15. Mostra, non raccontare
In piedi accanto alla coppa, Sylvanara mi guarda con un sorriso che per un istante interpreto come ironico. Tuttavia, non lo è. Non c'è traccia di presa in giro nella sua espressione.
Tiro su col naso. Un pizzicore mi pulsa agli angoli degli occhi. Sbatto le palpebre, cerco di dissimulare la mia tristezza, ma forse sto solo peggiorando la situazione. Ora penserà che stavo piangendo.
«E-ehm... Sì, sì» borbotto, quasi più imbarazzato da quella specie di sguardo materno e, al contempo, stranamente freddo e altero, piuttosto che dall'idea che volesse deridere il mio momento debolezza. «S-stavo... Stavo cercando il professor Pierce, però, e-ehm...» provo a spiegare, subito sulla difensiva, «non c'era, e allora... mi sono messo seduto qui, per... per aspettarlo...»
«Non preoccuparti. Vedrai che a un certo punto si farà vivo.» Si distacca dal soprammobile e si avvicina a me, a passi lenti, percorrendo il centrotavola di trina. Attorno alle nocche della mano destra tiene attorcigliata la cinghia di una faretra di cuoio, piena zeppa di frecce con la punta rivolta verso l'interno, che dondola piano al di sotto del suo ginocchio. «Forse, però, ti toccherà aspettare. A volte si sveglia sul tardi.» Giunge alla pila delle agende, e appoggia a terra la faretra, dietro lo spigolo dell'ultima costina.
«Non importa, tanto non ho niente da fare.» M'infilo le mani in tasca, guardo a terra, come se con l'interruzione del contatto visivo potessi davvero sparire dal suo orizzonte, e dare il minor fastidio possibile.
Lei non si muove. Sento il suo sguardo addosso, anche se sono girato. Pensavo che dopo avere fornito una spiegazione alla mia presenza se ne sarebbe andata per i fatti suoi. E invece, è ancora qui.
«Ma sei sicuro di stare bene? Perché, sai. Non sembra.»
«S-sì.» Alzo le spalle. «Davvero. S-sono... Sono solo preoccupato per Aidan, e... per la missione.»
«Già. Lo siamo tutti.» Spalle dritte, mento sollevato, Sylvanara incede di qualche passo e si ferma di fronte a me. Ha un che di regale – lo colgo pure se insisto a guardare per terra – che pare lei sia l'unica a potersi permettere. Credo che qualunque altra donna, cioè, umana, che si atteggiasse così finirebbe col sembrare ridicola. E, forse, in realtà pure lei viaggia sul confine del macchiettistico, solo che io non ci faccio caso per via della sua... sì, be', insomma... della sua folgorante bellezza.
Indica vicino a me. Non capisco. Guardo il dito. Sono stupido?
«Se vuoi, posso tenerti compagnia per un po', mentre aspetti.»
Oh... Voleva solo chiedermi il permesso di sedersi qui. «Ehm. S-sì, va bene.» Trascino pure le natiche di lato per farle spazio, anche se non servirebbe. C'è tutta la costina, a sua disposizione.
Lei, però, sembra apprezzare il gesto. Sorride, si afferra i lembi della lunga gonna mentre si volta di spalle e si siede alla mia destra, a un palmo di distanza. Accavalla le gambe, e il tessuto setoso scende giù dal ginocchio come una cascata. Intreccia tra loro le dita affusate, tutte terminanti in unghie perlacee, e dalla forma ovale. «È solo questo a renderti così angustiato...?» Mi osserva in tralice, con sguardo indagatore, come se avesse colto qualcosa di più, qualcosa che non ho voluto dire, e aspettasse solo la mia confessione.
Mi sento a disagio. Cerco di fare mente locale. Quante volte ho interagito con lei? In quante circostanze lei era nei paraggi, mentre succedevano le cose? Lo sforzo di anticipare l'idea che potrebbe essersi fatta di me mi manda in tilt il cervello.
«C-come...?» riesco solo a sussurrare. «Perché me lo chiedi?»
Lei ispira dal naso. Guarda di fronte a sé. «So che tu e Aidan siete arrivati qui insieme» dice seria. «Prima, eravate solo voi due. Me lo ha raccontato Nevan. Quindi... non metto in dubbio che siate uniti da un indissolubile legame di affetto...»
Irrigidisco la mascella. Dio. È davvero così...?
«...e, senza dubbio, la sua partenza, l'incertezza attorno alla sua sorte... sono motivi che bastano e avanzano per giustificare il tuo stato d'animo. Chiunque, al tuo posto, si sentirebbe abbattuto, impaziente di arrivare a domani. Tuttavia...» Stringe le dita ancora più forte, preme i pollici insieme. «A volte, è proprio nei momenti di maggiore pressione – quelli in cui le nostre difese crollano sotto il peso degli eventi anche solo presagiti – che si fanno spazio, nel nostro cuore, le più cupe delle nostre insicurezze, e le paure più profonde... Quelle che, quando il cielo è terso e le giornate sono serene, siamo tentati di negare, e nascondere sottoterra. Perché temiamo possano influenzarci nelle nostre azioni, farci prendere decisioni sbagliate, o peggio... condurci alla più totale immobilità. Eppure, esse ci manovrano lo stesso, proprio come un parassita che vive nel sottobosco contribuisce alla malattia della foresta, pur restando invisibile in superficie.» Abbassa lo sguardo. «Sai, una persona molto saggia, una volta, mi ha detto che, in questi casi, la cosa più benefica è... tirare fuori le ombre. Pronunciare il loro nome ad alta voce, e... osservarle, sotto la luce del Sole. A volte, è proprio così che scompaiono.»
«Ti riferisci al Mentore?»
Lei aggrotta le sopracciglia. «Come...?»
«La persona molto saggia.» Ormai, questa storia delle caratterizzazioni mi è rimasta impressa. «È lui che ti ha detto queste cose?»
«Ah! No, no...» Sorride. «Si tratta... di una persona che ho conosciuto nel mondo reale.» Il suo sorriso, per un attimo, s'incrina. L'angolo della bocca è scosso da una sottile vibrazione. Si ravvia dietro luna ciocca sfuggita dalla treccia. «Comunque, non so se questo sia il tuo caso, ma... sappi che, se può farti sentire meglio, con me puoi parlare. Resterà tra noi, qualunque cosa sia.»
Ci ragiono. In effetti, non c'è nulla di segreto.
Mi schiarisco la voce.
«Be', il fatto è che...» Proietto lo sguardo in avanti. «Sto male. Sento come se stessi per... per esplodere e... non ne posso più! Giuro, non ne posso più! L'unica cosa che vorrei è... È svegliarmi domani mattina, nel mio letto, nella mia stanza a Vancouver, e... scoprire che è tutto finito, e che posso tornare alla mia vita. Sarà pure folle, ma, davvero... non me ne frega niente, niente,» rimarco a denti stretti, «se sono tutti scenari inventati, se le nostre vite non sono mai state reali. Per me, la mia lo era. Lo era, cavolo! Io ricordo... la brezza sulla pelle, l'odore dell'asfalto bagnato dopo la pioggia, e il sapore del... Del frappuccino, capisci?! E magari non era tutto perfetto, però avevo... una casa. Un padre, degli amici, e... E mi mancano, queste cose! Le rivoglio indietro! Non m'interessa se... era una finzione.» Sospiro. Mi passo una mano tra i capelli, li ravvio all'indietro. «Lo so, forse è un discorso privo di senso...»
«No, tranquillo. Non lo è.»
«Be', comunque, il punto è che... se solo potessi prendere il mio skate, uscire dalla porta di casa mia e... sfrecciare di nuovo sulla strada, all'ombra degli alberi... Se solo potessi... riabbracciare mio padre... rivedere i monti, con la neve, e il mare, a poca distanza... per me, tutto questo... il covo, i quaderni, l'autore, il richiamo... sarebbe solo un capitolo chiuso. Mi lascerei ogni cosa alle spalle, come un brutto incubo, che mi fa risvegliare sudato ma che non ha alcuna influenza sulla realtà. E pensa che io non ci andavo nemmeno d'accordo, con mio padre...»
Poi, un pensiero mi coglie di sorpresa. E se, invece, una volta tornato a casa, trascorressi il resto della mia vita nel terrore di finire di nuovo qui, e perdere tutto... un'altra volta?! Oh, Gesù...
Scuoto la testa, esausto. «E poi, come se non bastasse, io qui non riesco a integrarmi. Da quando Aidan ha ritrovato i suoi compagni, sta sempre con loro. È come se si fosse dimenticato di me! E Becky... Be', con lei è andato tutto male, fin dal principio. È stato solo un susseguirsi di disastri. L'unica persona con cui mi senta a mio agio è il professor Pierce, ed è tutto dire! Insomma, stiamo pur sempre parlando di uno dei miei insegnanti. Non è... Non è proprio quello che si definirebbe con "amico". E poi... Kurt...» Mi blocco.
«Cosa, Kurt?» mi chiede con dolcezza.
«Lui...» Deglutisco. «Mi sembra abbastanza chiaro che abbia una pessima opinione di me. Anzi, credo che mi detesti, se proprio vuoi saperlo. E lui è il capo, qui. Perciò... quello che pensa lui, vuoi o non vuoi, influenza tutto il resto, no? E non fa altro che peggiorare la situazione. Solo che io non so cos'avrei fatto per meritarmi tutto questo..»
«Ma perché credi che ti detesti?» mi chiede con aria confusa.
«Be', che altro dovrei pensare? O mi ignora, oppure, se decide di rivolgermi la parola, mi sgrida. È umiliante. Ha un astio addosso che, che io... davvero, non lo so.»
Sylvanara aggrotta le sopracciglia, mi scruta. «Però ha ascoltato la tua idea, alla fine, no? E te ne ha riconosciuto il merito. Ha detto che avevi ragione.»
«Questo è vero, però...» Ci rifletto. Kurt sembra molto orgoglioso, non il tipo di persona che concede volentieri la ragione a qualcun altro, specie se lo detesta. «Però, questo non dimostra niente» concludo a voce alta. «Per me è lo stesso evidente che mi consideri un inetto. Ad esempio, perché ieri non ha accettato che andassi io? Avrebbe avuto senso, no? Proprio perché ero stato io a proporre l'idea. E invece, ogni volta, è come se desse per scontato che io non sarei in grado di fare nulla... e non mi conosce nemmeno!» mugugno con stizza. «Non... mi dà nemmeno l'occasione di dimostrare il contrario! È un circolo vizioso!»
«No, no.» Sylvanara scuote la testa, convinta. «Kurt è fatto così. Cerca di proteggere tutti, e di farsi carico di ogni incombenza. Non dovresti prenderla sul personale. Non avrebbe acconsentito nemmeno se mi fossi proposta io... e io sono certa che lui abbia stima di me.»
«Forse, di te. Ma di me no! Lui... me l'ha detto proprio in faccia, che sono un vigliacco!»
«Quando?» mi chiede in tono stupito.
«Quando ho esposto la mia idea! Ha detto che non avrei mai avuto il coraggio di metterlo in pratica di persona, e che avrei aspettato qui, mentre gli altri correvano il pericolo al posto mio!» Scuoto la testa. «No, credimi, me ne accorgo quando non sono benvoluto.»
Sylvanara riflette per qualche secondo. Poi, sospira. Guardo di fronte a me, verso la libreria lontana. Lo scaffale che Kurt divide con Aidan è rimasto per tutto il tempo nascosto dalla coppa. Non l'ho tenuto d'occhio, ma, adesso pare che si sta calando verso il ripiano inferiore. Un senso d'irritazione mi monta dalle viscere e mi sale fino in gola.
«E comunque,» sibilo, «non capisco perché tutti lo idolatrino così.»
«In che senso?» Sylvanara inclina la testa in avanti. Non so se volevo che mi sentisse... Ma, ormai, siamo dentro.
Punto il dito verso di lui. «Non si sono accorti che ha fatto solo la parte di quello che voleva andare, mentre in realtà è rimasto qui al covo, come tutti noi? C'è Aidan, là fuori!» Sposto l'indice verso le tapparelle della finestra. «È Aidan che sta rischiando, non lui...!» Il cuore mi batte all'impazzata. Ho paura di come mi giudicherà Sylvanara. Ma, in fondo, è stata lei a dire che mi potevo sfogare. Nel frattempo, Kurt è atterrato nello scaffale subito sotto al suo. Non se ci viva qualcuno che conosco, lì... Ma so che lo scaffale accanto è quello di Becky. Sporgo la testa di lato. È da lei che sta andando?
«"La parte"?» Sylvanara sembra molto perplessa. «Stai... dicendo che viene ammirato senza nessun motivo oggettivo?»
«N-non so se–»
«Quindi tu non credi che quello che ha fatto due notti fa sia, in effetti, straordinario.»
Taccio. Mamma mia, addirittura "straordinario". Quanta enfasi. Va be', dovevo immaginarlo che anche lei facesse parte della schiera delle ammiratrici.
Sporgo di nuovo la testa di lato. Sì, è come sospettavo: Kurt sta andando proprio da Becky. Con le mani si regge al pannello centrale e poggia il piede sullo scaffale accanto. Ci mette un attimo, a passare dall'altra parte. Poi, con educazione, fa un cenno di saluto silente, senza scomporsi.
Non mi ero accorto che lei fosse sveglia. Faccio caso solo adesso alle converse che sbucano vicino alla fila di cartelline colorate. Dev'essere seduta a terra, con la schiena appoggiata alla scatola di latta. Lui si inginocchia di fronte a lei.
Stringo i pugni.
«No... Non intendevo dire questo. Sì, lui...è stato bravo, te lo concedo» borbotto cubo. «Ma lo è stato anche a prendersi tutti i meriti. Sì, sì, ha ammesso che avevo ragione, eppure... Guarda là.» Indico verso i due, in lontananza. Forse non ci metterei la mano sul fuoco, ma secondo me le ha accarezzato il braccio. E la guarda... con quegli occhi apprensivi, l'espressione partecipe, sembra quasi che dica: "Poverina..." Serro la mascella. «Guarda lei!»
«Cosa... dovrei vedere?» mi chiede lei, confusa.
«Adesso, lui... fa la parte di quello che la consola. Bello, eh? Già... Peccato che sia solo colpa sua, se Becky ha perso la parola.»
«Colpa... sua? Come sarebbe, colpa sua?»
Espiro dal naso, come un toro, e mi alzo in piedi di scatto. «Tu non c'eri il giorno in cui venne tirato fuori il discorso, Sylvanara. Ma quando io ho proposto questo piano, lui mi ha trattato come... Come se non avesse mai sentito un'idea più stupida in tutta la sua vita! E la cosa peggiore... quella che più mi urta in assoluto... è che gli altri non hanno detto una sola parola in mia difesa... Anzi. Becky ci ha pure aggiunto il suo carico, sembravano tutti coalizzati contro di me. E quando in seguito è venuto fuori che, invece, avevo ragione io, credi che siano venuti a dirmi: "Scusa, Will, non dovevamo trattarti in quel modo"?! No! Perché, erano già di nuovo tutti in adorazione per Kurt! A nessuno è venuto in mente che, se Kurt mi avesse dato retta sin dal principio, forse, e dico forse, adesso Becky starebbe bene, perché avremmo dato una svolta alla situazione prima che i suoi appunti venissero scartati! Prima che succedesse l'irreparabile... Capisci?! Altro che... eroe.» L'ultima parola mi esce dalla bocca quasi con disgusto. «E la cosa più assurda è che, nonostante tutto questo, nonostante avessi ragione io, cribbio... non è cambiato niente. Becky è lì che si fa consolare da Kurt, come se fosse il suo salvatore...! Dio, gli è bastato appropriarsi della mia idea, metterla in pratica dopo avermi sminuito... ed ecco che lui è l'idolo del covo...!» Scuoto la testa. «Kurt... è solo un opportunista. Ecco cos'è. Un opportunista... e un falso!»
Okay, devo calmarmi. La rabbia mi sta facendo uscire di testa... Ma non posso farci niente, io... sono senza parole. E pensare che Becky era presente, quando lui mi ha trattato come un inutile. Lo sa, cavolo, lo sa che è stata un'idea mia! Dovrebbe... cacciarlo dal suo scaffale, per come si è comportato quel giorno. E invece, pure lei si sia fatta abbindolare dalla sua... messinscena. Mio Dio, forse è vero che è solo una stupida.
«Will...» La voce calda di Sylvanara interrompe il mio rimuginio. «Guarda che Kurt non è come lo dipingi. Non nego che abbia sbagliato, a non capire fin da subito le potenzialità della tua idea. Ma, credimi, non è un opportunista. Tantomeno un falso.»
«Certo...» Dovevo immaginarlo. Ma, del resto, perché diavolo ho aperto bocca? Era ovvio che anche lei fosse... una sua fan.
«Inoltre, permettimi... di essere schietta. Ti sei chiesto come mai tu sei qui, sulla cassettiera... e stai parlando con me?»
Mi volto a guardarla. «Che intendi?»
Sylvanara alza le spalle. «Forse, il problema è che io e te non guardiamo le cose dalla stessa prospettiva. Tu... sei coinvolto dalle tue stesse emozioni. E lo capisco, credimi. Non voglio giudicarti per come ti senti. Eppure... sai cosa vedono i miei occhi?»
Non so perché, d'un tratto, mi sento così vulnerabile. «No...» Deglutisco. «Cosa...?»
«Vedono che laggiù, dall'altra parte della stanza, c'è Becky, che... sta male, come non è mai stata prima d'ora. Quello che le è successo è... terribile, persino da concepire. Non riesco nemmeno a immaginare cosa sia, provarlo... sulla propria pelle. Pensaci bene. Si parla... di identità, di sentire la propria esistenza come appesa a un filo.» Il suo guardo triste, incorniciato dalle ciocche chiare, è proiettato là, verso la libreria. «Ora più che mai, avrebbe bisogno di qualcuno che le stia vicino... Non sei d'accordo?»
«I-io...» Di colpo, mi sento... piccolo.
«E vedono Kurt,» continua lei, «che è lì, insieme a lei, a cercare di farla sentire meglio standole vicino. E poi, vedono te... che sei qui. Sei qui, a cercare di convincere me che lei non dovrebbe accettare il suo aiuto, come se tu ci tenessi davvero, a stare al suo posto, ad avere la sua stima, la sua fiducia... Will, tu te ne stai qui, in disparte, a domandarti per chissà quale insondabile motivo lei preferisca Kurt a te. Posto che... Che lei lo preferisca davvero... e che non sia solo... l'unico, tra voi due, ad aver dimostrato di tenerci.»
«Non... Non è questo che–»
«Will.» Mi blocca lei. Alza gli occhi argentei su di me. «C'è una bella differenza tra la parola "oro"... e l'oro. Tra il raccontare e il mostrare. La stessa differenza che c'è tra il dire di voler mettere in pratica un piano... e il farlo davvero.» Prende un lungo respiro e appoggia la schiena alle costine. «Su una cosa, comunque, hai ragione: se le cose sono andate davvero come dici, Kurt... non ha agito bene. È stato affrettato e impulsivo nel giudicare... come al solito. E sì, avrebbe dovuto ascoltarti, però... tu cos'hai fatto, a parte parlare? Guarda che la sua mancata approvazione non ti impediva di agire comunque di testa tua, di... mettere alla prova da solo quanto dicevi. Non l'hai fatto. Lo ha fatto lui.»
Aggrotto le sopracciglia. «La fai facile, però, eh...?» borbotto, a testa bassa. «Io ero quello appena arrivato, mentre lui... Be', lui aveva tutto il covo pronto a dargli manforte. Io e lui... non siamo uguali. Credi sia semplice, mettersi a fare qualcosa da soli, senza il sostegno di nessuno...?»
«Perché?» chiede lei, in tono tranquillo. «Di chi avevi bisogno, per tentare di resistere al richiamo...? Da chi si è fatto aiutare, Kurt? Mi risulta che... non abbia neanche avvisato i suoi amici più stretti.»
Una scarica di nervosismo mi percorre le braccia. «Tu... Tu...» Diamine. Vorrei trovare una risposta pungente, ma... non mi viene in mente nulla. «S-sei ingiusta!» farfuglio, e mi rimetto seduto di fianco a lei, ma a una studiata distanza.
Tuttavia, il suo tono nei miei confronti, a dispetto delle parole, è calmo, e anche un poco indulgente. O, almeno, così mi pare. È strano... Mi dà la sensazione di una persona a cui capita di rado di provare emozioni intense, troppo avvezza a guardare alle cose con distacco, e anche a mettersi un po' nei panni di tutti.
Su chiunque altro, la considererei una posa altezzosa, di superiorità. Ma su di lei... non lo so. Mi viene difficile attribuirle qualcosa di negativo.
«Will...» sussurra, e le sue sopracciglia sono a mala pena corrugate in una curva di tristezza. «Mi dispiace se ciò che sto per dirti ti ferirà, ma... se io avessi solo gli occhi, per giudicare, e non le orecchie... penserei che tu non volevi fare alcun tentativo, mentre Kurt sì. Vedi? La realtà appare molto più semplice quando togli di mezzo tutti discorsi, e guardi solo ai fatti per come si manifestano... E penserei che tu non sia abbastanza legato a Becky da interessarti di come stia...»
«Cosa...? No, no, questo... non è vero! C-certo, certo che m'importa...» riesco solo a pigolare. Eppure... non sembro convinto nemmeno a me stesso.
«...mentre Kurt sì. Inoltre...» Si riavvia un lembo della gonna. «Quando ieri eravamo tutti radunati attorno a lui, io... non ho visto, in te, la determinazione di chi si fa avanti per prendere parte a una missione. Ho visto solo... un ragazzo terrorizzato, che stava avanzando un pro-forma, per sentirsi a posto con la coscienza... ma che, in fondo, contava sul fatto che Kurt non avrebbe accettato.»
«N-no! Cavolo!» Stringo i pugni, esasperato. «P-perché dici così?! Non... Non è vero! Io v-volevo andare! È solo che, che... Io... sono solo bloccato.» Mi ammutolisco. Vorrei avere la forza di arrabbiarmi perché non mi crede, ma... Mi suonano così false, adesso, le mie parole.
Sylvanara, con un lieve sorriso pieno di comprensione e privo di giudizio, scivola lungo la copertina sulla quale siamo seduti, e si avvicina a me di qualche palmo.
«Forse dovresti sapere qualcosa in più su di me, per capire il mio modo di vedere le cose.» Fa una pausa. «Dimmi... Per caso, Nevan ti ha già parlato della nostra ambientazione...?»
Mi limito a scuotere la testa, gli occhi fissi in mezzo alle scarpe. Lei inspira dal naso.
«Quando ero piccola, io ero solo un'orfana. Una figlia di nessuno, senza titoli, senza eredità...» Incrocia le dita tra loro, mette un pollice sull'altro. «Ero stata abbandonata nel bel mezzo della Foresta Grigia, ancora in fasce. Fu Gaelior, il capoclan dei Cydonia, a trovarmi. Mi portò al suo villaggio, mi accolse nella sua casa. Lui... fu come un padre, per me. Ma quando, da adolescente, scoprii di essere la figlia di Caladwen, l'Alta Sacerdotessa del Culto delle Foglie, scomparsa in circostanze misteriose novantanove anni prima...»
«Ehm. Novantanove...?» borbotto. Oddio, ma quanti anni ha?
«...e di Lirandor, erede al trono di Luminaria, capii che il destino della nostra terra era strettamente intrecciato col mio, e che avrei dovuto affrontare mille insidie, mille difficoltà, a partire... dalla rinuncia all'agio e al calore di quella che fino a quel momento avevo considerato casa mia... per inseguire la mia missione.» Quasi in imbarazzo per il suo stesso racconto, Sylvanara si discosta una ciocca dal volto, con dita tremanti. «Immagino che dovrei darti davvero un sacco spiegazioni, sul mio mondo, sulla nostra storia travagliata, per farti capire fino in fondo quanto ci fosse in ballo, ma... Vedi, il fatto che, dopo secoli di segregazione, fosse nata una bambina, nelle cui vene non scorreva solo sangue boschivo, ma anche il sangue bianco degli Elfi della Luce, la quale era figlia di Lirandor e, dunque, era destinata a salire sul trono nel giro di due generazioni, era qualcosa... di potenzialmente rivoluzionario. Capisci?»
«C-credo... di sì...?» balbetto. «E... Eri tu, questa bambina...?» Mi sento uno stupido.
Lei annuisce grave. «È così. Che lo avessi scelto o meno, io ero il simbolo di una nuova era, l'unica che avrebbe potuto segnare un cambio di rotta, e riportare l'armonia e la pace tra le diverse schiatte. Ma il punto, Will, è che... non contava nulla, il mio sangue. Non contava nulla nemmeno la profezia sulla mia incoronazione, pronunciata da mia madre, prima che... venisse costretta a fuggire, con me piccola, da Luminaria... Perché, a dispetto di tutto, io avrei ancora potuto scegliere di non abbracciare il mio destino. Ero sono una ragazzina. Avrei potuto rifiutarmi di andare via, e restare accanto a mio padre, ai miei fratelli... alle persone a cui volevo bene. Ma non l'ho fatto.» Si volta a guardarmi, fissa... e gelida.
«Ehm...» Comincio a capire, forse, dove vuole andare a parare.
«E credimi se ti dico che avrei potuto farlo davvero. Perché, per quanto noi boschivi non godessimo di alcun diritto politico, in quanto impuri... il clan dei Cydonia conduceva da secoli un'esistenza tranquilla. Nessuno, a Luminaria, ci considerava una minaccia all'ordine costituito. Sarebbe stato sufficiente... accontentarsi, della nostra bella vita in armonia con la foresta, e... lasciare che ci pensasse qualcun altro. Per questo, Will, ti dico che... quando sei mosso da un vero, sincero, profondo desiderio... niente può davvero bloccarti.»
Abbasso lo sguardo. Dio, non riesco a ribattere niente. Ora... mi sento una nullità, in confronto a questa che è l'eroina del suo mondo.
«Quindi...» continua lei. «Dovresti chiederti: "Cos'è che desidero davvero?" Davvero, Will. Con tutto il cuore. È questo, secondo me, che dovresti chiarirti. Perché, altrimenti, continuerai così, a trascinarti in eterno tra azioni compiute a metà e tentativi di giustificarli per quelle che non compi, non farai altro che andare avanti e indietro, e non... Non avrai mai una direzione tua.»
Sospiro. In effetti, mi sento proprio così. Senza una direzione. Che abbia ragione, in fondo...? Non lo so. So solo che non mi va più di cercare di difendermi dalle sue parole.
Sylvanara proietta lo sguardo alle mie spalle, in direzione di un orologio analogico appoggiato contro il muro, poco più in là. «Oh... temo sia un po' tardi, ormai, per aspettare il Mentore. Manca poco all'ora tipica del richiamo.» Si alza, ravviandosi la molle seta della veste. Poi si sposta di lato, per riprendere la sua faretra. «Ora ti lascio solo, Will, e... se vuoi un consiglio, pensa a rilassarti, nel tempo che resta. Non stare qui a torturarti. Tanto... Avremo notizie solo domani.»
Già. Solo domani.
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