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20. Una dimostrazione

«Bonjour, monsieur Donovàn.» La voce, ben riconoscibile nonostante il tono più dimesso del solito, rimbomba nella fenditura tra il fondo della libreria e i libri allineati con la costina rivolta all'esterno.

Bene, neanche il tempo di far svaporare l'odore della carta dalle narici... Non so se riuscirò a sostenere una conversazione, adesso. Sospiro, e claudico impacciato fuori dalle pagine. Il vampiro è seduto, come al solito, sul taglio superiore dei libri del nostro scaffale, con le gambe che dondolano, una caviglia sull'altra, verso il mio angolo semibuio.

«Ciao» gli rispondo cupo. Allungo il braccio dentro il taccuino e trascino fuori lo skate.

«Ti sei svegliato tardi, ragazzo.»

Alzo le spalle, indifferente. Non è la verità, perché sono sveglio già da un bel pezzo, ma Florent può credere quello che vuole. Non mi va di spiegargli che non avevo voglia di affrontare anche questa giornata, e che ho preferito nascosto tra le pagine. Non capirebbe. Non lui, che non sembra mai avere una preoccupazione per la testa. 

Forse però sarebbe orgoglioso di me, se gli dicessi che ne ho approfittato per condurre un esperimento sul funzionamento dei quaderni. Era da un po' che mi chiedevo: "Chissà se, aprendo soltanto un piccolo spiraglio dall'interno senza però uscire, il tempo riprenderebbe a scorrere, oppure se rimarrebbe congelato come accade a pagine chiuse.

A quanto pare, riprende a scorrere. Peccato si provi anche una noia incommensurabile, a far così. Altrimenti, avrei potuto prenderla in considerazione come opzione definitiva.

«Ma... c'è qualcosa che non va?» Il vampiro si china un poco in avanti per squadrarmi dalla sua posizione sopraelevata.

Mi ero quasi dimenticato della sua presenza. Ma perché dovrebbe esserci qualcosa che non va? Oh... già. Perché mi sono "svegliato tardi". Certo.

«Non preoccuparti, va tutto bene.» Un'altra bugia. Mi fermo, con lo skate sotto l'ascella. Devo ancora decidere cosa fare, adesso. Forse, è il caso che... mi informi. «Ehm... Florent? Come... Com'è la situazione, lì fuori?»

Lui tiene lo sguardo proiettato verso sinistra, oltre la linea delle spalle. Non reagisce in alcun modo alle mie parole, come se non mi avesse sentito. In compenso, sembra concentrato su... qualcosa, nella direzione degli scaffali vicini. Eppure, c'è un silenzio di tomba nello studio. Non si sente volare una mosca; non un brusio, non uno scalpiccio di passi dai piani superiori.

«Florent...?»

Si riscuote all'improvviso. «Uh?»

Diamine, non l'ho mai visto tanto assorto. È strano... Forse ho sbagliato a pensare che non abbia mai preoccupazioni per la testa. «Ti ho chiesto...» Scuoto la testa. Conviene che io sia più specifico nel formulare la domanda. «Per caso qualcuno dei nostri è fuori per un sopralluogo?»

«Oh, oui. Ho visto alcune persone uscire, più o meno... venti minuti fa. Il piccolo mezz'elfo, monsieur Iskandiar... e poi, non so. Ero impegnato in una conversazione, quindi non molto attento.»

Dannazione. Avrei voluto uscire io, da solo... come ieri. Ma non posso farlo, se ci sono già gli altri per il corridoio. Verrebbe meno lo scopo ultimo della cosa, cioè non incontrare nessuno.

Florent si rimette a guardare nella medesima direzione, come se nulla fosse.

«Okay, grazie» borbotto con noncuranza. Spero non traspaia troppo il mio fastidio. Già è tanto che non mi abbia chiesto perché volevo saperlo, e che io non mi sia dovuto inventare qualche scusa. Non vorrei rompere l'idillio.

Bene. L'unica alternativa è dunque rimanere all'interno di questa stanza... Che scocciatura. Mi incammino verso il passaggio. La luce che serpeggia ai miei piedi, proveniente dall'altro lato, è più chiara del solito. Segno inequivocabile che, mentre eravamo ibernati, qualcuno ha lasciato le tapparelle aperte, forse per lavorare alla scrivania col favore della luce diurna. 

Mi sporgo oltre il passaggio, gli occhi rivolti alle tende candide che lasciano filtrare la luce piena. Be', chiunque sia stato in questa stanza, non l'ha fatto per rimettersi a scrivere le nostre storie. Altrimenti, non saremmo qui. Forse, il padre. Che ci sia stato il fine settimana, di mezzo...? Nel caso, ciò significherebbe che sono passati tre giorni da quando... ho parlato con Kurt, nel suo "posto segreto".

Assurdo, comunque. Nessuno ha pensato di fare qualcosa per tenere traccia dei giorni della settimana. L'abbiamo preso davvero sotto gamba, questo dettaglio. E se, invece, si rivelasse importante...? Per non parlare poi del giorno del mese... O dell'anno in cui siamo.

Ma cosa stava guardando Florent, un attimo fa? Dal bordo della scrivania, rivolgo lo sguardo nella medesima direzione.

Niente, solo la solita fila di scaffali silenziosi. Nulla di diverso dal solito. 

Senza riflettere, inclino la testa all'indietro, e guardo il soffitto. Da qui, l'ultimo piano della libreria appare solo come una lunga linea di legno verniciato, sottilissima. Non credo che ci viva qualcuno di noi, in quegli scaffali. Sarebbero... troppo scomodi per essere utilizzati a mo' ripiani per i quaderni. Leyton dovrebbe far uso di una scala, e fare su e giù di continuo, se volesse tenere i suoi appunti lassù. 

Peccato che questo significhi anche che è quasi impossibile da raggiungere. Troppo in alto, per non parlare del fatto che non c'è nulla che lo colleghi ai piani inferiori. Altrimenti, sarebbe stato perfetto, come rifugio in cui cercare la solitudine.

No, dovrò cercare un altro posto. Salto giù dal bordo e posiziono lo skateboard di fronte a me. Ecco un'altra opzione: potrei fare un salto dal Mentore.

Già. Questa è un'ottima idea. Non ho alcun bisogno dell'aiuto di Kurt. Il professor Pierce è già sulla mia lunghezza d'onda... e non sarà nemmeno necessario spiegargli ogni cosa.

Florent, nel frattempo, deve essersi deciso a lasciar perdere. Qualsiasi cosa avesse rapito la sua attenzione, non sta più guardando in quella direzione. China il capo in avanti, e il velluto della sua giacca si stende sotto l'incurvamento della sua schiena.

Poi, senza alcun preavviso, si sfila la parrucca dalla testa, come uno scalpo. 

«Porc–» Diamine, l'ho detto a voce alta. Mi è sfuggito.

Florent si volta verso di me. Ha l'aria stanca. Il suo viso incipriato e incorniciato da ciuffi di capelli neri, tagliati corti. 

Ben presto il suo sguardo annoiato viene sostituito da un'espressione accigliata, nonché un filo perplessa. Sembra quasi voglia dirmi: "Ma cos'hai da guardare?" E, in effetti, ha ragione. Di cosa mi stupisco? Di certo non potevo credere che quei capelli fossero suoi.

Florent inarca un sopracciglio. Poi abbassa lo sguardo al parrucchino canuto, molle tra le sue mani. Con le dita sottili, inizia a pettinare i boccoli che fuoriescono dal codino.

«Williàm...» mormora tetro.

«S-sì...?»

«Tu sai cosa sta succedendo a Becky?»

Non mi aspettavo questa domanda.

«N-no... Cioè, so quello che sanno tutti. Perché...?»

Il vampiro inspira con lentezza, e rilascia. Il ciuffo si divide in piccole ciocche, che scorrono morbide tra le sue falangi. «Prima del tuo risveglio, è passata di qui madame Rahel. Abbiamo... conversato un po'. Mi ha riferito che... mademoiselle Becky, alcune mattine, non si risveglia. Capita... sempre più spesso. Ne avevi contezza?»

«N-no...» 

Vergogna. Vergogna e colpevolezza. In effetti, mi sono comportato in maniera indecente. Dopo l'episodio della sua mezza cancellazione, non sono mai passato a trovarla. Anzi, a conti fatti, non ho neanche mai pensato a lei. Tranne quella volta, quando l'ho vista insieme Kurt. Lì, mi sono infastidito. Ma, per il resto, niente. Come se non esistesse più. 

Aveva ragione Sylvanara... al cento per cento. Cacchio, avrei potuto fare uno sforzo, almeno. Il fatto che l'autore le abbia tolto il ruolo di interesse romantico non è una giustificazione. È comunque un essere umano, una mia concittadina, un... membro del covo. 

«Oh...» Florent scuote la testa, desolato. Mio Dio, persino il vampiro sembra più in pena di me. «Prima smette di parlare, poi di farsi vedere in giro, e adesso...» La frase, retorica, si sgretola in un lungo sospiro. «Madame Rahel sostiene che si stia... lasciando andare... al nulla

Al nulla...

Deglutisco. 

Di colpo, mi torna in mente una scena. Il primo giorno al covo. Io e Becky stavamo passeggiando proprio qui, di fronte alla libreria. E, a un tratto, dal suo tono è cominciata a trasudare una frustrazione, un senso d'impotenza, incomprensibile, per me, in quel momento. Era come... se covasse risentimento verso di me, pur sapendo che non avevo colpe.

"Ero consapevole che la mia esistenza non fosse al centro" aveva detto. Più simile a una luna, che ruota attorno... 

A me.

Il nulla.

Dalla base del collo, un brivido freddo si dirama lungo la schiena.

Ora che ci penso, il professor Pierce mi aveva detto qualcosa, quando andai a trovarlo la prima volta. Mi disse c'erano personaggi che, pur venendo nominati nelle fonti, non avevano mai preso forma corporea. Personaggi secondari, di poca importanza. 

Il nulla.

E se Becky fosse stata sin dal principio nient'altro che cameriera...? Come sarebbero andare le cose, in quel caso? Avrebbe fatto parte del gruppo dei risvegliati? 

Domanda inutile.

Se il principio è corretto e sempre valido, allora... è come se la sua persistenza, in seguito alla cancellazione del suo ruolo, fosse... una violazione. Un errore.

«F-forse più tardi vado a fare visita al Mentore» borbotto verso il vampiro. «Magari gli sottopongo la questione, e gli... chiedo cosa ne pensa.»

Florent annuisce piano, lo sguardo perso quel nulla in cui, forse, immagina Becky, in caduta libera.

«Okay.» Giro lo skateboard in direzione della scrivania, e sfreccio via. 

Avrei voluto parlare di tutt'altro, col professor Pierce. Di certo, non di questo orrore. Magari gli faccio solo un accenno veloce, giusto per levarmi il pensiero... Dio, ma che ragionamenti sto facendo? 

E, nella foga di sfuggire alla mia stessa indifferenza, di lasciare il cinismo indietro, scarto la cartellina-palchetto, e mi ritrovo... proprio lì. Sotto allo scaffale di Becky. 

Freno, piede a terra, per guardare verso l'alto.

Lei non c'è. E, dopo quel che mi riferito il vampiro, l'ipotesi che sia solo nascosta in qualche punto cieco non la prendo neanche in considerazione.

E, per quanto cerchi di sopprimerne la consapevolezza, per quanto orribile sia, c'è una parte di me che sarebbe... sollevata, s sparisse. Perché non dovrei più pensarci, preoccuparmene. Becky Brown sarebbe solo... un altro nome, sulla lista dei caduti.

Sospiro. Mio Dio, è assurdo. È assurdo pensare che, fino a pochi giorni fa, ero innamorato di lei. E non da un giorno...! 

Tutte quelle incursioni patetiche nella caffetteria solo per vederla dietro al bancone, e sperare in un sorriso, in uno sfioramento delle dita al momento di ricevere gli spiccioli di resto... e Omar che sbuffava ai miei mugugni d'amore, e alzava gli occhi al cielo, perché già lo sapeva che, proprio come tutte le altre volte, nemmeno quel giorno avrei avuto il coraggio di chiederle di uscire. E, nonostante tutto, mi seguiva lo stesso, per farmi da spalla, ché altrimenti sarei stato un idiota seduto da solo a un tavolino dello Starbucks. O un maniaco, come diceva lui.

Sussulto.

Era un po' che non ci ripensavo, ma quando Kurt e gli altri portarono fuori dal cestino le pagine scartate, io lessi quella scena, nel parcheggio di fronte al mio liceo. Lì, Becky era venuta a cercarmi per restituirmi il blocco dei bozzetti che avevo perso proprio allo Starbucks. Sosteneva di aver chiesto di me... a un mio amico. Quello che stava sempre con me, mi pare. 

Be', direi che ora lo scenario è completo. 

Era Omar.

L'amico... che stava sempre con me.

Volto le spalle agli scaffali e alzo lo sguardo lassù, al ripiano della scrivania. Quelle pagine scartate provenivano, se non mi sbaglio, da un quaderno che si trovava lassù. Sì... Sì. Ricordo bene Iskandiar, affacciato da bordo, che ci faceva il resoconto della situazione. L'idea di mettermi a consultare le fonti che mi riguardano mi ha sempre creato... una certa repulsione. Per questo me ne sono tenuto sempre lontano. Però, forse, è arrivato il momento di ingoiare il rospo e metter le mani sulla trama. Tanto più che tutta la mia scommessa si basa proprio su quella. Dovrei... leggerla. E cercare io stesso gli indizi che la mia teoria sul finale mancante è corretto. E poi, chissà. Magari anche la mia scheda di caratterizzazione si trova sulla scrivania.

La seduta della poltroncina girevole si erge su un unico, grande tubo di metallo, che in prossimità del pavimento si dirama in quattro raggi ricoperti da plastica nera, al termine dei quali ci sono le ruote. Abbandono lo skateboard a terra, e mi incammino sotto di loro. Da dove si passa per salire? Non mi sono mai preoccupato di indagare. Eppure, Nevan e Dago fanno avanti e indietro da qui su base giornaliera... Tanto più che, a quanto ne so, loro abitano proprio lassù, di fianco alla tastiera del pc...

«Will, disturbo?»

Una voce alle spalle mi fa sussultare. Mi volto di scatto, in direzione della finestra. Lì, a fianco del pannello, c'è proprio lui.

«Kurt...!» Ma cosa ci fa qui? Quando è tornato? Hanno già finito? Perché non li ho sentiti rientrare? Per qualche secondo, le meningi si aggrovigliano tra loro nel tentativo di ricostruire il suo arrivo, senza successo. «Che cosa ci fai qui? Non dovresti essere fuori?»

Lui aggrotta le sopracciglia confuso. «Fuori?» 

«Per... Per un sopralluogo, in giro per la casa.»

«Ah!» Si stringe nelle spalle. «No. Oggi era il turno di Dago e di Nevan.»

Ecco, e ti pareva? Dunque, oggi era scritto che non avrei avuto scampo, in qualunque posto fossi andato a rifugiarmi. «Be', che cosa vuoi?» chiedo. Zero interesse nel nascondere l'astio.

Lui fa qualche passo verso di me. Rasenta i cassetti, di pochi piedi incassati sotto al ripiano della scrivania, ed esce dal fascio di luce proveniente dalle sue spalle per inoltrarsi nel cono d'ombra da questo lato del pannello. Poi, si ferma. Mani in tasca, posa rilassata, e un viso così limpido che, per un breve istante, mi dimentico che ieri ci siamo quasi presi a parole e che, quindi, in teoria, siamo ancora in piena lite. «Uhm. per caso, hai un minuto per parlare?»

Serro i denti, sull'onda del conflitto interiore. Da un lato, non esplodo certo di gioia alla prospettiva di avere un'altra frustrante discussione con lui; dall'altro, muoio dalla voglia di sentire cos'è venuto a dirmi. Diavolo, mi mangerei le mani. Comunque, non intendo dargliela così per niente. Se la deve sudare.

«In realtà, sarei impegnato» borbotto con sufficienza, senza guardarlo in faccia. Con un colpo di mento, indico l'immensa tavola di legno che ci fa da soffitto. «Sto cercando di capire da dove si deve passare per salire là sopra.»

«Uhm. Perché?»

«Per–» 

Dal nervoso, mi mordo la lingua. Perché mi devo giustificare con lui? Cosa gliene importa di quello che faccio, dal momento che lui non ha voluto prenderne parte? Va be'. Posso anche dirglielo, se proprio ci tiene. 

Inspiro, scocciato. «C'è il quaderno su Urban Canvas sulla scrivania, no? Quello da cui sono state strappate delle pagine su Becky. Ecco. Voglio solo dare un'occhiata trama. O, insomma... a quello che ne resta.» 

«Ah.» Kurt sbatte le palpebre. Il suo volto resta serafico. «Quindi, non l'hai mai letta?»

Se i miei occhi sparassero fulmini, a quest'ora lo avrei tramortito. E quella stupida camicia verde oliva sarebbe solo uno strado di cenere. 

«No.»

Kurt supera il blocco dei cassetti e stende il braccio verso destra. «Comunque il punto per passare è lì dietro» dice. Picchietta due volte le nocche contro il legno. «Nell'incavo tra i cassetti e il pannello... c'è una scala per salire. L'alternativa è arrampicarsi dalla sedia, ma te lo sconsiglio.»

«Ah.» Anch'io mi ritrovo con le mani in tasca, indeciso. Adocchio la seduta, sopra di me, col grosso palo d'acciaio che la tiene sospesa sul vuoto. Poi, il punto in cui il blocco dei cassetti sparisce dietro l'angolo buio. «Ok, grazie.» Mi avvio a passo spedito verso la seconda opzione. «Ciao.»

«Will, aspetta.» Con uno slancio inatteso, Kurt sbalza via dalla sua postazione e spicca un salto in avanti, verso di me. Si ferma a pochi passi. 

Mi giro a guardarlo.

Di nuovo, oscillo tra gli estremi di un contrasto interno. Da un lato, mi dà fastidio che mi segua. Vorrei dargli una spinta e fargli perdere l'equilibrio. Dall'altro sono molto soddisfatto. Comunque, resto impassibile. Una statua di cera. Fermo, stoico. Non deve trasparire nulla.

«Eh» dico.

Lui sospira, sconfitto. Le braccia gli ricadono lungo i fianchi, pesanti come macigni. «Okay, senti. Se puoi rimandare per qualche minuto... ci sono un po' di cose che sarebbe meglio chiarire.»

"Cose che sarebbe meglio chiarire, gnì-gnì". Le budella mi si contorcono nel basso ventre. Ma perché usa questo tono?! Oddio, ma dove vuole andare a parare? Giuro, se cerca di umiliarmi di nuovo... Se ora se ne esce con un discorso paternalistico sul fatto che sono immaturo a prendermela...

«Giuro che dopo ti lascio andare» aggiunge, dopo un attimo di esitazione.

«Dai, parla.»

«Okay. grazie. Ho riflettuto su quello che ci siamo detti ieri, e... credo di essermi posto nel modo sbagliato.»

Oh-oh-oh, cosa sentono le mie orecchie? Kurt ammette di aver sbagliato? Con... me? Sono forse delle scuse? Interessante. Davvero, davvero interessante. Ne voglio ancora.

Incrocio le braccia sul petto. «Non credo di aver capito. A cosa ti riferisci, nello specifico?»

Kurt deglutisce. «Sono stato sbrigativo. Ecco, mettiamola così. Le ipotesi che hai fatto su di me sono abbastanza accurate. Hai ragione, sono impulsivo e non rifletto troppo sulle cose prima di farsi. Ieri, ti ho rispondo con la prima cosa che mi è venuta in mente.»

«O... Okay?» Non è quello che mi aspettavo, credo-

«Ma, a ben vedere... credo sia questo il motivo per cui la gente si affida a me. Perché... agisco, senza stare a rimuginare troppo sulle conseguenze. È vero, spesso il mio modo di fare porta a un sacco di casini. Ma è pur vero che, altrettanto spesso, è proprio quello di cui c'è bisogno. Soprattutto nelle situazioni di crisi.»

Assottiglio lo sguardo. Mi sto irritando. Queste non sono scuse.

«E... la nostra esistenza, prima di finire qui, era un susseguirsi continuo di situazioni di crisi. Capisci cosa voglio dire?»

Lo fisso. «No.»

Lui sposta il peso da una gamba all'altra. «Intendo dire che, nei momenti di tregua, cioè... quando le milizie della Panopticorp smettevano di darci la caccia... c'era il problema del cibo e dell'acqua potabile. Soprattutto quest'ultima... E poi, quando avevamo sia cibo che acqua, capitava che qualcuno si beccasse un'infezione per colpa delle pulci carnivore o di qualche altro parassita desertico, e allora... dovevamo organizzare un raid sull'itinerario dei camion della sottosezione farmacologica della corporazione medicinali, tra Neu Darchau e Die Lucie.»

«Kurt, arriva al punto.»

«Il punto... è che non c'era tempo per pensare. La riflessione... era un lusso. Roba per i membri del Consiglio di Amministrazione della Panopticorp, non certo per i cani sciolti del deserto. Per quelli come noi, c'erano solo due modi per arrivare tutti vivi a fine giornata: o affidarsi a qualcuno che sapesse prendere decisioni rapide, oppure... essere quel qualcuno. Perché fare una scelta che può rivelarsi sbagliata dava comunque più chance di sopravvivenza rispetto al restare fermi. Io, per gli altri, ero quel qualcuno.»

Io continuo a fissarlo. Non so cosa dire. Vorrei tanto capire il motivo di tutto questo discorso. Giuro che se è venuto qui per farsi un'autocelebrazione, questa conversazione a schiaffi. 

Lui infila le mani nelle tasche dei pantaloni e china lo sguardo a terra. «Al contempo, non sono abituato a consultarmi con gli altri o a passare al vaglio tutte le loro proposte. Te ne sarai accorto: anche Rahel mi rimprovera sempre per questo...»

Ah, bene, siamo giunti all'autocritica. Era l'ora.

«...però, insomma, che cosa posso farci? È questa la strategia che ha sempre funzionato. E, in fondo, credo che lo sappia anche lei. Anche se la fa innervosire.»

Caspita, è durata pochissimo quest'autocritica.

«Sì, però, Kurt... Ora non siamo più nella tua ambientazione. Di tempo per discutere le decisioni ce ne sarebbe in abbondanza.» Il tono mi esce piccato, ma è intenzionale.

Kurt sospira di nuovo, e dondola stanco la testa a destra e a sinistra. «Sì, lo so. Infatti, stavolta ho cercato di ripensare a quello che mi hai detto. Will...» Fa un passo in avanti. «Non è che non mi fidi di te nello specifico. È che sono abituato a fidarmi solo di me stesso. Tuttavia, questa non è una giustificazione. Ho già sbagliato una volta, a non darti retta. E io lo so, ma continuo a sbagliare. Lo dice... Lo dice anche Rahel.» 

«Rahel...» borbotto. «Uhm. Forse, avrei dovuto rivolgermi a lei sin dal principio. Mi sembra più saggia di te.»

Sorride, ma solo con gli occhi. «Va be', tutto questo per dirti che... la tua ipotesi potrebbe essere valida.» 

Bene. Molto bene. Ho un sassolino nella scarpa, però. Me lo devo togliere. 

«Quindi, non dico sempre cose stupide...» 

«No» mormora lui. A volume basso, ma senza esitazione. «A parte quando te ne esci che voglio metterti contro gli amici. Su quello, preferisco non fare commenti.» 

Già...

La gratificazione dura molto poco. Ripenso alla situazione con Aidan e Becky, e poi... Piumino, che mi ha fatto quel discorso prima che fuggissi in corridoio, la mattinata scorsa. Un peso mi opprime di colpo il petto, e vorrei... sprofondare. Non c'era molto da fraintendere, nelle sue parole. È piuttosto chiaro cosa gli altri pensino di me.

Mi giro all'indietro, cerco, con lo sguardo, la più vicina delle gambe della sedia, tra quelle che collegano il grosso cilindro a una delle quattro ruote. È lì, ad appena due passi. Così, indietreggio, e poggio la schiena al suo rivestimento di plastica.

«Lo so» sussurro. «In effetti, tu non c'entri, con quello. Non è certo colpa tua, se qui mi odiano tutti. Ho fatto... tutto da solo. Dopo la storia della registrazione, poi... non mi faccio più illusioni.» 

E Kurt alza gli occhi al cielo. «Ecco» sibila. «Lo sapevo.»

«Cosa?»

«No, niente. Lascia stare.»

«Dai, dimmelo.»

Lui scuote la testa. «È... È proprio come ho detto ora. Il tuo modo di fare.»

«Il mio?!» Ma che cosa dice? Ma se ha parlato solo di se stesso!

«Sì, il tuo! Rimugini, rimugini... Ti deprimi... Ma a cosa serve? Chi se ne importa se adesso qualcuno ti odia?! Cosa cambia, a livello pratico?! Sempre che non sia tutta una tua fantasia, poi! Ecco, guarda. Io non ti odio, però... Però mi fai rabbia, questo sì.»

Sono allibito. Come siamo arrivati a questo?! Che cosa ho detto di sbagliato?!

«Ti... faccio... rabbia?» 

«Sì» fa lui, deciso. «E pure parecchia!» 

«Ma... ma perché?!» 

«Dannazione, te l'ho appena spiegato! Mi metto al tuo posto, e immagino che fine avrei fatto, se fossi stato come te. Sarei morto! Capisci?! Non ci sarei mai arrivato a ventun anni!»

«Hai... ventun anni?»

«A meno che» continua, come se non mi avesse sentito, «non fossi stato il bamboccio del CEO, e avessi... vissuto l'intera esistenza nel 3-Damnaz, chiuso dentro la Torre Bianca di Gusborn!»

«Non... Non ti sembra di esagerare, ora?!»

«No. Per niente.»

«Be', comunque io vivevo a Vancouver, e nemmeno nel quartiere più ricco. E a diciotto anni ci sono arrivato.» Quasi. «Quindi stai esagerando!»

«Will... Io vorrei solo che tu la smettessi di rimuginare su quello che potrebbero fare, dire o pensare gli altri, e ti concentrassi su quello che devi fare tu. Punto! Per... Per questo mi fai rabbia! Perché vedo come sei. Già dal primo giorno mi hai dato quest'idea. E sì, lo so che non si dovrebbero sparare giudizi così sommari al primo incontro... Ma in questo caso non credo di aver sbagliato di tanto!»

«Ma... Ma allora è vero che non mi sopportavi!» La misura dell'indignazione è colma. Il volume si alza a ogni parola. «Di... Di cosa diamine hai parlato finora?! Due minuti fa sostenevi che non ce l'avevi con me nello specifico... "Non sei tu, sono io, bla bla"... E ora mi dici l'esatto contrario!»

«Will... no! Quello che sto cercando di dire... è che sono impulsivo, e giudico le cose in base al mio metro. Ma... non ce l'ho con te. Anzi... Siamo solo all'opposto, come hai detto tu ieri. Ma questo può essere anche un vantaggio...»

«In che senso?»

Si appoggia accanto a me. «Tu hai trovato delle soluzioni... che a me non sarebbero mai venute in mente...» 

«Oh.» Forse, forse, comincio a capire a che tipo di vantaggio si riferisce.

«... proprio perché siamo diversi. Quindi, forse dovremmo cercare di... trarne il buono.»

«Il buono...» ripeto tra me e me. «Ma, quindi, mi stai dicendo che l'idea del mediare...»

Sorride. «Sì. Gioverebbe anche a me. E al covo, in generale. Pensa a quanto potremmo essere d'aiuto agli altri, se collaborassimo.»

«Ah... Però.»

Sono impressionato. Da svantaggio evolutivo che nel suo scenario distopico mi avrebbe senza ombra di dubbio fatto schiattare, di colpo il mio modo di essere è diventato una risorsa per la collettività. Un bel salto. Ma, a ben vedere, in effetti le due cose non sono in contraddizione. Be', meglio così. Almeno ci è arrivato da solo. Se lo avessi saputo prima, avrei fatto leva sin da subito sull'aspetto utilitaristico per il gruppo. Dev'essere il suo punto debole.

«E poi,» riprende, «c'è anche un'altra cosa di cui vorrei parlarti. Aidan.» 

Mi sono perso. «Aidan?» 

Kurt annuisce.

«E che cosa c'entra Aidan, adesso?» 

Lui fa scivolare giù il gomito dall'appoggio e si rimette le mani in tasca. Appoggia la schiena, e proietta lo sguardo dritto di fronte a sé. 

«Ieri mi hai accusato di volertelo mettere contro... tra le altre cose.» 

«Ero... un po' arrabbiato» borbotto.

Kurt scuote la testa, deciso. «No. No, Will.» E trae un lungo respiro. «Immagino tu abbia capito come funziona qui, giusto? Prima che voi arrivaste, nessuno di noi si ricordava di lui. Né io, né Rahel, né Dago. È tornato tutto a galla in quel preciso momento.»

Annuisco, con un'unica mossa del capo. In effetti, non avevo bisogno di queste spiegazioni.

«A quel punto, l'ho aggiornato su tutto quello che era successo in sua assenza, e lui ha fatto lo stesso con me. Non solo perché mi era utile saperlo, in quanto capo del covo, ma anche perché... era come riprendere i fili di un discorso che era stato interrotto da tempo. Capisci cosa intendo?»

Certo che capisco. Tuttavia, non rispondo. È superfluo.

«Mi ha parlato del risveglio nella camera, del vostro primo tentativo di fuga, della scomparsa della Bambina... Insomma, di tutto. Eravate rimasti solo voi due, e vi siete aiutati a vicenda. Non era difficile capire quanto foste importanti l'uno all'altro. Eppure, appena hai messo piede qui dentro, hai alzato un muro e non hai più cercato di mantenere il rapporto con lui.»

«Io?!» Mi discorso dall'asse, per guardarlo in faccia. «No, questo non è vero. Non è andata così. È stato lui a iniziare a ignorarmi... e a mettermi da parte. Io mi sono solo comportato di conseguenza.»

«Ah, sì?» Kurt gira appena la testa e mi guarda in tralice. «Ne sei sicuro?»

«Sì, lui mi ha–» 

«A quanto ne so,» m'interrompe, «sei stato tu a cacciarlo quando è venuto a cercarti. Sai... Aidan avrà pure le emozioni installate, ma questo è stato un po' troppo. Non puoi pretendere che capisca i tuoi comportamenti contorti.»

I miei...? Un moto di irritazione mi percorre le braccia, scivola giù fino ai polsi e mi porta a serrare le dita. «Senti, Kurt. Io apprezzo tutto quello hai detto finora. Ma questa... è una faccenda tra me e lui.»

«Guarda che lo so...» fa lui, imperturbabile. «E infatti non avevo nessuna intenzione di immischiarmi... Anche se, a quanto pare, tu eri convinto del contrario.» La sua bocca si torce in un sottile ghigno di biasimo. «Non gli ho nemmeno detto ciò che ne pensavo io della faccenda, proprio perché volevo starne fuori.»

«C-cioè...?» La curiosità, a questo punto, è troppo forte. «Cosa...?» Lascio la frase in sospeso.

«Che tu eri geloso.» Il sorrisetto, ormai, lascia trapelare tutto il suo divertimento. «Avevi paura che Aidan ti avrebbe lasciato solo, perciò... hai giocato d'anticipo, e l'hai mollato tu.»

«Io non ero affatto...! Aspetta. D'anticipo?»

«Sì. Per evitare la delusione. Ti suona familiare?»

Tutto il discorso è imbarazzante. È vero, mi rispecchio abbastanza. Ma detto da lui, sembra tutto più grottesco di come l'ho vissuta davvero. Non pensavo di essere un tale libro aperto. Soprattutto per lui, che non mi degnava della minima attenzione. Affosso la testa tra le spalle, come volessi sparire, e serro e braccia sul petto. Per un bel pezzo, me ne sto in silenzio, e quando riesco di nuovo a parlare, è solo un brontolio sommesso quello che mi esce di bocca.

«Comunque, non capisco perché dobbiamo parlarne. È un rimprovero, questo, o sei venuto a fare da paciere?»

«Nessuna delle due, a dire il vero.» Una pausa. «Sei stato tu a chiedere il mio aiuto, no?»

Sussulto, e mi giro verso di lui. Parla sul serio...? Sta davvero dicendo che... ha cambiato idea anche su quello?

La sua espressione è seria. Ogni traccia di ilarità è sparita da suo volto, e mi guarda dritto negli occhi. «Vuoi che io ti aiuti a smussare alcuni lati del carattere, o mi sbaglio? Mi pare fosse questo il punto, ieri. Dimmelo, se ho capito male.»

«No.»

«Ecco. E allora, in un certo senso, la questione è anche un po' affar mio.» 

Ha cambiato idea davvero. Non ci credo. «Non... Non capisco.»

«È sempre lo stesso schema, non lo vedi? Con Becky, Aidan, e... anche con tutta quella storia del diventare un artista. Tu cerchi sempre di rimanere dentro una zona di sicurezza, perché così puoi prevenire qualunque sorpresa, sia in positivo che in negativo...»

«Ehm...»

«Peccato che questo sia un fallimento di per sé. Ma... non credo di dovertelo spiegare. Non saresti venuto da me, se non fosse già un qualcosa di cui ti sei già reso conto da solo.»

Becky... Aidan... Il concorso. Mio Dio. È sempre lo stesso schema.

Kurt si riappoggia all'asse con una spalla. «Comunque, quella del paciere non era una brutta pensata.»

Le sue parole scivolano via come l'acqua. Lo stesso schema. Con Becky, la paura del rifiuto, con Aidan, dell'abbandono, con il concorso... del fallimento. Situazioni diverse, identica risposta. 

«E tu?» gli chiedo d'un tratto.

«Cosa...?» 

«A te, dico. Non sfiora mai il dubbio che le cose possano andare nel verso sbagliato? Non hai... paura?»

«Certo... Certo che ho paura, Will. Solo che...» Alza le spalle. «La metto via.»

«Come?»

«Uhm. Faccio l'esatto opposto di quello che fai tu. Sai, le voci che ti dicono che non ce la farai mai, che sarà tutto un disastro...? Ecco, io li prendo... e le chiudo in una scatola. Non è che spariscano, però... aiuta.» 

Sospiro. Mettere via, chiudere in una scatola... Non credo andremo da nessuna parte con il linguaggio metaforico.

«E... pensi si potermi insegnare come si fa? A livello pratico, dico.» 

Lui ci pensa un po'. «A livello pratico... posso darti una dimostrazione.» 

«E cioè?»

Kurt, per qualche secondo, mi fissa. Poi abbassa lo sguardo ai cordini della felpa, come se ci fosse qualcosa... Cos'ho, una macchia? Non lo so. E quando torna a guardarmi negli occhi, le sue iridi brillano come se ci fosse una luce puntata su di loro, anche se... non è cioè. «Cioè...» sussurra, con un sorriso appena accennato. Con un piccolo movimento, supera la poca distanza che ci divide e, del suo movimento, ha un senso per me. E poi...

Porca. Miseria.

Le pelle del viso, morbida. Le labbra, umide. L'odore... Lo sapevo. Lo sapevo. Dio, lo sapevo che odorava di sabbia. E di bruciato. E di benzina. È come essere investiti da un vento. Caldo. Ho caldo. Perché il suo busto si è appoggiato al mio, anche se non lo vedo... perché ho chiuso le palpebre. E poi, sento il cuore. Ma forse è il mio.

A un tratto, lui fa un passo all'indietro, e torno a vedere. 

Non ho capito. 

Lui, intanto, di fronte a me, sta sorridendo. 

«Così» dice.

Così. 

Così...? Ha tutta l'aria di essere la risposta a una domanda. Che cosa gli ho chiesto?

Ma Kurt indietreggia ancora, finché non giunge vicino al centro della raggiera, dove lo spazio tra l'asse il pavimento è più alto. Abbassa la testa per passarci sotto, e risbuca dall'altra parte.

«Riflettici» dice, e si avvia verso il blocco dei cassetti.

Riflettici. 

Ma su cosa?! Su cosa devo riflettere...?

Lo guardo allontanarsi a passi lento, senza dire una parola. Poi, sparisce oltre lo spigolo.

«Cosa...?» dico alla fine. Ma ormai è lontanissimo. Sono passati interi minuti.

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