5. Il covo
Le dita lunghe e ossute dello spettro sbucano dal bordo di una manica e si poggiano sulla porta. La luce che proviene dalla finestra le fanno apparire ancora più pallide e smunte. Esercitano una leggerissima pressione sul legno.
Si apre uno spiraglio. Morbus non si volta nella nostra direzione. Non ha aggiunto nient'altro, dopo aver detto il suo nome. È come se non gli interessasse affatto, se noi lo seguiamo o no. È furbo, non c'è che dire. Se insistesse, apparirebbe subito molto sospetto... O forse non gliene importa niente sul serio?
Procede; e l'ultimo lembo della sua veste sparisce nell'interstizio.
La mappa... Diamine. La stavo stringendo con un po' troppa forza, non ci avevo fatto caso. Devo averla spiegazzata.
Ma non ho bisogno di aprirla di nuovo. Lo so, che quella in cui è appena entrato è la stanza segnata con la X dal mezz'elfo.
«Cavolo, Aidan... Non mentiva. Stava davvero andando al covo...» sussurro.
Aidan non mi risponde. Non c'è molto da dire: anche senza consultarci, sappiamo di aver entrambi già deciso.
Affrettiamo il passo e ci accostiamo al battiscopa della parete di sinistra.
«Ehi, Kurt!» La voce gutturale di Morbus, al di là della porta, rimbomba cupa fino a noi. Ci stiamo solo avvicinando alla fenditura, ancora non vediamo che una sottile striscia dell'interno – un mobile in legno, uno spicchio di finestra – che già si odono dei mormorii sommessi che fanno da sfondo. «Kurt!»
Un altro passo, e mi trovo a metà del varco. Il ronzio di Aidan mi passa timido sopra la testa, mi scavalca: è lui a entrare per primo, a farmi da vedetta. Infilo la testa all'interno.
Ci siamo... Siamo arrivati a destinazione.
Il pavimento, qui, è dello stesso legno del parquet della camera in cui eravamo prima... Il tappeto, però, è molto più grande; blu, rosso e grigio, sottile, pieno di decori... Morbus sta lì, sospeso, senza proiettare alcuna ombra; alla sua destra, appoggiata al muro, c'è una poltrona ricoperta da un telo elasticizzato a fiori, con un paio di cuscini; e di fronte a lui... c'è una grande libreria, bianca, minimalista, che occupa tutto il muro e arriva quasi fino al soffitto... E non so se sono io confuso e troppo agitato per sfuggire all'autosuggestione, ma... mi è sembrato di intravedere dei movimenti, sui vari ripiani... Come piccole ombre che si spostano tra un soprammobile e l'altro.
«Oh, Dio. C'è Morbus. E ora che vuole...?» È un borbottio femminile, questo. Basso, ma non così basso da far pensare che chi l'ha pronunciato stesse cercando di evitare di farsi sentire. Proviene da destra, ma... c'è il fianco di una cassettiera a fare da schermo.
Morbus ghigna, indifferente a quelle parole di disprezzo. Ci dà le spalle, ma la sua testa è rivolta proprio verso quel punto. Cosa strana... Chiunque abbia parlato, sembra detestarlo, ma... non c'era nessuna sfumatura di timore nella sua voce.
Avanzo a passi lenti, Aidan si porta al mio fianco. Voglio sbirciare, prima di portarmi in vista... Ed eccola. La seconda metà della stanza.
C'è una grande scrivania, da quella parte. Sta proprio accanto al tappeto, posizionata in modo avere la finestra da un lato, e da poterci girare attorno senza incontrare mai ostacoli. C'è un computer fisso, una tastiera... e poi libri, quaderni, accessori da ufficio, tutti appoggiati sul ripiano.
Ma tutto questo trattiene la mia attenzione solo per un istante, perché a terra, su una cartellina in pelle marrone poggiata a fianco delle ruote della sedia girevole, ci sono... tre persone, sì. Se ne stanno lì in piedi, come vedette su palchetto rialzato, in quello che ha tutta l'aria di essere un punto di ritrovo.
Dei tre, solo una è una ragazza. Deve essere stata lei a parlare, allora. Ha la pelle scura, metà testa rasata e l'altra metà piena di treccine che le ricadono fin sulla spalla, e tiene lo sguardo fiero sulla figura tetra dello spettro. Lo osserva truce, ironica, come se lo volesse sfidare. Sì, non può essere stata che lei a fare quel commento...
Alle sue spalle, gli altri due parlottano tra loro col viso rivolto verso la sedia. Il più grosso e si accarezza il cranio pelato, e l'altro...
L'altro si volta all'indietro di sbieco.
Ha qualcosa... di strano.
Ma... che cosa, di preciso? Non riesco a capire... È troppo lontano.
Con movenze lente, quasi svogliate, si porta al fianco della ragazza. È biondo, porta i capelli corti pettinati all'indietro. Il suo fisico asciutto è fasciato da una camicia color oliva, percorsa da pezze di un tessuto scuro e lucido simile al cuoio. Noto solo adesso che anche la giacca della ragazza ha dei pezzi dello stesso materiale, ed entrambi portano grossi stivali dalla suola spessa. Che età potrebbero avere...? Vent'anni, forse? Sembrano più grande di me, anche se di poco.
Il biondo getta allo spettro un'occhiata distratta. Il colosso pelato resta fermo, alle spalle.
«Parla in fretta, Morbus, ché qui abbiamo da fare.»
Morbus riprende a ghignare, sommesso. «Quanto malanimo, amico mio. E pensare che non ve ne ho mai dato alcun motivo.»
Sul volto del colosso, di colpa, si forma una smorfia di disprezzo. Fa per lanciarsi in avanti, spalle larghe e petto all'infuori, ma il biondo tende una mano di lato, gli blocca il passaggio. «Lascia stare, Dago. Ci penso io.» E quello, come niente, si ferma.
«Okay, capo.»
Il ragazzo torna a rivolgersi allo spettro. «Preferisco non averti tra i piedi, Morbus. Dai, arriva al punto, e dicci cosa vuoi.»
«Non vi meritereste questa cortesia da mia... Ma ho condotto qui dei visitatori.»
La stanza si riempie di bisbigli. Provengono da ogni angolo, da destra, sinistra, dall'alto e dal basso. «Visitatori? Morbus ha detto "visitatori"?»
E ora, sicuro di aver catalizzato su di sé l'attenzione, lo spettro solleva il capo maestoso, scandisce le parole con lentezza. «Due piccole anime sperdute, Kurt... che chiedevano di te.»
«Chiedevano di Kurt? Ha detto così...?» gli fanno ecco le piccole voci.
Mi si accartoccia lo stomaco. Quindi è lui, Kurt. Ma certo, avrei dovuto capirlo dal modo in cui ha fermato il compare solo con un gesto.
I tre, sulla cartellina, si guardano tra loro con una sorpresa che non riescono a dissimulare.
Le spalle dello spettro si scuotono in un moto di stizza. «Bene. Ve li lascio...»
E, nel brusio generale, la figura di Morbus scivola via, e sparisce dietro alla poltrona fiorita; la sua risata gutturale si confonde e si annulla in mezzo alle altre voci.
«Ecco, bravo, tornatene nel tuo angolino» biascica Dago, quando ormai Morbus non è più in vista.
La ragazza discende dal piano rialzato, poggia gli stivali sul pavimento in legno. Cerco Aidan, oltre la mia spalla. Sta registrando ogni cosa: la spia rossa laterale pulsa con lentezza, con l'obiettivo sempre fisso nella stessa direzione; e io...
Io non so più dove posare lo sguardo. La stanza s'è fatta tutta piena di vocine, decine di creature che parlano tra loro sempre più forte; e le loro piccole teste, che sbucano dai lati delle costine dei volumi allineati sugli scaffali, da sopra il ripiano della scrivania e da dietro il bracciolo fiorito della poltrona... E io credo di non essermi mai sentito così tanto sotto esame in tutta la mia vita. I tre della cartella, intanto, scrutano con insistenza nella nostra direzione. Dovrei almeno fare un passo avanti e portarmi in vista, ma... sono così nervoso che... che...
Una cesta di capelli bianchi fa capolino da un pannello della scrivania, alle loro spalle. Allunga il collo frenetico, sussulta. «Oh, sì, sì! Sono loro, sono loro!»
O mio Dio, è lui! È il mezz'elfo!
«Sono loro, dici?» Kurt chiede conferma, a sopracciglia aggrottate.
E l'altro balza al suo fianco come un coniglio, si erge in piedi e punta l'indice proprio... verso di me. «Sì-sì! Sono loro, quelli che ho incontrato nella camera!»
Ed eccolo. Gli occhi di Kurt... incrociano i miei. Sono quelli... Sono i suoi occhi a essere strani... Non sembrano... neanche umani.
Nevan salta giù dalla cartellina e, come un razzo, supera la ragazza dalla testa mezza rasata e si mette a correre. «Will...!» grida. «Aidan!»
«A... Aidan...?!» Le palpebre del biondo, in un istante, si spalancano. Il contatto oculare s'interrompe. Distoglie lo sguardo da me.
Nevan ci raggiunge. È di fronte a noi. «Ce l'avete fatta! Siete venuti, alla fine! Bene, bene!»
«Eh, eh... S-sì.» Balbetto, non so cosa rispondergli, sono confuso e... no capisco cosa stia succedendo. Cerco di nuovo Aidan. Il suo occhio-obiettivo non si è mai distolto dalla cartellina, ma la sua spia centrale, adesso, pulsa di giallo, a una velocità insolita.
Laggiù... tutti e tre, Kurt, la ragazza e il colosso di nome Dago, sono come criogenizzati in un'espressione allucinata, sbigottita. Ed è Aidan ad aver provocato questa reazione. Solo Aidan.
«Kurt...» La ragazza, con le braccia distese lungo i fianchi morbidi, boccheggia. «Quello... Quello è...»
La sua lucina gialla di Aidan, d'un tratto, si interrompe.
Spento.
Poi, all'improvviso, le sue spie si riaccendono tutte insieme.
Rosa.
Ma che... diavolo...?
«Non ci credo, Aidan!» Il biondo salta giù, inizia ad avanzare a passo svelto verso di noi.
Vuole... Vuole aggredire Aidan?! Il pensiero mi attraversa solo per una frazione di secondo. O, forse, dovrei dire... la speranza.
Perché, poi, Aidan si distacca da me.
E anche lui si mette a corrergli intorno.
Ma...
Ma che cosa sto guardando?! Che diamine succede?!
L'umano dagli occhi che non sembrano umani e il drone che sembra una pallina da Lacrosse si raggiungono a metà strada, al centro del tappeto. Aidan gira come un pazzo attorno alla testa di lui, come un... Come un barboncino che ha ritrovato il suo padrone. Ho... ho la nausea.
«Aidan oh, Aidan! Sei proprio tu!» piagnucola Kurt... O qualcosa del genere, non lo so, non riesco a starlo a sentire perché quell'altro vigliacco continua a fare il girotondo, con quelle stupide lucine rosa accese. Mi è venuto il voltastomaco. Poi Aidan si mette a parlare con lui. Vedo le pulsazioni bianche del linguaggio, ma solo per pochi secondi: mi dà quasi subito le spalle e non posso più leggere quello che dice. Sono tagliato fuori.
Non potrei assistere a tutto questo con maggiore sgomento.
Anche la ragazza e il colosso si fanno avanti, a passi lenti, timorosi, per inserirsi nel patetico quadretto. Sullo sfondo, altre creature iniziano a sbucare da ogni dove. Ho la vista appannata.
Mi volto verso Nevan. Vorrei proprio chiedere spiegazioni, ma, giuro... Apro bocca e non mi esce alcun suono. Mi mancano le parole. E lui, pure, ha l'espressione di uno che si ritrova in un posto che non conosce perché ha sbagliato indirizzo. Anche se non è indignato quanto sarebbe il caso.
Il valzer pucci-pucci dura almeno un minuto buono. Le risate entusiaste dei tre si sovrappongono l'una con l'altra, in un coro di cinguettii. E Aidan... ha lucine rosa per tutti. Per Kurt... per la ragazza... e pure per il colosso pelato. Sempre la sfilza intera, tutte e cinque le spie. Non le aveva mai accese tutte insieme... Mai.
Poi Kurt si lascia gli altri alle spalle. Si avvicina a me, ancora rosso in faccia per l'emozione.
«Tu devi essere Will...» Ma mi dedica solo un'occhiata veloce, che però mi congela. «Nevan, hai detto Will, giusto...?»
«Sì, esatto. Mi ha detto di chiamarsi Will.»
Ma chiederlo a me, no?!
«Bene.» Kurt annuisce piano. Si infila le mani in tasca. «Quindi... Tu e Aidan eravate là da soli?»
Ha gli occhi... gialli?!
«Eh... Eh...» Balbetto. Le sue pupille non sono rotonde, la lineari, come... Come quelle di un gatto, ma il giallo... è così acceso che... Deglutisco. «S-sì... E-ecco, noi–»
«Solo voi due?» M'interrompe. «Non c'era nessun altro?»
«N-no... Ci-ci-cioè, s-sì, c-cioè, no... C-c'era... una bambina con noi, ma... è s-s-scomparsa... tanti giorni fa... Non... sappiamo...» Oddio, ora ho capito cosa mi ricorda. Un serpente! Mi ricorda un serpente!
Kurt fa su e giù piano con la testa, ma i suoi occhi da rettile viaggiano in tutte le direzioni, come se mi stesse prestando un ascolto solo parziale e non vedesse l'ora di chiudere il discorso e... Ma certo. Di tornare dal suo amichetto Aidan. «Okay. Una bambina. Capisco. Indagheremo.» Un passo all'indietro, e si è giù voltato di tre quarti. «Nevan, puoi pensare tu, a lui, per il momento?»
«Sì, capo.»
Diamine. Ci ho azzeccato in pieno. Non vede l'ora di sbolognarmi al sottoposto. Mi dà le spalle.
Ma, aspetta...
«Eh, eh-ehm...» Mi schiarisco la voce. «Scusa, m-m-ma... I-il fatto è che... ehm...»
Il biondo si volta di nuovo. «Che cosa?»
«E-ecco, noi... Cioè, Aidan e io... abbiamo lasciato... i nostri t-taccuini...»
Ma lui si è già distratto. Diamine, non riesce nemmeno a fingere di starmi a sentire per cinque secondi?! Scuote la testa. «Scusa avete... cosa?»
Faccio un passo avanti. Qua c'è da usare il dono della sintesi. «I taccuini» scandisco. «Aidan e io... li abbiamo lasciati di là.» Indico la porta. «Quindi, come dire...? Non possiamo trattenerci.»
Ma il discorso cade nel vuoto. In un attimo, Aidan attraversa la stanza e si frappone tra lui e me, con la lucina verde accesa. Si mette di fronte al viso di Kurt, e... Da come Kurt è concentrato... Sì, si è messo a parlare con lui. E, di nuovo, mi sta dando le spalle, e quindi io non capisco cosa gli sta dicendo. Durerà ancora a lungo questa cosa?! Spero che almeno stia confermando le mie parole...
«Aidan...?» Provo ad attirare la sua attenzione.
«Oh... Oh, chiaro...» Kurt spalanca le palpebre «Giusto, giusto. Non c'è problema.» Torna su di me. «Tranquillo, ci pensiamo noi a risolvere. Rahel!»
La ragazza si gira. «Sì, capo?»
«Tu e Dago andrete a recuperare i loro quaderni nella camera alla fine del corridoio.»
«Ah...» Si avvicina. «Va bene, ma... come... Come li riconosciamo?» Dago si affianca a lei.
«Aidan dice che sono sul comodino all'angolo opposto rispetto all'entrata. Giusto?» Cerca il drone con gli occhi. «Sì. E stanno sulla cima di due pile, non c'è nient'altro sopra. Uno è un taccuino con la copertina rossa, e l'altro è un block-notes giallo chiaro. Anche tu confermi, Will?»
Oddio, sta parlando con me. «Eh-ehm... S-sì, però... Però, scusate ma–»
«Bene. Dago, hai sentito anche tu?»
Il colosso si fa un passo avanti.
Oh, cavolo. Non mi ero accorto di quanto la sua faccia fosse... deforme. Gli occhi... sono del tutto neri, nessuna sclera, nessuna iride... Solo due palline nere, distanziate moltissimo l'una dall'altra, quasi ai lati della testa... Ma almeno ce le ha, le palpebre? Perché non sembra...
E non dice una parola. Fa solo sì con la testa.
«Perfetto. Rahel...?»
«Sì?»
«Prima di andare, vai a cercare Florent. Vi servirà la sua superforza da vampiro, per sollevarli.»
Che... cosa...?!
«Ottima idea. Vado subito, capo.»
«E, Dago... Tu mettiti fuori dalla porta. Controlla se la via è libera.»
Il colosso annuisce; mi passa di fianco, e per un attimo non so se scansarmi per farlo passare o se rimanere immobile dove solo. E se si offende? E se mi viene addosso? Le braccia possenti sbucano dal gilet dalle maniche strappate, e la sua pelle... ha uno strano odore. Mi ricorda quello di una cimice.
«Kurt, con rispetto...» Un'altra voce, maschile, impostata, compare dalla zona della poltrona. Alzo lo sguardo. Un uomo dai capelli lunghi e neri si affaccia dalla seduta. Ha addosso una pesante armatura di metallo. Sembra un guerriero medievale. «Vorrei unirmi a questa spedizione.»
«Ma certo, Iskandiar. Va' pure con Dago.»
Il guerriero inizia a calarsi giù, aggrappato a un laccio del copri-poltrona. Il fodero di una grossa spada dondola nel vuoto, tiene fissata all fianco.
Sta succedendo tutto un po' troppo in fretta. «Aidan...? Ma... non sarebbe meglio se... Se noi due...?»
Aidan gira l'occhio-obiettivo verso di me, con una perplessa lucina gialla accesa. Ma anche queste parole finiscono al vento.
«Aidan.» Kurt si mette in mezzo. «Adesso, tu... Tu mi racconti tutto, okay? Voglio sapere tutto, tutto!» Mi lancia una breve occhiata. «Aspetta.» Si avvicina di qualche passo. «Chiedo scusa, non mi sono presentato.» Mi tende la mano. «Il mio nome è Kurt, Distretto 13-Luckau. Sono il capo del covo.»
Guardo le sue dita, le nocche. La pelle... Perlopiù è normale, ma sul dorso...
È a squame.
«Ehm...» Cerco di ricacciare indietro la riluttanza. Provo a distogliere lo sguardo, a fissarlo nei suoi occhi, ma la situazione non migliora. Gli stringo la mano. «P-piacere.»
«Piacere mio. Mi devi perdonare se ora non mi trattengo più a lungo.» Con mio grande sollievo, il contatto tra la nostra pelle s'interrompe. «Nevan, per te va bene occuparti del ragazzino? Aiutalo un attimo ad ambientarsi qui... Insomma, vedi tu.»
Ragazzino?!
«Veramente... faccio diciott'anni quest'anno.»
Come se non avessi detto niente.
«Ma certo, ci penso io. Tanto ci conosciamo già. Giusto, Will? Tranquillo, non ti lancerò i miei pugnali, stavolta. Ah-ah!»
Peccato. Mi farebbe sentire molto meglio.
«Bene. Grazie, Nevan. Rimedierò in un secondo momento.» Kurt mi dà le spalle.
«Aidan...?» Provo a chiamarlo. Niente, oh. Non mi ha sentito nemmeno. Ma perché non mi ascolta nessuno?!
Kurt sfiora con le dita la sua superficie metallica. È come un pat-pat sulla testa. «Vieni, Aidan,» gli sussurra, «vieni con me.» E si allontanano insieme.
Sono pietrificato.
Ma che diavolo è successo?
Nevan mi si porta di fianco. «Allora? Che mi dici? È stato difficile arrivare fin qui? Ti è servita, la mappa?»
Io... non so come formulare la frase.
«Nevan...»
«Sì?»
«Ma che cos'è questa storia?!»
«A cosa ti riferisci...?»
«Loro!» Punto il dito di fronte a me. «Perché si conoscono?!»
«Ah, quello. Be', ecco... È quello che stavo cercando di spiegarti l'altro giorno.»
Lo fisso senza parole. Lui, con noncuranza, si stringe nelle spalle.
«A quanto pare, il tuo amico e Kurt appartengono alla stessa ambientazione.»
Oh, no. Non di nuovo.
«Ma... Ma che cosa... Che cosa vuol dire?!»
«Will?!»
Mi gelo. Una voce di donna. La conosco? Sollevo la testa, cerco intorno a me.
«Chi... Chi mi ha...?»
Una ragazza sbuca fuori da un anfratto, dall'ultimo scaffale della libreria. Castana, coi capelli legati in una coda. Porta un maglioncino a righe sopra un paio di jeans... E, con ancora metà del corpo nascosto dietro al legno, mi guarda, con le labbra socchiuse, e gli occhi umidi di commozione.
Mi ammutolisco.
Non... Non ci posso credere...
Ma quella... Quella...
Io la conosco...!
Lei si sporge, discende dalla base in legno con cautela e, torturandosi le dita davanti al petto, a passi lenti, si avvicina, e non distoglie mai lo sguardo da me.
Tutti i ricordi affiorano in un istante. La vetrina dell'emporio, la tenda antimosche, la merce esposta, l'insegna; e lei, dietro la cassa, che digita il prezzo sulla tastiera, e tutto il dolore, l'attesa, la speranza, la gelosia, l'idealizzazione, il senso di inadeguatezza mi riempiono le viscere e non trovo le parole per esternare tutto questo.
«Oh mio Dio, Will! Sei... Sei davvero tu!»
«B... Becky?!»
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