1. 𝘐𝘯𝘯𝘶𝘦𝘯𝘥𝘰
Il viso teso, le mani strette in una presa che stritolava la sua cuffia protettiva color della pece, con il logo della band di cui andava pazzo fin dalla nascita. Quella stessa che, il tredici luglio 1985, fece la storia della musica al Live Aid.
Iniziò a sudare, il cuore correva come un corridore alle Olimpiadi, il respiro iniziò a farsi sempre più flebile. Si portò ciò che stava stringendo con forza davanti al viso, cercando di riprendere il controllo di se stesso. Edoardo sospirava e pensava, tremante.
Fissava quella sala operatoria spenta di fronte a lui come il pezzo raro della più rara delle collezioni.
Fissava la spessa barriera trasparente che lo separava da quella stanza in cui venivano eseguiti gli interventi più disparati, dai più semplici ai più complicati.
S'intravedeva anche la sua figura, vestita di toni cerulei; il suo sguardo scrutatore, i capelli un po' scompigliati ma pur sempre composti, gli occhi scuri e piccoli, ma carichi di emozione. Quel giorno, avrebbe finalmente iniziato a toccare con mano ciò che fino a qualche mese prima aveva solo visto sui libri e sui manichini.
Quella forte passione lo caricava, gli faceva tremare le gambe. Quell'anno, era finalmente l'ultimo: avrebbe avuto in mano quell'agognato titolo a cui tanto ambiva fin da bambino.
Chissà cos'avrebbe visto, chi avrebbe mai incontrato, mai fatto. Le domande scorrevano come un fiume in piena, rendendolo incapace di formulare qualsiasi altro pensiero razionale. Non si sarebbe fermato davanti a niente e nessuno: avrebbe dimostrato di potercela fare, di potersi meritare il frutto di quegli anni di studio matto e disperatissimo.
Si toccò i baffetti con il pollice e l'indice della mano destra, percependo i piccoli brividi che i polpastrelli gli procuravano sulla pelle. Sentiva il tremore, peggio di quando il freddo bussava alle porte e lui si armava di cappotti pesanti e cappelli di lana.
Non lo sopportava il freddo, non più di tanto. Ciò che amava era il calore, lo stesso che gli scaldava il cuore quando riusciva a realizzare qualche suo desiderio profondo.
Ciò che aveva di fronte a sé, era esattamente uno di quelli.
«A che pensi, compà?»
Qualcuno lo risvegliò da quel suo stato di trance improvviso, con una sonora pacca sulla spalla.
«Alle tue manate magiche » si lamentò Edoardo, massaggiandosi la zona colpita, il viso corrugato in un'espressione dolorante. Nonostante quel gesto d'amore, ringraziò il suo amico per averlo riportato sulla terraferma. «Delicato, come sempre».
«Oh, non c'è di che» rise Davide, alzando le mani all'altezza del petto. Edoardo scosse la testa e gli sorrise, salutandolo poi con il loro "spalla contro spalla e quasi-braccio di ferro".
Si voltarono insieme a guardare la sala, ferma com'era, nel suo buio.
«Chi l'avrebbe mai detto che saremmo arrivati a questo punto, un giorno?» iniziò Edoardo, respirando lentamente e riprendendo il controllo perso fino a qualche attimo prima. Iniziava a sentirsi bene, come se una nuova linfa vitale gli stesse scorrendo nelle vene, nelle arterie, nel cuore.
«Non ci credo nemmeno io, eppure... » rispose l'amico, sorridendo a sua volta e vedendo la loro immagine pimpante, ma riflessiva allo stesso tempo, sull'ampia vetrata che dava sull'enorme stanza che stavano contemplando.
«Ce l'abbiamo fatta, Davì» incalzò Edoardo, voltandosi verso di lui per completare il pensiero del suo fedele compagno di cazzate, con cui aveva iniziato il percorso universitario e con cui l'avrebbe portato a termine: Davide Campofiorito, il classico esempio di grande bellezza puntellata dall'eterna sfiga. Non si sapeva proprio come facesse, ma appena trovava una ragazza, dopo poco tempo la perdeva. In un solo anno, ne aveva conteggiate circa trenta.
«Quasi, Edo. Quasi» lo corresse il ragazzo, voltandosi a sua volta. Poi, gli poggiò una mano sulla spalla. «Beh, benvenuto al livello finale di Jumanji » scherzò, facendo ridere Edoardo di gusto.
«Se la metti così... forse potremmo anche uscirne senza ripercussioni sulla nostra salute mentale!»
«Andiamo, ci aspettano per il giro della Clinica» lo riprese Davide, portandolo con sé lungo quel vasto corridoio, arteria principale della Clinica Odontoiatrica Universitaria di Catania.
Ogni passo che facevano corrispondeva a un nuovo dettaglio di quella struttura che ammiravano: l'odore di disinfettante e la gente che la popolava, i medici che prestavano il loro servizio. I ragazzi rimasero estasiati dall'armoniosa complessità di quell'edificio. L'interno somigliava a un gigantesco labirinto, pieno di corridoi, stanze e stanzette. Il colore delle pareti era candido e dolce, con venature simili alle onde del mare, il tutto arricchito dai numerosi cartelli che permettevano agli studenti, ai pazienti e allo staff di orientarsi. Le luci a led completavano l'opera, rendendo il tutto fermo, ma tranquillo e rassicurante.
Edoardo vagava per i corridoi con Davide, cercando di rilassarsi. Girava la testa a destra e sinistra, intento a osservare la struttura nella sua interezza. Più avanti, si avvicinò ad una vetrata, dalla quale si poteva osservare un odontoiatra alle prese con un piccolo intervento di routine. Gli studenti all'interno della sala osservavano attenti le mani sapienti del dottore che manovravano gli strumenti ed eseguivano la procedura con delicatezza.
«Che bellezza» disse il ragazzo sottovoce, sorridendo e proseguendo nel suo cammino. I pensieri correvano ai momenti che avrebbe vissuto, a ogni terapia che avrebbe eseguito – e, sperava, nel modo corretto -, a cosa quell'ultimo anno gli avrebbe riservato e lasciato dentro: come nuovo medico, come persona.
Le gocce di sudore continuavano a scorrere impervie e riportarono alla mente l'incubo di un paio d'ore prima, aumentando leggermente i suoi battiti.
Voleva scacciare quelle immagini, ma era quasi impossibile.
Davide si sistemò la divisa dalle tinte turchesi, la stessa del suo migliore amico, legando i lacci del pantalone in un fiocchetto e stirandosi la maglietta a manica corta con il taschino, all'altezza del petto, pieno di penne e blocchetti per appunti. Il suo respiro era lento, calmo. Si massaggiò il viso con le mani un po' tremanti, passando per la sua barbetta scura e arrivando ai capelli neri come il carbone, corti.
Si rese conto del cambio d'espressione dell'amico, divenuto improvvisamente cupo.
«Edoardo, sei sicuro di stare bene?»
«Sì, assolutamente. Ho solo bisogno di riprendermi, giusto un secondo» rispose questi, abbassando il capo. Sul volto dell'altro si dipinse un'espressione ancor più nervosa di prima.
«Avanti, che è successo stavolta?»
Davide si fermò in mezzo al corridoio e si mise le mani sui fianchi. Il suo sguardo divenne tanto penetrante da non lasciare scampo al suo migliore amico. Edoardo sapeva che, se non avesse parlato subito, sarebbe stato perseguitato fino a quando non avesse sputato il rospo.
«Avevo solo le idee un po'... confuse, tutto qui. Ho avuto un incubo mentre facevo il bagno, stamattina, e non è stato per niente piacevole.» Fece un respiro profondo e guardò dritto in faccia il suo migliore amico. «Sarà l'ansia per il tirocinio, non ti preoccupare» rispose Edoardo sorridente, dando una pacca sulla spalla a Davide.
«Devo crederti perché è la verità o solo per farmi stare zitto?» domandò il collega, mentre scuoteva la testa pensando a quanto il suo migliore amico non gliela raccontasse giusta.
"C'è dell'altro, come al solito" pensò, facendo mente locale sul fatto che spesso Edoardo si chiudeva in se stesso, quando qualcosa di forte lo colpiva nel profondo. Quel caso ne era la conferma e, prima o poi, avrebbe scoperto cosa si celava dentro quel suo animo tanto complicato da comprendere che aveva.
«È la pura verità, amico mio. Le bugie te le dico solo a fin di bene, e in casi di emergenza.»
«D'accordo, mi hai convinto» mentì Davide, portandosi Edoardo con sé verso l'ingresso della Sala 1, dove il professor Chinnici li attendeva, assieme agli altri colleghi laureandi.
Con le mani nascoste e la divisa color del mare da tutor con sopra cucito il logo dell'Università di Catania, il docente si mosse con il solo busto per controllare che non ci fossero persone rimaste indietro, dopodiché richiamò l'attenzione di tutti gli studenti.
«Verrete divisi in gruppi da quattro persone. Quando vi chiamo, avvicinatevi a me e poi vi indirizzerò verso le sale operatorie» sentenziò Chinnici, facendo sbucare la cartellina blu che teneva dietro la schiena fino a qualche momento prima. Un sorriso rassicurante prese possesso del volto dell'anziano professore che, in quegli anni di servizio, ne aveva viste di tutti i colori.
Aveva formato tanti medici, aveva assistito agli esami più strani e ai più brillanti. Era uno dei punti di riferimento di quel Policlinico pullulante di giovani matricole e studenti in preda a un esaurimento nervoso. Sulla carta, insegnava Chirurgia Orale; nella realtà, lui era Nonno Andrea, così era stato soprannominato dagli studenti. Saggio e astuto, ma anche dolce come un nonno pazzo d'amore per i propri nipoti.
Edoardo si stringeva le mani e aspettava impaziente di essere chiamato: l'adrenalina era alle stelle e saltellava dalla gioia come un bambino di fronte a una fetta di torta al cioccolato. Davide aveva le mani sul viso, poi sbuffò e si ricompose: per quanto fosse emozionato, non era così bravo a mostrarlo. A quel punto, il professore iniziò lo smistamento dei laureandi.
Delineò i primi tre gruppi, che furono raggiunti da altri docenti e tutor, e furono accompagnati verso le sale prestabilite. Dopo un attimo di esitazione, Chinnici riprese: «Campofiorito, Bellavia, Spampinato».
Edoardo sperava di essere chiamato come ultimo componente, non gli andava di iniziare il tirocinio senza Davide. Avevano iniziato insieme, fin dal primo anno e avrebbero finito insieme, fino al giorno della loro laurea, se non oltre. Lavorare senza Davide significava lavorare nella più completa solitudine. Edoardo fece un respiro profondo e aspettò l'annuncio del professore.
Il professore, osservando con sguardo tranquillo gli ultimi ragazzi rimasti, fece un respiro profondo e poi continuò a leggere. «Insieme a voi tre...» pronunciò inizialmente, fissando Edoardo con i suoi occhi color castagna che riflettevano calma e serenità.
«Rinaldi» concluse poi.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo, strinse i pugni in segno di vittoria e raggiunse il suo gruppo.
«Ragazzi, aspettate qui, vi raggiungerà la professoressa Garozzo» concluse Chinnici, mentre continuava a dividere gli altri studenti.
«Qualcosa non va?» chiese Davide, fissando Edoardo e notando il suo sguardo non totalmente rilassato. I suoi occhi color ambra cercavano di analizzare ogni singolo movimento.
«Diciamo che avevo paura di finire in un gruppo diverso dal tuo. Non mi andava di iniziare senza di te.»
Davide sorrise, scompigliando con forza i capelli al suo migliore amico.
«Sembra quasi una dedica d'amore. Però concordo pienamente, non sarebbe stato lo stesso.»
«Non farti strane idee, Davì» disse Edoardo, inarcando le sopracciglia e rimettendo a posto la capigliatura.
«E chi se le sta facendo?»
E risero, anche se sottovoce.
"Devo ricordargli di fare più piano, la prossima volta" meditò Edoardo tra sé e sé, ripensando ai gesti amichevoli di Davide. L'osservava con le mani sui fianchi, mentre aveva lo sguardo perso da qualche parte, nell'immensità del Policlinico.
Si voltò poi verso l'oggetto delle attenzioni del suo compare, verso il vuoto cosmico dei suoi pensieri. Rivide, per un istante, i due bambini del sogno. Li vedeva correre, giocare, ridere. Cadevano e ridevano, con le mani sporche di terra e che stringevano ramoscelli secchi. Poi, sparirono nelle varie stanze della Clinica, senza che se ne fosse reso conto.
Quei momenti così misteriosi, misti tra felicità e amarezza, non accennavano a sparire.
«Signor Rinaldi, è con noi?»
La professoressa Garozzo lo riprese e riportò con i piedi per terra.
«Sì, prof. Mi scusi» biascicò il giovane, chinando il capo e spostando qualche piccolo capello ondulato dalla fronte.
«Dove eravamo rimasti? Ah, sì!» continuò lei, legandosi la sua chioma bionda in una coda di cavallo, velata di striature scure, come il marmo. «Allora, come vi sentite?» chiese, accennando a un sorriso che non le riuscì affatto.
«Bene, bene, siamo abbastanza emozionati» esclamò Marika Bellavia, a nome di tutti. Nessuno obiettò, anzi tutti confermarono annuendo.
O meglio, quasi tutti. Edoardo roteò gli occhi, cercando di non pensare ulteriormente a chi aveva pronunciato quella frase.
«Fantastico, sono molto contenta per voi. Ma voglio avvertirvi» aggiunse la Garozzo, passeggiando avanti e indietro di fronte ai suoi studenti. Il suo viso somigliava a una distesa di seta rosea, con le lentiggini che le davano un aspetto più fresco e più giovane, sebbene qualche ruga ne interrompesse l'armoniosità. «Niente di tutto quello che vedrete sarà una passeggiata. Tutto quello che avete studiato o che state studiando, durante questi vostri anni di carriera, dovrà essere applicato alla sola ed esclusiva pratica. Alla fine di questo percorso, saprete fare le giuste diagnosi, approcciarvi in modo corretto ai pazienti ed eseguire le migliori terapie. O perlomeno, questo è quello che ci si aspetta.»
Qualcuno guardava verso il basso, qualcuno rifletteva. Erano parole che potevano indurre a mollare, ma l'effetto non era affatto quello. Non doveva essere quello. Mollare non era tra le opzioni disponibili, soprattutto se ci si ritrovava alla fine di un percorso lungo parecchio tempo. Mollare non sarebbe servito a niente, avrebbe solo portato sensi di colpa.
«Bene, adesso arriva il bello. Sappiate che con me lavorerete sodo e tanto. Sarete costantemente osservati, ma non allarmatevi se commetterete qualche errore, salvo la vostra bocciatura» ironizzò la professoressa, incrociando qualche sguardo perso tra i ragazzi. «Anche se state iniziando solo adesso, dovreste capire fin da subito se il vostro approccio è corretto o state sbagliando qualcosa. Quest'anno non sarà come i precedenti, dove vi esercitavate sui manichini e i modellini. Adesso lavorerete su persone vere, quindi state attenti a ciò che fate, per cortesia» concluse, a braccia conserte e guardando fisso gli studenti.
«Peggio della scuola militare» bisbigliò Davide a Edoardo, cercando di non farsi scoprire.
«Sarei tentato a darti ragione, ma voglio vedere come si comporterà più in avanti» rispose lui, allo stesso modo.
«Bene» riprese lei, prendendo un foglio in mano e usandolo come ventaglio. «Oggi pensavo di smistarvi in coppie, ma abbiamo avuto un cambio di programma dell'ultimo minuto. Assisterete a un intervento di rigenerativa ossea[1] e avulsione del dente del giudizio[2]» annunciò con tono perentorio. Edoardo si caricò ancor di più, perché non sempre capitava l'occasione di un intervento del genere.
Anzi, le probabilità di potervi assistere erano pari a quelle di trovare un ago in un pagliaio, o giù di lì.
"Primo giorno coi fiocchi, direi" pensò il ragazzo, mentre nella sua mente iniziarono a scorrere milioni di immagini.
In sala operatoria.
A pochi centimetri di distanza.
L'emozione a fior di pelle.
«Che meraviglia, bel modo di cominciare» sussurrò Davide, già palesemente scazzato. Ma non abbastanza piano da non farsi sentire.
«Signor Campofiorito, lei dovrebbe ritenersi fortunato, perché non solo questo è uno dei casi più rari che possiate trovare qui, ma si è rivelato abbastanza complesso da richiedere l'intervento di medici di alto livello.»
Tutti i ragazzi si guardarono tra loro con aria interrogativa.
«L'intervento verrà eseguito da un dio della Chirurgia Odontostomatologica. O meglio, una dea » riprese poi la Garozzo, mettendosi le mani sui fianchi.
Edoardo e Davide si lanciarono un'occhiata. Quell'intervento attirò la loro attenzione più di prima. E soprattutto si chiesero chi fosse mai quella dea della Chirurgia Odontostomatologica.
"E se fosse una proveniente dal Monte Olimpo dei Chirurghi ?" si disse Edoardo, soffocando una risata. Davide lo guardò, cercando di capire il motivo di tanto divertimento.
«Perché ridi?» sussurrò il ragazzo.
«Non sto ridendo, sono solo emozionato» mentì un po' Edoardo anche se, in fin dei conti, quella risposta aveva un minimo fondo di verità. La voglia di entrare in sala operatoria e assistere in prima fila era fin troppa: avrebbe pagato oro per entrare prima di tutti e osservare il compiersi della magia. Davide, probabilmente, avrebbe optato per una seconda o terza fila, ma alla fine, sarebbe finito per seguire il suo migliore amico, traendone vantaggio – e maledirsi per non averlo ascoltato prima.
«Professoressa?» domandò Edoardo, incrociando le gemme verdi della Garozzo.
«Mi dica, Rinaldi.»
Sapeva di stare per fare una domanda stupida ma, come diceva sempre, meglio avere una conferma, non si sa mai.
«Ci sarà permesso entrare in sala operatoria?»
A quella domanda, la professoressa Garozzo non sapeva né cosa né come rispondere. Abbassò il capo per alcuni istanti e si massaggiò il viso con una mano. Doveva trovare le parole giuste.
«In genere sì, ma per quest'intervento in particolare, la dottoressa farà entrare solamente il personale medico, quindi potrete osservare solo dalla Galleria.»
Edoardo annuì, deluso. Il suo viso si tinse di un'espressione spenta, improvvisamente. Avrebbe fatto di tutto per vedere un intervento chirurgico di quella portata dal vivo. Era una tipologia di interventi non molto frequente tra i laureandi, era talmente rara che addirittura gli specializzandi ne vedevano solo pochissimi casi l'anno. Perdere quell'occasione era come perdersi la finale di Champions League, quasi.
«Oh, yes, we'll keep on trying, yeah
We'll tread that fine line
Oh oh we'll keep on trying
Till the end of time
Till the end of time!»
«Non vorrei essere indisponente ma, come mai non possiamo entrare? È un intervento che non si vede tutti i giorni» domandò, grattandosi la testa e cercando di salvare il salvabile, anche se ce n'era ben poco.
«Signor Rinaldi, sono d'accordo con lei, ma la dottoressa è stata molto chiara. Sul suo lavoro non ammette errori di nessun genere, né transige su nulla. Ma le assicuro che è una punta di diamante, è super preparata ed è un'ottima insegnante» concluse la professoressa.
Edoardo capì che c'era poco da fare. Non voleva mettersi nei guai, ma non voleva nemmeno starsene con le mani in mano. Per cui, per il tempo che seguì prima dell'intervento, pensò a cosa avrebbe potuto dire o fare.
Voleva entrare in sala e voleva imparare. Non voleva che l'inflessibilità di un altro medico glielo impedisse.
«Vedi tu se io devo restare in Galleria per i porci comodi di un chirurgo!» sentenziò senza alzare la voce e fissando la stanza di fronte a loro. Fece il gesto della mano tesa verso la sala operatoria, avendo cura di non essere eventualmente colto in fragrante.
Restò con le mani poggiate sui fianchi, cercando di non dare i numeri.
Il suo migliore amico, d'altro canto, cercava di rasserenarlo...
«Davvero, Edo. Questo è peggio di Jumanji.»
... a vuoto.
«Spero solo che questa dea abbia un valido motivo, per averci tagliato fuori» ribatté Edoardo, massaggiandosi il collo e cercando di immaginare l'intervento da un'altra prospettiva. Era così determinato a voler entrare che avrebbe parlato pure con chi di dovere. Non voleva perdersi nulla, neanche il minimo taglio. Ma decise di sfogare quella sua frustrazione dopo l'intervento, in un altro luogo.
Forse.
«L'hai sentita la Garozzo, no?» gli ricordò Davide, onde evitare altri problemi.
«Eccome. Entriamo dentro, prima che rubino le sedute migliori.»
L'inizio non era diventato dei migliori. Edoardo pensava di cominciare il tirocinio alla grande, con un ottimo intervento in bella vista. Invece, le sue prospettive si erano ridimensionate alla sola Galleria della sala.
Non che quello costituisse una limitazione.
Solo alla sua immaginazione e alla sua sete di conoscenza.
«Through the sorrow, all through our splendor
Don't take offence at my Innuendo.»
Piccole note a margine!
[1]: Rigenerativa ossea = intervento chirurgico atto a ripristinare il tessuto osseo mancante, nel caso in cui il medico decida di installare degli impianti per sostituire dei denti mancanti.
[2]: Avulsione del dente del giudizio = intervento in cui il dente del giudizio viene rimosso dal proprio sito di crescita, a scopi preventivi o curativi, a seguito di infezioni.
The etnabooks' Corner!
Ebbbbuongiorno, amici miei!
Sono tornata, finalmente!
Sono emozionatissima, non vedo l'ora di ricevere i vostri feedback!
Ce la faremo, questa volta? ^^
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