivano altre parole per spiegare il perché Edoardo avesse deciso di difenderla.
Non per dovere morale, ma per qualcos'altro che lo smuoveva ogni volta che incrociava le sue iridi castane. Lo stesso che l'aveva abbattuto in pochi secondi, quando l'aveva vista scapparsene via nel corridoio, piangente.
«Direttore, posso sapere come intendete procedere?» domandò poi il laureando, armatosi di coraggio e cercando di affrontare la situazione di petto.
Ormai, alea iacta est e non si poteva tornare più indietro.
«Guzzardi vorrebbe ufficializzare la procedura, depositando la denuncia al comando dei Carabinieri della Provincia, dato che si tratta di un reato civile... anche se, a mio avviso, non ci credo molto...» iniziò il direttore, gettandosi nello sconforto, ma fino a un certo punto. «È un tipo molto teatrale, nelle sue cose, per questo lo dico. Comunque, se la cosa andasse in porto, la sua fedina penale ne uscirebbe macchiata e lei otterrebbe lo status di pregiudicato, perdendo la possibilità di laurearsi.»
Edoardo si mise le mani nei capelli, cercando poi di mantenere il controllo.
«Io, invece, dato che ho un certo potere su di lui, in quanto direttore di questo dipartimento... » lasciò sospeso a mezz'aria, così come i pensieri di Edoardo, che cercava disperatamente un appiglio di speranza a cui aggrapparsi, in quelle ripide montagne di problemi. «Vorrei semplicemente fare un colloquio sommatorio con lei e con il Primario, ma in momenti separati, per poi fare un'attenta valutazione assieme al Consiglio. Ah, ovviamente, saranno coinvolti tutti coloro che erano presenti al momento dell'accaduto, questo sia chiaro.»
«Ma certo» sibilò Edoardo, sentendo che quel direttore non era poi così freddo come si era presentato.
Sapeva che quel percorso non sarebbe stato semplice, ma voleva tentarle tutte. Per fortuna, non sarebbe rimasto da solo a fronteggiare quell'enorme mostro che gli si era parato davanti. Si alzò lentamente dalla poltrona, sistemando la maglietta della divisa che si era leggermente arrotolata sulla pancia.
Cassarino gli diede una leggera pacca sulla spalla, rimandandolo ad aggiornamenti successivi.
Edoardo si rese conto di essersi cacciato in una situazione kafkiana [3]: doveva porvi rimedio, ma sapeva che, da solo, non ci sarebbe mai riuscito. In quegli istanti, i suoi pensieri corsero a Vittoria, a quel Primario dal cuore spezzato che, a tutti i costi, voleva confortare e stringere a sé.
«Work my fingers to my bones
I scream with pain.»
Giurò a se stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui qualcuno avrebbe distrutto l'anima di quella donna, che si era dimostrata essere di vetro, proprio come la sua.
Due anime che, a onore del vero, erano più unite che mai.
Piccole note a margine!
[3]: "una situazione kafkiana..." = citazione tratta dal film Chiedimi se sono felice di Aldo, Giovanni e Giacomo.
The etnabooks' Corner!
Finalmente sono riuscita a pubblicare! A tempo (semi)record, ho scritto il capitolo ed è pronto per voi! Scusate, ma è da qualche giorno che non ho il WiFi in casa e mi sento completamente tagliata fuori da qualsiasi cosa... non so neanche come dovrò seguire le lezioni online!
Anyway, un bel colpo di scenah!
* Certo, come se non ce ne fossero stati finora, eh! *
Lo so, lo so, mi piace tenervi sulle spine!
Dubbi, perplessità, domande, curiosità?
Totalmente a disposizione!
Vi voglio bene come sempre e grazie per tutto il sostegno che mi state dando, chi con un commentino, chi con le stelline. Significa davvero tanto per me!
Un abbraccio!
Claudia.
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