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pensieri di sangue, cenere e sesso


Fatta di incubi e ombre profonde,
cammino silenziosa tra creature immonde.
I miei occhi sono fiamme di terrore
il mio respiro gelido di un eterno dolore.
Ombre e paure sulla mia pelle intrecciate,
nel buio del sonno ti saranno svelate.

_____________________

C'era qualcosa di sottilmente soddisfacente nella quiete di quel posto ed era l'unico motivo per cui trovava piacevole recarsi lì: quella specie di catapecchia che la Lega usava come rifugio era abbastanza fuori mano, raggiungibile dalla città solo passando attraverso un piccolo caseggiato abitato solo da vecchi e percorrendo una strada che si snodava tra gli alberi.

Stavolta, però, aveva totalmente sbagliato il calcolo dei tempi, trovandosi ad essere largamente in anticipo rispetto all'orario pattuito con Shigaraki.

Così s'era seduto su ciò che di un divano aveva solo il tenue ricordo, tanto era malconcio. Ma era meglio di niente: portò all'indietro la testa, i capelli scuri ancora umidi gli provocarono piccoli brividi sulla nuca, mentre le labbra si poggiavano sul collo della bottiglia ambrata, suggendo il primo sorso di quella meritata birra.

Solo all'udire la porta d'ingresso che si apriva con un sinistro cigolio, Dabi alzò il capo dallo schienale e puntò gli occhi azzurri dritti sulla figura che stava entrando e che s'era resa conto solo in quel momento di avere compagnia: «Ah, cazzo!».

La sagoma nera di una persona era incorniciata dalla porta aperta, illuminata dalla luce giallastra e tremula dell'unica lampadina di quella specie di salotto. Dabi non era certo che fosse una persona, anche se, dai suoi contorni sinuosi, dava tutta l'impressione di essere una ragazza.

Tutta la figura era di un nero profondo, tanto saturo che sembrava inghiottire ogni particella di luce che la sfiorava, fatta eccezione per gli occhi, due luminosi punti bianchi, spalancati di incredulità. Fu nell'esatto istante in cui quella cosa sembrò incrociare il suo sguardo che lui ebbe la certezza che quella creatura fosse ben lontana dall'essere una persona.

«E chi cazzo sei tu?», scattò a sedere, la schiena rigida, i muscoli tesi e il sangue che iniziava già a scaldarsi nelle vene.

La figura sembrò rilassare le spalle e chiudersi la porta dietro la schiena, avanzando verso di lui con passo leggero. «Un incubo.».

La voce era femminile, ma bassa, un po' grattata in gola, come se avesse le corde vocali infiammate e cercasse di risparmiare fiato e voce per le cose importanti.
Ogni volta che si muoveva, piccoli sbuffi e volute di fumo nero danzavano attorno ai suoi contorni.

Dabi si morse l'interno della guancia, un ringhio accompagnò una debole fiamma sul suo palmo. «Un incubo? Cosa cazzo vuol dire?».

La voce femminile non rispose alla sua domanda, ma lui la vide spostarsi elegantemente verso il frigorifero scrostato, aprirlo e cercare una lattina di birra. «C'è qualcun altro qui oltre a te e alla tua faccia da culo?».

Le fiamme tremolarono sulla sua mano destra, mentre batteva la bottiglia sul tavolino con troppa forza, alzandosi poi di scatto, l'espressione sul suo volto che virava al collerico: «Cosa cazzo hai detto?».

Gli occhietti di luce si assottigliarono, la lattina di birra sembrava fluttuare all'interno di un buco nero. «Ho detto che hai una faccia da culo. E alla luce fai ancora più paura.», poi bevve. O almeno così sembrava a Dabi, che però era troppo preso dal controllare le proprie fiamme che, in quel momento, brillarono di un azzurro intenso su entrambe le braccia.

«Oh! Pensi che io faccia paura? – ma il sarcasmo era palpabile – Non hai visto niente, sgorbio!», e con un movimento lento dei polsi, le fiamme si intensificarono. «Potrei incenerirti in questo istante se lo volessi!»

La risata di quella cosa era strana, profonda ed annoiata. «Provaci. Ma sono un incubo, e i brutti sogni non possono essere uccisi. E tu ne sai qualcosa, giusto?».

Quella frase lo fece trasalire, le fiamme vacillarono  per un momento, affievolendosi prima di riprendere maggiore intensità; si avvicinò a quella figura, un passo cauto dopo l'altro, il calore delle fiamme che riscaldava a poco a poco la stanza.
C'era dell'incoscienza nel suo muoversi, perché si ritrovò ad essere agitato, sordo a quella sensazione viscerale che gli faceva rizzare i peli della nuca, quello che poteva essere timore mascherato da una smorfia malevola sul suo viso deturpato dalle cicatrici.

Era come se l'angoscia sepolta sotto strati di terra e cenere fosse stata riesumata tramite un badile conficcato nel suo stomaco. «Un brutto sogno, eh? – le fiamme attorno alle sue braccia si fecero più intense e tremolarono, le punte delle fiammelle rilucevano di un riflesso tendente al bianco – Vuoi provare a combattere, ah?».

La figura scosse quello che lui ricollegò essere la testa, gli occhi di luce chiusi per un breve istante: «No, non voglio combattere. Sto solo cercando il tuo capo.».

«Il capo? Intendi Shigaraki?», e le sue labbra si tirarono sui denti, mentre un ringhio gli usciva dalla gola.

«Sì. Ma sembra che tu sia l'unico qui. Peccato.».

Dabi strinse gli occhi: «Puoi parlare con me.».

«Non mi interessa parlare con te. Ho una questione da discutere con Shigaraki.».

«Che questione?».

«Un lavoro.»

«Un lavoro? Per te? – rilasciò una risata di scherno – E cosa potrebbe mai volere da te, uh?», alzò un sopracciglio, le fiamme pericolosamente vicine a quel fumo nero, sempre più calde e luminose.
Ma né le fiamme né il calore ebbero effetto su quella creatura.

Gli occhi di luce si piantarono nei suoi: «Un lavoro furtivo

La risata di Dabi amplificò il tono derisorio delle sue parole: «Lavoro furtivo? Pensi di essere tanto capace? Di furtivo non hai proprio un cazzo!».

«Penso che tu debba scendere dal piedistallo, Dabi. – rimase interdetto a sentire il proprio nome pronunciato con tanta sufficienza - Spegnere le tue fiamme del cazzo e comportarti da persona civile. Tu non hai la più pallida idea di cosa io sia...».

«Piedistallo? – sputò, avvelenato nel tono e irritato dai modi di quella entità – Parla quello che continua a proclamarsi incubo! E se conosci anche solo il mio nome, saprai bene che non è esattamente civile l'aggettivo che mi descrive!».

L'ombra sembrò scuotersi, come se alzasse le spalle con noncuranza, mentre la lattina di birra finita veniva stritolata da degli artigli sottili e neri come la pece.

Fu la goccia: le fiamme danzarono sulle sue braccia e colpirono in pieno la figura nera, che divenne inconsistente come fumo, avvolgendo e spegnendo il fuoco, scomparendo dalla vista di Dabi in un battito di ciglia e lasciando solo quella voce rauca a riempire la stanza: «Visto? Capisci adesso che vuol dire che non puoi uccidere un brutto sogno?».

Dabi rimase immobile, osservando la stanza, girando su se stesso alla ricerca di quell'entità che adesso pareva svanita definitivamente. «...come hai fatto? – mormorò – Non può essere...», sibilò.

«BOOH!».

Si girò all'istante, mentre la creatura prendeva forma esattamente dietro di lui, facendolo sobbalzare.

«Come... - sbatté le palpebre – Chi cazzo sei? E che cosa ci fai qui?».

La parte bassa del fumo nero sembrò prendere consistenza, lasciando intravedere due piedi esili, scalzi, che scalpicciavano leggeri sul pavimento sporco.

«Te l'ho detto. Shigaraki mi ha ingaggiata per una missione. Lo aspetterò qui. Non dovrebbe tardare molto.».

Dabi assottigliò gli occhi, incuriosito. Così era quello l'impegno che il suo capo aveva menzionato nel messaggio?

«Ti ha detto lui di aspettarlo qui?», e vide il fumo tornare a coprire quei piedi pallidi, lasciando scoperta un'estremità, un braccio, il destro, mollemente appoggiato allo schienale del divano dove l'entità si era seduta. Quelli che prima erano lunghi artigli ossuti, ora erano dita affusolate, le unghie lunghe e leggermente appuntite erano dipinte con smalto nero.

«Sì, stavolta mi ha proprio detto "Vieni direttamente alla base per il report settimanale".», rispose con ovvietà.

Report settimanale? Che cazzo voleva dire?

Dabi strinse la mascella: «Non mi ha detto nulla. A dire il vero non ha mai detto un cazzo su qualcuno come te. – fece una pausa – Ma se davvero lavori per lui come dici... Dimostramelo.».

Il polso diafano si mosse e la creatura gli mostrò il dito medio: «Fattelo bastare.».

«Ehi! - Dabi fu colto alla sprovvista da quel gesto impertinente e, con un paio di falcate, si avvicinò al divano, guardando quella cosa dall'alto – Questa non è una prova!». La frase gli uscì forse un po' troppo stridula e udì quella cosa ridacchiare.

«Shigaraki non ingaggerebbe mai qualcuno di tanto idiota.».

«Però ha ingaggiato te, quindi...».
Ci mise qualche istante a focalizzare l'offesa, allungando in fretta la mano infiammata e afferrando ciò che poteva sembrare il collo di quella massa scura.

Le sue dita strinsero qualcosa, ma l'unica cosa che percepì fu un freddo mortale sulla pelle, tanto da ritrarre la mano quasi immediatamente, osservandosi il palmo spento.

«Se stai lavorando per il capo, – ringhiò con tono di sfida – allora dimostramelo. Dimmi dov'è.».

«Ah beh, per me Shigaraki può anche essere lì fuori a rubare caramelle ai bambini e a spaventarli. L'unica cosa che mi serve sapere è che lui non è qui. E tu mi annoi. Vuoi testare che cosa? Il mio lavoro? O la mia fedeltà a lui?».

«Entrambi.», gorgogliò, gli occhi azzurri sempre fissi sulla creatura «Hai detto che non vieni mai qui. Perciò ti incontri da un'altra parte, di solito. E c'è solo un posto che lui ritiene sicuro e che nessuno conosce. – fece una pausa e un sorriso sghembo gli deformò le guance – Per cui dimmi il posto e forse, forse!, potrei risparmiarti.».

Gli occhi di luce divennero due fessure prima di spalancarsi di nuovo. Avrebbe perfino detto che quella creatura stesse sorridendo per come i suoi occhi sembravano curvarsi.

«La sala giochi tra la quinta e lo sportello dello UFJ Financial Group. Di solito ci passa almeno metà pomeriggio, provando a giocare a Tekken, ma perde sempre e s'incazza. Se ha ritardato, forse oggi è riuscito finalmente a battere un qualche boss del cazzo. Poi passerà dal combini sulla terza e poi tornerà qui, si butterà sul suo letto, strafogandosi di puff corn al formaggio e giocherà con la Switch fino a quando non avrà abbastanza fame da degnarsi di scendere per la cena.».

Gli occhi di Dabi si spalancavano man mano che quella creatura parlava, tentando di celare lo shock sulla sua faccia, inutilmente.
«Come... Come cazzo fai a saperlo? Stai...», esalò, la voce tremolante.

«Mentendo? Oh, no. In verità sapere dove ciascuno di voi si trova è parte del mio lavoro.».

Di nuovo le fiamme divamparono sui suoi palmi e sulle braccia, crepitando mentre le sue parole erano così basse da essere scambiate facilmente per un ringhio prolungato: «Il tuo lavoro? Sei una fottuta spia! Ecco cosa sei! Chi ti manda?».

Con voce calma, la creatura scosse la testa: «Io? Una spia? Oh, beh... Non come la intendi tu, ma sì.».

«Dimmi per chi cazzo lavori.».

«La voro per Shigaraki. – il dito acuminato si mosse nella sua direzione - Ma durante la doccia ti sei lavato le orecchie o sono ancora piene della tua cenere di merda?».

«Io ci sento benissimo, idiota. Dimmi il tuo nome, invece.».

L'ombra tremolò, mentre sembrava sistemarsi meglio sul cuscino logoro: «Tu puoi chiamarmi Incubus.».

«Che nome del cazzo.».

«Sempre meglio del tuo, Da-bi. E io che speravo di aspettarlo qui in santa pace... uff!». Rilasciò esasperazione assieme a quel sospiro e vide la creatura chiudere gli occhi per qualche istante, prima che quello sguardo di luce gli si posasse di nuovo sul viso. «Potresti abbassare le fiamme?».

«No.».

«Senti: hai appurato che non sono una minaccia, giusto? In più, il mio potere non è per nulla offensivo, quindi... Tregua?.», fece la creatura, gesticolando col braccio umano prima di allungarlo in segno di accordo.

Dabi si limitò a spegnere lentamente il fuoco che gli correva sulla pelle, continuando ad osservare quello sgorbio di fumo sul loro divano, prima di seguirlo con lo sguardo mentre si alzava e frugava nel piccolo angolo cottura come se fosse casa sua.
«Non sei mai venuto qui, ma sembra che tu abbia dimestichezza con la nostra cucina.», lo schernì.

«Non ho detto questo. Ho solo accennato al fatto che non è qui che ci incontriamo di solito. Mi confermi la tua scarsa intelligenza così!».

«Attenzione. Ti stai prendendo troppe libertà.» e lo vide solo alzare le spalle fumose, prima di notare che teneva tra le dita di buio la bottiglia di vodka e due bicchieri, che posò sul tavolino basso di fronte al divano, prima di risedersi con un lungo sospiro.

«Hai detto che devi fare il tuo report settimanale. Puoi essere meno...vaga?».

«Sei Shigaraki? Non mi pare. Non dirò nulla a nessuno che non sia lui.», e versò il primo bicchiere di vodka.

«Hai ragione: non sono il capo. Ma sono il suo secondo in comando. Lavoro per lui. Quindi, perché non dirmi in cosa consiste questo report? Secondo me la stai solo facendo più grossa di ciò che è, vero?», e incrociò le braccia al petto, il mento di poco sollevato in una posa di sfida.

Gli occhi luminosi lo fissarono con una strana intensità. Il fatto che quel volto fosse fatto di pura oscurità lo rendeva frustrato, perché non riusciva a leggervi le espressioni e il tono di voce della creatura era fin troppo piatto, oltre che rauco. «Perché è top secret. Sai, no? Quelle cose tipo "questione di vita o di morte". Cose così.».

Dabi alzò un sopracciglio a vedersi allungare un bicchierino colmo di liquore nella sua direzione. «Se è questione di vita o di morte, perché non dirlo? Non sono certo l'anello debole nella catena, anzi...».

«Ma sei sordo? Non sei Shigaraki! E poi tu ultimamente ti intrattieni con quel Pro-Hero ambig-», ma si bloccò, il bicchiere di vodka tra le dita e gli occhi luminosi spalancati.

«Pro-Hero? – sorrise – Che Pro-Hero, di grazia?».

«Oooh! Lo sai meglio di me! Non si prende in giro un incubo!».

«Prendermi gioco di un incubo? – ridacchiò di naso, in una maniera tanto inquietante che forse pure la creatura stava per ammutolirsi – Non te lo ripeterò una seconda volta: dimmi che Pro-Hero.».

«Hawks, l'eroe alato. Ventitré anni, poco più basso di te. Dovresti avercelo ben presente dato che due settimane fa vi siete incontrati sul rooftop dello Zenkai Luxury Hotel, dalla parte delle torri evaporative.».

La rabbia che iniziava a montargli dentro svanì, lasciando Dabi preda di uno strano sentimento, un misto di ammirazione e di paura. Un terrore viscerale che gli fece contrarre lo stomaco e sudare freddo sul collo. «Ma come...».

Distolse lo sguardo dalla creatura, volgendolo alla porta, cercando di formulare una sorta di risposta a tutta quella situazione assurda, fosse anche solo una giustificazione per quell'incontro che doveva essere segreto. Non era sicuro che stesse dicendo il vero: forse quella cosa informe era solo brava a raccontare storie, azzeccando cose a caso. Magari li aveva visti di lontano e s'era costruita tutto quell'assurdo teatrino. Ma per cosa poi?

Cercò di dire qualcosa di convincente, quantomeno per tenerla lì e capire a che gioco voleva giocare. Ma quella creatura continuava a centellinare la sua vodka, mentre il suo, di bicchiere, era ancora intonso.

«Sorpreso? Io te l'ho detto: sono stata assunta per le mie abilità furtive.».

«Come fai a sapere tutto questo? - la guardò con sospetto ed era ormai palese anche per Incubus che lui continuava a non credere alle sue parole – Come sai del mio incontro con Hawks?».

«Dire che hai lasciato una scia nera di fuliggine dietro di te è un eufemismo. Tu e la discrezione non andate d'accordo, vero? Ma ho sbagliato a definirti idiota, perché sai essere intelligente se lo vuoi...».

«Non ho mai fatto mistero del mio potere, anzi. E lo ripeto: come sai del mio incontro con Hawks?», la incalzò, incrociando più saldamente le braccia contro il petto.

«Sei stato il mio primo lavoro per conto di Shigaraki.».

«Ti aveva detto di seguirmi? È stato davvero lui a dirtelo?».

«Mh-m.», la vide annuire.

«E cosa cazzo hai visto?».

«Te e lui, che parlavate... Non bevi?», gli chiese, riempiendosi di nuovo il bicchierino.

Ma le fiamme azzurre ripresero ad accendersi sulle sue braccia, quasi in maniera incontrollata.
Che si fosse allontanato dalla LoV era innegabile. Ma l'aveva fatto per trovare qualcuno di forte da portare nella Lega. Per un breve istante si sentì ferito, tradito.

«Ehi! Calmati! Non sono io il tuo nemico qui, ok?», e le fiamme pian piano si affievolirono a sentire il tocco gelato di quella mano pallida sul braccio.

«Senti, facciamo un brindisi, va bene? – Dabi prese il proprio bicchiere con riluttanza, alzandolo e facendolo cozzare contro quello tenuto in mano dalla creatura – Alle fiamme spente, va bene?».

Un mugugno lasciò quelle labbra serrate, mentre gli occhi azzurri si facevano due fessure diffidenti. «Tregua.», rilasciò, osservando il liquido trasparente, prima di trangugiarlo tutto d'un fiato e sbattere con forza il bicchiere sul tavolo, mentre si sedeva sul divano sfondato.

La creatura fece lo stesso e riempì di nuovo entrambi i bicchieri.

«Così... Così mi hai seguito mentre mi incontravo con Hawks. – divenne sospettoso, rigirando tra le dita il bicchiere di nuovo pieno di vodka – Hai sentito ciò di cui abbiamo parlato?».

«Ho a malapena sentito cosa ti diceva lui. Ma ho visto te tenere la bocca chiusa la maggior parte del tempo. Quindi... - fece una pausa per bere un po' di liquore – O sei un ventriloquo o hai un potere telepatico. Ma non mi pare, giusto?».

«Quindi non hai capito che stava dicendo?».

«Blaterava di giustizia, si lamentava della commissione e dei suoi trattamenti iniqui. Ma ero troppo distante, lo ammetto.».

«E cosa pensi che io gli abbia risposto?».

«Non ho compreso bene. A volte sai essere fin troppo discreto. Però potevi dirlo al tuo capo.».

«E tu? È questo quello che gli hai riportato?».

«Sì. Ma c'è una cosa che anche io ho omesso. Un'impressione, che con l'oggettività dei fatti conta ben poco.».

«Beh... Se non l'hai detta al capo – trangugiò di nuovo tutto il liquore – puoi dirla a me, giusto?». Adesso era incuriosito, e forse anche un po' divertito, così incrociò le braccia al petto e si lasciò cadere addosso allo schienale, le ginocchia larghe e i piedi ben piantati sul pavimento lercio, pronto ad ascoltare quella creatura. «Che impressione hai avuto?», ghignò.

Incubus si voltò ad osservarlo di sfuggita, prima di prendergli il bicchiere di mano, tornare a riempirlo assieme al proprio, prima di riconsegnarglielo.

«Ho avuto l'impressione che tu lo conoscessi. E non solo perché è un famoso eroe. Ma era come se non fosse la prima volta che v'incontravate. C'è stato un altro meeting tra di voi? Prima che io lavorassi per la LoV?».

Gli occhi di Dabi si spalancarono in una sorpresa che non riusciva a contenere. «Prima di lavorare per la LoV...», ripeté lentamente.
Era effettivamente interessato alle parole della creatura, che era risultata tanto perspicace ai suoi occhi.

«Ci ho preso! Salute!», e il liquido cristallino venne inghiottito dal buio accanto a lui.

«Forse. O forse no. Magari non lo scoprirai mai.».

«O magari già lo so e ti sto solo confondendo.».

Dabi sbatté le palpebre: «Confondendo?».

«I sogni confondono, mio caro. Gli incubi ancora di più. Dovresti saperlo...».

«Sapere cosa? Sapere che sei una bugiarda e avevi già la tua risposta? Sì, ho incontrato Hawks altre due volte prima di quella notte. Posso darti le date esatte dei due incontri se vuoi la prova che sono onesto, a differenza tua.».

«Io non sono come te. Io mi fido di ciò che dici e so bene che in questo caso hai detto il vero. Il mio lavoro è osservare e ho notato bene la tensione alle mie parole, la tua espressione... Ho abbastanza esperienza da rivelare una bugia al primo sguardo.».

«E cosa sarebbe? Un secondo quirk o fa parte del tuo assurdo corpo di fumo anche il fare la macchina della verità?», provò con quelle parole affilate a mascherare la sorpresa: non si aspettava che quella creatura si fidasse delle sue parole. Sembrava quasi lusingato da tutta quella fiducia.
«Hai ripetuto che il tuo lavoro è osservare le persone. Osservare noi. Perché? Di chi è che non si fida Shigaraki?» con la curiosità nella voce bevve il quarto bicchiere. O era il terzo?
La vodka a stomaco vuoto gli stava fottendo il cervello. Perché aveva accettato quell'assurda tregua?

«Della sua ombra e, cazzo!, non ti facevo tanto stupido! – fece una pausa e riempì di nuovo i bicchieri di entrambi – Shigaraki vuole solo testare la fedeltà dei suoi aiutanti in un momento tanto cruciale per la vostra causa. È paranoico all'ennesima potenza, manca di fiducia in qualsiasi cosa respi-».

«Ma si fida così tanto di te che ti permette di spiarci!».

«Ha fede nel suo Maestro. Io sono solo un suo consiglio che Tomura ha seguito. Nulla di più, nulla di meno.».

Dabi fremeva dalla voglia di incenerire quell'ammasso di oscurità impertinente, ma si trattenne, un po' per la sua innata curiosità e un po' perché l'alcol cominciava davvero a dargli alla testa, tanto che Incubus lo vide stringere con i denti il bordo del bicchiere vuoto e tentare di tenerlo in equilibrio senza l'uso delle mani.

«Fede nel Maestro...», ripeté il ragazzo a bassa voce, mentre voltava la testa verso la creatura, che gli stava riempiendo nuovamente il bicchiere. «Puzzi di spia, altroché.».

La udì ridere, di una risata che scuoteva tutto quel buio ribollente: «Non ti ricordavo tanto simpatico!».

«Non mi ricordavi tanto simpatico?».

«Mh-m! – alzò il bicchiere – Un brindisi! Ai compagni fedeli!».

«Che vuol dire?».

«Che alla fine hai fatto un buon lavoro. – e gli strinse con le dita fredde una guancia, pizzicandola forse più del dovuto – E anche io.».

«Tu? Tu non hai fatto un bel niente! Te ne sei stata lì a spiare e hai-», ma un singulto gli bloccò le parole in gola.

«In realtà siete tutti bravi. Un po' matti, ma leali.».

«Chi hai pedinato per ultimo?», si trovò ad essere ancora più incuriosito e un brivido gli s'incastrò tra le scapole quando quella figura nera si avvicinò, sussurrandogli all'orecchio con parole strascicate: «Quel dolce lucertolone. Ma sssh! è un segreto, ok?».

Osservò alla sua destra quella figura dai contorni sempre più sfocati, facendo fatica a tenere gli occhi aperti: la sensazione era quella di una bolla, sentirsi ovattati e lenti a comprendere. E quello che aveva in mano? Aveva perduto il conto della vodka bevuta. Che poi, perché la vodka?

«Perché la vodka?».

«Perché mi piace. Fa dormire bene.».

«E Spinner?».

«Spinner non si beve.».

«Lo so. – fece una pausa e gli sembrò che i contorni della testa fossero differenti da prima - Di lui? Che sai?».

«Spinner è un bambino asociale. Nessun segreto scabroso né doppi giochi. È un libro aperto quel ragazzone: devoto a Shigaraki, devoto alla causa. A volte credo che quel rettiloide abbia una specie di relazione platonica a senso unico col vostro capo.».

«Tu dici che ne sia innamorato?».

«Non esagerare, tesoro. – il fumo si fece meno fitto, lasciando intravedere meglio la forma di un paio d'occhi affilati, dall'iride luminoso e chiaro – Non mettermi in bocca cose che non ho detto.».

Dabi rilasciò una debole risata, passandosi una mano sulla faccia, troppo calda sia per il suo potere, ma, soprattutto, per l'alcol che aveva ingurgitato.

«E tu?».

«Io cosa?», gli occhi della creatura si spalancarono un momento, un bagliore intenso che lo accecò. Quando riuscí a vedere correttamente di nuovo, notò che gli occhi erano di un azzurro vitreo, molto più chiari dei suoi. In base a come muoveva di poco la testa, potevano sembrare simili al quarzo. Ed era inquietante, tutta quella massa informe e solo dei magnetici occhi chiari contornati da folte ciglia bionde.

«Sei russa?».

«No. Ma bel tentativo. Avrei potuto farti una battuta scadente sul russare, ma, nelle tue condizioni, non l'avresti capita.».

«Sei fastidiosa.».

«E tu una mezza sega che non regge l'alcol.».

Dabi mugolò, prima di voltarsi verso la creatura, restando con la guancia spalmata sullo schienale del divano. «Cosa sei tu, Incubus?».

La creatura rimase sorpresa: era la prima volta che la chiamava per nome e sembrava seriamente interessato a capire cosa avesse davanti.

«Sono un incubo, te l'ho detto. - il tono era indulgente - Una creatura incorporea in grado di andare dove vuole.».

«Non hai corpo? Allora perché ti vedo?».

«Perché è ciò che ho deciso di farti vedere.», e gli occhi affilati e chiari mutarono, scurendosi fino a diventare quasi viola, passando al rosso cupo, mentre la loro forma variava, ora più tonda e dolce, fino a tornare di nuovo chiarissimi e appuntiti, assottigliati in maniera quasi innaturale.
La bocca di Dabi si spalancò senza ritegno, ormai vinto dall'alcol dell'ennesimo bicchiere trangugiato mentre assisteva a quello spettacolo.

«Chiudi la bocca o entreranno le mosche.».

Dabi sembrò obbedire, sorridendo prima di versarsi un altro bicchiere di liquore. La bottiglia sembrava non finire mai. O, forse, era solo una sua impressione.

«Affascinante.».

«Grazie.».

«Non tu. Il tuo potere.».

La udí ridacchiare, mentre anche lei tornava a bere; continuava ad osservarla, provando a metterla a fuoco meglio con lo sguardo ormai annebbiato dall'alcol, la stanza che pareva tremolasse con lo stesso ritmo con cui le volute del fumo della creatura si muovevano, comparivano e scomparivano, mutavano forma con lei ad ogni respiro. Se di respiro si poteva parlare.

«Incubus?», la voce uscì strascicata dalle sue labbra, attirando l'attenzione di quell'ammasso di buio.

«Mh?».

«Sei un mutaforma?».

«Ti interessa?».

«Sono curioso.».

«Lo so.».

«Ah, lo sai?».

La creatura annuì, posando il bicchiere finito sul tavolo basso di fronte a loro, prima di accasciarsi contro lo schienale impolverato del divano, la stessa posa che Dabi stava tenendo ormai da tempo.

«Sei sempre stato curioso, Touya.».

Il ragazzo spalancò gli occhi all'udire quel nome che aveva ormai seppellito nelle profondità putride della sua anima.

«E tu come-», ma l'aver alzato di scatto la testa gli aveva provocato un capogiro e una fitta lancinante alle tempie, tanto che se le premette con entrambi i palmi.

«Oh! So tante cose di te. Ricordi? Sono un incubo!».

La testa sembrava scoppiargli. Maledetto il momento in cui aveva accettato la vodka!

«Non quella! Come fai a conoscere quel nome?».

Gli occhi della creatura riflettevano un sorriso che lui non riusciva a distinguere. «Non solo posso scomparire, volatilizzarmi nello spazio come se non esistessi. Posso leggerti nella mente e avere libero accesso a tutti i tuoi segreti...».

Quella cosa in effetti lo atterriva, ma, tra le fitte alla testa, si ritrovò a corrucciare le sopracciglia. La bocca non diede corso al suo pensiero, ma lei sembrò cogliere la sua preoccupazione.
«Ma puoi stare tranquillo: non rivelo i segreti altrui e il tuo è al sicuro con me.», asserì, calma, mentre versava gli ultimi due bicchieri di vodka e ne porgeva uno a Dabi.

«Grazie.», sospirò, stringendo il vetro del bicchiere tra i denti ed evitando quegli occhi vitrei e luminosi per un momento.

«Mi fa piacere che ti fidi di me.».
Era davvero fiducia quella?

Era diffidente di natura, Dabi, sospettoso e guardingo anche quando non avrebbe dovuto, forse perché la vita gliel'aveva messa nel culo fin troppe volte (tutte a secco, a quanto pareva!). Stavolta non capiva perché la sua mente annacquata dalla vodka lo facesse pendere dalle parole rassicuranti di quella creatura di buio.

E così come era strano avere sospetti su chiunque, era altrettanto strano un tale senso di fiducia verso una creatura che vedeva per la prima volta, che gli aveva messo i brividi fin da subito, ma che sembrava così familiare...

«Io... - si accigliò – Sì... Immagino...», esalò, un capogiro lo costrinse ad emettere una specie di mugolio di fastidio.
In quel momento il suo pensiero si rivolse a quell'affascinante capacità che quella cosa aveva enunciato con così tanta naturalezza. «Pu-puoi entrare nella mia mente?».

Incubus chiuse gli occhi, prima di prendere un sorso di liquore. «Certo. Ma stai tranquillo. Non lo farò più. Hai un cazzo di casino lì dentro!».

«Ha! – la sua mezza risata sembrò morirgli in gola, la voce che raschiava sulle corde vocali per uscire dopo aver preso un altro sorso di vodka - Non lo negherò. La mia mente è un disastro.», la voce continuava a tremargli e sembrava che la stanza avesse ripreso a girare attorno a lui, tanto che si puntellò sullo schienale col gomito, il palmo destro a reggersi la testa, pesante di sonno e di sbronza. «Puoi leggere i miei pensieri?».

«Solo se la persona dorme oppure solo se lo voglio davvero. Non è una cosa che può accadere sempre.».

Gli occhi del ragazzo si spalancarono e la creatura poté vedere bene la pupilla dilatata che aveva inghiottito quasi del tutto l'iride celeste, rendendolo ancora più inquietante ai suoi occhi. Però le sue guance arrossate dall'alcol lo rendevano meno minaccioso e gli avrebbe riso in faccia perché lo trovava patetico per certi aspetti.

Dabi cercava di mettere in fila tutti i pezzi di un puzzle di cui non distingueva gli incastri: quindi non solo quella creatura poteva leggere nella mente, ma aveva abbastanza autocontrollo da decidere quale mente voler leggere? Era tutto così...interessante.

«Così non vuoi leggermi la mente, mh?», mormorò, prendendo un nuovo sorso di vodka. Era palesemente ubriaco, ma così curioso su quel potere che aveva una voglia matta di continuare a domandare, anche a costo di risultare petulante. E poi la stanza girava troppo per tentare di alzarsi e andarsene. Stava meglio lì, su quel divano. Stava al sicuro. O almeno così voleva auto-convincersi.

«Non voglio farlo.».

Aggrottò di nuovo le sopracciglia, una fitta al centro della fronte gli fece chiudere per un attimo gli occhi, poi li riaprì, bevendo un altro piccolo sorso, pregando che l'alcol stavolta non finisse troppo in fretta. «Perché no?».

«Non lo farò.».

Perché qualcuno che aveva il potere di leggere nella mente non lo sfruttava? Dio! Sarebbe stato tutto estremamente più facile!

«Dovresti testare la mia fedeltà a Shigaraki... giusto? – chiese, con la voce soffocata dal bicchiere contro i denti – Allora perché non leggere nella mia mente e toglierti ogni dubbio?».

Incubus assottigliò lo sguardo, un nuovo sorso di liquore, piccolo, fosse anche solo per sentirne il sapore sulle sue labbra fumose. «Primo: non sono pagata per farlo. Sarò veniale, lo ammetto, ma bisogna pur sopravvivere in questo mondo di merda, no?».

«Oh, così tu leggi la mente degli umani...per soldi?». La sua testa si sbilanciò in avanti a quelle parole e lui tornò in equilibrio con un colpo secco. «Quanto mi costerebbe? Per guardare dentro e vedere tutto quello che sta succedendo nella mia mente?», chiese; poi un debole sorriso gli sollevò uno zigomo: «In realtà sai che non ho un soldo in tasca, giusto?», e ridacchiò.

Incubus alzò due dita, troppo vicine alla faccia di Dabi perché lui non le vedesse: «Secondo: l'ho già fatto ed è stato raccapricciante. Per cui finiscila con questa idea di merda e lascia perdere, ok?».

«E cosa avresti trovato di così raccapricciante nella mia mente?», gli occhi stanchi cercavano di trovare una forma in quell'ammasso fumoso, qualcosa che riconducesse a un volto, che contornasse quegli occhi inquietanti e magnetici.

«Tutta la tua mente è un groviglio di pensieri sporchi e, cazzo!, dovresti andare in terapia!», ridacchiò Incubus, nervosa.

Anche Dabi era nervoso, perché quella risata tirata gli aveva fatto tornare i brividi dietro il collo e lungo le braccia. O forse era solo l'alcol che si faceva sentire più forte del previsto. Si ritrovò a osservare il bordo sottile del bicchierino che teneva tra le dita, agitando di poco il liquido trasparente al suo interno, prima di piantare di nuovo gli occhi su quella creatura, sporgendosi un po' verso di lei: «Pensieri sporchi? Avanti... raccontami che hai visto...», e sfoderò il suo sorriso più accattivante.

«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. - e quella trangugiò la vodka in un unico sorso, battendo il bicchiere vuoto accanto alla bottiglia altrettanto vuota – Finiscila.».

«E daaaai!», si lamentò, chinandosi di più verso la creatura. Non era sicuro del perché volesse così tanto sapere cosa lei avesse visto, ma ne aveva un viscerale bisogno.
Però lei si era trincerata dietro il solito "mi rifiuto di rispondere".

«Per favore?», pronunciò con tono sommesso, occhi socchiusi e un sorriso che avrebbe fatto capitolare pure una suora.

«Non fare quella faccia con me. – l'unica mano che sembrava vagamente umana lo spinse un po' distante, mentre i suoi occhi roteavano, infastiditi – E stai indietro.».

Il viso di Dabi si contorse in un cipiglio, i suoi occhi liquidi sembrarono implorare Incubus, mentre tornava ad avvicinarsi alla creatura: «Non puoi semplicemente farmi incuriosire e dire cose come "raccapricciante" e poi non dire nulla.», e strisciò il culo sul sedile per farsi ancora più vicino, la testa sempre poggiata alla mano e un ghigno accattivante a tirargli gli anellini sulla faccia. Era così ubriaco da non sapere esattamente cosa stesse facendo, ma era l'istinto a guidarlo.

«Forse. – Incubus fece una piccola pausa, in cui gli prese il bicchiere dalla mano – Forse per un adeguato compenso potrei dirti ciò che ho visto.», e intinse il dito acuminato nel liquido chiaro, strisciandolo sul bordo di vetro, causando un leggero stridore, un suono acuto che fece mugolare Dabi.

Lei lo stava stuzzicando duramente, questo l'aveva capito. «Così non servono i per favore. La strada per il tuo cuore è lastricata di soldi a quanto vedo... - borbottò, prima di tornare a fissarla, allungando una mano verso il fumo che si muoveva sul sedile – Quanto? Quanto vorresti in cambio dei miei pensieri raccapriccianti?», il tono virò sul disperato, troppo acuto per uno come lui, spezzato su alcune parole.

«Sei patetico se mi preghi in questo modo, lo sai?».

Lui la ignorò: «Avanti... Quanto costerebbe?»

Si guardarono, entrambi con occhi annacquati. «Troppo per te.».

A quelle parole, sputate quasi con disprezzo, la faccia di Dabi sembrò congelarsi dallo shock. Quanto disgustosi potevano essere i suoi pensieri di sangue, cenere e sesso agli occhi degli altri da essere valutati "troppo"?

Le sue dita raggiunsero il fumo nero che s'avvolgeva in circonvoluzioni e sembrava penetrare il cotone grezzo del rivestimento del divano, cercando di non farsi toccare, di evitare la pelle bollente dei suoi polpastrelli.

«Quanto? Cinquecento mila? Un milione? Dieci milioni?», nominò numeri casuali, non pensando nemmeno prima di parlare.

Gli occhi di Incubus si assottigliarono e il tono si fece basso mentre spostava il corpo verso di lui, andandogli incontro fino ad arrivargli ad un palmo dal naso.

«Un bacio.».

Ci volle un po' per elaborare quella richiesta. Un... bacio? Quella creatura voleva un bacio da lui per poter rispondere alla sua richiesta?

«Vuoi... un bacio?», chiese, giusto per essere sicuro di aver capito bene.
Se fossero stati soldi, allora avrebbe potuto farcela, ma così...

Incubus mosse la mano, toccandogli con la punta scura delle dita la pelle ustionata sulla gola e sulla mascella, provocandogli un brivido freddo che gli scese lungo il collo a raffreddargli il torace.

«Si dice una cosa di te...», e i polpastrelli di indice e medio passarono sugli anelli appena sotto il labbro inferiore, percependoli uno a uno prima di salire e raffreddare la carne ispessita del labbro.

«Cosa si dice di me, mh?», e si lasciò aprire la bocca da quegli artigli che gli graffiavano la carne e s'insinuavano tra i denti, giocando con la sua lingua per poi riempirgli la bocca di freddo fumo nero, che risaliva dalla gola fino ad uscire dal naso, mentre lui cercava di trattenere il fiato, il sottile timore di morire soffocato che gli faceva accapponare la pelle sana delle braccia e del petto al di sotto della felpa scura.

«Che non baci nessuno. Nessuna puttana, nessuna amante. – il fumo gli scese per la gola, il riflesso faringeo congelato e la sensazione di un freddo mortale nelle viscere – Per questo so che un bacio è il prezzo per te e i tuoi pensieri disgustosi.». La voce era una cantilena che cullava quel senso di oppressione al petto, il fumo che entrava nella trachea, nei bronchi, in ogni alveolo a sostituire l'aria, paralizzato dal terrore cieco di morire in una maniera tanto stupida e incosciente.

Gli occhi rotearono all'indietro, un singulto strozzato e il freddo della morte che gli ghiacciava le ossa.

Quel terrore lo sollevò, gli diede l'illusione che, per una volta sola, sarebbe morto in pace. Perché non vi erano fiamme, non vi era calore. E quella creatura dagli occhi vitrei passò in secondo piano, la vide come un angelo vendicatore che gli rubava l'anima.

Dietro le palpebre vide un fienile, un'ombra scura che schermava il sole che filtrava dalle fessure del legno alle pareti. Quel terrore era casa ed era giusto in quel momento. Un giusto conforto in mezzo a un mare di incomprensione.

Le dita si ritrassero dalla sua pelle rovinata appena iniziò a respirare di nuovo, come se non fossero mai entrate in contatto con lui e si ritrovò a tossire, un riflesso involontario a quell'intrusione inaspettata, il gelo della morte svanito dalle cellule per lasciare il posto al solito calore della vita che odiava.

«È così che fai? – disse con voce rauca e fiato corto, la testa che pulsava e il fuoco che aveva ripreso a logorargli le vene – Così leggi la mente?».

Si sentì afferrare le guance, stringere forte fino a dover esporre di nuovo il labbro inferiore con un grugnito. «Così è un assaggio della tua. Un piccolo omaggio per te, perché tanto so che non mi pagherai mai come ho chiesto.» e l'ombra si ritrasse, come risucchiata, venti centimetri più distante da lui, il capo reclinato contro lo schienale, gli occhi chiusi, la mano tornata a far parte di quel nero cupo che la componeva.

Dabi fremeva, perché in quell'esperienza s'era sentito libero, tanto vivo quanto sull'orlo dell'oblio.

Si puntellò con il ginocchio destro sul cuscino sfondato, una mano ad ancorarsi allo schienale per non cadere dalla vertigine. Gattonò di nuovo verso la creatura, cogliendola di sorpresa quando se lo vide pericolosamente vicino, perché ora che aveva aperto gli occhi lui sapeva che senso avesse quell'ammasso fumoso.

Fece uno sforzo disumano nel tirarsi su e posizionarsi a cavalcioni di quella cosa, che sapeva bene si sarebbe preso gioco di lui, svanendo all'istante. Eppure, con sua somma sorpresa, Incubus non si mosse.

«Rifallo.», ordinò in un soffio. «Ti prego, rifallo.»

Gli occhi luminosi tornarono ad essere visibili, contornati da folte ciglia biondissime e pelle diafana. Pure le sopracciglia erano tanto chiare da risultare quasi bianche, arcuate in un'espressione di puro stupore. «Cosa pensi di fare?».

Le mani grandi e calde di Dabi le afferrarono la testa, o ciò che poteva essere tale. Sotto i polpastrelli percepiva qualcosa, oltre al freddo: una forma, qualcosa di vagamente consistente, corporeo. La sensazione era la stessa di quando si mettono le mani nell'acqua gelida del mare e si tenta di toccare un sasso, uno scoglio, una conchiglia. Una sensazione di vertigine lo colse, troppo il freddo che iniziava ad avvolgerlo dalle cosce fino allo stomaco e alle braccia.

«Pagarti. A modo mio.», rispose, biascicando per la sbornia e per l'intorpidimento che stava prendendo possesso delle sue membra. «Rifallo.».

«Sei ubriaco.».

«E non me ne è mai fregato un cazzo.»

«E sei stup-».

Le labbra di Dabi premettero contro quell'ammasso nero e fu come mettere la faccia nell'acqua gelata di un torrente.

Durò poco, il tempo di un battito di ciglia, e quella massa fumosa si scosse tutta al suono di una risata bassa e derisoria.
«Sei matto, oltre che stupido. Ma apprezzo lo sforzo.».

«Ho saldato il prezzo. Ora rifallo.». Aveva le guance arrossate, bollenti, come se quel freddo non l'avesse neppure sfiorato.

Si sentì sollevare di peso, come uno straccio che viene spostato da un posto all'altro, e finì con la schiena contro la seduta del divano. Perse un respiro col contraccolpo e trattenne un conato di vomito.

Sopra di lui, Incubus aleggiava, inconsistente e fumosa, i contorni del viso più nitidi, le guance piene e tonde ora sembravano fatte di luce pura tanto erano chiare. La frangia bionda le ricadeva leggera sugli occhi quando percepì quel corpo farsi consistente sopra il suo bacino.

Le dita ossute dalle punte ancora scure come l'abisso, sormontate da artigli lunghi e affilati, parvero entrare nella carne del petto, lacerarla mentre si muovevano fino al collo per stringerlo in una stretta morsa.

«Non sarà divertente.».

«Non voglio che lo sia.».

«Che fine ha fatto il voler sapere i tuoi pensieri disgustosi?».

La voce uscì soffocata, mentre Incubus non accennava a voler lasciare la presa: «È più divertente toccarli i pensieri, non credi?», e con le mani le artigliò le cosce, facendola sussultare. «Ora so dove sei...». Ma quella frase aveva tutto il sapore di una minaccia.

Incubus mosse le dita, graffiando la pelle della gola di Dabi, sprimacciandogli le guance, un anellino saltato che faceva colare un rivolo di sangue fin sotto la mascella.

I pollici entrarono agli angoli della bocca, li sollevarono, gli indici a forzare quell'apertura, mentre il viso della ragazza tornava di quel nero cupo che avrebbe potuto inghiottire anche lui, come una voragine.

Quando Dabi abbassò gli occhi vide delle labbra, sottili e rosse, che si dilatavano in un piccolo ghigno prima che si avvicinassero al suo orecchio, un brivido gelido di fastidio a fargli fremere tutto il corpo ormai anestetizzato: «È questo che vuoi davvero? Vivere i tuoi stessi pensieri?».

Dabi annuì, stupendosi di avere ancora muscoli funzionanti.

Perse di vista quella boccuccia invitante, inghiottita dal nero di quella creatura fatta di notte, di angoscia e di tormenti.

Il denso fumo scuro entrò dalla bocca del ragazzo, tenuta spalancata da artigli freddi e ricurvi, sostituendogli pian piano l'aria nei polmoni, penetrandogli nelle viscere quasi a legarsi con ogni cellula.

La sentì, poi, la mano che si staccava dalla sua guancia e gli oscurava lo sguardo, ormai rivolto verso il soffitto annebbiato.

L'ultima cosa di cui ebbe contezza fu un rivolo di saliva che gli correva, gelida, dal mento alla gola.





Un fienile.

Il respiro affannoso dietro un palo che reggeva il soppalco.

Una costruzione di metallo futuristica e un'ombra scura che schermava il sole che filtrava dalle fessure del legno alle pareti.

Era enorme quell'ombra ed era sicuro di averla vista, con la testa grande, deformata, e gli occhi troppo vicini, troppo piccoli in confronto alla bocca larga e ripiena di denti, che sbavava ogni volta che lo vedeva, ogni volta che lo teneva sott'occhio.

Si strinse le ginocchia con le braccia perché voleva piangere, ma non ci riusciva. Singhiozzava, ma gli occhi bruciavano come il deserto.

Si sentì prendere per la testa, gli artigli grossi e sudici entrargli nella pelle, lacerargli la carne; era il premio ciondolante di uno di quei giochi in cui devi afferrare un pupazzo e portarlo all'uscita; solo che, al posto di quel braccio meccanico ci stava una mano a sette dita e una forma emaciata e mostruosa pronto a divorarlo senza via di scampo.

Poi calore. Un tremendo calore e uno spesso strato di fuliggine a ricoprire le braccia nude mentre vagava tra le strade polverose di una cittadina del far west, col sole a picco che gli seccava e arrossava la pelle.

La terra aranciata gli solleticava i piedi scalzi e il sangue sul suo corpo era impastato alla polvere che sollevava ad ogni passo.

Era disgustoso, lo ammise, fermandosi vicino ad un abbeveratoio e fissando il proprio riflesso sull'acqua torbida.

Quando alzò il capo un dolore lancinante alla testa lo fece vacillare, tentando di aggrapparsi a una staccionata, ma i piedi non collaboravano e la testa, il viso, il petto... facevano male.

Strinse gli occhi e in quella confortante oscurità sentì il suo nome, dapprima lontano, mentre il viso sembrava ardere, cotto dal sole.
O dal fuoco.
Ma importava?






«Dabi!»

Uno schiaffo più forte lo svegliò, la faccia dolorante e impiastricciata di sangue vischioso, la fronte sudata con tutti i capelli appiccicati alla pelle.

La testa gli girava e ci mise un po' per mettere a fuoco la figura che gli gravava con le ginocchia sullo sterno, sbattendo a lungo le palpebre per tentare di mandare via quel velo rossastro sulle cose. Aveva dimenticato come il sangue leggero tingesse bene il mondo e lo rendesse più vibrante, più vivo.

Gli giunse prima la voce stridula di Toga che la presa salda delle sue braccia sul collo, mentre rischiava di soffocare col naso premuto sul suo seno.

«Mi hai fatto preoccupare!», piagnucolò, il viso inumidito e il naso gocciolante.

«Che-che cosa è successo?», borbottò, incapace di alzarsi dal divano anche quando la ragazzina fu scesa, liberandolo mentre veniva consolata da Twice con leggere carezze sulle spalle e la schiena.

«Sai che alcol e fuoco non vanno bene assieme, vero?», lo canzonò Compress, seduto sul tavolino basso accanto al divano.

Dabi provò a mettersi seduto, ma sembrava un'impresa titanica: la stanza continuava a girare e la testa pulsava come se qualcuno la stesse prendendo a martellate.
Il respiro s'era fatto profondo, regolare e pure Toga s'era calmata un poco a vederlo tirarsi a sedere.

«Devi smetterla di bere così tanto, idiota.», fu la voce tremula di Shigaraki a destare la sua attenzione verso la bottiglia che giaceva, coricata, sul ripiano del tavolino del salotto, un solo bicchiere.

Dabi sbatté le palpebre e guardò il suo capo con aria accigliata: «È già andata via?».

«Chi?», Shigaraki era accigliato quanto lui.

Dabi tentennò, la mente ancora intorpidita, come le gambe e il braccio destro. «Incubus.».

«Incu-che?», fece eco Toga, mentre il loro capo alzava un sopracciglio e gli occhi rossi scrutavano l'ubriacone che s'era appena svegliato da un potenziale coma etilico.

«C'era... - biascicò, la bocca allappata e un mal di testa da volersela staccare dal collo per cercare sollievo - C'era quella cosa che voleva parlare con te...» e agitò il polso in direzione di Shigaraki solo per dare enfasi alle proprie parole, mentre Compress lo aiutava a mettersi seduto, tentando di farlo stare in equilibrio.

«L'erba per i tuoi dolori la capisco, - gli fece Compress, mentre provava a lasciarlo andare, sedendosi di peso accanto a lui per controllarlo meglio - ma scolarsi un'intera bottiglia di vodka da solo mi sembra un tantino esagerato, non credi?», lo rimproverò.

«È stata lei c-», ma serrò le labbra, un conato di vomito bloccato sulla bocca dello stomaco, la mano calda arpionata contro la coscia di Compress.

«Cazzo! Dabi! Quante volte ti abbiamo detto di non portare le tue puttane alla base?», sbottò Spinner, mettendogli davanti al naso un bicchiere di acqua tiepida e sale. «Bevi, coglione.».
Sorvolò sull'offesa, soprattutto a sentire Twice che dava ragione al rettile e afferrò il bicchiere che gli stava sventolando davanti.
Ne osservò il liquido torbido.

«Era una creatura fatta di fumo. - guardò negli occhi Shigaraki mentre parlava - Un'entità immateriale. Voleva parlare con te, capo.».

Tomura rimase in silenzio ad osservare il compagno trangugiare quella brodaglia immonda senza protestare., un sopracciglio inarcato e le labbra tirate in una smorfia strana. Come se sapesse e non volesse dire nulla.

«Fumo e alcol assieme... Lo sai che ti fanno male, Dabi-chan! Non lo devi fare più!», lo rimproverò la vocetta stridula di Toga.

Gli occhi di Dabi andarono alla bottiglia di vodka vuota, un solo bicchiere era rotolato fino al bordo esterno del tavolino, pericolosamente in bilico, come il mozzicone della canna sul bordo del posacenere. In bilico, come Dabi, che non ricordava di aver fumato. E ricordava due bicchieri su quel tavolo. Due.

Il suo sguardo si posò di nuovo su Shigaraki: «Tu lo sai. - fece per alzarsi, facendo leva sulla coscia di Compress, ma vacillò - Tu lo sai, ma non vuoi parlare! Per cui prendetemi pure per un pazzo ubriaco ma qui - indicò il tavolino - c'erano due bicchieri e un altra entità, persona o come cazzo la vuoi definire!», alzò la voce, accompagnando le parole al gesto della mano, indicando tutta la stanza.
«Vaffanculo. - grugní - Devo pisciare.», aggiunse, atono.

«È preso male.»
«Mh-m!».
Toga e Twice lo irritavano

«Ti accompagno.».
Dabi diede una manata a Compress, ricacciandolo all'indietro sul divano.

«Non mi serve il vostro aiuto, fottuti stronzi! - si mise a sbraitare, le fiamme che iniziavano a divampare sui suoi palmi - Qui dentro c'era una cazzo di altra persona con cui ho parlato e con cui ho bevuto vodka e che doveva parlare con quella testa di cazzo lì!», e indicò Shigaraki con una furia e una rabbia tali che Toga si nascose dietro le spalle di Twice, sussultando ad ogni parola che Dabi ringhiava.

Barcollò lungo il corridoio, fino al piccolo bagno che sapeva di fogna, con le piastrelle verde scuro mezze crepate e lo specchio lurido che gli rimandava un'immagine di sé che non avrebbe voluto vedere: aveva sangue colato e rappreso sulla guancia sinistra e sangue che gli aveva impiastricciato pure gli occhi. Le guance erano arrossate, le orecchie bollenti sulle punte, il mal di testa che sembrava volesse fargliela esplodere.

Si liberò la vescica e poi aprí il rubinetto, sciacquandosi la faccia, mentre un rivolo d'acqua colorato di vermiglio scendeva fluido nello scarico gorgogliante.

Solo quando si passò finalmente l'asciugamano sul viso e il volto sembrava raffrescato, tirò un lungo sospiro, incapace di distinguere se quell'incontro avuto fosse stato vero o fosse frutto di un delirio di marijuana e alcol.
E ripensò allo sguardo di Shigaraki, ai suoi occhi diffidenti e curiosi e alla mancanza di parole pronunciate dalle sue labbra rinsecchite; che tutta quell'assurda vicenda e quella spaventosa creatura fossero frutto della sua testa e della sballata che s'era preso?
Eppure, non ricordava di aver iniziato a bere da solo, ma con lei. Con Incubus. Nè di aver fumato.
Possibile che fosse tutto un brutto sogno?

Inspirò piano, cercando di lenire in quel modo il dolore lancinante alle tempie che gli faceva gorgogliare mugolii infastiditi dal profondo del petto.

Quando Dabi riaprì gli occhi per specchiarsi, le sue pupille si dilatarono con la stessa velocità con cui aveva tirato le palpebre nell'osservare, riflessa sul vetro macchiato, una massa scura dai contorni mobili e circonvoluti, gli occhi luminosi che lo fissavano con curiosità da sopra la sua spalla, due lingue di buio ad avvolgergli il torace in un abbraccio gelido; vide un paio di labbra rosee accostarsi al proprio orecchio, un violento tremore a scuoterlo tutto mentre la creatura pronunciava con voce roca quel nome che lui voleva tenere solo per sé.
«Povero Touya!  Parli di cose incredibili, ma è inutile. Nessuno ti crede e tutto ti sembra futile.»

Strinse occhi e digrignò i denti, i battiti del proprio cuore rimbombavano nelle orecchie e attutivano qualsiasi altro suono.

Quando si rispecchiò di nuovo l'ombra era sparita, la testa pesava e pulsava.
Al posto di quella creatura c'erano solo piastrelle lerce e sbeccate e ragnatele scure di polvere che intaccavano gli angoli non utilizzati.
Scosse la testa, il palmo premuto sulla fronte come a volersi sincerare che nulla fuoriuscisse dal suo cranio, tanto stava pulsando, al ritmo incessante del bussare sulla porta.

«Tutto bene?», si preoccupò Compress una volta che si ritrovò Dabi davanti, mentre usciva da quel bagno armeggiando con una piccola scatolina d'argento da cui tirò fuori una canna.

«Avevi ragione. - borbottò - Alcol e fuoco non vanno d'accordo.».

«Vuoi un'aspirina?», ma Dabi scosse la testa piano, il cervello che sembrava annacquato e che pareva sciabordasse da una parte all'altra all'interno del cranio.
Fu solo quando la tenue fiamma azzurra si sprigionò dal suo pollice per accendere quella canna arrotolata male che udì nitidamente delle altre parole e si guardò attorno per sincerarsi che quella creatura non gli comparisse di nuovo vicino. Rimase in attesa a sentire quella cantilena, la stessa voce femminile, bassa e atona.

E Compress, dietro di lui, non capí mai il perché di tutto quel terrore nel suo sguardo.

«E se ancora dubiti che le mie bugie siano vere
scoprirai da solo la verità che vuoi tenere,
perché nel tuo cuore il dubbio cresce
e nell'incertezza il tuo pensiero si tesse.
Ascolta bene, anima dannata
che nel buio incolmabile sei intrappolata:
guardati le spalle, stai zitta e ascolta
e la tua preghiera verrà accolta,
il tuo tormento forse sparirà
quando il calore dell'alba ti cullerà.»

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