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3. L'egocentrico e la snob

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L'egocentrico e la snob

Io non lo seppi allora,

(...) ma ero già cosa sua.

CESARE PAVESE

–  E quindi la signora ti ha fatto gli occhi dolci per tutto il tempo? – Celeste chiese conferma.

–  Già. Mi ha detto che ho un viso da bambina e che sono bellissima. Ha urlato nella direzione del figlio che dovrebbe trovare una fidanzata come me.

–  Cazzo, non ci credo! – Diletta si riprese dall'attacco di ridarella che l'aveva sommersa fino a quel momento. – È il giusto prezzo da pagare per non averci aspettato!

Sbuffai, poi le diedi una gomitata. – Non l'ho visto, ti ho detto! Cioè, c'era... ma...

–  Ma te la sei fatta sotto. – mi sgamò.

–  Dì un po', quanto sono strambi i Principe? – Celeste si rivolse al suo quasi ragazzo. Ci aveva raggiunto dall'università.

–  La mamma lo è, ma quel che basta. È una tipa simpatica e, anzi, è difficile che sia così docile ed entusiasta. Non approva le scelte di Nick, soprattutto in fatto di ragazze. Ecco perché lui tende a non presentargliene mai nessuna. Sono certo che sarai assunta se ti ha preso in simpatia.

Gabriele aveva i capelli di un castano dorato, occhi verdi, una spruzzata di lentiggini sul naso greco e un sorriso buono. Era simpatico, alla mano, e responsabile. Delle tre, Celeste era sempre stata quella delle relazioni stabili. Non che io non ne volessi una, ma attiravo poco i ragazzi ed ero piuttosto l'esca per raggiungere Diletta, la sexy e volubile del trio: la stabilità in amore le faceva paura.

–  Hanno ancora due settimane per decidere e non conterei troppo sulla madre; è Nicholas che si occuperà del locale, da come mi ha detto il padre.

–  Se piaci a sua madre, per lui sarai la scelta perfetta! Malgrado tutto, ci tiene alla sua opinione. E poi qui si tratta di lavoro, non di relazioni o serate... piccanti. So che Cele ti ha raccontato qualcosa su di lui. – alluse, guardandomi con fare divertito.

–  Qualcosa. È un tipo festaiolo, eh?

–  L'anima della festa. – mi rispose.

–  E, a parte le feste e le relazioni piccanti... lui com'è?

Diletta e Celeste fermarono il loro incedere, prendendo a fissarlo. Lui scrollò le spalle e fece un sorrisetto.

–  È un tipo a posto.

–  Ma perché voi maschi siete sempre così ermetici? – lo apostrofò Diletta.

–  Cosa vuoi che ti dica? Non basta dire che sia un tipo a posto?

–  No, ovvio. Dicci di più.

Gabriele sbuffò. – È l'unico che mi faccia ridere a crepapelle, è spontaneo e divertente. Non è un bullo o qualcosa del genere. Si sta bene in sua compagnia, anche se dice molte parolacce ed è il classico che se può metterti in imbarazzo lo fa molto volentieri.

–  Visto che non era difficile? – lo rimbeccò la mia amica.

Celeste gli diede un bacio sulla guancia a mo' di ringraziamento. Lui le sorrise con fare sdolcinato.

–  Quindi, giusto per avere un'ulteriore conferma, il tuo amico... sa che saremmo venuti a trovarlo oggi pomeriggio? Che io sia in cerca di lavoro? – fu la mia ultima domanda. Tornai per un momento a sentirmi un'impicciona che aveva ficcanasato anche solo un po' nella vita di un estraneo.

Annuì. – Lo sa. È curioso di conoscerti, mi ha detto.

Sorrisi forzatamente. Odiavo quel mio sentirmi in imbarazzo, in ansia, a disagio con pochissimo.

Gabriele bussò contro il vetro della porta, avanzando all'interno della caffetteria. Fui l'ultima a entrare e a sollevare lo sguardo. Ero imbarazzatissima. 

Rispetto alla mattina c'era maggiore disordine: sedie accatastate alle pareti, della polvere sulle mattonelle del pavimento, piante spostate, un secchio che traboccava acqua e... un ragazzo... che era incollato come una ventosa alla bocca e a tutte le altre parti del corpo di una sventola dal sedere alla Jennifer Lopez. 

Erano un intreccio di mani, di palpamenti e di 'smack' vomitevoli. Nulla a che vedere con l'accoglienza che mi avevano riservato i signori Principe.

La scena mi sconcertò. Non che non avessi mai visto due limonare in quella maniera. In facoltà li vedevo ogni giorno: in qualche modo bisognava digerire Catullo e Manzoni. Tuttavia, fu lo spettacolo in sé, le mani del ragazzo sulla pelle di lei, le mani di lei nei suoi capelli, le gambe allacciate ai fianchi di lui, i suoni che sembrarono riecheggiare nelle pareti come in mattina era riverberata la voce di Calcutta. Avevo sempre creduto che momenti così intimi dovessero restare tali, discreti, non così plateali. L'attività non era ancora in funzione, eppure il bar era aperto. Farsi trovare in quel modo più consono a un motel mi lasciò con un senso di fastidio nello stomaco. Egocentrico. Avevo già creato diverse etichette per Nicholas: festaiolo, estroverso, esibizionista. Si aggiunse egocentrico. Prese a lampeggiare come le insegne al neon dei sopracitati motel.

Io e le ragazze ci scambiammo un'occhiata eloquente. L'unica del trio ad essere più divertita che disgustata era Diletta, da sempre attratta dai ragazzi grezzi. A essere onesti anche Celeste non era disgustata, piuttosto curiosa. Ero la sola a essere nauseata.

Gabriele si imbracciò il coraggio di spezzare il momento idillico, e con un sonoro colpo di tosse attirò l'attenzione del suo amico che, con un ultimo bacio sulle labbra della stangona, posò i suoi occhi su di noi. Sul suo amico e poi su noi ragazze. Li spalancò in un gesto di sorpresa e ci si avvicinò.

–  Scusatemi, ma non sapevo quando saresti venuti e le labbra di Tatiana sono imperdibili! – ci tenne a far sapere, con aria goliardica. Si fece vicino, cingendo le spalle del suo amico.

La ragazza, Tatiana, si voltò a sua volta, facendo una risatina soddisfatta. A occhio e croce era più sugli 'enta' che sugli 'enti' ed era perciò chiaramente più grande di lui. Era bella, ma in qualche modo... finta. Le sue sopracciglia erano disegnate a matita in una linea tondeggiante che ricordava la moda anni '90 che le voleva sottili, stravolta solo anni dopo da Cara Delevingne e Lily Collins a favore di noi 'sopracciglione' munite. Gli lanciò un sorrisetto, mosse le dita delle mani nella sua direzione e se ne andò senza salutarci.

–  Quand'è che smetterete di risucchiarvi la faccia tu e Tatiana? – gli chiese Gabriele, con aria accigliata. Era una finta: era chiaramente divertito.

–  Smettere? Esiste forse un limite al piacere? – il suo amico vestì i panni di una versione mediocre di Oscar Wilde. – Comunque, ce l'hai fatta alla fine! Io sono Nicholas Principe, incantato di conoscervi. – fece un inchino.

Fu sufficiente quello a farmelo stare antipatico, insieme al bacio plateale che lo aveva confermato ai miei occhi come lo spaccone di una classica commedia dozzinale. Cosa aveva da inchinarsi? Forse sperava di fare il simpatico, giocando con il suo cognome e con quelle stupide corbellerie legate al titolo che ricordava. Solo che assomigliava più a un giullare che a un principe. Non finì qui. Assunse un'aria baldanzosa, accingendosi a fare qualcosa che mi lasciò di stucco.

Gabriele fu sul punto di presentarci, ma Nicholas lo interruppe con un gesto della mano. Prese quella di Celeste, salutandola con un entusiasmo che trovai eccessivo, condito da battutine che le provocarono un imbarazzo che la fece arrossire insieme a Gabriele. Seguì poi a farle un baciamano che mi portò a sbattere le ciglia e a corrucciare la fronte.

Poi passò a Diletta che non trattenne un risolino di eccitazione e che si apprestò a ripetergli il suo nome con fare lento e seducente.

Fu la prima volta che lo guardai da vicino. Mi chiesi se fosse più idiota di come lo avessi figurato nella mia mente o se fosse solo un piantagrane. Entrambe le cose, mi suggerì il cervello. Guardò entrambe le mie amiche negli occhi, ostentando un atteggiamento da cavalier servente che si scontrò con quello volgare che aveva tenuto prima con così tanto orgoglio.

Quando arrivò il mio turno, quasi non mi accorsi di come la mia mano sinistra, come se avesse preso vita propria in stile Mano, il personaggio de La Famiglia Addams, si fosse infilata nella tasca dei jeans.

–  Scusa, ma i veri gentiluomini non hanno bisogno di fare il baciamano! – ci tenni a fargli sapere, nascondendo anche la mano destra.

Mi rivolse un'occhiata sorpresa, poi lasciò che un sopracciglio scuro si tendesse verso l'alto. Rimase ancora chino nella mia direzione e così vicino fu inevitabile scandagliare il suo aspetto.

Era tutto – tutto – fastidioso in lui. Ogni piccola cosa che mi diede l'agio di analizzare.

Aveva gli occhi di un marrone così cupo che iride e pupilla erano quasi – ci mancava davvero pochissimo. – inconfondibili. Le occhiaie – figlie di notti brave, immaginavo. – davano allo sguardo un'aria che a me avrebbe fatto sembrare uno zombie, ma che a lui donava l'aspetto da ragazzo vissuto, in quello stile alla Marlon Brando in quei film in cui interpretava il ragazzaccio di turno. I capelli erano mossi, dalle punte arricciate in quelle onde morbide e vaporose che io ci avrei messo una vita per ricreare e che mi sarebbero durate sì e no due ore, ma che lui ostentava con naturalezza. Erano abbastanza lunghi da sfiorargli la nuca in un taglio che ricordava i capelli dei frontmen selvaggi delle rockband, e possedevano una tonalità castana molto vicina al corvino, che permetteva alla luce di riflettersi antipaticamente su ogni ciocca. Gli ricadevano sulla fronte sfiorandogli le ciglia, lunghe abbastanza da adombrare il suo sguardo malizioso e furbo. Una barba incolta gli colorava le guance, affilate da due zigomi ben definiti e da due bassette poco più lunghe di quello che prevedeva la norma moderna, e che enfatizzavano due fossette antipatiche che gli scavarono le guance non appena rise di quanto gli avessi detto.

Sbattei le palpebre per scacciare i suoi contorni e i suoi colori. Non volevo che si imprimessero troppo nella mia mente.

–  Chi ti dice che sia un gentiluomo? – sghignazzò. – Gabriè, gliel'hai detto tu? Mi rovini la reputazione, amico mio!

–  Lo sai che non dico bugie! – gli rispose il suo amico.

–  Oh, beh, allora la signorina si è fatta un pensiero sbagliato! Pazienza, –   fu il suo turno di mettere le mani in tasca e di prendere le distanze. – non sei neanche il mio tipo! – mi indirizzò un occhiolino antipatico a cui risposi con un'occhiata torva.

–  Il baciamano non è un gesto da gentiluomini, allora? – rimbeccai.

–  Cosa? – apparve confuso.

–  Il baciamano. Non è un gesto da gentiluomini... o non dovrebbe, a livello teorico, esserlo?

–  Può esserlo. Ma l'averlo fatto non mi identifica come un gentiluomo. È un gesto carino e mi diverte. – fece spallucce come se la sua fosse una giustificazione inopinabile.

–  Ah, ti diverte! – sbuffai una risatina sarcastica. Deturpare il romanticismo dietro un gesto del genere mi irritò. – A onore di cronaca: non sei neanche tu il mio tipo, puoi stare tranquillo! – non lo era affatto. Non aveva capelli biondi, occhi chiari e una bellezza nordica. In più, era chiaramente il classico tizio adatto più a un circo che a un caffè letterario, il locus amoenus dove avrei voluto incontrare la mia anima gemella.

Qualcosa gli attraversò lo sguardo. Socchiuse gli occhi, studiandomi come mi accinsi a fare anch'io con lui. Poi scosse la testa e prese a parlare con Gabriele, gesticolando animatamente.

Di profilo intravidi dei piercing all'orecchio destro: tre helix e un industrial. Portava degli anelli d'acciaio alle dita, in alcuni punti macchiate da qualcosa di simile all'inchiostro o alla tempera, e le unghie erano mangiucchiate. Sul braccio destro rampicavano dei tatuaggi, ma non mi presi la briga di guardarli troppo. Solo uno si fissò nella mia mente, data la sua grandezza. Era un serpente. Si attorcigliava attorno al suo avanbraccio, puntando la bocca dalla lingua biforcuta sul polso.

Diletta e Celeste si voltarono nella mia direzione, studiandomi a loro volta senza trattenere delle risatine divertite. Fui sul punto di levare le tende, consapevole che io e quel tipo fossimo troppo diversi per lavorare insieme, rimangiandomi così l'affermazione che contasse solo lavorare e facendo vincere l'orgoglio, quando il gentleman riprese parola.

–  Sei tu, quindi, che cerchi lavoro? – mi domandò.

–  Posso trovarne tranquillamente un altro. – lo informai.

–  Bene. Tanti saluti, allora. – sorrise minimante preoccupato.

Girai sui tacchi, ma le mie amiche mi tirarono per i gomiti, biascicando a denti stretti che avevo due scelte: fare la persona adulta o lasciare che Diletta mi garantisse un confortevole posto sotto i ponti, vista cassonetti della spazzatura e ratti golosi di scorze avariate di groviera. Ripensai ai miei genitori. Poi a Matilde. Oh, quanto mi dispiace! Oh, poverina! Non era detto che non mi avrebbero chiamata in altri posti, ma il Modigliani aveva un'ubicazione perfetta e i suoi legittimi proprietari erano stati gentili con me. Se ci mettevano anche le mie amiche, dovevo decisamente fare la persona matura.

–  In effetti sì, cerco un lavoro. – tornai sui miei passi.

–  Oh, che meraviglia! Il tuo nome? – dondolò sui talloni. Tracotanza, ecco cosa emanava.

–  Nick, te l'ho detto come si chiama... –   intervenne Gabriele.

Ricevette in risposta una gomitata. – Lo deve dire lei.

–  Agnese. – bofonchiai.

–  A– gne–se. – lo sillabò. –  Il tuo cognome?

–  Molinari. – sollevai il mento.

–  Non mi dire! Sei la ragazzetta che ha fatto breccia nel cuore di mia madre!

Non risposi. Riprendemmo a studiarci per i secondi successivi. Poi una ruga gli increspò la fronte e la sua espressione si fece perplessa.

Spalancò gli occhi. Li sgranò a poco a poco, facendosi d'improvviso vicino, così tanto che riuscii a malapena a indietreggiare con la schiena.

Superava il metro e ottantacinque di due, tre centimetri. Mi sovrastava con la sua altezza, ma fu in grado di farlo anche quando si inchinò nella mia direzione e mi fissò dritto negli occhi. – Cazzo, ma io ti ho già visto!

Deglutii a vuoto, avvertendo il suo respiro solleticarmi la faccia e il suo profumo di dopobarba schiaffeggiarmi le narici. Non avevo il viso di un maschio così vicino da quando mi ero lasciata con Gianmarco. Lo guardai meglio. No, non lo conoscevo. Dove mi aveva vista? Feci un passo indietro, ma mi fermò con ciò che disse.

–  Tu sei la snob!

–  Cosa? – fu il mio turno di allargare gli occhi.

Mosse le pupille nelle mie. – Ma certo! Tu sei quella rompipalle che mi ha rimproverato al bar dell'università. Oh oh, guarda com'è piccolo il mondo! – tornò a frapporre la giusta distanza tra i nostri corpi.

Fu a quel punto che ripresi a respirare e che le sinapsi si riattivarono. Mi diedi un'occhiata attorno in cerca di un aiuto – non sapevo neanch'io quale. – e non appena intravidi un berretto da tennista appeso all'attaccapanni vicino alla porta e uno zaino nero pasticciato, buttato in un angolo, capii che il mondo non solo fosse piccolo, ma fosse proprio sadico.

Diletta e Celeste mi guardarono interrogative, ma mi limitai a scrollare le spalle.

–  Deve essere il mio periodo fortunato. – borbottai, tornando a guardarlo. – Incontrare i maleducati è sempre un piacere.

–  Maleducato? Ah già! Com'è che mi hai definito? Ingombrante, scortese ed egocentrico. – rise come un bambino contento di essere stato rimproverato.

–  Mi sono contenuta! – rimbeccai.

–  Ah sì? – incrociò le braccia sul petto, facendo tendere sui bicipiti antipatici il tessuto della maglietta nera. – E cos'altro avresti voluto dirmi, signorina snob del...

–  Nick, da bravo! – Gabriele lo fermò, stringendogli la spalla.

Non mi ero accorta che in quel momento tutti ci stessero guardando come se fossimo in un campo da tennis.

–  Giusto, giusto! Devo fare il cavaliere, me lo dice sempre la mamma! Dunque, –   si schiarì la voce con fare affettato. – Agnese. Che nome da principessa, a proposito! – si prese dei secondi per vedere se avrei reagito. Poi continuò a sorridere, fastidioso. –  Agnesina, ti voglio chiamare così: ti sta meglio con la tua faccia da bimba, come l'ha definita mia madre.  Dunque... cosa sai fare? A parte la snob, si intende.

Sentii un famigliare formicolio diramarsi lungo tutto il corpo, ma non fiatai, né mossi un muscolo. Rimasi ferma, a guardarlo in silenzio, finché Diletta non mi diede una gomitata. Mi accinsi a rispondere, ma il barbaro mi precedette, scocciato e insolente.

–  Te la faccio più semplice, dato che i cervelli delle rompipalle sono più... contorti. Agnesina, sai servire ai tavoli e lavare i piatti? O a Palazzo vi insegnano solo a tenere in equilibrio pile di libri sulla testa?

Fui pronta a sollevare il terzo dito nella sua direzione quando Diletta mi lanciò un'occhiata eloquente. Rispondi o vivrai con i topi.

–  Non sono una principessa e non mi chiamo Agnesina e... so fare ciò che hai detto. – risposi lenta.

–  Tenere dei libri impilati sulla testa? – continuò a punzecchiarmi.

–  Anche! – decisi di stare al suo gioco. – Il posto come cameriera è disponibile, o c'è Tatiana con cui dovrò competere? Sarò una rompipalle, ma sono eccellente in qualsiasi cosa. – fu il mio momento di sorridere.

Lo vidi ridacchiare con fare insolente. – Devo pensarci. Abbiamo una fila di persone che vogliono lavorare qui. Il Modigliani sarà un posto gettonatissimo.

–  Bene, allora add...

–  Però, – mi fermò, tornando a fissarmi il viso con insistenza. – sento che tu sia la persona giusta per lavorare alle mie... dipendenze. – scandì bene la parola. –  Presentati fra due lunedì alle sette in punto. Farai una settimana di prova. Un passo falso, una tazzina rotta, una macchiolina sui piattini e... Tatiana sarà lieta di prendere il tuo posto. Se farai la brava, invece, firmerai un bellissimo contratto. – mi indirizzò un altro insopportabile occhiolino.

–  Vedo già la mia firma. – arricciai il naso in una smorfia vincente, quella che Andrea diceva che sin da bambina mi rendesse troppo antipatica.

–  Ottimo! Andremo d'accordo, ne sono certo! D'altronde io sono scortese, ingombrante e maleducato, e tu sei una perfetta principessina snob. Non potranno che esserci scintille. – sorrise, usando senza saperlo la stessa immagine che aveva usato Celeste.

Quando pensai che finalmente avrei potuto tagliare la corda, posò di nuovo il suo sguardo su di me.

–  Ah, ti hanno mai detto che assomigli a Coraline? Sai, quella del cartone animato!

Mi imbarazzai. Con quel paragone riuscì a farmi sentire addosso tutto il peso di quelli che avevo sempre percepito come difetti: le orecchie a sventola, i capelli troppo lisci e sottili, il corpo troppo acerbo.

Ho un ottimo udito, ho il taglio alla Sophie Marceau ne Il tempo delle mele e mamma dice che ho il portamento di una modella, mi ricordai.

–  A te hanno mai detto che assomigli a un idiota? A un idiota con le orecchie da elfo! – ricambiai, concentrandomi sulle sue orecchie un po' a punta.

Lui rise, come se lo avessi solo divertito.

🐰🎒

Ave!

Questo venerdì doppio aggiornamento perché ci tenevo troppo, anzi ci teneva troppo a farsi conoscere: proprio lui, signore e signori, Nicholas – sono un grezzo sboccato – Principe.

Che ne dite? Che ne pensate?

Siamo agli inizi, però abbiamo già qualche piccolo frammento di Agnese e Nicholas: lei rompip... scatole, studiosa, abbastanza attenta da fare scioperi e proteste da quando andava alle superiori per lo sperpero della plastica e dell'acqua, innamorata pazza dei libri belli, osservatrice, vittima di parole pesanti.

Lui sboccato, sfacciato, stonato – se non si impegna. – grezzo abbastanza da baciare una tizia più grande di lui nel suo locale. Con lui ho un rapporto odi et amo. È il mio protagonista più sboccato e quindi mi costringe a tirar fuori un repertorio di parolacce che non mi appartiene nella quotidianità, ma allo stesso tempo è proprio per questo che lo adoro: mi fa uscire dalla mia zona di comfort come autrice.

Spero che le vostre impressioni su questa storia siano positive e che tali si confermeranno 💛

Per ogni commento sono sempre qui e su Instagram: taryn_scrive.

Dominus vobiscum,

Rob

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