8 ~ LA RIBELLE DALLE ALI BIANCHE ~
"Sono solo a soffocare nel fumo dei mie sogni, sperando si dissolva nel giro di pochi giorni."
Shane non aveva dormito molto, ma da quanto sembrava neanche Lex riusciva a dormire bene, si rigirava continuamente nel letto, a volte ansimava e si portava le mani al volto, tanto che l'angelo bianco iniziò a preoccuparsi seriamente... era abbastanza che andava avanti così. D'altronde i sogni a volte giocavano brutti scherzi, c'era da ammetterlo. Quella notte anche l'angelo bianco aveva sognato... Stranamente ricordava bene il sogno e, anche se sapeva che la mente di notte elaborava milioni di sogni, il solo fatto che ne ricordasse uno in particolare era da considerarsi anomalo, poiché di solito non ne aveva memoria. Riflettendo, lo stesso sogno gli aveva dato a pensare parecchio: aveva visto l'Ordine, il Lago Mortis e la Corte di Cenere, era finito nel Fiume delle Anime Perdute, poi la luce lo aveva travolto... Forse il fuoco divino. Il sogno era cominciato con sé stesso da bambino, durante la cerimonia nella quale ogni angelo bianco all'età di dieci secoli si appresta a ricevere la purificazione. Il bambino era appunto all'Ordine, al cospetto della Corte Angelica; gli Angeli Superiori che fissavano i suoi occhi su di lui, il silenzio tombale e poi il giuramento che aveva fatto. Shane ricordava perfetta per tutta la cerimonia, e nel sogno la rivisse in modo identico, ritornando al giorno in cui era diventato un Angelo Guerriero. Sapeva che per i ribelli ciò non avveniva, a loro non era concesso entrare nell'Ordine, era eccezionalmente previsto l'ingresso alla Cittadella Celeste (Asgard), ma l'Ordine era assolutamente inaccessibile agli angeli neri... anche abbastanza ingiustamente, secondo lui. Nel sogno, come era successo secoli prima nella realtà, ognuno dei tre Angeli più anziani tra i 33 Angeli superiori presenti, aveva inciso una runa sul bambino: una sul dorso della mano, una sul braccio, e una sul cuore. La Chiaroveggenza, l'Alleanza e il Talento. Poi tutti gli altri si erano alzati recitando la consueta formula di protezione contro gli influssi demoniaci, e infine Shane era sprofondato per qualche istante nelle tenebre, ritrovandosi improvvisamente sulle rive del Lago Mortis, dove aveva assistito alla Reincarnazione. Ciò consisteva in una spettacolare usanza Angelica, riservata esclusivamente agli angeli bianchi, poiché era possibile solo nell'Ordine. Dal Lago Mortis, una volta ogni mille anni, veniva invocato Lahcen, l'angelo della Morte, da cui il nome del lago in cui erano affondate le sue ossa in seguito ad un terribile tradimento che era servito a proteggere il Regno Angelico. La visione gli aveva ricordato perfettamente il momento in cui il più giovane angelo della Corte Angelica, Meriel, si passava la Lama Della Verità sul palmo, versando il suo sangue nello specchio d'acqua, che divenne istantaneamente torbida, e tutto il lago si colorò di rosso scarlatto, mentre Meriel cantilenava un'invocazione in Aers, la lingua del cielo. E poi finalmente avvenne; dalle acque rossastre emerse il teschio ornato di una corona di spine d'oro, e mentre si innalzava dolcemente fuori dalle acque, comparve il torace scheletrico al quale erano appese le sottili e lunghe ossa delle braccia, le cui mani stringevano una pesante spada scintillante davanti al petto, perpendicolarmente al piano liscio dell'acqua. Quando lo scheletro fu completamente fuori dall'acqua Shane, come se fosse stata ancora la prima volta che assisteva a quello spettacolo, si era di nuovo sorpreso della leggerezza con cui quell'essere fluttuava nell'aria umida nel cielo colorato di un perenne azzurro limpido nell'Ordine. Le ali aperte dietro la sua schiena rappresentavano l'unica cosa rimasta intatta del corpo dell'angelo, il quale era stato crudelmente divorato dalle fiamme del fuoco divino. Quelle ali bianche, un massiccio velo di piume morbide e lunghe su ossa flessibili, erano macchiate a sprazzi di sangue, e lo sguardo cavo del teschio era puntato su tutti gli angeli che assistevano alla cerimonia dalle rive del Lago. Lahcen aveva, poi, indicato il piccolo angelo biondo, il quale guardava ammaliato in alto, verso occhi cavi del cranio, così intensamente accesi di fuoco da sembrare che stessero bruciando. Solo poi si rese conto che bruciavano per davvero, prima, invece, aveva sostenuto false le leggende sul fatto che i suoi occhi bruciassero aumentando di intensità con l'aumento delle morti degli angeli. Lo scheletro, che aveva gettato il suo sguardo fisso su Shane, mosse le mascelle e si udì una voce cavernale, roca e profonda « Sindre Shane Helleseele.» Il ragazzino annuì impaurito in risposta. Lo scheletro rimase immobile, facendo piombare il luogo nel silenzio per diversi secondi. «La mia sapienza avvererà una profezia su di te, giovane angelo. Il tuo nome è scritto nel libro del Destino.» Disse Lahcen, poi allargò le braccia indicando ciò che li circondava, il lago, la terra bruciata, la Corte Angelica, gli altri angeli bianchi presenti, il cielo azzurro e impregnato di rosa, poi continuò fissando il piccolo Shane «Fa' bene le tue scelte, ragazzo, poiché, in caso contrario, potresti perdere tutto. Tieniti stretto ciò a cui tieni di più.» Dopodiché le tenebre avevano avvolto i suoi occhi. Ripensare a quelle parole fece venire i brividi all'angelo bianco, il quale incrociò le gambe sul letto, cercando di eliminare quell'immagine dalla mente. Nel buio in cui era rimasto prima di destarsi dal sonno aveva sentito la voce dell'angelo della Morte continuare a parlare. Probabilmente si era rivolto agli altri presenti, ma non riusciva a ricordare quel dettaglio nemmeno nella realtà. Era certo che Lahcen avesse augurato prosperità agli angeli, ma aveva predetto una catastrofe, ed era sicuro che in quella sorta di apocalisse c'entrasse anche il Pianeta Terra. Quella notte il sonno lo aveva riportato anche presso la Corte di Cenere, lì dove venivano seppelliti i defunti. Tutti gli angeli avevano una nicchia negli immensi sotterranei della Corte di Cenere, anche i ribelli, dopo un secolo dalla morte venivano poi cremati, e le ceneri venivano sparse sul Lago Mortis. Solo le ceneri degli Angeli Superiori avevano diritto a restare nelle apposite urne sui piedistalli della Sala del Consiglio. La Corte era luminosa come sempre, tanto luminosa che per entrarvi c'era bisogno di rune di protezione, o gli occhi più sensibili ne sarebbero rimasti accecati. Shane era solo nel sogno, poi era apparsa una sfera di luce biancastra che aveva cominciato a a fluttuare intorno a lui, come per incitarlo a seguirla: un'anima. E lui lo fece, raggiungendo così i sotterranei, dove la sfera luminosa si dissolse infilandosi in una lapide, oltrepassandone la lastra di marmo. Nel momento in cui si era fermato a guardare quell'epigrafe, che portava l'incisione di una runa eterna e il nome del defunto, aveva letto "Arvid Henrik Helleseele". Shane aveva perso un battito, o forse due o tre... Cosa poteva significare? Suo padre era vivo e vegeto. ma una vocina nella sua testa gli ricordò "É malato, Shane..." ma l'angelo bianco aveva scosso la testa violentemente e si era stretto i capelli tra le dita come se avesse voluto strapparsi via i pensieri, o uscire da quel sogno, e il solo pensiero che quel sogno potesse avverarsi in qualche modo faceva male all'angelo bianco più che mai. Suo padre era l'unica certezza nella sua vita e lo era sempre stato, non riusciva neppure a immaginare di poter respirare senza di lui. E anche il solo cercare di ricordare quel sogno, per non rischiare di dimenticarsene poi, gli stringeva il cuore in una morsa. Da quel momento ricordava molto poco del mondo onirico che aveva ospitato la sua mente quella notte. Aveva reminescenze del Fiume delle Anime Perdute, ma non sapeva come ci fosse arrivato. In riva a quel fiume Shane aveva visto se stesso abbandonarsi ad un lungo e disperato pianto, mentre il fiume di Anime scorreva imperterrito. Le acque torbide trascinavano con sé le macchie luminose e informi delle anime di tutti gli angeli senza identità, di coloro che sono morti in battaglia senza che ne fosse trovato il corpo, di coloro che sono rimasti vittime in missione fuori dai mondi, di coloro che hanno rinunciato ai marchi divini e sono diventati Caduti, regalando il loro corpo alle gelide fiamme dell'Inferno. E poi tutto si era dissolto di nuovo, Shane fu come inghiottito da un buco nero, mentre le immagini vissute poco prima nel sogno vorticavano intorno a lui, diventando sempre più invisibili, e lasciando sempre più spazio alle tenebre. Mentre aveva iniziato a tornare cosciente si era accorto di un dettaglio fugac: nei tranquilli rumori della notte, un'immagine lo aveva attraversato lasciandolo confuso. Aveva visto se stesso in catene, ma riusciva ad associarlo soltanto ad un flash istantaneo in un momento di debolezza mentale. Aveva sentito la sua stessa voce pronunciare una sorta di "grazie", ma Shane diede la colpa di quelle visioni perturbanti alla stanchezza. Quando aveva riaperto gli occhi e ripreso pienamente coscienza di cosa lo circondava e di ciò che stesse accadendo, si era reso conto che probabilmente gli eventi della giornata precedente lo avevano particolarmente scosso. Ormai totalmente sveglio, posò nuovamente lo sguardo attento e preoccupato sul suo compagno. Lex dopo un attimo di tregua aveva ripreso ad agitarsi, per cui il biondo aveva deciso di avvicinarsi a lui. Si sedette sulla poltrona accanto al suo letto e lo chiamò più volte, dolcemente, quasi non volesse farsi sentire; sapeva che era abbastanza traumatico svegliare bruscamente le persone mentre sognavano. Provò a prendergli il polso per verificare il battito cardiaco, ma nel tentativo di farlo si accorse che una lunga ferita sull'avambraccio del ragazzo sanguinava. Sembrava in stato di cicatrizzazione, per cui poteva risalire al combattimento della sera prima. Probabilmente era una ferita troppo profonda perché una runa di guarugione potesse curarla immediatamente. L'angelo bianco sospirò, ricordando il modo valoroso di combattere del corvino, di tutt'altra stoffa rispetto ai suoi standard, eppure anche lui doveva aver avuto brutte ripercussioni evidentemente se si era conciato così male. Shane controllò il suo battito cardiaco per almeno un minuto, tenendogli le dita premute contro la vena del collo, e rendendosi conto che le pulsazioni stavano aumentando violentemente. Questo bastò a spaventarlo e a spingerlo a fare qualcosa. Si recò in bagno per prendere una piccola asciugamano bagnandola con acqua fredda con l'intenzione di poggiarla sulla fronte del ribelle e recuperò dei sali i cui profumi sarebbero serviti a farlo rinvenire il prima possibile da qualsiasi incubo stesse avendo. Più che un incubo i sintomi sembravano quelli di uno stato d'ipnosi, ma Shane era piuttosto certo che nessuno fosse entrato nella loro stanza, altrimenti se ne sarebbe accorto. Uscendo dal bagno si ritrovò il ribelle già seduto a schiena retta sul bordo del letto e il biondo, piuttosto agitato, lo raggiunse accucciandosi in ginocchio davanti a lui. Si bloccò inerme con lo sguardo fisso sul compagno corvino. Aveva gli occhi ancora chiusi e il viso teso in un'espressione apatica, però fu qualcos'altro ad attirare l'attenzione del biondo e si trattava nel pugnale di quarzo che l'angelo nero stringeva al petto. Lo stringeva talmente forte che aveva trapassato la maglietta nel punto in cui la lama graffiava il tessuto, e pareva si fosse anche ferito superficialmente. Gli occhi del biondo seguivano i rivoli di sangue che colavano lungo le braccia del ragazzo; aveva appena notato che la stessa ferita che aveva sull'avambraccio sinistro era presente anche sul destro. Lex continuava a tenere le palpebre abbassate ma ormai sembrava calmo, l'esatto contrario valeva per Shane, che invece si stava lasciando sopraffare dal panico. Poggiò una mano sulla fronte del ribelle per verificarne la temperatura e ne risolse che forse era più alta del previsto. Temeva che il corvino avesse contratto un infezione a causa di qualche demone, il che sarebbe stata una bella piaga. Si morse il labbro e versò un mucchietto di sali su un fazzoletto di seta, avvicinadoli al viso del ribelle per far sì che ne sentisse il profumo e che i suoi sensi potessero essere richiamati dalla realtà. Ci volle qualche minuto colmo di ansia, ma alla fine Lex riaprì gli occhi, mettendo immediatamente a fuoco la stanza.
— È tutto a posto. — Disse in modo piatto, come se quelle parole, pronunciate da qualcuno che aveva appena avuto una crisi nel sonno e si ritrovava orribili ferite in giro per il corpo, potessero anche solo vagamente risultare credibili. Shane sospirò incredulo che il ragazzo avesse quel coraggio, ma l'altro lo ignorò per sporgersi verso il proprio comodino e poggiare in un cassetto il pugnale e altri due oggetti che Shane non aveva compreso da dove fossero usciti. Il ribelle non sembrava avere alcuna intenzione di badare alle sue ferite, infatti si ritrasse alla proposta del biondo di lasciarsi aiutare.
— Per favore, lasciami dare un'occhiata... Potrebbero essere infette — Tentò per l'ennesima volta di farsi dar retta, ma l'angelo nero sembrava tutto tranne che sul punto di cedere. Si era alzato dal letto e si era tolto la maglia, ormai mezza intrisa di sangue, usandola per tamponare le ferite sulle braccia e sul petto.
— Non deve interessarti, lascia perdere. — Aggiunse con altrettanto distacco. Diede le spalle al biondo cominciando a fasciarsi le braccia con delle bende che aveva ripescato tra le sue cose, tutto sotto lo sguardo attento di Shane, il quale non riusciva a comprendere perché il compagno dovesse essere così incredibilmente scontroso. Lo faceva sentire messo da parte, inutile, incapace... persino nelle piccolezze che solitamente erano il suo cavallo di battaglia, quali le cure mediche. Probabilmente il moro non si rendeva neppure conto di quanto le sue parole e i suoi atteggiamenti ferissero gli altri, eppure non era difficile da notare.
L'angelo bianco non si accorse di star fissando il ribelle finché l'altro non alzò lo sguardo su di lui, ma Shane prontamente riabbassò la testa come se guardare il pavimento fosse improvvisamente più interessante. Poi, senza aprire bocca, girò sui tacchi e uscì dalla stanza, scomparendo dalla vista del compagno, prima che l'ennesima coltellata lo portasse ad un pianto nervoso.
Era debole, lo aveva sempre saputo, non sapeva controllare le sue emozioni e bastava poco per fargli del male. In ogni caso non poté fare a meno di chiedersi se non fosse stato troppo duro ad andarsene direttamente, evitando il compagno. Era capace di sentirsi in colpa anche quando colpe palesemente non ne aveva; se lo aveva lasciato da solo era perché il ribelle gli aveva espressamente fatto notare di non aver bisogno di lui. Inoltre, lo aveva fatto anche per non costringersi a sopportare altro dolore mentale. Si stava proprio in quel momento rischiarando il cielo per far spazio all'alba e lui già si sentiva sfiancato. Scacciò quei pensieri, fissando la sua concentrazione sulle venature grigie del marmo del pavimento; a volte concentrarsi su cose inutili lo aiutava quando non voleva pensare ad altro, così mentre camminava a testa bassa si mise a contare le linee su ogni mattonella e poi...
— Sindre? — Lo chiamò la cosa contro cui era appena andato a sbattere, o meglio, la persona. Non aveva una voce molto familiare, e quando guardò chi fosse si accorse perché.
— Scusami, non ti avevo visto, Xavier — Rispose di rimando l'angelo bianco senza nemmeno impegnarsi a giustificare il fatto che non stesse minimamente prestando attenzione a dove mettesse i piedi. Non era proprio in vena di una chiacchierata, anzi non era proprio in vena di fare nulla, e non sapeva nemmeno il perché si sentisse così.
— Lex è in camera? — Chiese il ribelle dai capelli blu distraendolo ancora, Shane annuì senza battere ciglio, e l'altro lo ringraziò senza esitare ancora, percorrendo qualche altro metro fino ad arrivare davanti alla porta da cui il biondo era appena uscito. L'angelo bianco invece si diresse lontano da quei corridoi, lontano da tutto, in quel che era il suo posto preferito, soprattutto quando si sentiva fuori, posto proprio come in quel momento. Si sentiva completamente inutile in certi casi, piuttosto spesso, ed era una sensazione che persisteva da sempre e che non lo aiutava per niente nei rapporti con gli altri. Era come se lo circondasse costantemente una vaga foschia che lo rendeva poco visibile agli occhi degli altri e, di conseguenza, anche poco affidabile, oppure, ancora peggio, lo faceva escludere completamente dalla loro vita, finendo che fosse emarginato a causa del suo carattere spesso docile e apprensivo. Quel tratto di sé tendeva verso l'isolamento, per cui non era davvero abituato ai contatti sociali, né tantomeno sapeva come comportarsi senza farsi mille paranoie. Non aveva mai pensato a un modo per cambiare le cose, perché probabilmente non esisteva, ma comunque non aveva mai perso la speranza di trovarlo. Anche se nella malinconia che lo aveva investito in quel momento c'era una sfumatura diversa, qualcosa di stranamente oscuro, misterioso e... nuovo. Si incamminò in silenzio a testa bassa al piano di sopra, salendo le scale di marmo dai gradini bassi e ricoperti da un tappeto rosso acceso, rosso come il sangue che era sceso dalle braccia di Lex.
Lex era rimasto impensierito dalla reazione di Shane, che gli era parso veramente troppo silenzioso... Certo, era stato un po' brusco, ma non si aspettava che il biondo desse così tanto peso al suo comportamento, soprattutto perché quello era il comportamento che aveva di solito. Shane aveva aspettative troppo alte su di lui, questo era palese, e il ribelle voleva evitare che rimanesse ferito dalle sue stesse idee che non coincidevano con la realtà. Quando la porta si era richiusa tra i due senza che l'angelo bianco proferisse ulteriore parola, neanche una piccola emissione di fiato, neanche un sospiro, si era sentito strano. E intanto il ribelle cercava di capire cosa gli fosse preso per reagire in quel modo. Non riusciva ad accettare il suo comportamento, ormai credeva che Shane avesse capito di che pasta era fatto. In fondo non era poi nemmeno così inaccettabile, dopotutto non era nessuno per poter giudicare ciò che faceva il suo compagno di stanza, né cosa fosse accettabile o meno. Semplicemente era rimasto un po' confuso dal fatto che il biondo sembrasse avvilito. Ripensandoci, in realtà, forse non era cambiato niente da parte di Shane. Lex si stava chiedendo se non fosse stato lui ad associargli precipitosamente un certo carattere, qualcosa di simile a suo fratello Christopher... probabilmente erano le sue aspettative ad essere infondate, non poteva farne certo una colpa al compagno. Scosse la testa, cercando di dimenticare tutto e di sgombrare la mente, ma poi improvvisamente gli tornarono in testa nitide e perfette le immagini del sogno, soprattutto la parte che aveva visto all'Inferno, e infine tutto si dissolse con una carezza, e quel "grazie" sussurrato sul filo del rasoio tra il sogno e la realtà. Aveva paura di quella visione. Sicuramente ne aveva più paura adesso che era totalmente cosciente. Si sentiva asfissiato dall'idea di dover fare qualcosa per evitare orribili conseguenze, il problema è che non aveva idea di cosa fare, né di cosa avesse dovuto evitare. Un rumore sordo lo distolse dai suoi pensieri, ma nulla si era mosso intorno a lui, quindi pensò di esserselo immaginato, poi lo udì di nuovo e si accorse che era qualcuno che bussava alla porta. "Shane?" pensò, quindi biascicò semplicemente un — Avanti. —
Quando, però, la porta si aprì Lex scorse la chioma blu del ribelle, immobile ed esitante sulla soglia. Fu assalito da dei sentimenti contrastanti nel vederlo. In primis c'era la delusione dipesa dal fatto che una parte di se si aspettava che Shane tornasse col solito sorriso in faccia e gli dicesse che era stata una farsa il suo atteggiamento di prima. D'altra parte sapeva che Shane non avrebbe bussato poiché era anche camera sua quella, e poi da come lo aveva visto andare via si presumeva che non sarebbe tornato per un bel po'. Dopotutto non sapeva neppure chi fosse quell'angelo bianco, né perché si stesse interessando così tanto a lui. Lui non era nessuno nella sua vita, non c'era motivo di agitarsi a riguardo. Difatti la delusione che aveva avvertito poco prima sparì immediatamente, sommersa dalla preoccupazione legata a Xavier e al motivo per il quale lo avesse dovuto cercare, poiché era certo che non fosse andato lì per dirgli che gli mancasse.
— Lex? Ti disturbo? — Domandò il ribelle sull'uscio, risvegliandolo dalle sue riflessioni. Lui annuì semplicemente e terminò di fasciarsi il braccio ancora mezzo scoperto.
— Non c'è problema, ero già sveglio — Un fantastico risveglio, dopo una fantastica nottata.
— Va tutto bene? — Chiese l'altro facendo qualche passo nella stanza. Non capì se fosse sinceramente preoccupato, ma in ogni caso Lex non era il tipo da raccontare molto su di sé.
— Si, ovvio, perché lo chiedi? — Rispose l'angelo nero fingendo un sorriso per sbarazzarsi di quelle domande insulse.
— No, sai... hai un po' di sangue addosso e non sembra tanto secco. — Fece notare Xavier, poi si guardò intorno come se volesse analizzare la situazione e fermò nuovamente lo sguardo sul ribelle. — Sei uscito per caso? Hai combattuto contro qualche demone? — Cercò di capire lui passandosi una mano tra i capelli blu. Sembrava starsi quasi impegnando a sembrare simpatico.
— Semplicemente, ignora questo dettaglio. — Lo liquidò Lex con un cenno della mano e incurvò le labbra in un altro sorriso di circostanza, involontariamente, quasi si fossero mosse da sole.
— È irritante. — Affermò Xavier incrociando le braccia al petto. Era sempre così emblematico quel ragazzo.
— Chi? Cosa? — Domandò Lex aggrottando le sopracciglia confuso, poi si guardò intorno come per cercare di capire a cosa si riferisse l'amico. Ogni tanto fare il finto tonto lo faceva sembrare più abbordabile emotivamente parlando. Peccato non succedesse spesso.
— Tu ovviamente. In particolare quando fai finta di sorridere. — Continuò l'altro roteando gli occhi annoiato. — È estremamente irritante. Soprattutto perché molte volte riesci a svignartela col tuo bel visetto, ma non puoi ingannare sempre tutti, e non riuscirai ad ingannare te stesso. —
— Quindi ammetti che sono credibile? — Lex ribaltò la predica con un ghigno sarcastico in faccia per cercare di sviare il discorso. Lui era fatto così.
— Piantala. — Lo ammonì l'altro guardandolo male.
— Okay — Lex sbuffò e poi la sua espressione si rifece seria. — Perché sei venuto a chiamarmi? —
— Lillian... Non sta bene. — Rispose il ribelle dai capelli bluastri con voce sommessa.
— Capisco... — L'espressione di Lex mutò da seria in preoccupata così istantaneamente che non ebbe tempo di nasconderlo. Si alzò dal letto senza pensarci due volte e recuperò una maglietta pulita da indossare, tenendo i suoi soliti pantaloni di tuta. Si passò una mano tra i capelli e prese le chiavi prima di uscire dalla stanza passando davanti a Xavier come se questi non esistesse.
— Allora? Sei rimasto incollato al pavimento? — Lo incitò a muoversi, ma questa volta nella sua voce non c'era nessuna sfumatura di divertimento. Lui doveva mezza vita a Lillian, non avrebbe permesso che le fosse successo qualcosa, per giunta a causa sua...
— Le fasciature. — Disse Xavier in tono impassibile guardando dritto verso Lex. Il ribelle dai capelli blu aveva una postura rigida, le spalle tese, le braccia lungo i fianchi, le mani chiuse a pugno, la testa alta e lo sguardo vacuo fisso sull'angelo nero davanti a lui. Il corvino impiegò un istante a comprendere a cosa si riferisse l'altro, poi roteò gli occhi, deciso a non spiccicare parola riguardo ciò che era successo quella notte, soprattutto perché non sapeva nemmeno lui cosa fosse davvero successo. Xavier era sempre stato un buon osservatore, questo era innegabile, ma non c'era tempo per le spiegazioni e non voleva che qualcun altro si intromettesse nei suoi problemi.
— Andiamo Xavier. Credimi, non è successo sulla di preoccupante, nulla di più importante della salute di Lillian in questo momento. —
— A te non importa di lei. Pensi solo a te stesso. — Disse l'altro dopo un sospiro, poi sgranò gli occhi probabilmente rendendosi conto di ciò che aveva appena detto, gli era sfuggito... ma ormai Lex aveva capito tutto, non che non l'avesse già intuito prima. Non lo avrebbe fatto pesare a Xavier, in ogni caso. Sapeva quanto Lillian tenesse a lui. Sin da quando si conoscevano la ragazza aveva sempre dimostrato una particolare attenzione nei suoi riguardi, l'aveva sempre preso d'esempio. Lex d'altro canto era tipico stare sulle sue, ma non si era fatto scappare le occhiate di gelosia che l'angelo fai capelli blu spesso gli rivolgeva.
— Zitto e muoviti. — Il riccio roteò gli occhi scuotendo la testa, evitando di aprire l'argomento. Non voleva affatto far sentire in colpa il maggiore, non aveva niente da guadagnarci sui suoi sensi di colpa. E poi, dopotutto, non aveva detto nulla di così grave. A volte l'amore faceva brutti scherzi e Xavier aveva sempre avuto un bel caratterino, tanto quanto Lex.
— Scusa, non volevo dirlo. — Si giustificò l'altro, nel tentativo di rompere il silenzio teso che si era creato. Il suo tono era sinceramente dispiaciuto questa volta e Lex poteva ben dirlo.
— Oh, invece si che volevi dirlo, ma non me la prendo per così poco. — Ribatté lui, alzando le spalle.
— Già... —
— Cammina e non pensarci. A me importa solo che chi mi sta intorno non muoia. Inoltre, non sei l'unico che ha il diritto preoccuparsi per gli altri, sebbene possiamo avere motivazioni diverse. — Concluse Lex, incredibilmente serio. Non era da lui dire cose così mature all'improvviso. Non che non ne fosse capace, ma piuttosto non gli piaceva esprimersi riguardo cose che lo avrebbero potenzialmente esposto agli altri. Procedeva ad ampie falcate lungo i corridoi, quasi correndo, ma percepiva alle sue spalle la tristezza inespressa dell'amico.
— Signorina Skylight. — Esclamò sorpreso Shane, dopo essere entrato in biblioteca... quello si che era il suo posto preferito, anche se di solito era solo; i libri e la solitudine erano la combinazione più perfetta che l'angelo bianco avesse mai sperimentato.
— Helleseele, quanti anni sono che ti ripeto di chiamarmi per nome? Ormai ci conosciamo da sempre. — Chiese retoricamente la ragazza facendo un sorriso sforzato. Shane si avvicinò piano, andando verso la vetrata, notò che la ragazza lo seguiva con lo sguardo, quindi si voltò verso di lei: era sempre bella, con quella grazia innata che lei rifiutava, i capelli sciolti e disordinati come piacevano a lei, i lineamenti spigolosi del viso, le curve del corpo accentuate dal vestito bianco dal corpetto stretto e la gonna che scendeva larga e morbida fino alle ginocchia, le ali bianche curate nei minimi dettagli, abbellite da glitter dorato, quelle ali che tanto odiava...
— Ma signorina Skylight, sarebbe un'offesa, il Re non approverebbe. — Si difese l'angelo bianco in tono condiscendente, guardando la ragazza senza avvicinarsi, forse per la solita paura di dare l'impressione di mancare di rispetto.
— Il Re... — Sospirò sconfortata la ragazza dalle ali bianche. Era un modo silenzioso per dire che la sua approvazione non era semplice da ottenere, di qualsiasi cosa si trattasse. — Allora mettiamola su questo piano: Io, in quanto unica discendente della famiglia reale, ti ordino di chiamarmi con il mio nome di battesimo. — Aggiunse, facendo guizzare in su un angolo delle labbra.
— D'accordo... Principessa Torill... — Mormorò Shane, ma lei lo interruppe con un gesto della mano.
— Puoi chiamarmi solo Anne. Mio padre non verrà a saperlo, non preoccuparti. — Lo rassicurò sorridendo più vivacemente. Poi si avvicinò a lui, e Shane si irrigidì all'istante, ma restò immobile, lei era la figlia del Re, non poteva sottrarsi ai suoi ordini, né al suo volere. — Allora, come mai qui a quest'ora di notte? — Chiese lei corrugando leggermente la fronte, le sue lunghe ciglia proiettavano ombre scure sugli zigomi, alla luce delle stelle che penetrava dalla vetrata, i suoi occhi blu erano oscurati dal buio.
— Pensavo di prendere qualche libro, ho bisogno di distrazioni. — Rispose lui distogliendo lo sguardo da lei.
— Oh, capisco. Sei turbato dall'arrivo dei nuovi ospiti? — Azzardò Anne. "In realtà no" avrebbe voluto rispondere, ma a che scopo? Non aveva comunque voglia di parlare delle sue preoccupazioni, né tantomeno dei sentimenti contorti e incomprensibili che aleggiavano nella sua mente tormentandolo. Quindi annuì silenzioso, lasciando che le bugie prendessero il sopravvento sull'onestà, assieme alla sua codardia riguardo l'affrontare le proprie emozioni. Eppure non dovrebbe essere così difficile, si era detto, ma senza successo, aveva continuato a non capire, anzi, aveva rinunciato a provarci.
— A me non dispiace, mi hanno sempre incuriosito i ribelli e non li ho mai reputati diversi da noi. Ho sempre pensato che io sarei dovuta essere una di loro. — Ammise con lo sguardo trasognato, mentre faceva un altro passo verso l'angelo bianco, il quale, man mano che la ragazza si avvicinava sentiva il cuore aumentare la frequenza.
— Principessa, non rinneghi le sue origini, la prego di essere fiera delle sue ali bianche. — Disse Shane, lei sorrise e fece un altro passo, accorciando sempre più la distanza tra loro.
— Il destino è stato crudele con me. Avrei preferito essere un'umana piuttosto. — Disse con un sorriso amaro sulle labbra, così amaro che se avesse avuto un sapore sarebbe stato un chicco di caffè oppure un limone aspro.
— Non per contraddire ciò che dice, Principessa, ma non avete nulla da invidiare ad una qualsiasi ragazza dalle ali nere. — Tentò il biondo, cercando di essere d'aiuto. Lui non aveva certo problemi a riguardo ma l'erede al trono di Asgard non avrebbe mai dovuto avere certi pensieri per la testa... Il popolo l'avrebbe messa al rogo se tali dicerie fossero state divulgate pubblicamente.
— Shane... non puoi capire, la mia anima è ribelle. Io avrei voluto essere una di loro. — Disse con convinzione, addolcendo il suo sorriso. Poi un tocco gelido sfiorò la guancia dell'angelo bianco e lui rabbrividì, constatando che era stata proprio Anne a sfiorargli la guancia. Shane chiuse gli occhi per un istante con impressa all'interno delle palpebre l'immagine di quel sogno... era davvero lui che aveva sfiorato il viso di Lex nel sogno? E perché lo aveva ringraziato?
— Sei sempre stato così affascinante... — Sussurrò la ragazza, lui rabbrividì nuovamente e si costrinse a non reagire in alcun modo a quell'affermazione. In realtà non ci aveva mai pensato, la sua bellezza sembrava una cosa scontata, una cosa che passava in secondo piano, anzi, un qualcosa che non esisteva affatto per quanto non la considerasse. — Shane... — Biascicò ancora lei, chiuse gli occhi e avvicinò le sue labbra al viso del ragazzo. — Ti prego... Dammi un buon motivo per credere che le ali bianche non siano poi così orribili... —
Perché io? Restò impalato, lasciando che la ragazza prendesse il controllo della sua forza di volontà. Non aveva intenzione di respingerla, non ne avrebbe avuto il coraggio. — Sei sempre stato così buono... Non vuoi proprio accettare che esistano persone di cui non dovresti fidarti... — Lei gli sfiorò il collo con la mano che poco prima aveva carezzato gentilmente la sua guancia. Il suo tocco gli mandava brividi lungo tutta la spina dorsale. — Se continuassi così, persino io potrei tradirti: prendermi ciò che voglio e poi pugnalarti alle spalle... — E così si sporse in avanti facendo unire le loro labbra senza più esitare. Un contatto dolce, lento e languido, come una serpe assonnata che non ha ancora le forze per mordere la preda avvistata. La Principessa fece scorrere le sue mani dietro il collo dell'angelo, portando avanti il bacio per altri interminabili secondi in cui il biondo si chiedeva cosa stesse facendo, assecondando quel contatto inaspettato. Sapeva solo che, ogni qualvolta si concedesse una boccata d'aria, respirava il profumo alle rose della Principessa. Quelle rose nere che lei adorava tanto da averle fatte piantare in un luogo del giardino dedicato solo a lei. Quelle rose con le spine più appuntite di tutte. Quelle rose così delicate e taglienti allo stesso tempo che a toccarle sembrava di vivere un paradosso, poiché quelle spine avvelenavano come sangue di demone. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un fiore dall'apparenza tanto docile potesse fare tanto male, un po' come quella ragazza, tanto graziosa quanto pericolosa. L'invidia e la lussuria facevano parte di lei... era da quello che doveva salvarsi, da se stessa, forse per questo voleva essere una ribelle. Forse pensava che in quel modo avrebbe avuto più possibilità di salvarsi, come le rose piene di spine: più spine ci sono, meno sono le possibilità che qualcuno le colga o che, peggio ancora, ne strappi via i petali. E poi la sua bellezza... aveva fatto impazzire chissà quanti. Shane, ti si è spento il cervello? Gli ricordò una voce nella testa, ma cercò di reprimerla sconfinandola nei meandri dei suoi pensieri. In quel momento non voleva ragionare, sarebbe impazzito se avesse provato a farlo. La ragazza intrecciò le dita tra i capelli del minore e lo trascinò con sé nel baratro dell'ingordigia. L'istinto guidò le mani dell'angelo a posarsi delicatamente sui fianchi della bionda e, sebbene fosse un gesto del tutto impacciato, venne accolto positivamente dall'altra. Anne indietreggiò di qualche passo, intenta probabilmente a cercare un appoggio, senza lasciare la presa sull'angelo neppure per un istante. Fin quando si sentì un rumore di cocci rotti e Shane sussultò come risvegliato da un sogno, accorgendosi che qualcuno o qualcosa aveva appena fatto cadere un vaso di ceramica. La paura lo aveva travolto all'istante. Si allontanò immediatamente dalla Principessa. La consapevolezza di ciò che era appena accaduto gli aveva messo in subbuglio lo stomaco. Se qualcuno li avesse visti sarebbe stata la fine. La sua intera famiglia sarebbe stata bandita dalla casta che gli era stata riconosciuta, per colpa sua, per colpa della sua debolezza. Era impazzito. Il solo fatto che la voce stridente di Eva per un momento si fece sentire nella sua mente gli mise i brividi. Stava mandando a rotoli la sua vita e la reputazione della sua famiglia perché non riusciva a gestire tutti i pensieri che gli affollavano la testa. Un completo imbecille.
A distrarlo da quelle osservazioni fu un miagolio. Si guardò intorno nel buio della stanza, illuminata solo dalle lampade ad olio poste a intervalli regolari sulla parete destra della sala. Poi sentì una risata soffocata e la Principessa si chinò a raccogliere un batuffolo di pelo marroncino dal pavimento.
— Caramel sei un disastro... — Disse sorridendo al micio color caramello e si ricompose. Il nuovo animale da compagnia della Principessa pareva essere più inetto di lui. Tuttavia era un animaletto molto più docile di quello che aveva prima: un gatto era sicuramente più domestico di un leopardo. Se non andava errato il leopardo era morto di vecchiaia, ma per tutto il tempo che era stato a Palazzo aveva spaventato un po' tutti. Non trasudava certo sicurezza, soprattutto per quei denti enormi e appuntiti - sicuramente più delle spine delle rose - che metteva in mostra ogni volta che priva la bocca. Anche se quel leopardo era di una bellezza e di un'eleganza regale inimmaginabile per qualunque altro animale. Forse era un po' esagerato però, sebbene sembrasse obbedire ad ogni ordine della padrona. Ma pareva proprio che Katniss avesse un debole per le cose belle e pericolose... Lui guardò bene la ragazza, sembrava quella di sempre, tranquilla come mai, come se non fosse successo niente fino ad allora. E come se lei avesse intuito i suoi pensieri si voltò verso di lui aggiustandosi i capelli scompigliati, poi sorrise
— Scusami, devo essermi fatta trascinare dal momento... Non volevo metterti in imbarazzo. — Disse con un sorriso languido ma sincero, perlomeno.
— Non si preoccupi, signorina Skylight. Non posso lamentarmi... — Rispose l'angelo bianco con tono educato e gentile, cercò di fare un pizzico di ironia per rassicurarla. Non sarebbe mai esistito un mondo in cui lui avrebbe lasciato la colpa di qualcosa agli altri. — Mi duole lasciarla Principessa, ma ora credo sia meglio per me rientrare. —
— Anne — Precisò lei. — E comunque va' pure, sono abituata a restare da sola, so farmi compagnia da me. — Rispose sorridendo tristemente, lasciando trasparire dagli occhi un miscuglio di emozioni contrastanti dietro la sua personalità. Quella ragazza era troppo per chiunque. Shane fece un nuovo inchino e prima di congedarsi dalla sala passò accanto al tavolo di vetro al centro della sala, dove il giorno prima aveva posato alcuni romanzi terreni, storie appassionanti secondo lui, ed esagerate. Prese a caso una copia di Due Città di Charles Dickens, con l'intenzione di leggerla e provare a dare un senso ai pensieri che avevano ripreso a gironzolare senza permesso nella sua testa.
La stanza di Lillian era identica a come l'aveva lasciata prima di andare a "dormire" e fare quell'incubo. Forse sarebbe stato meglio non muoversi da qui, pensò Lex, ma alla fine si rese conto di aver solo pensato per l'ennesima volta a qualcosa di insensato, è impossibile cambiare il passato, no?
— Lex...? Lex sei tu? — Chiese la voce flebile di Lejla, lui allora si sedette sul letto accanto a lei, e Xavier restò impalato in piedi appoggiandosi alla spalliera di ferro battuto.
— Sì, ci sono io adesso, non c'è niente di cui preoccuparsi. Troveremo una cura e guarirai, tu sei forte. — Disse il ribelle sforzandosi di sorridere dolcemente e avvicinandosi per accarezzarle i capelli sparsi sul cuscino. — E poi c'è anche Xavier con te, lui ci sarà sempre. — Continuò lanciando un sguardo con la coda dell'occhio al ribelle, l'altro sembrava un po' scosso, forse sorpreso, ma sorrise mostrando riconoscenza.
— Sempre. — Mormorò Xavier, la ragazza si sforzò di sorridere, e in quello sforzo Lex capì tutta la debolezza che si era impossessata di lei... la Lillian energica e sorridente non c'era più, nascosta dietro un vetro appannato che non le permetteva di essere se stessa. Poi la ragazza si contorse, in preda a una fitta, sotto le carezze gentili del ribelle dagli occhi viola, il quale fu preso da un senso di profonda impotenza, faceva male vedere soffrire le persone a cui si voleva bene, e Lex ora si stava chiedendo come si sentisse Xavier a vederla così, proprio lui che le aveva regalato l'anima, doveva stare sicuramente malissimo. Lillian cominciò a tossire e quando Lex vide il sangue sporcare la mano pallida e delicata della ribelle si pietrificò, ma Xavier con prontezza prese un asciugamano dal comodino e aiutò la ragazza a pulire il sangue, e a rimettersi comoda sotto le coperte. Lex si era alzato dal letto, troppo sconvolto per dire qualcosa, troppo persino per lui, tanto da non rendersi conto che la porta si era richiusa dietro Alexander che usciva borbottando qualcosa di evidentemente maleducato, dopo che Xavier lo aveva congedato, in modo da avere più intimità. Lex vide che il ribelle aveva preso la mano di Lillian e le sussurrava qualcosa, ma non prestò attenzione a cosa, ormai aveva un pensiero fisso che lo tormentava: E se Lily non ce l'avesse fatta?
Il riccio rabbrividì al solo pensiero e quando guardò il suo riflesso nello specchio della stanza vide come al solito un ragazzo alto e con i lineamenti perfetti e il viso impassibile, come scolpito nel marmo. Fu una cosa terrificante constatarlo, terrificante quanto era stato dover ammettere dentro se stesso di essere diverso dagli altri... Era così che si diventava sforzandosi di non provare nulla? si chiese sconfortato. Le ombre sotto gli occhi gli sembrarono particolarmente calcate, e lo sguardo talmente perso e distante da non sembrare il suo, come se stesse guardando se stesso con gli occhi di qualcun altro... E tutto questo era una risposta semplice al suo dilemma interiore: Si, a quanto pare era così che si diventava dopo aver passato anni a nascondere le proprie emozioni ricacciandole indietro, era così che si diventava dopo aver sempre negato l'evidenza, lasciando che si spegnesse anche l'ultimo barlume di speranza, in un turbinio di emozioni mai espresse, di parole mai dette, di azioni mai fatte e di sogni mai realizzati. Gli apparve nuovamente davanti agli occhi l'immagine del sogno, di quel "Grazie" sussurrato da Shane, nell'esatto momento in cui il sogno sfumava... Poi Lex fu invaso da un impulso improvviso di rabbia verso quel ricordo e l'immagine si frantumò nei suoi occhi come un vetro infranto. Aveva nascosto le sue emozioni da sempre, aveva sbattuto la testa contro il muro quando aveva bisogno di sostegno e non c'era nessuno ad aiutarlo, aveva punito se stesso per il male che gli avevano inferto altre persone, aveva perso la speranza e la voglia di vivere a causa delle disgrazie che gli piovevano addosso come gocce d'acqua in un temporale, aveva tradito le sue emozioni e le aveva rinchiuse dietro le sbarre di una prigione immensa e gelida: il suo cuore, un cuore grande come il sole, ma freddo come il marmo. Dunque... si disse, Perché non continuare a farlo?
E con questo pensiero abbandonò le sue frustrazioni promettendo a se stesso che queste non sarebbero tornate per molto, molto tempo ancora. Promessa, a suo discapito, non poco difficile da mantenere. Il ribelle sussultò quando si sentì toccare la spalla, si girò, consapevole di avere la solita espressione vacua in volto, e si ritrovò Xavier sconfortato come non era mai stato prima d'ora. Lo stomaco di Lex si contrasse in una fitta di dolore, dovuta in parte al suo spossamento psicologico, in parte alla fame, dato che non aveva mangiato quasi nulla dalla loro partenza dal Mondo Inferiore, ma questo passò in secondo piano.
— Lex... dobbiamo fare qualcosa. — Disse Xavier girando la testa verso la ribelle, che aveva chiuso gli occhi.
— Pensi che non lo sappia? — Ribatté l'altro — Farei di tutto per non vedere altra gente morire. —
Da quando Shane era uscito dalla biblioteca, non poco turbato da ciò che vi era successo, era passata si e no un'ora. L'angelo bianco si era imposto di non tornare nella sua camera, più per orgoglio che per un motivo preciso.... dopo che se n'era andato a quel modo non era il caso di tornare, quindi si era diretto nella sala della musica, dove andava spesso per suonare l'arpa. Era uno strumento che praticavano in pochi, e l'angelo bianco lo trovava affascinante e melodico come pochi altri strumenti, inoltre era stata la passione di sua madre per quello stesso strumento a invogliarlo a imparare... e doveva ammettere che non era stata affatto una perdita di tempo: suonare lo aiutava a rilassarsi. In quel momento, però, non aveva voglia di suonare nulla, si sentiva troppo confuso anche solo per pizzicare le corde dello strumento, una confusione dovuta a cose che lui non immaginava nemmeno lontanamente, poiché la sua mente stava cercando di riportare alla luce ricordi sommersi, ricordi destinati a restare per sempre nel passato, impressi nella mente e oscurati dalla mano divina per volere di qualcuno che lui pensava di conoscere bene, ma l'angelo bianco era comunque ignaro di tutto ciò... e associava la sua confusione alla stanchezza fisica, che certamente non mancava. Poi dalla questione della biblioteca gli si era insediata in testa una domanda: Eva lo avrebbe saputo?, ma non vi trovò risposta. La ragazza era irascibile come nessun altro di conoscenza di Shane, diventava una furia per sciocchezze, era viziata e abituata a vincere, ma se qualcosa andava contro i suoi piani era capace di ribaltare i mondi per ottenere ciò che voleva. Aveva un carattere estremista che l'angelo bianco aveva cominciato a odiare, non aveva nulla in comune con lei e non apprezzava i suoi ideali, inoltre aveva seriamente cominciato a dubitare che Eva provasse qualcosa di diverso da quello che lui provava per lei... peccato che i loro genitori non lo capivano. Eppure alla ragazza sembrava non dare fastidio quella combinazione forzata, quindi Shane era stato costretto a sottomettersi, ed aveva finito col pensare che il suo obiettivo fosse ben diverso da quello che poteva essere considerato "un matrimonio felice". In realtà sembrava proprio che i sentimenti le scivolavano addosso, come la pioggia su un tessuto impermeabile, sembravano non toccarla, né tantomeno turbarla o sorprenderla minimamente, e questo era già abbastanza terrificante di suo, se poi a ciò si aggiungeva il fatto che lei ispirasse la stessa fiducia di un Demone non si poteva certo contraddire Shane. E poi c'era Lex... da quando lo aveva visto la prima volta aveva sentito qualcosa di strano, nuovo e complesso agitarsi in lui, ma sentiva che questo strano e convulso sentimento aveva fondamenta salde che affondavano le radici nel bene. Tuttavia c'era comunque un ramo di questo sentimento che si diversificava dagli altri, qualcosa di oscuro e inesplorabile, qualcosa che si opponeva a tutto il bene che sprigionava quell'ignota espressione dell'anima. Qualcosa che, secondo Shane, aveva a che fare con la sua confusione riguardo ai ricordi del suo passato, ma non poteva averne certezza. Non aveva nessuna certezza, ormai. Stava diventando apatico? ... Forse. La cosa che gli premeva di più in quel momento era conoscere davvero chi era e ciò che lo circondava.
— Non mi ricordo cosa ha detto Alexander...—
— Era la porta a destra o a sinistra? — Delle voci sussurrate arrivarono alle orecchie di Shane, sembravano vagamente familiari, ma si sentivano soffocate, Provengono dal corridoio, dedusse Shane. Poi la porta si aprì e lui non ebbe neppure il tempo di nascondersi, ma il suo orgoglio in quel momento si frantumò in mille pezzi, proprio come si continuava a frantumare il suo cuore.
— Dio.... ma perché sei così coglione? — continuava a imprecare Lex guardando Xavier accanto a lui mentre camminavano per un corridoio di quell'immenso labirinto. Si erano fatti dare le indicazioni per la biblioteca da Alexander, dato che il riccio dalle ali nere aveva avuto la brillante idea di fare un incantesimo più che pericoloso, lui ne era al corrente, e tutta la cerimonia sarebbe stata difficile e pericolosa... ma le condizioni di Lillian peggioravano di minuto in minuto, e al ribelle non interessava altro in quel momento, tutti i problemi e tutti i suoi dilemmi esistenziali erano passati in secondo piano, persino Shane.
— Da quale pulpito... Mi sembra che non sia solo io quello che si è dimenticato le istruzioni. — Borbottò Xavier in risposta. Lex allargò le braccia annoiato e sconfortato.
— Non credo dovremmo andare in giro ad aprire tutte le porte del palazzo... — Disse il corvino annoiato. Il ribelle dai capelli blu sbuffò sonoramente scuotendo la testa.
— Non è quello che ho intenzione di fare. — Commentò Xavier.
— Sembra che tu non abbia idee migliori. — Ribatté Lex con fare di superiorità, come consuetudine, toccandosi i riccioli, cosa che gli veniva automatica quando sapeva di averla avuta vinta, quindi spesso. Xavier si zittì, probabilmente pensando che l'angelo dagli occhi viola avesse preso veramente a cuore il fatto di recitare da attore principale nella sua "commedia personale", come l'aveva chiamata proprio lui giorni prima, "Perché infondo le sue finzioni erano degne di un grande attore" si disse Lex altezzoso, senza far spegnere la scintilla dai suoi occhi, quella scintilla che dava il tocco finale al suo già naturale talento per mentire.
— Quindi che facciamo? — Disse Xavier svoltando un altro corridoio.
— Non mi ricordo cosa ha detto Alexander... — Ammise il ribelle dagli occhi viola scrollando le spalle, poi rivolse uno sguardo all'amico.
— Era la porta a destra o a sinistra? — Chiese confuso l'altro passandosi nervosamente una mano tra i capelli blu.
— Quale delle tante? — Ridacchiò Lex — Io non so nemmeno se questo è il corridoio giusto. — Aggiunse ridendo, ma Xavier era troppo stanco persino per ridere. Lex quindi si avvicinò a una delle prime porte sulla sinistra e senza farsi troppi problemi, la aprì ed entrò, seguito subito dopo dall'amico. Varcata la soglia gli si congelò il sangue nelle vene scoprendo che la stanza non era vuota, bensì su una poltrona al centro della sala c'era qualcuno che Lex avrebbe volentieri evitato. Tutt'intorno c'erano strumenti musicali, tra cui anche un bellissimo pianoforte a coda in ebano con i tasti d'avorio, Lex lo aveva riconosciuto subito, era la stessa marca artigianale del suo. Per un attimo fu quasi tentato di avvicinarsi, ma poi passò subito tutto in secondo piano, non appena l'angelo bianco alzò lo sguardo, i loro occhi si scontrarono creando un filo ti tensione invisibile, tanto forte che sembrava fare scintille. Gli occhi azzurro ghiaccio di Shane nascondevano un orgoglio che Lex non vi aveva mai scorto prima, i suoi occhi invece erano viola acceso, infuocati come spesso succedeva quando era nervoso o arrabbiato. Era qualcosa di unico e paradossale. Ghiaccio e fuoco, bianco e nero: tanto belli entrambi che scegliere sembrerebbe impossibile...
— Ehm... no, a quanto pare questa non è la biblioteca, abbiamo sbagliato stanza... — Commentò incerto Xavier, ma alle orecchie del riccio arrivò come un sussurro sommesso, era troppo irritato dalla presenza di quell'angelo che non riusciva a pensare ad altro, non riusciva a capacitarsi di quei sentimenti contrastanti che si facevano strada dentro di lui, e solo in quel momento Lex si accorse di aver stretto i pugni lungo i fianchi, tanto da essersi fatto sbiancare le nocche delle mani. Shane, invece, sembrò reagire diversamente all'intervento di Xavier, si sistemò meglio sulla poltrona distogliendo lo sguardo e sprofondando nel tessuto dello schienale, piegò una gamba sull'altra e continuò a guardare dritto davanti a se poggiando le braccia sui braccioli, ma sembrava cercare di evitare di incrociare nuovamente gli occhi viola del ribelle. A quel punto gli venne da pensare che l'orgoglio dell'angelo bianco non fosse nulla in confronto al suo, e pensò che all'epilogo di tutto avrebbe vinto comunque, quindi non c'era motivo di tutta quella sceneggiata, e ripensandoci sarebbe stato bello togliersi lo sfizio di spaccargli un flauto in testa. Shane allungò una mano per toccarsi i capelli. Aveva una grazie tale da sbalordire, qualcosa di innato, come se nelle sue vene scorresse sangue di nobiltà.
«Anche tu hai la stessa grazia, coglione.» gli ricordò poco gentilmente una voce nella sua testa, intromettendosi senza consenso nei suoi pensieri, anche se alla fine la sua coscienza aveva ragione, anche lui aveva la stessa grazia, ma ora non serviva ricordarlo, La grazia è debolezza si disse, Proprio come l'amore, aggiunse la solita vocina. Lex sorrise involontariamente, lo aveva imparato a sue spese, É vero, dagli sbagli si impara, ma cosa si impara se infondo si fa sempre lo stesso sbaglio? Nulla, si rispose. Il ribelle si chiese cosa avesse voluto sottolineare quella voce nella sua testa dicendo che l'amore fosse una debolezza, e realizzò solo in quel momento che quella conversazione era avvenuta esclusivamente nella sua mente. In ogni caso Lex sapeva che l'amore non era altro che un debolezza del cuore, ma non ci sarebbero dovuti essere problemi riguardo a quello, o forse si?
— Non credi sarebbe di buona educazione bussare prima di entrare in una stanza? — Esordì l'angelo bianco sporgendosi in avanti. Il sorriso di Lex si ampliò acido sulle sue labbra: il sorriso di una bellissimo angelo vendicatore.
— Non sarebbe di buona educazione salutare i propri ospiti prima di uscire da una stanza? — Ghignò il ribelle, e Xavier alle sue spalle quasi si mangiava le unghie dal nervosismo. Shane sembrò colpito da ciò che gli aveva rinfacciato il ribelle, come se improvvisamente si fosse ricordato di tutto e se ne fosse pentito. Aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse e abbassò la testa, Lex sorrise ancora vittorioso, senza mostrare il minimo cenno di compassione. No, non era da lui perdonare.
— Andiamo Xavier. — Disse il ribelle dagli occhi viola luccicanti — Qui non c'è niente che ci interessi. — Aggiunse e gli si sollevò un angolo delle labbra, poi voltò la testa e si allontanò verso la porta seguito dall'amico, il quale aveva un'aria stranamente sconvolta. In ogni caso, mentre varcava l'uscio della porta, Lex riuscì a scorgere con la coda dell'occhio l'angelo bianco che si prendeva nervosamente la testa tra le mani, ma non seppe mai il motivo di quel gesto, poiché la porta si richiuse tra loro come un sipario sul palcoscenico dopo l'applauso del pubblico alla fine di un'opera, lasciando il vuoto.
Passarono diversi giorni da quando Lex aveva trovato una pozione per aiutare Lily, ma Xavier era ancora atrocemente preoccupato per la sua salute, che non sembrava voler migliorare. Ciò non faceva che aumentare il senso di colpa di Xavier, poiché avrebbe dovuto starle vicino durante la battaglia e non lasciarla da sola come aveva fatto. Tuttavia Lillian combatteva meglio della maggior parte di tutti i ribelli, Xavier non avrebbe potuto certo aspettarsi una cosa del genere, non doveva essere stata colpa sua se era successo ciò che era successo e lui doveva provare a farsene una ragione. Il fatto era che il ribelle dai capelli blu era ostinato ad addossarsi le colpe di tutto quello che succedeva, soprattutto quello che che succedeva a Lily. La ragazza ormai era stata spostata in infermeria, e, da quanto sapeva, tutti gli occupanti del Palazzo erano stati avvertiti della situazione attraverso la servitù, non che se ne fossero curati in molti, ma non era importante, l'importante era che ci fossero vicino a lei persone come lui stesso e Lex, poi tutti gli altri venivano dopo. Proprio a proposito di Lex, Xavier aveva notato il suo turbamento ultimamente e non sembrava essere dovuto solamente alle condizioni di Lillian, sembrava qualcosa di più segreto, di cui, in ogni caso, Lex non avrebbe parlato con nessuno. L'ambiente dell'infermeria era austero, i colori sembravano non esistere lì dentro, era tutto spento, solo il soffitto azzurro chiaro, si distingueva, sovrastando su tutta la mobilia bianca. La porta della grande stanza cigolò e sulla soglia apparvero due dei medici che ormai facevano quotidianamente visita alla ribelle. Erano angeli di ordine superiore, i rappresentanti delle arti magiche, comprese le arti oscure, ferrati in materia di medicina e guarigione in quanto avevano fatto voto di devozione a queste pratiche, dedicando la loro vita esclusivamente a questa macabra occupazione. Il ribelle doveva ammettere che stavano davvero facendo di tutto per aiutare la ragazza, ma, a quanto sembrava, non era ancora abbastanza. Gli occhi grigi dell'angelo nero scrutarono i due che si avvicinavano, indossavano semplici tuniche bianche dai bordi dorati, ornate da rune, gli occhi, completamente neri, reagalavano sguardi vuoti e terrificanti, insieme al fatto che le ali bianche ospitavano alcune piume dorate munite di occhi neri, identici a quelli che incupivano il volto di quegli angeli. Lex, che era seduto su uno dei tanti letti bianchi della stanza, scese con un salto facendo rumore, Xavier si girò a guardarlo e rimase colpito dal viso cupo e smorto dell'amico, tanto che non poté fare meno di chiedersi cosa gli fosse successo. Il riccio si incamminò silenziosamente verso la porta, passando accanto ai due angeli bianchi come se fossero invisibili, poi, prima che Lex vi arrivasse, qualcuno bussò alla porta e questa si spalancò. Comparve sulla soglia un altro angelo bianco, che sorrise debolmente, date le circostanze, si inchinò e guardò i due ribelli.
— Signorino Firestars, signorino Bluemoon — Richiamò la sua voce dalla porta, Xavier alzò la testa da Lillian e la rivolse all'angelo bianco sulla porta, non lo conosceva, ma con tutta probabilità era un servitore del palazzo. — Il pranzo verrà servito nella Sala dei Ricevimenti fra trenta minuti, mi è debito avvisare lor signori. — Disse il servo facendo un altro inchino.
— Grazie — Rispose Lex anticipando Xavier, e l'uomo sulla porta scomparse richiudendosela dietro.
— Io non vengo. — Si affrettò a dire l'angelo dagli occhi grigi.
— Senti, non fare il bambino, è inutile che tu stia attaccato a quel letto aspettandoti di vederla riprendersi da un momento all'altro. Ti conviene venire a mangiare, a lei non succederà nulla... non essere così ossessivo per favore, anch'io ci tengo. — Disse Lex, quasi esasperato, ma la tristezza si leggeva chiara nel suo sguardo, ma lui non capiva quello che provava Xavier per Lejla, né tantomeno quello che la ragazza provava per lui.
— D'accordo. — Rispose infine Xavier sospirando. Prima di uscire dalla stanza si chinò sul letto di Lillian per lasciarle un bacio leggero sulla fronte. Lex sembrava esitante, stava per avvicinarsi anche lui alla ragazza, ma poi ci rinunciò varcando la soglia della porta. Xavier sapeva perché lo aveva fatto, e si ripromise di parlargliene dopo, sapeva che si stava trattenendo solo perché pensava che l'amico sarebbe stato geloso, e infondo era così, Xavier era geloso perché era a conoscenza dei sentimenti della ragazza per l'amico, ma non voleva certo rovinare il rapporto d'amicizia che c'era tra Lex e Lily, anche perché la ragazza non glielo avrebbe mai perdonato.
Lex si era sentito privato della quotidianità non potendo salutare Lillian come faceva sempre, ma non voleva turbare Xavier più di tanto, quindi uscì dalla stanza a pugni stretti, aspettando che l'amico lo seguisse, cosa per cui non dovette attendere molto. I due si divisero presto, salutandosi in silenzio, per tornare ognuno nelle proprie camere a cambiarsi. Lex indossava ancora i jeans messi frettolosamente e un maglioncino leggero, per quanto odiasse indossare cose a maniche lunghe voleva nascondere le fasciature che aveva ancora sulle braccia. Forse voleva nasconderle più a se stesso che agli altri, per evitare di ricordare quella notte di sei giorni prima, esattamente da quando lui e il suo compagno di stanza non si rivolgevano più la parola. Il ribelle storse il naso disgustato al pensiero degli eventi di quella notte e fu felice che la stanza fosse ancora vuota, probabilmente l'altro aveva chiesto un altro alloggio, o semplicemente aveva rinunciato al suo incarico. Lex sembrava felice eppure il pensiero di non parlargli più o di non rivederlo più lo spaventava, anche se forse "spaventava" non era la definizione corretta, ma era quella che meglio descriveva il suo stato d'animo. Si affrettò a fare una doccia fredda per scacciare via tali pensieri e si cambiò sforzandosi di mettere qualcosa di più decente. Pettinò le piume delle sue ali con tutta la delicatezza e la cura possibili, come se gli fosse mancata la loro morbidezza, come se non avesse avuto neanche il tempo di pensarci negli ultimi giorni. Le piume come al solito si erano asciugate istantaneamente, mentre i capelli erano ancora bagnati e scendevano in boccoli disordinati sulla fronte. Passò un asciugamano sottile tra i riccioli, cercando di assorbire la maggior parte dell'acqua, ma, nonostante rimasero comunque un po' umidi, lasciò che si asciugassero da soli, uscendo dalla stanza e cercando di arrivare alla Sala dei Ricevimenti senza perdersi. Sorprendentemente riuscì nel suo intento, dacché orientarsi in quel posto era davvero difficoltoso. La Sala era come sempre da quando l'aveva vista alcuni giorni prima: i grandi balconi con gli infissi di mogano, le tende rosso scuro, color del sangue, il lampadario fatto di bracci d'oro ai quali erano appesi centinaia di piccoli cristalli e una candela per ogni braccio sulla punta più alta, il soffitto cinereo senza decori e il pavimento sempre di marmo ricoperto dalla moquette dello stesso colore delle tende. Al centro della sala si estendeva un lungo tavolo di vetro con i piedi di legno attorno al quale erano posizionate più di cinquanta sedie di legno intagliato con i cuscini di velluto rosso scuro, alcune delle quali erano già occupate. Come Lex aveva potuto notare nei giorni precedenti le sedie non venivano mai occupate tutte, infatti i residenti del palazzo, compresi gli ospiti, occupavano a stento la metà delle sedie. Il ribelle si avvicinò al tavolo e prese il suo solito posto, qualche sedia più in là dal posto destinato a Isabel ed Eleonor. Nei giorni passati Lex aveva conosciuti gli altri occupanti della residenza reale, e, come al solito, non aveva avuto un'ottima impressione, ma si era rassicurato pensando che non ci avrebbe dovuto avere a che fare. Poi la porta della sala si spalancò lasciando entrare due servitori che scortavano il re al suo posto a capotavola, tutti gli angeli seduti si alzarono inchinandosi e Lex si costrinse a imitarli, poi quando arrivarono anche altri e tutti si furono sistemati il dovranno annunciò:
— Che il pranzo abbia inizio. — E subito si spalancarono delle porte ai lati posteriori della sala, da cui uscirono una decina di camerieri che servirono subito gli antipasti, per iniziare il solito pranzo esagerato. Lex, come sempre, non mangiò nulla degli antipasti, giacché non era sua abitudine mangiare così tanto, né era sano per il corpo e per la forma fisica. Si guardò intorno pensieroso, la Regina quel giorno non li aveva degnati della sua presenza a pranzo, ma mancava anche Xavier, il quale aveva detto che sarebbe arrivato, e ovviamente mancava Shane...
— Riposa il tuo sguardo, giovane ribelle, il tuo compagno farà ritorno questa sera, è andato in visita al padre, che ahimè rischia di bruciare per il veleno da un momento all'altro. — Disse il Re, rivolgendo il suo sguardo a Lex, enfatizzando le parole dell'ultima frase. Il ribelle allora si chiese se anche il Myron, come la Regina fosse in grado di leggere o almeno percepire i pensieri, ma non seppe mai la risposta a questa domanda.
— In realtà cercavo il mio amico Xavier — Rispose semplicemente Lex, e sottolineò la parola "amico", come se stesse sottolineando che i suoi begli angeli bianchi non sarebbero mai stati tali ai suoi occhi. Il ribelle aveva cercato di essere il più credibile possibile, e ci era riuscito, ma il Re non si arrese, quasi sembrava volesse avere obbligatoriamente ragione.
— Perdona l'irruenza allora. — Commentò il sovrano, liquidandolo con un gesto della mano, quindi il ribelle si astenne dal rispondere, chiedendosi lui stesso come avesse fatto a non urlargli contro che non gli piaceva affatto essere contraddetto, ma rimase un mistero. Poi i suoi pensieri si soffermarono sulle parole del re, davvero sarebbe tornato? E allora quando sarebbe tornato cosa avrebbe dovuto fare? Come si sarebbe dovuto comportare?
— Scusate per il ritardo. — Esordì una voce conosciuta dalla porta d'entrata, mentre la figura alta e magra di Xavier attraversava la stanza per poi sedersi accanto al ribelle dagli occhi viola, che aveva smesso di pensare per un attimo a tutto il resto.
— Pensavo che alla fine non saresti venuto... — Disse piano Lex guardando il ribelle. Si notava la sua stanchezza fisica, soprattutto per le ombre scure sotto gli occhi che erano notevolmente calcate sulla sua carnagione pallida.
— No. Non vengo meno a ciò che dico. — Rispose l'altro in tono serio e Lex si pentì di aver parlato, cosa che succedeva raramente.
— Hai ragione. — Si limitò a dire, poi mangiarono in silenzio ciò che fu servito.
Shane aveva passato gli ultimi giorni fuori dal Palazzo, soprattutto per evitare discussioni con il suo compagno di stanza dopo quello che era successo, dato che teoricamente era stata colpa di un piccolo momento di nervosismo dell'angelo bianco a scatenare tutto il resto. Così Shane aveva deciso di passare un po' di tempo con il padre, poiché le spedizioni contro i demoni non sarebbero partite di lì a poco. Arvid, suo padre, era in condizioni davvero precarie ormai... persino Shane stava perdendo le speranze. Arvid Henrik Helleseele aveva un notevole patrimonio, che avrebbe ereditato suo figlio. Aveva, però, un altrettanto notevole numero di segreti, che l'angelo bianco aveva intenzione di scoprire prima che l'inevitabile potesse spazzare via ogni singola possibilità di rimettere insieme i pezzi del puzzle del suo passato. In quei sei giorni, tuttavia, non era riuscito a capire granché, il padre non era stato propenso a parlarne, ma gli aveva assicurato che a tempo debito avrebbe conosciuto la verità. Quella vacanza era stata utile a chiarirgli un po' le idee su Lex, era arrivato alla conclusione che il primo impatto che aveva avuto sul ribelle era quasi completamente sbagliato, sicuramente lui non aveva mai avuto nessun legame in passato con lui, e quel senso di vuoto che lo aveva colpito quando era distante dall'angelo nero nei due giorni al Palazzo Reale sembrava sparito. Era stato tutto una specie di scherzo della testa, qualcosa lo aveva ingannato sulla persona di Lex, ma la cosa importante era che adesso era tutto più chiaro. Stabilito ciò Shane aveva deciso di fare ritorno al Palazzo, sarebbe servito più lì che a casa sua. Aveva avvisato del suo ritorno entro quella sera, ma decise di tornare prima, tanto alla fine non avrebbe dato fastidio a nessuno se fosse tornato un po' prima... no? Si avviò, dunque, verso il grande edificio sulla collina di Asgard, le morbide ali bianche perfettamente allineate mentre si aprivano per permettere all'angelo bianco dia alzarsi in volo. Quando Shane arrivò al grande portone lo aprì con la debita formula e si diresse subito alla sua stanza, con il suo piccolo bagaglio a mano. I corridoi silenziosi come sempre e l'ambiente sempre più freddo e cupo, gli insinuò una triste malinconia del calore di casa, nonostante avesse passato anni, forse secoli, a esercitarsi in quel palazzo. Le torce appese alle pareti regalavano una luce fioca ai corridoi, proiettando strane ombre sugli arazzi. L'angelo bianco addirittura pensò di aver identificato un'ombra a forma di drago inghiottire un gruppo di angeli legati ai rami più alti di Yggdrasil, che erano raffigurati nella parte superiore di un arazzo. Poi scosse la testa divertito, pensando che la sua fervida immaginazione spesso gli proponeva una visuale diversa delle cose. E tra un pensiero e l'altro arrivò davanti alla sua stanza, e lì le sue preoccupazioni ritornarono dov'erano prima, e la prima domanda che gli si presentò fu Lex sarà nella stanza?, poi come in seguito a questa domanda se ne formarono automaticamente tante altre: Sarebbe stato contento di vederlo?, Come avrebbe reagito?, Cosa avrebbe pensato di lui sapendo che era scappato senza parlarne a nessuno dopo che era successo quel piccolo inconveniente tra loro due?, ma soprattutto Avrebbero sistemato le cose?. Alla fine si decise, Shane chiuse gli occhi e aprì la porta, quando questa si spalancò con un coraggio che non sapeva di avere aprì gli occhi e in un istante tutto ciò che pensava aver dimenticato, tutto ciò che aveva considerato uno scherzo, tutto ciò che pensava essere una semplice divergenza della sua testa, gli si riversò addosso come una cascata, con i suoi sentimenti che si amplificarono fino a scoppiargli dentro.
Il rumore della porta che si apriva fece distrarre Lex dal suo quotidiano "controllo delle armi", ovvero affilare coltelli e pugnali, sistemare le spade magiche e lucidare le Lame del Paradiso. Abbastanza irritato si costrinse ad alzare lo sguardo ed ebbe un tuffo al cuore, come se solo in quel momento si fosse ricordato di qualcosa, qualcosa che non gli avrebbe dato pace per molto tempo, forse per sempre. La luce che entrò dalla porta nella stanza poco illuminata si riflesse sulla lama del pugnale di ekdos che Lex stringeva nella mano destra, emanando un bagliore scuro, che fece distrarre ancora il ribelle, che si chiese per un istante se la luce potesse essere scura... Poi rivolse il suo sguardo all'angelo bianco che aveva appena chiuso la porta dietro sé, e quando i loro occhi si incontrarono dopo giorni, l'angelo nero sentì il peso della sua mancanza, sentì per la prima volta il peso della paura di perdere qualcuno. E Shane sorrise. Uno di quei suoi sorrisi dolci, sinceri, ma dietro quel sorriso Lex, il quale aveva un'esperienza incomparabile in merito, riuscì comunque a scorgere la malinconia e l'angoscia interiore dell'angelo bianco. Mosse le labbra per dire qualcosa come "Ciao" oppure "Bentornato", ma la bocca rimase semplicemente socchiusa, e dalle sue labbra non uscì nulla, nemmeno la più debole emissione di fiato, come se le parole gli si fossero bloccate tra le corde vocali. L'unica cosa che restò da fare fu cercare di sorridere in modo credibile e sembrò riuscirci, dacché Shane sembrò rilassarsi, posò il suo zainetto su una sedia e dopo essersi guardato un po' intorno fermò il suo sguardo sul soffitto della stanza e restò a bocca aperta.
— Ho dovuto, non riuscivo a dormire... — Spiegò Lex leggendogli in faccia la sua domanda, e cercò di difendersi in qualche modo... non c'erano molte scuse per aver fatto dipingere il soffitto di nero e averci fatto attaccare dei diamanti, nonostante i diamanti fossero stati presi dalla miniera di suo padre. Lex aveva insistito perché dipingessero il soffitto della stanza, così gli ricordava quello della cameretta di casa sua, e poi col soffitto nero e pieno di colori luminosi gli dava conforto, non come il soffitto bianco...
— No... va bene. — Rispose Shane dopo un po', non con tutta la convinzione che sarebbe servita a Lex per sentirsi rassicurato.
— Sicuro? — Chiese, più per essere gentile che perché gliene importasse davvero, anche perché ormai era fatta, non si potevano togliere i diamanti e ridipingerlo di bianco... no?
— Si, si — Disse infine l'angelo bianco sorridendo sinceramente — È... nuovo, ma bello. — Concluse, poi si mise seduto sul suo letto a leggere e Lex tornò ad affilare le sue adorate armi, soffermandosi a guardare il pugnale di quarzo cristallino, quello che gli aveva dato la Regina Trine, che scintillava luminoso sul comodino.
— Vado a fare una doccia, mica ti serve il bagno libero? — Domandò Lex spezzando il silenzio che si era stanziato nella camera.
— No, vai pure. — Rispose Shane facendo un piccolo sorriso, ma non alzò la testa e i suoi occhi restarono bassi sulle pagine del libro, lasciando solo immaginare a Lex quell'azzurro immenso delle sue iridi. Il ribelle si diresse in bagno chiudendo la porta e scosse la testa scrollandosi di dosso quei pensieri, facendo sì che per un po' nella sua mente aleggiò il vuoto, forse per tutto il tempo che passò sotto il getto d'acqua calda della doccia. Non appena uscì, infatti, fu assalito nuovamente da una marea di domande, la maggior parte riguardanti Shane, altre su Lillian, qualcuna su Christopher, altre su se stesso e sul suo passato. Due di queste, però, gli pesavano di più: Era cambiato qualcosa in Shane? E quali erano adesso i suoi sentimenti?, domande a cui probabilmente non avrebbe mai dato risposta... ma con tutta la sua forza di volontà cercò di non pensarci, anche perché non sarebbe servito a niente conoscere i sentimenti dell'angelo bianco se lui stesso non comprendeva i suoi.
Il mondo di Shane si era capovolto l'ennesima volta in pochi giorni... ma sarebbe riuscito a capire cosa provava prima o poi? O avrebbe avuto per sempre questo senso di oppressione sul petto ogni volta che guardava il ribelle? Era questo ciò che lo tormentava, e che forse lo avrebbe continuato a tormentare giorno e notte finché poi qualcosa avrebbe sconvolto le loro vite, rendendo ognuno di loro due consapevole delle proprie emozioni e delle proprie paure. I suoi pensieri però furono interrotti da due colpi sulla porta, lui un po' confuso accolse chiunque fosse con un "avanti". La porta allora si spalancò facendo comparire la figura esile di un angelo, la ragazza doveva essere la cameriera personale della figlia del Re, se la sua memoria non lo tradiva.
— Signorino Helleseele? — Lo richiamò con voce sottile la ragazza con gli occhi verdi.
— Mi dica — Rispose Shane incuriosito, ma anche un po' impaurito per il fatto che ci fosse di mezzo la principessa Katniss.
— La signorina Skylight desidera parlarle. — Annunciò la cameriera e Shane sospirò pensando che era proprio ciò che si aspettava.
—Quando? —
— Sarebbe preferibile in questo momento. —
— La attenderò qui. — Rispose infine Shane, guardandosi intorno e pensando che Lex avrebbe passato un'altra mezza giornata in bagno ad aggiustarsi i capelli. La domestica allora uscì dalla porta lasciando uno spiraglio aperto, infatti, dopo pochi secondi la lastra di legno si riaprì facendo entrare la Principessa. Indossava un abito blu scollato a maniche lunghe, con la vita stretta e la gonna che scendeva morbida fino a terra, i capelli sciolti in disordine sulle spalle, le ali raccolte dietro la schiena. Quella bellezza era sempre stata esagerata ai suoi occhi, nessuna ragazza era più perfetta, quasi fosse una dea.
— Shane? — Domandò fissando il suo sguardo su di lui, quindi l'angelo bianco smise di contemplarla e le rivolse i suoi occhi azzurri.
— Mi dica pure, Principessa — Disse lui, l'altra sfoderò un sorriso ampio e docile.
— Sono qui per chiederti scusa. — Iniziò la ragazza, per nulla impacciata, come, al contrario, sarebbe stato Shane in una situazione del genere.
— Non mi deve alcuna scusa... anzi, ne devo io a lei. — La rassicurò l'angelo bianco con un sorriso tenendosi a distanza. Si inchinò con profondo rispetto, ma lei gli fece subito segno di alzarsi. Shane l'ascoltò e si mise in piedi di fronte a lei, anche se la loro differenza di altezza si notava abbastanza, poiché probabilmente la ragazza non aveva indossato scarpe col tacco.
— Ho visto Eva. — Annunciò la Principessa e l'angelo bianco si irrigidì immediatamente a quelle parole. — Non preoccuparti, non le ho detto nulla, non l'avrei mai fatto. — Continuò lei, rassicurando il biondo che fece un sospiro di sollievo, liberandosi dalla paura che lo aveva assalito al solo pensiero della "fidanzata".
— E cosa le ha detto? —
— Abbiamo parlato di te. — Disse lei inclinando leggermente la testa a destra.
— Lo immaginavo. — Rispose lui sorridendo debolmente, l'ansia lo divorava.
— Non mi ha dato una buona impressione sinceramente. Volevo conoscerla da tempo poiché mi sei sempre sembrato in difficoltà accanto a lei. Adesso che ci ho scambiato due parole temo di capire perché tu ti senta a disagio. Mi è sembrata oltremodo azzardata in ciò che dice. Ha affermato spudoratamente di non volerti lasciar andare a costo di uccidere chiunque voglia portarti via, poiché apparentemente le sei utile in qualcosa. Non ho davvero capito cosa intendesse... In ogni caso, se avessi bisogno di aiuto puoi fare affidamento su di me. — Disse lei. Pareva fosse sul punto di chiedere dettagli e spiegazioni, ma il biondo poteva spiegarle ben poco. Shane rimase visibilmente turbato da quelle parole, tanto che per un attimo si sentì mancare e fu costretto a sedersi sul letto. Non era davvero la sua migliore prospettiva essere il giocattolo vivente di quella vipera. Anne lo imitò sedendosi accanto a lui, gli prese la mano stringendola tra le sue, Shane era terribilmente impallidito.
— Davvero ha detto questo? — Chiese con un filo di voce, così sussurrato che pensò che la ragazza non l'avesse sentito.
— Si... — Rispose l'altra dopo un po' — E sembrava particolarmente convinta di ciò che diceva... — Aggiunse subito dopo. Shane sospirò pesantemente. — Mi dispiace — La bionda gli strinse la mano in segno di conforto.
— Potrebbero anche mettere asciugamani più... — Iniziò il ribelle uscendo dal bagno, interrompendo bruscamente la conversazione dei due angeli bianchi, ma si bloccò quando vide che nella stanza non erano soli e restò a bocca aperta. Shane lo capiva, la prima volta che aveva visto Anne pensava che fosse finta... Poi l'angelo bianco arrossì di colpo accorgendosi di star fissando il suo compagno, che aveva addosso solo un asciugamano chiusa in vita, e aveva dei pettorali davvero invidiabili. Inoltre con la sua carnagione abbronzata e i capelli bagnati sembrava la perfezione in persona. Le ali erano chiuse e morbide, come se fossero già asciutte, e senza la maestosità delle ali aperte sembrava quasi umano... e bellissimo. Shane si accorse che Lex si era fatto cadere di mano l'altra asciugamano con cui stava strofinando i capelli, forse dalla sorpresa, ma poi l'angelo bianco zittì i suoi pensieri quando il ribelle deglutì ansioso e guardando la principessa pronunciò solo una parola: — Anne? —
"Penso a come rompere il silenzio... Non riesco neanche a dirti ciao, volevo solo dirti ciao..."
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♣•★• SPAZIO • AUTRICE •★•♠
Ciaoo lettrici/lettori ❤ Come al solito spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo, che (per la cronaca) è quello più grande per ora hahah. Non so se vi siate fatte/i qualche idea sul proseguimento della storia, probabilmente è ancora presto. Come al solito vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate, e grazie, grazie a tutte/i. ❤
Al prossimo capitolo.
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