7 • IL LABIRINTO DEI SEGRETI PERDUTI
"Tutto quello che vedo in fondo non ha senso, ma questo è soltanto una parte di quello che ho perso."
Lex alzò gli occhi verso l'orologio di vetro soffiato e si accorse che ormai erano passate diverse ore da quando insieme al compagno era andati da Lillian. Nella sua stanza spoglia e maniacalmente ordinata, così come ci sarebbe potuti aspettare da una ragazza come lei, adesso c'erano anche Alexander, Xavier e Grethe. Erano arrivati da poco loro tre, dopo che i due avevano fatto i salti mortali per preparare l'unguento di arnica montana che avevano cosparso poi attorno alla ferita. L'arnica montana era un rimedio naturale molto efficace utilizzato per traumi fisici e psichici di qualsiasi genere, dalle emorragie alla fragilità emotiva. Il ribelle si era sentito sollevato quando la ragazza aveva subito riscontrato segni di ripresa, Lex le aveva fasciato il busto ponendo delle strette garze attorno alla ferita e Shane era rimasto a guardare pensieroso, con un'espressione che diceva tutto da sé. Quando Xavier era tornato aveva messo piede nella stanza prima degli altri e ne aveva approfittato per comunicare al ribelle che a quanto pareva fossero stati interrogati dalle guardie reali. Gli angeli bianchi avevano già fatto le loro assunzioni malevole e la colpa dell'attacco dei demoni era stata riversata sui ribelli. Lex non rispose, non si espresse e restò totalmente indifferente alla notizia. Non erano una novità per lui quel tipo di discriminazioni e ingiustizie, ed era quasi scontato pensare che loro sarebbero diventati il capro espiatorio della situazione dal momento che dei demoni avevano attaccato Asgard proprio nel giorno stesso in cui erano arrivati i ribelli. La coincidenza era troppo frivola per crederci, era di certo più semplice scaricare la responsabilità sui loro mezzi nemici. Inoltre, il Re stava continuando ad ospitarli nonostante l'accusa, per cui gli angeli bianchi, soprattutto i nobili, avrebbero potuto in quel modo vantarsi di essere estremamente pietosi e caritatevoli per aver risparmiato la vita a delle creature ignobili come loro. Era per questo che il corvino non sopportava quel posto, né quella gente, e pensare che se quella sera non ci fosse stato lui - un ribelle - a combattere in quella piazza, i demoni avrebbero banchettato con la carne degli angeli nella Sala.
Lasciò che il ricordo delle ore precedenti abbandonasse lentamente la sua testa e posò nuovamente lo sguardo su Lillian che riposava beata, benché nella stanza fosse rimasta accesa una lampada che emanava fin troppa luce per gli occhi sensibili di Lex. Soprattutto perché era notte inoltrata ormai e lui non chiudeva occhio da due giorni, dopo aver passato un'intera notte in viaggio e poi una serata di combattimento sfiancante contro demoni di ogni genere e provenienza... Solo allora realizzò di avere talmente tanto sonno che le palpebre continuavano a volersi chiudere da sé. Quindi, per non rischiare di addormentarsi davvero, si alzò e si avvicinò a Xavier per comunicargli che avrebbe lasciato la stanza. Quella sera il ragazzo dagli occhi felini si era comportato anche più scontrosamente di quanto Lex ricordava fosse di solito, sebbene non avesse più rapporti con lui da anni. Purtroppo però ognuno ha i propri difetti.
— Io ho bisogno di dormire. — Disse il riccio scrutando gli occhi grigi dalle sfumature giallognole del ribelle; si conoscevano da quando erano piccoli, eppure sembravano ancora perfetti sconosciuti.
— Non preoccuparti. — Rispose l'altro fingendo palesemente un sorriso. Era talmente ovvio che all'angelo dai capelli blu qualcosa non andasse proprio a genio.
— Penso che andrò anch'io. — Intervenne la ragazza dai capelli rosa, e con un gesto della mano si congedò e uscì dalla stanza senza farsi troppi problemi, come se avesse il diritto di sentirsi superiore alla situazione circostante. Da quando era arrivato ad Asgard, Lex l'aveva sentita parlare solo due volte, il suo tenersi silenziosamente in disparte era tanto irritante quanto inquietante. Allora Alexander, che sembrava assorto da tanto nei suoi pensieri, si avvicinò ai due ribelli, aveva un'espressione quasi pentita, chi sa per quale astruso motivo.
— Senti Xavier, se vuoi andare a riposare anche tu, puoi stare tranquillo, a Lillian posso pensarci io. — Gli comunicò quello scrollando le spalle, ma il ribelle interpellato fece una faccia talmente stranita che per poco non Lex non scoppiò a ridere; come al solito, rideva nei momenti meno opportuni. Di certo lui non avrebbe immaginato Alexander come un maniaco, ma Xavier aveva il carattere di chi non si fida nemmeno di se stesso e sicuramente non avrebbe mai lasciato una persona a cui voleva bene nelle mani di uno sconosciuto.
— No grazie, preferisco starle vicino, scusami se ti invado la stanza. Se vuoi puoi andare a dormire nella mia stanza con Grethe. — Rispose come se fosse cosa più ovvia che avesse potuto dire, e difatti era così, ma la sua ostinazione fece quasi sorridere Lex, il quale poco dopo tornò sui suoi passi per uscire dalla stanza. Shane si era addormentato sulla sedia accanto alla porta e teneva la testa appoggiata al muro con le labbra leggermente dischiuse, allora Lex gli tirò una ciocca di capelli non molto delicatamente per farlo svegliare e l'altro, come previsto, scattò in piedi aggiustandosi i capelli.
— E poi ero io quello fissato... — Borbottò ironicamente il ribelle per la reazione che aveva avuto l'angelo bianco. L'altro sentì il commento del compagno e ricambiò con un'occhiataccia da parte dei suoi occhi azzurri arrossati dal sonno, poi salutò grossolanamente gli altri due presenti nella stanza e uscì subito dopo Lex.
***
Shane entrò nella sua stanza senza osare staccare gli occhi dal pavimento, non ce la faceva a guardare il compagno. Poteva addirittura dire che gli era mancato nelle ultime ore l'aspetto del Lex che aveva conosciuto a primo impatto, ancora non riusciva ad accettare la sua vena protettiva verso alcune persone. Preferiva pensare che lui nascondesse sempre e comunque le sue emozioni, che odiasse tutti a prescindere, e anche se era doloroso preferiva pensare che Lex odiasse anche lui, invece che fosse così affezionato ad altri. Più che altro per la consapevolezza che lui non avrebbe mai potuto raggiungere quel livello, essendo un angelo dalle ali bianche. Questo era palese. Alla fine il suo era un egoismo derivante dalla paura di non poter fare o essere abbastanza e, benché stesse cercando di soppiantare quel pensiero, o almeno lasciarlo da parte, era qualcosa di più profondo di quanto sembrasse. Avvertiva un legame con Lex vecchio di secoli... eppure era un ribelle, lui non aveva mai conosciuto alcun serafino dalle ali nere, o almeno dai ricordi che aveva si evinceva ciò. Restò comunque impassibile e attento a non farsi scivolare in faccia le sue emozioni, che spesso erano fin troppo palesi. Si sedette nuovamente sul suo letto prendendo il libro che aveva iniziato e cercando di leggere, anche se con scarsi risultati, sia per il sonno prorompente, sia per la distrazione causata dal compagno, che lucidava e metteva in ordine sistematicamente le sue armi da combattimento corpo a corpo, che a quanto pareva non si faceva mai mancare.
— Che fai? — Chiese di punto in bianco il riccio, ancora girato di spalle.
— Leggo — Rispose incerto l'angelo bianco, era rimasto un po' stranito a quella domanda che sembrava una forma squallida di intraprendere conversazione. Era palese poi cosa stesse facendo, il ribelle avrebbe potuto semplicemente voltarsi e vederlo con i suoi occhi invece di chiederlo.
— Non è vero. — Lo contraddisse Lex scuotendo la testa e armeggiando coi pugnali, lasciando che le lame toccandosi producessero un frastuono metallico ogni volta che posava un'altra delle sue armi corte del cassetto, sovrapponendola alle altre. Era abbastanza fastidioso alle orecchie del biondo, ma non glielo avrebbe detto.
— In che senso? — Si accigliò l'altro, sentendosi quasi preso in giro. Era già abbastanza stanco e il compagno gli addossava semplicemente altro stress con quei suoi modi di fare vaghi di aggirare il discorso. Aveva un libro aperto davanti alla faccia, cos'altro poteva star facendo?
— Io quando leggo non penso ad altro e solitamente non mi faccio distrarre dalle persone che mi stanno intorno, anzi, leggo proprio per estraniarmi dal resto della plebaglia. — Spiegò lui, accantonando l'ennesimo coltello all'interno del cassettone sottostante alla scrivania alla quale era seduto. L'angelo bianco assorto dalla veridicità delle sue parole aveva quasi lasciato correre sul come avesse fatto il compagno a percepire la sua distrazione, e addirittura i suoi pensieri.
— Hai ragione. — Si limitò ad annuire, incapace di intraprendere un dibattito a causa della spossatezza, sia fisica che morale. — Effettivamente non sto proprio facendo nulla. — Ammise alzando le spalle e chiudndo il libro, posandolo sul comodino. — Non che solitamente faccia qualcosa di interessante. Mi limito a vivere... —
— Davvero? — Chiese il ribelle con tono quasi meravigliato, come se avesse sentito chi sa quale scoperta scientifica. Shane pensò solo che quelle domande fossero piuttosto strane, domandandosi a cosa stesse pensando il ribelle, invece, per porre domande così apparentemente insensate. Non aveva idea di come il corvino facesse a sentire che lui stesse pensando ad altro, ma l'angelo bianco avrebbe pagato oro per capire cosa passasse per la mente del riccio.
— Si, davvero, perché? — Domandò di rimando l'angelo steso sul letto, era curioso di sapere quale assurda tempesta stesse imperversando nella mente del compagno in quel momento, ma lui non era capace di avvertire i pensieri altrui così a crudo come faceva Lex.
— Mi piacerebbe sapere come si fa. — Ammise l'angelo nero, spiazzando il diretto interessato. Era la cosa più insolita che avesse mai sentito. Non era qualcosa che si imparava sin da neonati, vivere? Non era quella capacità innata che alberga in ogni creatura incitandola a non demordere? Quella forza, quell'alito di vento che sospinge ognuno ad andare avanti e procedere per la sua strada? C'è davvero bisogno che qualcuno ti insegni a vivere?
— Lo stai facendo anche tu... —
— No. Se lo pensi significa che non stai affatto vivendo. — Risolse lui con poche coincise parole, interrompendo anche il tentativo di Shane di dire qualcosa per discolparsi. La voce del ribelle parve quasi delusa, ma a quel punto il biondo arrivò a credere che il ragazzo lo stesse soltanto prendendo in giro. Shane si zittì incredulo e si alzò dal letto, convincendosi a dover lasciare da parte la questione del carattere di Lex, almeno per un po'. Si diresse quindi silenziosamente verso il bagno per lavarsi e cambiarsi, ma la voce roca del compagno lo indusse a soffermarsi sulla soglia, ascoltando le sue parole seppur non si voltò a guardarlo. — Sai, respirare non significa vivere, così come morire non significa solo smettere di respirare. —
Un brivido percorse la colonna vertebrale dell'angelo bianco nel sentire quella frase così inquieta, soprattutto perché pronunciata da una persona che sembrava capace di tutto tranne che di dire cose così profonde... ma forse aveva completamente sbagliato opinione sul ribelle. Quelle parole gli marchiarono l'anima a fuoco, perché in realtà non ci aveva mai riflettuto così intensamente. Vivere era certamente più complicato che respirare e basta... E la morte, la morte era ben altro che un'anima spenta. Senza essere riuscito a riprendersi, varcò l'uscio del bagno e dopo essersi lavato e cambiato, uscì, pronto ad ignorare il ribelle finché non si fosse addormentato. Si gettò sul morbido materasso affondando la testa tra i cuscini, vestito semplicemente di un paio di pantaloncini neri e di una maglia grigia un pochino troppo larga, e, anche se gli sembrava azzardato dormire così con la presenza di qualcun altro in camera, si convinse che la comodità fosse più importante dell'apparenza. Comunque non ebbe modo di pensarci oltre, poiché i suoi pensieri si rivolsero immediatamente ad un'altra problematica realtà della sua esistenza: suo padre. E ci pensava tanto intensamente che neppure si era accorto dello sguardo di Lex su di sé. Suo padre, Arvid, non era per niente in buone condizioni di salute ultimamente, aveva contratto una brutta malattia sul campo di battaglia, ma l'angelo bianco era sicuro che sarebbe riuscito a uscire da quella fase di debolezza fisica, lui doveva farcela, era l'ultima persona della sua famiglia su cui potesse ancora contare bene o male. Arvid, non era affatto stato un padre perfetto, né quell'uomo di famiglia che tutti desidererebbero avere in casa propria, al contrario lui era poco presente, poco predisposto al colloquio familiare e poco collaborativo. Tuttavia era solito, forse anche per farsi perdonare, appoggiare le scelte del figlio, sebbene fosse un uomo molto radicato sulla cultura angelica, ed era proprio per quello che Shane aveva dovuto tenere dei segreti con lui, altrimenti il loro rapporto sarebbe sfumato e degenerato ulteriormente fino a sgretolarsi del tutto. Il padre si era ammalato gravemente a causa di un veleno particolare di demoni in una missione sulla Terra. Gli angeli guerrieri, ovvero tutti quelli dei sei mondi angelici tranne l'Ordine, hanno il compito di monitorare costantemente il flusso di demoni sulla Terra, in quanto quel pianeta era uno dei pochi pianeti popolati nella galassia e loro dovevano proteggere i suoi abitanti, creazione della stessa entità Superiore che aveva dato vita anche agli angeli. Shane, come tutti gli altri, sapeva che negli ultimi anni i demoni erano affluiti sempre più numerosi sul pianeta degli umani, ed essendo capaci di aprire portali dimensionali ovunque, avevano ampia scelta sui luoghi da scegliere per agire, e se avessero "agito" sul serio la cosa sarebbe stata a dir poco tragica e catastrofica. Per capire cosa sarebbe successo alla Terra c'era un'unica cosa da sapere: ogni pianeta su cui erano arrivati troppi demoni, aveva finito, in un modo o nell'altro, con l'essere distrutto. Alcuni erano stati inghiottiti dalle tenebre, letteralmente, le enormi masse di polveri demoniache avevano circondato i pianeti, oscurandoli, e in poco tempo era scomparsa ogni forma di vita presente in precedenza, ogni traccia di civiltà, era rimasta solo terra bruciata e laghi neri di metalli liquidi... Altri pianeti che avevano subitio invasioni di demoni, invece, erano stati distrutti dall'interno, dove questi esseri infernali avevano causato il caos tra gli esseri viventi. Ricorrevano poi all'aiuto di uno dei Principi dell'Inferno, che con i loro poteri lasciavano implodere le masse celesti, facendo scoppiare dapprima il nucleo e lasciando infine sgretolare la crosta. All'angelo bianco venivano i brividi a pensare che suo padre si era avvelenato su uno di quei pianeti destinati ormai a diventare semplici masse rocciose deserte e completamente buie. E tutto solo perché i demoni hanno bisogno dell'energia vitale per vivere.
— Shane? — L'angelo bianco si sentì chiamare per l'ennesima volta, quindi si alzò a sedere a gambe incrociate e rivolse la testa al ribelle e i suoi occhi si scontrarono con quelli viola acceso di Lex: quasi i loro sguardi facevano scintille per la tensione che c'era. L'angelo nero si era avvicinato fino a sedersi sul letto accanto a Shane, e quest'ultimo non ci aveva neppure fatto caso, tanto che si stava già abituando alla sua presenza accanto a lui. Non gli dava per nulla fastidio. — Sembra che tu abbia appena visto un fantasma. Stai bene? —
Quell'affermazione lo spiazzò vistosamente, era già la seconda volta che gli chiedeva una cosa del genere in meno di ventiquattr'ore, possibile fosse così pensieroso da renderlo palese anche al compagno?
— Forse. — Rispose il biondo con un tono di amarezza nella voce che lui stesso non capiva da dove fosse saltato fuori. Stava diventando bipolare? Il ribelle si accigliò a quella risposta e Shane allora scosse la testa, portandosi le mani alla testa e poggiando i gomiti sulle ginocchia, stringendo delle ciocche di capelli chiari tra le dita. Si sentiva oppresso da qualcosa che non capiva cosa fosse, né da dove provenisse, né perché ce l'avesse, ma cercò ugualmente di combatterci contro e di farsi forza, provando ad andare avanti fin quando gli fosse stato possibile.
Lex sbuffò sonoramente, forse anche con una certa irritazione, che fece spaventare il biondo. — Quando starai bene fammi un fischio allora. — Ironizzò il ribelle, fece spallucce e sparì dietro la porta del bagno, probabilmente per provvedere a lavarsi via il sangue da dosso. L'angelo bianco sospirò pesantemente e si lasciò cadere con la testa sul cuscino, guardando il soffitto per interi minuti o forse ore, non sapeva quanto tempo fosse trascorso. Aspettò che l'altro si mettesse a letto e si concesse un ultimo sguardo al ribelle, che intanto aveva attorcigliato tutte le lenzuola e le aveva abbandonate sul bordo del materasso, e ora gli dava le spalle. Shane sapeva di averlo offeso, perché chiedere "come stai?" non sembrava qualcosa che lui facesse poi tanto spesso, e non ottenere risposta doveva essere sembrato davvero scortese. Poi l'angelo bianco chiuse gli occhi, attendendo che arrivasse il sonno a portar via le sue riflessioni.
***
Il soffitto era terribilmente pallido, fin troppo bianco, ed era una delle cose che Lex odiava di più. Costringeva troppo a riflettere, perché era così vuoto che obbligava a pensare ai ricordi, non avendo nulla di nuovo su cui soffermarsi. Ricordava che da bambino aveva fatto dipingere di nero la sua stanza nella residenza dei Firestars e poi aveva applicato sul soffitto tanti diamanti colorati che riflettevano una luce cupamente colorata ogni volta che il sole tramontava lasciando spazio alle stelle. Il suo patrigno discendeva da una famiglia ricca ed influente, bastasse ricordare che fosse in possesso di una miniera di diamanti, l'unica, nel bel mezzo del Mondo Inferiore. Doveva sicuramente essere la stessa miniera dalla quale provenivano i gioielli della Regina Axel, somma Sovrana del mondo inferiore e bla bla bla... Era la persona più strana che Lex avesse mai "conosciuto", sembrava perennemente senza emozioni, eppure a volte diventava talmente affranta o mortificata da far venire il voltastomaco al ribelle. Quella donna non appariva mai felice, mai beata, mai adirata, né collerica, eppure dietro quegli occhi neri si nascondeva una vita piena di sentimenti, un passato sorprendentemente colmo di emozioni, soprattutto dolore, tanto dolore, ma Lex questo non poteva saperlo. Quel soffitto bianco, intanto continuava a ricordargli il viso della Regina, vuoto, perso, stanco. Non un solo volto, una doppia facciata, o forse tripla, o multipla; chi sa quante cose nascondeva la Sovrana, chi sa quante altre di quelle che mostrava erano false. E associato a quel volto c'era l'ombra attanagliante dell'inaccessibile Profezia che aveva visto alla Fortezza Nera, un'ombra che lo tormentava incutendogli timore, poiché i ricordi di quelle immagini sembravano diventare più vividi, e di conseguenza meno sfocati, solo quando gli eventi predetti erano ormai già avverati. Tuttavia Lex continuava comunque a vedere solamente ciò che voleva vedere: la realtà era ben lontana da quello che ricordava della visione profetica e sarebbe riaffiorata solo col passare del tempo. Intanto, però, il destino si divertiva a tormentarlo, difatti il sonno tardava ad arrivare, abbandonandolo a quel triste rimuginare, che doveva affrontare durante ogni notte insonne, sui ricordi e sulle azioni compiute nel passato, remoto o prossimo che fosse. Lo stesso destino poi lo avrebbe aiutato a portare alla luce la verità sul suo passato, la verità che nessuno avrebbe mai immaginato. Lex si rese vagamente conto del tempo passato da quando erano tornati nella stanza, forse un'ora, o forse più, e quando poi finalmente riuscì a chiudere gli occhi, il sonno non gli diede pace.
Era tutto contorto intorno al ribelle, non distingueva molto l'ambiente intorno a sé a causa della vista appannata, ma poi lentamente tutto si fece più chiaro, per quanto potesse essere chiaro... Lex si sentiva cedere le gambe, non solo per la sua debolezza fisica dovuta alla stanchezza per la battaglia e anche per non aver toccato cibo da due giorni ormai, ma anche perché in quell'attimo il pavimento sotto i suoi piedi stava tremando: si inclinava a chiocciola verso destra, come se ruotasse. Inoltre le mattonelle erano bianche e nere disposte a scacchiera, cosa che contribuiva nettamente al senso di nausea. Guardando dritto davanti a sé riusciva a vedere solo una galleria dal pavimento a scacchi e con le pareti bianche, che ruotava più volte su sé stessa. Fortunatamente l'angelo nero riuscì ad abituarsi in fretta all'ambiente spoglio che lo circondava. Notò che ai lati del lungo corridoio in cui si trovava, a intervalli regolari si aprivano altri corridoi perpendicolari a quello principale, ma più angusti, e tutti terminavano in una porta, quasi tutte di legno, ma ognuna aveva un particolare diverso rispetto alle altre. Si incamminò per il corridoio lentamente appoggiando una mano al muro e cercando di mantenersi in equilibrio man mano che il pavimento si inclinava, e solo in quel momento si chiese come avrebbe fatto a proseguire quando presto il pavimento si sarebbe ribaltato. Ammetteva di poter fare cose che altri angeli non avrebbero mai potuto fare, ma non aveva ancora imparato a camminare a testa in giù ed in quel posto le ali sembravano non volersi aprire. Man mano che il pavimento si inclinava, però la forza di gravità tendeva a diminuire, tanto che adesso stava tranquillamente camminando quasi perpendicolarmente alla parete di sinistra, a quel punto due corridoi più piccoli si aprirono ai lati del pavimento. Lex sapeva di dover entrare in almeno una di quelle porte, altrimenti non avrebbe avuto senso continuare a camminare nel nulla, tanto non poteva succedere nulla di grave. Si sentiva incredibilmente a suo agio nel sogno, era come se ci fosse già stato in quel luogo. Scelse, allora, la porta di destra, pensando di entrare in quella a sinistra successivamente se ce ne fosse stato bisogno. Si avviò nel breve corridoio secondario e arrivò presto di fronte alla porta di legno: era vecchia, si notava, e al centro della porta era incisa in rosso la runa della chiaroveggenza (Kenaz), e probabilmente ciò con cui era stata incisa la runa non era vernice. Per confermarlo, con la solita impudenza passò una mano sul legno vecchio della porta toccando la linea spezzata che disegnava la runa, rendendosi conto appunto che era stata dipinta col sangue, l'angelo nero deglutì al pensiero e allungò la mano fino al pomello dorato, lo girò e quando la porta si aprì una forza lo risucchiò verso l'interno facendolo precipitare nel vuoto.
Era tutto troppo buio, ma Lex sapeva che era atterrato su qualcosa di pietra, anche perché la caduta era stata abbastanza dura. Poi, un barlume di luce dopo l'altro, si addensò una cupola luminosa piuttosto fioca intorno a lui, che scoprì poi provenire da lampioni posti a eguale distanza fra di loro. Allora tutto fu più chiaro: era una strada, una strada del Mondo Inferiore, una strada che lui conosceva bene, la strada dove sorgeva la casa del suo defunto patrigno, quella dove lui abitava tutt'ora, ma... era diversa. Le grandi arcate del portico non erano decorate come ora, erano semplici e imponenti, bianche; i cancelli d'ingresso erano appena stati verniciati di un nero lucido; gli infissi di legno non erano gli stessi che c'erano quando aveva lasciato casa sua per venire ad Asgard. Il ribelle comunque non si fece intimorire dalle circostanze, quindi si avvicinò all'ingresso tendendo una mano per bussare al battente del portone. Stava per bussare alla porta di casa sua sapendo che ci abitava da solo? Che diavolo gli era passato per la testa? Qualcuno tuttavia percosse il pesante battente di metallo al posto suo, e quando girò lo sguardo quasi si inquietò alla vista di una donna dai capelli neri, in un abito stretto e lungo fino a terra, avvolta da un impermeabile altrettanto scuro con un cappuccio che le copriva il volto, tanto che Lex non riuscì a capire chi fosse. Guardando meglio si accorse che stringeva un angelo in fasce tra le braccia, era così silenzioso che il ribelle se ne accorse solamente quando la donna lo scoprì da sotto l'impermeabile. Le ali erano ancora troppo piccole probabilmente, quindi non riuscì a definire se fosse un angelo nero o bianco, dacché anche la presunta madre aveva coperto le proprie ali. Oltre ai vestiti il bambino era stato avvolto in una coperta, solo il viso era rimasto scoperto, aveva gli occhi scuri, grandi e penetranti, il naso piccolo e le labbra carnose, ma ciò che lo colpì di più fu la sua tranquillità, non piangeva e non rideva: nonostante stesse cominciando a piovere violentemente e il cielo fosse squarciato dai tuoni, il bambino sembrava non accorgersene. Poteva essere sordo o cieco probabilmente. Lex si sorprese che la donna non avesse minimamente fatto caso al ribelle in piedi lì fuori a fissarla, come se fosse stato invisibile... Allungò la mano verso il bambino, ma la sua mano attraversò il corpo del neonato nel modo in cui sarebbe successo alla mano di un fantasma. Infatti era così, doveva essere solo un ricordo o qualcosa derivante dalla sua fantasia. Forse quella scena faceva parte del passato, e in ogni caso qualsiasi cosa avesse fatto Lex in quel momento non avrebbe potuto cambiare il corso degli avvenimenti, per questo motivo era invisibile agli altri, proprio come un fantasma. Poi la porta di casa si spalancò e apparve un bambino dalle ali nere, biondo e dai lineamenti perfetti, doveva avere all'incirca otto anni, quello era Christopher... Alle spalle del bambino poi arrivò anche un uomo possente, dall'aria austera, il padrone di casa. Indossava un completo gessato tipico di Marcus, ma Lex conosceva bene il suo patrigno e sapeva che quando voleva poteva essere dolce come il miele, era stato forse il tutore migliore in cui avesse potuto sperare. Appena Marcus vide la donna le si inchinò, mostrava di conoscerla e le portava rispetto e riverenza. La condusse in casa, e Lex seguì i due nel salone, mentre il bambino si allontanò in silenzio. La donna si accomodò sul divano, ma non tolse il cappuccio che copriva completamente il suo volto, come se avesse paura di rivelarlo, sebbene l'uomo sembrasse non farci caso. Lei iniziò a parlare, aveva la voce sottile, familiare alle orecchie di Lex, ma non riusciva a riconoscerla comunque. Fece un breve resoconto della sua storia tormentata, poiché aveva tradito una persona molto importante, a quanto pareva.
— Marcus ho bisogno del tuo aiuto, lo verranno a cercare altrimenti, lo uccideranno. — Concluse la donna singhiozzando, ma il ribelle non seppe dire se stesse piangendo o meno, prese il bambino dalla coperta e lo porse all'uomo di fronte a lei, che lo prese come fosse suo figlio. Al ribelle faceva inquietudine quel bambino così silenzioso, ma soprattutto la sorpresa lo stravolse quando scoprì che il bambino aveva gli occhi viola brillanti. Fuori non se n'era reso conto a causa del buio, ma ora poteva sospettare che quel bambino fosse lui stesso: era rarissimo trovare un angelo con gli occhi viola, erano simbolo di peccato e disgrazia, ma potevano significare anche il volere della provvidenza celeste. Le coincidenze in quel sogno stavano cominciando ad essere troppe, sebbene avesse sempre saputo che il patrigno l'aveva adottato, non che una donna a lui ancora sconosciuta lo avesse consegnato alla sua porta. Più che un sogno si sentiva troppo cosciente e il fatto che non riuscisse a svegliarsi lo faceva sentire come intrappolato in una visione.
— Dovrò dirglielo? — Chiese dopo un po' Marcus, in tono lievemente preoccupato.
— Provvederò io quando arriverà il momento. Dovrà essere pronto. Lui è diverso dagli altri, come puoi benissimo immaginare. Devi promettermi che non gli dirai nulla e che lo crescerai come tuo figlio, come Christopher. Voglio che diventi il guerriero migliore di tutti i Mondi. Dimmi che lo farai... — Supplicò la donna alzandosi dal divano e poggiando la sua mano su quella del suo ospite.
— Lo farò. Non la deluderò. — Promise l'altro. Allora lei sollevò delicatamente il neonato, gli diede un bacio tra i capelli neri e lo riconsegnò all'uomo di cui tanto pareva fidarsi.
— Grazie... Che tu sia benedetto, Marcus. — Sussurrò lei, una nota evidente di tristezza nella sua voce. Poi si congedò uscendo dalla casa senza aggiungere altro. Allora tutto l'ambiente si dissolse in un vortice bianco e nero e Lex si ritrovò nuovamente coi piedi nel corridoio a scacchiera da cui era cominciato tutto. Era confuso e stranito, ma soprattutto troppo sveglio. Si sentiva decisamente scosso da quello che aveva appena appreso, sempre che quella fosse stata la verità, tuttavia ancora non conosceva l'identità di sua madre, né tantomeno quella di suo padre. Quella visione gli era stata soltando di intralcio, non aveva significato svelare quella porzione di storia quando i suoi veri genitori sarebbero rimasti ignoti. Non che lui ormai avesse più tanta voglia di scoprire chi fossero, preferiva reputarsi orfano, però era ugualmente triste dover fingere di essersene completamente dimenticato. L'angelo nero sbatté più volte le palpebre e, dopo qualche secondo di pausa per riprendersi, si diresse verso il corridoio opposto per giungere ad una seconda porta di legno, questo più scuro rispetto alla porta precedente. Sopra di essa, probabilmente sempre incisa a sangue anche questa, vi era la runa della fedeltà (Inguz): un quadrato ruotato di quarantacinque gradi. Era la prima runa che aveva imparato a disegnare, suo fratello Christopher ci teneva che almeno Lex la considerasse la runa più importante. Con quel ricordo doloroso impresso in mente, si costrinse a fare un passo avanti e aprì la porta, cadendo nuovamente nel vuoto, ma questa volta si preparò all'atterraggio e toccò terra con la leggerezza che gli apparteneva di natura, proprio come i gatti. Ci volle sempre qualche secondo prima che la vista si abituasse alla luminosità del nuovo ambiente, ma poi subito si rese conto che si trovava ancora una volta in casa sua. Il ribelle iniziò a camminare a vuoto per il salone, cercando di capire se ci fosse qualcuno in casa. Perquisì tutto il piano inferiore, ma nulla. Salì allora al primo piano; era strano non sentire scricchiolare il parquet delle scale sotto i suoi piedi, non era abituato ad "essere un fantasma". Dopo diverse stanze finì involontariamente per arrivare nella stanza del fratellastro, ma quando davanti ai suoi occhi vide se stesso da bambino accanto al letto di Christopher ebbe un tuffo al cuore. Quella scena... L'aveva vista troppe volte. Era il ricordo che più l'aveva perseguitato nella sua vita e adesso il suo cuore aveva cominciato a battere quasi gli stesse esplodendo nel petto. Quel senso di colpa che lo aveva fatto vivere come un mostro fino ad allora continuava a corrodergli l'anima, sempre di più, e forse l'obiettivo era consumare ogni briciola di sentimento rimasta nel suo petto. Guardò nuovamente verso il bambino, era ancora girato di spalle, aveva in mano quella lettera. La lettera che lui aveva ignorato. Lex aveva iniziato a tremare, si era portato le mani al petto per cercare di farle smettere e per tentare invano di calmare il suo cuore al galoppo, ma il sé bambino sembrava così tranquillo... E quella tranquillità lo tormentava quasi ogni notte, a distanza di secoli e secoli. Era proprio quello ciò che aveva ferito la sua emotività: l'essere sempre stato così incredibilmente egoista. Adesso Lex sapeva di aver sbagliato a lasciar correre gli eventi, ma quel bambino non se n'era reso conto, o almeno non ancora, e questo faceva sentire ancora peggio il ribelle, per quanto era stato stupido a lasciare che accadesse una cosa simile. Eppure c'era ancora una microscopica parte della sua testa che riusciva a calmarlo, a rassicurarlo che le cose forse dovevano andare in quel modo, che lui non avesse del tutto sbagliato ad inseguire i propri ideali. Quella piccola parte riteneva Christopher l'unico colpevole della sua stessa morte; in fondo era stato lui ad incoraggiare Lex a restare impassibile, indifferente, disinteressato, ad essere menefreghista, a dirgli di non fidarsi degli altri... Perché allora? Non aveva senso. Questa era la cruda verità, e mai ci sarebbe stata una spiegazione. A volte credeva quasi che Christopher gli avesse insegnato tutta la vita a badare solo a se stesso, in previsione che un giorno se ne sarebbe andato. Forse quel giorno era arrivato e lui non voleva essere salvato, forse aveva atteso a lungo prima di mettere fine a quell'insulsa esistenza e aveva aspettato solo perché Lex finalmente fosse capace di vivere sulle sue stesse gambe, per quanto fossse solo un bambino. Dopotutto, anche Chris era stato egoista a decidere di andarsene proprio in quel momento, esattamente quando anche Marcus era scomparso. Entrambi avevano abbandonato Lex a se stesso. Non poteva non pensare che l'egoismo fosse di famiglia, a questo punto.
Il sé bambino intanto aveva appena finito di leggere la lettera, ora la stava ripiegando, poi prese lo spartito di Câjkovskij dal letto e si voltò verso la porta. Allora Lex riuscì a cogliere i particolari del suo volto: non c'erano segni di preoccupazione, di ansia, di paura, né altro, non c'erano segni di vita. Visto così sembrava un automa, eppure alcuni di quei ridicoli artefatti umani riescono anche a sorridere, mentre quel bambino appariva capace di tutto, persino di lasciar morire suo fratello, fuorché mostrarsi vivo. Lex sapeva che era crudele pensarlo, ma è di se stesso che stava parlando, e purtroppo quando era accaduta la tragedia era prevalsa in lui la parte più oscura del suo carattere, non la solita cinicamente razionale. Da bambino non aveva mai saputo fingere, aveva imparato a farlo dopo la morte del suo fratellastro, quando aveva dovuto cavarsela da solo. Anche se il menefreghismo e l'indifferenza facevano sempre e comunque parte di lui, del suo essere, quel lato di sé che in tenera età era prevalso in lui era ancora il peggiore, il più egoista, quello che usciva fuori solo quando era al limite, solo quando era perso nel suo mondo senza trovare via d'uscita, solo quando era intrappolato in situazioni più grandi di lui. E Christopher lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene, e aveva sfruttato quella debolezza del bambino per far sì che non si intromettesse nel suo folle piano di togliersi la vita. Il ragazzino aveva il viso sempre più pallido e gli occhi sempre più vuoti, sembrava appeso a un filo tra la vita e la morte, ma non fisicamente, infatti si incamminò a passo spensierato verso la porta, sembrava sul punto di morire interiormente, ed era stato così infatti, la sua anima era esattamente in procinto di soffocare asfissiata dal dolore degli eventi. Stringeva il brano di Câjkovskij tra le dita, serrando così forte la mano da stropicciare quasi il foglio, ed era solo lì che la sua tensione interiore trovava una valvola di sfogo verso l'esterno. Poi il bambino, sempre a testa alta, passò attraverso il corpo di Lex, che in realtà non c'era, e scese le scale arrivando al salone. Si accomodò sullo sgabello di pelle di struzzo del pianoforte, con la classe dei grandi pianisti del mondo degli umani, e iniziò a suonare, poggiando le dita su ogni tasto d'avorio con la leggerezza di una farfalla che si posa su di un fiore. E non appena la musica prese vita dalle note dello spartito Lex riconobbe subito il brano, e una scossa di brividi lo percorse ricordando il titolo, era fin troppo realistico in quel momento, ma il bambino sembrava non averci pensato. Senza nulla togliere al bellissimo brano, ma La Morte Del Cigno, nel contesto il cui lo stava suonando il piccolo ribelle metteva davvero i brividi. Christopher era davvero paragonabile ad un cigno: per la bellezza, per la delicatezza, per il carattere, per la leggiadria, per la voglia di libertà... che purtroppo non avrebbe mai raggiunto. Lui era troppo diverso, sebbene quelli attorno a lui non glielo facessero pesare, era lui a sentirsi diverso, era stato un errore, era nato per il capriccio di un angelo nero e un angelo bianco che volevano un'avventura "diversa", dando alla luce così un angelo "diverso". E doveva essere proprio una cosa orrenda essere o, peggio ancora, sentirsi un errore, soprattutto perché la realtà era effettiva e cruda: lui era stato davvero uno sbaglio, sotto ogni punto di vista. La musica angosciante e tormentata gli risuonava nelle orecchie mentre contemplava la figura del bambino con un sorriso nostalgico sulle labbra: era bello pensare che c'era sempre stato qualcosa capace di calmare l'animo in tempesta del ribelle. La musica aveva avuto quella funzione catartica in lui, semplicemente perché la musica era il cuore della vita, era il mezzo con cui poteva dar sfogo alla sua anima, dolce e silenziosa quando era calma e forte e impetuosa quando era oppressa. In quel momento, però, quella musica sembraba semplicemente vuota. Nonostante il brano rappresentasse la tristezza e la disperazione, il bambino stava suonando senza enfasi, senza passione, rendendo la melodia sempre più vana, lasciando che le note si disperdessero nell'aria senza lasciarne traccia. Infatti da allora quella musica restò per sempre così, vuota, perché da allora l'anima del ribelle perse il suo essere, perché semplicemente era diventata così sgombra e frivola che non c'era più nulla che potesse risvegliare la sua gioia. Per questo motivo da quel momento ogni volta che Lex provava a suonare qualcosa, qualsiasi brano fosse, con qualsiasi strumento, non era mai soddisfatto del risultato, poiché mancava sempre la cosa più importante: l'interpretazione, l'anima del brano, ma è difficile dare anima a uno spartito se non se ne ha una. La lieve musica di sottofondo terminò, e l'angelo nero chiuse gli occhi per un attimo, cercando di dimenticare tutto, provando a svegliarsi da quell'incubo, non voleva rivedere la scena della morte del suo fratellastro. Nulla. Tutti i suoi sforzi risultarono vani, sembrava intrappolato in quella sorta di visione ormai... Sentiva di non star controllando la sua mente e qualcosa di esterno, una forza sconosciuta, lo stesse intrappolando in quel mondo. Se quello era davvero il passato, allora decise di anticipare il se stesso da bambino e di andare quindi sullo stesso luogo che aveva indicato suo fratello nella lettera: un campo di papaveri bianchi, poco lontano dal lago di lava che aveva formato il fiume Sogno col passare degli anni. L'angelo nero si incamminò ad ampie falcate verso la sua meta, senza capire per quale motivo volesse correre lì, forse per rivedere un'ultima volta il fratello, per salutarlo silenziosamente, cosa che non aveva avuto l'opportunità di fare nel passato. Tuttavia, quando arrivò a destinazione ebbe una brutta sorpresa, tanto che dovette pentirsi di essere arrivato fin lì. I suoi occhi avevano imperdonabilmente colto l'attimo preciso in cui Christopher cadeva in ginocchio al sole, la testa bassa, un pugnale conficcato nel petto. Se i fantasmi avessero avuto sangue a scorrergli nelle vene, il suo in quel momento si sarebbe raggelato. Non avrebbe mai voluto assistere a quella scena. Eppure doveva aspettarselo di potersi imbattere in quella visuale andando lì. Avrebbe preferito di gran lunga sapere che suo fratello si era ucciso e aver visto semplicemente il suo corpo esanime per piangergli accanto. Sarebbe stato meglio così, avrebbe avuto meno incubi, forse. Invece, in quel momento, rimase completamente pietrificato dinanzi a quella cornice, fissando incessantemente il punto in cui giaceva il corpo dell'angelo, restando immobile per così tanto che a farlo riprendere dal suo stato di trance furono solo le urla del bambino, che era ormai arrivato accanto al fratello. Lo aveva preso tra le braccia esili sporcandosi di sangue, e versava lacrime amare che bagnavano il volto del cadavere... Lex allora distolse lo sguardo, con il cuore che aveva ripreso a martellare nel petto, strinse i pugni in preda al dolore e si allontanò quanto più possibile da quel luogo, con un peso a schiacciargli le spalle. Avvertiva una ferita all'altezza del cuore, come se quel pugnale avesse trapassato anche lui. Annaspava quasi correndo, dando le spalle allo strazio cui aveva appena assistito, costretto a guardare quell'evento dall'esterno tramite una lente d'ingrandimento con più esperienza e con più rimorsi, come se non gli fosse bastato viverlo già una volta in prima persona, e riviverlo ogni notte in sogno. Sentiva la gola secca e non aveva idea di dove andare, ma avvistò in lontananza una porta nel bel mezzo del nulla, sulle rocce appuntite di ossidiana nera e lucida. Si avvicinò senza troppa cautela alla lastra di legno: sembrava uguale a quella da cui era entrato, la runa Inguz incisa col sangue al centro della tavola di legno. Fedeltà, quella che non avrebbe mai perso nei confronti di suo fratello e degli insegnamenti che lui gli aveva tramandato. Si arrampicò tra le rocce, appigliandosi a delle sporgenze casuali, e procurandosi delle ferite a causa dei contorni appuntiti e taglienti. Tuttavia non ci fece caso, pensava a ben altro. Quando poi appoggiò la mano insanguinata sul pomello dorato della porta, la aprì incerto, avrebbe voluto guardarsi indietro un'ultima volta, ma non lo fece, varcò la soglia dell'infisso e arrivò nuovamente al corridoio. Si sentiva sostanzialmente troppo sconcertato per continuare, aveva soltanto voglia di uscire da quel dannato incubo e svegliarsi. Per un attimo credette di non essere nel mondo dei sogni ma che fosse finito in qualche universo parallelo. La teoria del tutto fantasiosa non riuscì, però, a convinverlo. Difatti, dopo essersi concesso un po' di tempo per respirare, si costrinse obbligatoriamente ad avanzare per cercare l'uscita da quello spazio maledetto, che finora sembrava essere stato creato per concedergli un orribile e sgradito "salto nel passato".
Camminando a testa in giù provò la stessa sensazione che si ha sempre quando si vola, ma lui fin dall'inizio in quella specie di sogno aveva sperimentato di non poter volare, come se le ali si rifiutassero di aprirsi... Continuò comunque a camminare nel nulla, finché ai lati del corridoio si diramarono altri due vicoli ciechi sempre terminanti con una porta di legno ciascuno, simili ai precedenti. Lex sbuffò annoiato, conscio di dover entrare in ognuna di quelle porte, e sperando che la serie di ingressi terminasse lì. Si caricò di forza di volontà e si avviò, stavolta, prima verso quella a sinistra. Attraversando la porta si ritrovò sul tappeto rosso che copriva il pavimento della Fortezza Nera, e su di lui si stagliava in altezza tutta l'immensa maestosità del palazzo oscuro. Poi, come dal nulla, dinanzi a lui apparve la Regina Trine. Indossava un sontuoso abito nero, dal corpetto stretto a girocollo e un'ampia e lunga gonna di taffettà e tulle, i capelli raccolti sulla nuca con delle forcine, e le nere ali morbide erano arcuate dietro la sua schiena. Aveva un'aria vagamente gioviale, sembrava più giovane, per quanto potesse essere giovane una donna di migliaia di anni. Lei sorrise, ma Lex non ricambiò, pensando che la Regina non stesse sorridendo a lui poiché essendo un fantasma non poteva vederlo. Poi però, si accorse di essersi sbagliato, infatti la Regina iniziò a parlare disinvolta.
— Lex, finalmente, ti aspettavo. — Esordì la donna. L'angelo nero allora si guardò intorno cercando se stesso da piccolo, pensando di essere in un altro ricordo, ma fu tutto vano, sembrava essersi improvvisamente solidificato nel sogno. — Lex, ricordi la profezia? — Chiese la Regina, e il ribelle si paralizzò di colpo quando venne assalito da quel ricordo, e si costrinse ad ascoltare la Sovrana, riconoscendo che non ci fosse nessun altro oltre a lui in quel momento nel salone. Annuì alla domanda e si preparò psicologicamente a ricevere l'ennesimo schiaffo in faccia. Stava diventando tutto molto ironico, come se quella visione fosse stata creata con lo scopo di ricordargli le cose peggiori della sua vita.
— Quella racchiude tutti gli ostacoli e le sfide che hai affrontato finora e che dovrai affrontare poi. Non tutti hanno l'opportunità di avere una previsione del futuro del genere, anzi, quasi nessuno ce l'ha. Se tu hai avuto diritto ad una profezia è perché sei unico. — Spiegò Trine, quasi volesse far sembrare una cosa positiva tutte le immagini cruente e dolorose contenute in quella sorta di cortometraggio che lei chiamava "Profezia" — Quello che hai visto si avvererà, quindi io ti chiedo di compiere le scelte giuste, quelle che favoriranno maggiormente la riuscita della missione e quelle che gioveranno di più a te. Solo la fine è omessa dalla Profezia, quindi starà a te deciderla. Ebbene, in ogni caso, sappi che io sarò dalla tua parte, sempre. Insieme alle persone che ti sono vicine. — Concluse la donna. Il ribelle si ritrovò ad annuire semplicemente, non era mai stato di molte parole lui, e anche se avesse avuto da farle infinite domande si sarebbe zittito ugualmente, poiché non c'era risposta a ciò che avrebbe voluto chiederle. Gli veniva quasi da ridere a sentire che avrebbe avuto il supporto suo e delle persone che lo amavano, come se poi lui ne avesse avuto bisogno. Aveva sempre fatto tutto da solo, si era tirato in piedi da solo, aveva affrontato il peggio da solo, di certo non avrebbe chiesto aiuto e supporto adesso. Lei sembrò non accorgersi minimamente dei turbamenti del moro, quasi fosse stata programmata per dire quello che doveva dire e nient'altro.
— A questo proposito, vorrei aiutarti nel tuo compito, anche se indirettamente. Mi sembra giusto che tu possa contare sul mio appoggio e, dal momento che ci sono grandi aspettative ad attenderti, ti offrirò dei piccoli incentivi che spero ti torneranno utili. — Affermò la Regina, sicura che il suo aiuto potesse essere realmente indispensabile, eppure Lex al contrario immaginava già di non dover ricorrere all'aiuto di quella vecchia strega per sopravvivere. Non che sopravvivere fosse il suo obiettivo, ma anche per fare qualsiasi altra cosa non si sarebbe abbassato a tanto.
— E come pensi di potermi aiutare? — Domandò l'angelo nero, convincendosi finalmente ad aprir bocca, prima o poi avrebbe pur sempre dovuto farlo.
— Hai mai sentito parlare delle tre stirpi che si distinsero tra i ribelli quando fummo relegati nei mondi sotterranei? —
— Certo che sì. Gli alchimisti, i forgiatori e i cacciatori sono stati i tre clan primordiali nella storia degli angeli ribelli. — Il ribelle rispose con sicurezza. Aveva sempre tenuto a studiare accuratamente la storia della loro classe angelica, che era stata peraltro piuttosto tormentata. Marcus, il suo patrigno, aveva una profonda considerazione di quel genere di conoscenze e i suoi figli certamente non potevano riportare mancanze a riguardo. Gli alchimisti erano noti per la saggezza, per lo sviluppo di abilità curative e incantesimi di varia natura; i forgiatori si erano distinti per la loro abilità nel mnipolare l'ambiente, i minerali e persino le menti, erano conosciuti come abili e astuti doppiogiochisti; i cacciatori, infine, erano ricordati per aver dato vita alla parte più brutale dell'esercito ribelle, quella combattiva e carica di spirito guerriero e di dedizione alla propria causa. Sebbene tutto questo la richiamasse alla sua memoria svariate leggende e nozioni, non aveva ancora intuito a cosa si riferisse la donna, e come se lei gli avesse letto nel pensiero provvide a rispondere al suo dubbio.
— Ebbene, ognuno di quei clan custodiva un segreto divino, che poi ho raccolto io, in quanto Regina. —
— E quindi? — La incitò a parlare, mentre lei intanto sembrava entusiasta di aver centrato l'interesse del ragazzo, per una volta.
— Il primo è la piuma dei segreti profetici. È una penna unica, proveniente dal piumaggio di un cigno nero al quale era stato inferto un incantesimo di prigionia; il suo inchiostro è invisibile, infatti, gli scritti di questa penna vengono resi visibili solo dal sangue. Chi scrive con questa penna può avvertire le lettere anche solo con un semplice tocco, ma chi legge può farlo solo tramite il sangue. È utile quando si vuole nascondere qualcosa che sanno in pochi e penso che, in un modo o nell'altro, tornerà utile anche a te. — Parlò Trine, ma si fermò un attimo per prendere fiato, accogliendo lo sguardo curioso del riccio che per la prima volta stava effettivamente prestando attenzione alle sue parole. — L'altro segreto, quello dei forgiatori, viene chiamato Pendente della Memoria: è una pietra viola incastonata in un ciondolo d'argento. È stato ideato come artefatto magico per il contro-incantesimo alla privazione dei ricordi. —
— Ma allora c'è davvero chi ha il coraggio di fare una cosa del genere? Rubare i ricordi, intendo... — Intervenne Lex quasi inorridito, interrompendo il discorso della Sovrana.
— Si. In casi particolari senza alternative, non è un crimine la privazione dei ricordi. — Rispose la donna con la solita mansuetudine. Era disgustoso come potesse essere così disinvolta riguardo qualcosa di simile. Shane gli aveva rivelato quel giorno stesso che probabilmente lui aveva subito qualche incantesimo simile. Non aveva ben capito le dinamiche ma sembrava che al biondo fosse stato rimosso un pezzo del suo passato.
— È ingiusto. — Sentenziò il ribelle, ma l'altra scosse la testa.
— Non capirai finché non avrai la necessità di sperimentarlo tu stesso con qualcuno. E mi auguro che tu non l'abbia. — Ribatté la Regina fermamente, ma l'angelo dagli occhi viola si convinse che non avrebbe capito, né giustificato, mai e poi mai un'azione inaccettabile come quella pratica tremenda. La Sovrana, però, prima di permettere al riccio di replicare, deviò prontamente il dibattito, ritornando sulla sua spiegazione — Questo ciondolo è appunto un contro-incantesimo alla privazione dei ricordi, poiché stimola la parte del cervello in cui erano stati concentrati e sepolti determinate memorie, appunto. Dunque è capace di riabilitare i ricordi di chi lo indossa in brevissimo tempo. Potrebbe sempre tornarti utile, non si sa mai, la Profezia non è chiara neppure a me. —
— E il terzo segreto? — chiese leggermente incuriosito Lex, di solito le cose tenute per ultimo erano le migliori, sperava che questo criterio valesse anche per la Regina dei Mondi Sotterranei.
— Il terzo penso sia quello che ti interesserà maggiormente. — Annunciò lei sorridendo, come se gli avesse letto nel pensiero. — È un'arma Celeste, una delle armi più potenti della storia angelica, un pugnale di quarzo cristallino. Conosco la tua passione per le armi e la dimestichezza con cui le impugni, quindi sicuramente saprai ben usarlo. —
— I pugnali sono i miei migliori amici. — Precisò il giovane ghignando, affascinato dall'idea di poter possedere un'arma Celeste reale, non l'avrebbe mai neppure lontanamente immaginato... Soprattutto, non l'arma leggendaria del clan dei cacciatori.
— Lo comprendo, è per questo che voglio consegnare a te questi tre doni. Il pugnale, come tutte le armi Celesti, può essere utilizzato una sola volta per uccidere, poi si disintegrerà, credo tu lo sappia. Quindi, come penso saprai aspettare il momento giusto per usare il pugnale, sarai altrettanto in grado di decidere quando usufruire degli altri due doni. — Terminò il discorso. Lex annuì per rassicurarla che avrebbe prestato attenzione, ma poi si chiese come avrebbe portato quei doni nel mondo reale, dato che si trovava in un semplice sogno. Possibile che fosse stata una presa in giro? O possibile che quella fosse la previsione di un futuro prossimo? O forse quello non era affatto un sogno? La Sovrana si voltò dando le spalle al ribelle, schioccò le dita e tutto attorno all'angelo nero si dissolse in un vortice di bianco e nero, che terminò solo quando Lex si ritrovò sul pavimento a scacchiera del corridoio da cui tutto era iniziato. Il pavimento era freddo, proprio come stava diventando man mano il suo cuore. Continuava a chiedersi a cosa servisse quel sogno... e soprattutto continuava a chiedersi quando sarebbe finito, se mai sarebbe finito. La Regina lo aveva sorpreso con quegli oggetti che lui immaginava vagamente poiché aveva solo letto qualche libro in proposito e ormai non era più certo nemmeno dell'esistenza di quei tre segreti... e invece, chi sa quante altre cose nascondeva quella donna. Intanto la sua testa stava patendo sofferenze immani, mentre la sua scatola cranica si riempiva di un flusso di ricordi incontrollabile. Gli girava la testa e stava faticando a rimettersi in piedi. Ciò che invadeva la sua mentr sembrava tremendamente distaccato e i ricordi riaffioravano in un disordine inconcepibile, che peggiorava il suo mal di testa. Erano reminescenze che lui aveva impresse nella mente da sempre e altre che probabilmente lo riguardavano, ma di cui non aveva avuto la minima percezione fino a quel momento, come se la scatola dei ricordi, da un momento all'altro si fosse rovesciata e avesse lasciato che tutti quei frammenti si mescolassero tra loro creando un flusso confusionario di immagini che si susseguivano nella sua testa. Per questo motivo Lex non fece molta attenzione ai particolari: il mal di testa era troppo. Si portò una mano al petto, sul cuore e si accorse di indossare il ciondolo che gli aveva appena consegnato Trine, quindi, pensando che fosse quello la causa della mareggiata di memorie, se lo tolse in fretta e lo strinse nella mano destra. Dopo poco le immagini che si erano presentate frenetiche nella sua mente tornarono al loro posto, ponendo fine al mal di testa. Impiegò diverso tempo per distogliere l'attenzione da alcuni ricordi che sembravano non appartenergli per quanto lontani fossero. Avevano attirato di più la sua attenzione proprio perché, per quanto avesse scavato a fondo nella sua memoria, non aveva trovato molto di riconducibile a quei quelle determinate immagini. Decise tuttavia di lasciar in pace dubbi e incertezze per il momento, quindi con cautela si sollevò dal pavimento mobile e, appoggiandosi al muro, avanzò verso un'altra porta. Questa era addirittura più semplice delle altre, poiché non vi era sopra alcuna runa, solo tre graffi che sembravano essere stati fatti da artigli seghettati. In ogni caso incuteva un certo timore e, inoltre, Lex aveva un brutto presentimento, sentiva un odore acre che gli ricordava troppo l'odore di demoni, e il suo sesto senso sbagliava raramente. Quando si decise ad aprire la porta, però, si accorse di avere entrambe le mani occupate: in una c'era il ciondolo che si era sfilato dal collo poco fa, nell'altra, come apparsi dal nulla, c'erano il pugnale e la piuma nera. Allora si attorcigliò il ciondolo attorno al polso, come se fosse un bracciale, e con la mano libera aprì cautamente la porta. Tutto ciò che accadde dopo, però, fu tutt'altro che cauto. La vista del ribelle si oscurò completamente mentre precipitava in un abisso che pareva interminabile, e man mano che scendeva sempre più riusciva a distinguere una luce, ma non era una luce pura come quella luminosa e calda del Sole, era qualcosa che assomigliava più che altro al bagliore emanato da un incendio... E più si avvicinava più aveva l'impressione che stesse per atterrare nel bel mezzo di una conflagrazione, magari come una di quelle causate dai meteoriti nel Mondo Inferiore. Probabilmente a quel punto avrebbe potuto salvarlo solo il fatto di essere evanescente, poiché quello era solo un sogno e da quanto ne sapeva non si poteva morire nei sogni. A patto che quello fosse un sogno e che lui fosse ancora un fantasma. Chiuse gli occhi quando la luce fu troppo forte, e attese di cadere, stando attento a non perdere i tre oggetti ricevuti dalla Regina. La caduta fu più catastrofica di quanto si fosse aspettato. Era finito su delle pietre scheggiate che lo avevano ridotto male: il pantalone si era strappato sulle ginocchia insanguinate, aveva dei graffi sulle braccia e i palmi delle mani erano anch'essi feriti e insanguinati. Lex si alzò cercando di non far tremare le articolazioni a causa dell'impatto, e notò sconfortato che attorno a lui si estendeva una delle visioni che aveva predetto la Sovrana il giorno della partenza alla Fortezza Nera. Sebbene ricordasse che quella visuale raffigurava una delle immagini che gli erano apparse più sfocate nella Profezia, era certo di aver già visto quel luogo. Il lugubre spettacolo che gli si presentava dinanzi agli occhi era surreale: in lontananza si ergevano delle colonne di fuoco che sembravano sbarrare un passaggio, per il resto tutto si componeva di rocce ghiacciate, alberi secchi e terreno cocente. Il primo pensiero, seppure stupido, fu di girarsi e cercare la porta dalla quale era entrato, ma attorno a sé aleggiava il nulla. Con una punta di delusione si pulì le mani insanguinate sui jeans, raccolse i due oggetti magici che gli erano scivolati ed erano ancora a terra, poi si incamminò verso l'unico elemento distintivo in quel paesaggio ultraterreno, sebbene zoppicasse con la gamba sinistra, che aveva riportato uno squarcio sotto il ginocchio dopo essere caduto sulle pietre affilate. Le ferite bruciavano come mai avevano bruciato quelle di una battaglia, sembravano essere state inflitte da una lama infernale, anche se la maggior parte erano solo tagli superficiali, che ormai, nello stesso dolore, stavano già guarendo. In quel momento gli tornò alla memoria un piccolo flashback dell'infanzia, quando il fratello si preoccupava per lui. Ogni piccolo graffio, secondo lui, andava accuratamente disinfettato, poiché anche le ferite più piccole e stupide potevano mutarsi in mortali. Lex, al contrario, non aveva mai prestato attenzione a quel tipo di cose. L'innata premura di Christopher era un altro motivo per cui ammirava lo ammirava profondamente. Gli mancava sentirsi importante per qualcuno. Era stato un trauma vivere senza di lui, senza qualcuno che se ne prendesse cura, senza qualcuno che lo indirizzasse lungo la via migliore, senza qualcuno che lo conducesse nelle sue decisioni, senza qualcuno che lo sostenesse, senza qualcuno che lo incoraggiasse, senza qualcuno che lo apprezzasse per ciò che era e per ciò faceva. Era stato un cambiamento troppo radicale per accettarlo senza ripercussioni. Infatti Lex era peggiorato non poco nel carattere, era diventato ciò che il fratello stava cercando di evitare. Ma l'angelo nero non era ancora pronto quando il fratello si era tolto la vita, questa era forse l'unica pecca che poteva essere attribuita a Christopher. Si era forse sbagliato sulle potenzialità del bambino? Oppure adesso Chris era fiero del suo fratellino, di quello che era? Era quello il comportamento che suo fratello voleva da Lex? Sarebbe restato impossibile per sempre rispondere a quelle domande, e rimpianti del genere in quel momento non aiutavano affatto. Si strinse il braccio destro in preda a una fitta di dolore ad una delle ferite ancora aperte; capì che bruciavano particolarmente anche a causa del palese sovraccarico di anidride carbonica nell'aria, ma doveva esserci qualcos'altro sotto. A denti stretti continuò a camminare e, avvicinandosi gradualmente alla sua meta, il suo udito avvertiva sempre più chiaramente delle voci, delle urla più che altro, eppure era tecnicamente impossibile che ci fossero degli esseri viventi in quell'ambiente ostile. Intanto, però, le urla si facevano più percettibili, e poi anche una risata sottile, esile, si disperse nel vuoto. Quando finalmente il ribelle si avvicinò abbastanza alle colonne di fuoco per poterle osservare meglio, si rese conto che costituivano delle sbarre per una sorta di gabbia infuocata, e spingendo oltre lo sguardo notò che all'interno c'era qualcuno. Ancora dolorante si fece forza, sempre forse spinto dal desiderio di uscire presto da quel posto, o almeno di scoprire se si potesse uscire davvero. Arrivò poco distante dalla gabbia di fuoco e si bloccò di colpo. Le urla adesso erano forti, e ora Lex sapeva da dove provenivano. Era semplicemente terrificante ciò che si presentava ai suoi ochhi, era qualcosa che non avrebbe mai immaginato di poter vedere da vicino. In quel momento allora un dubbio lo assalì: si chiese se qualcuno non lo avesse ucciso durante la notte e quindi Lex fosse rimasto intrappolato in quel sogno, perché tutto quello corrispondeva a una sola descrizione. Una cosa simile che aveva letto da un libro sulle esperienze più strane che si possono avere nel mondo dei sogni, e l'angelo nero poteva benissimo dire che questa esperienza superava di gran lunga le altre in merito alla stranezza, ma la descrizione del paesaggio era molto simile a quello di una delle visioni riportate dal libro, esattamente quella che parlava di un mondo a cui era vietato accedere per gli angeli, altrimenti sarebbero stati dannati per l'eternità. Le urla stridule echeggiavano nelle orecchie del ribelle tanto da fare male ai timpani. Abbassò nuovamente lo sguardo che cadde nell'immenso abisso che si apriva davanti ai suoi piedi, un abisso in cui bruciavano le anime dei dannati che urlavano di dolore e protendevano le mani verso l'alto. Gli ricordavano esattamente la massa di persone le cui statue si ergevano sotto il ponte della Piazza della Concordia ad Asgard. Nella sempre più ovvia convinzione che quelle non fossero semplici statue. Si sentiva inerme dinanzi a quel paesaggio tetro; essere costretto a guardare quella scena senza poter fare nulla di concreto per rimediare, se non chiudere gli occhi, era davvero crudele. Forse, però, tutti coloro rinchiusi a marcire in quell'abisso avevano meritato quel destino, forse Lex non doveva fare nulla, forse non avrebbe dovuto fare nulla anche se avesse potuto. Tuttavia era comunque troppo da sopportare per un animo già martoriato come il suo. Era straziante anche solo da vedere, il ribelle non provava nemmeno a immaginare di potersi trovare un giorno insieme a quei dannati, a bruciare per l'eternità nel dolore costante, dopo tutto il dolore che aveva già subito da vivo. Si sforzò di tirare via lo sguardo da quell'atrocità, ma ebbe un colpo al cuore non appena si girò, ritrovandosi a poca distanza da un'ombra dai contorni indefiniti... L'angelo nero sospirò sonoramente, chiedendosi da dove fosse uscita quella cosa. Aveva le sembianze di una bambina, vestita di un cencio bianco sporco, i capelli lunghi neri le scendevano lungo la schiena; era girata di spalle. Eppure lui era sicuro che prima non avesse avvistato nessuno. Un demone? Poi una risata si librò leggera dal corpicino della bambina, facendolo vibrare per lo sforzo: sembrava particolarmente debole. Quella risata Lex, però, l'aveva già sentita prima. L'essere voltò la testa lateralmente e rivolse lo sguardo di traverso al ribelle: gli occhi della bambina erano incavati e senza pupille, completamente bianchi e iniettati di sangue. Sorrideva. Con calma si girò interamente verso l'angelo, barcollando sui piedini piccoli, scalzi e insanguinati, ma d'altronde anche il vestito e le mani erano sporchi di sangue. Cominciò a ciondolare la testa a destra e sinistra senza smettere di ridere e intonò una canzoncina con un timbro tanto dissonante da far rabbrividire, soprattutto perché ciò contribuiva a regalare una mistica atrocità al complesso della sua apparenza. La sua voce oltre ad essere sottile, normale per la sua tenera età, era molto rauca, come se avesse urlato troppo fino a quel momento, probabilmente per la disperazione che la circondava. Lex rimase a guardarla interdetto, senza paura, ma con un crescente senso di angoscia.
— Non hai modo di fuggire via di qua, presto il tuo piccolo mondo finirà, tutto ciò che ami sparirà... Addio, addio, addio... Di' addio a ciò che ti fa ancora sorridere... Era ora che tornassi a casa anche tu — Avvertì un indescrivibile vuoto dentro a quelle parole, perché mentre la bambina rideva canticchiando, lui sapeva che niente ormai era ancora capace di farlo sorridere sinceramente. Addio a chi avrebbe dovuto dirlo? Non aveva nessuno ad aspettarlo nel mondo dei vivi, restare lì all'Inferno non gli avrebbe turbato l'esistenza. In quel momento lo investirono un fottio di pensieri che sapeva non essere i suoi. A volte, si, avvertiva i pensieri o qualche sensazione altrui, ma non riusciva a decifrarle completamente, soprattutto perché non aveva mai compreso la derivazione di quel potere sovrannaturale di cui era in possesso. Si portò le mani alla testa in preda al dolore pulsante, lasciando cadere gli oggetti che aveva in mano. Paura di morire, paura di lasciare qualcosa in sospeso, paura di restare a marcire lì e finire dannato a causa di un demone... Questi non erano affatto i suoi pensieri. Ma allora di chi? Si lasciò cadere sulle ginocchia scivolando verso terra, arricciando le labbra per il dolore quando le ferite ancora aperte si scontrarono con il terreno sabbioso. Cercò invano ancora una volta di estraniarsi da quell'ambiente provando a uscire da quel sogno maledetto, ma sembrava impossibile. Soffocò il dolore dovuto alle ferite e si sforzò di concentrarsi mentalmente su quello che aveva visto nel sogno, cercando in ogni angolo un particolare che magari aveva sorvolato qualcosa che potesse essere la chiave per svegliarsi. Quando rialzò il viso e sollevò le palpebre però l'incubo era ancora lì, la bambina anche, sebbene avesse smesso di cantare e il suo sguardo sembrava essersi intenerito. Non si fece comunque coinvolgere da quell'improvviso cambio d'espressione. Lei tese la mano piccola verso di lui, toccandogli quasi il viso, poi d'un tratto gli si scaraventò addosso, senza colpirlo realmente: attraversò il suo corpo come se fosse uno spirito, lasciando Lex a occhi sbarrati e coi brividi a pelle, a causa della folata di vento gelido da cui si era sentito attraversare. Lei sparì. Al suo posto riecheggiò una voce cupa:
— Benvenuto nel regno degli Inferi, nel cuore del Caos! — Lo spirito della bambina ricomparve per pochi istanti alle spalle dell'angelo nero, lui la seguì con lo sguardo: aveva i piedi sul bordo del crepaccio. Allungò un passo in avanti e precipitò senza forze nell'abisso di anime ululanti, tuffandosi senza paura nel fuoco infernale che la inghiottì come il mare potrebbe inghiottire un sassolino. Lex rimase pressoché segnato da ciò che era appena successo, e si chiese se ormai avesse visto tutto, o se ci fosse di peggio. Se il bambino che era stato non avesse avuto abbastanza forza per farcela, probabilmente sarebbe finito lì anche lui. Aveva una voglia pazza di abbandonarsi alla solitudine e di disperarsi e di arrendersi e di gettarsi anche lui tra gli altri dannati, anticipando quello che probabilmente sarebbe stato il suo triste destino. Tuttavia, a causa della sua indole orgogliosa, non ci riuscì, restò impassibile come sempre. Lui non si arrendeva mai, non l'aveva e non l'avrebbe mai fatto. E poi aveva anche una vaga voglia di piangere, ma quella era così facile da sopprimere che neppure vi prestava più attenzione. Non piangeva da quando era morto Christopher, semplicemente forse non ne aveva più la forza, aveva capito che non ne valeva la pena. Un rumore sordo attirò la sua attenzione, distogliendolo dai pensieri disperati che affollavano la sua testa. Sembrava essere arrivato dall'altro lato dello squarcio nel terreno, quindi si avvicinò ancora di qualche passo, finché fu ad un briciolo dal precipitare. Non aveva problemi di equilibrio, era sempre stato agile, pronto e scattante nei suoi movimenti e, ovviamente, in tutto il suo addestramento l'equilibrio era stato fondamentale, quindi restò immobile sulla punta del burrone, sporgendosi in avanti per vedere quanto si nascondeva in quella gabbia. All'inizio era tutto sfocato, la vista era annebbiata dal bagliore rossastro, ma poi, tutto d'un tratto, all'interno delle colonne di fuoco furono facilmente distinguibili due sagome: accasciato a terra, con le mani raccolte davanti al viso, c'era un angelo dalle folte ali bianche, con alcune piume scarlatte, probabilmente intrise di sangue... aveva i capelli biondi chiari, come d'altronde la maggior parte degli angeli bianchi e indossava una tunica candida anch'essa macchiata di sangue. Alle sue spalle c'era una figura scura, che Lex non riuscì bene a distinguere, ma capì si trattasse di un demone, poiché costui alzò la testa mettendo in mostra le corna curve, poi aprì le ali artigliate e ossute. Man mano la scena si fece sempre più nitida e quando l'angelo bianco alzò il viso velato di lacrime, Lex ebbe un tuffo al cuore, indietreggiò di qualche passo inciampando su qualcosa, che poi si rese conto essere il pugnale che gli aveva consegnato la Regina. Sentì le gambe cedergli e si accasciò in ginocchio a terra, senza mai avere il coraggio di staccare gli occhi da quella scena. Il demone indossava una stretta tunica nera, stretta quanto bastava per mettere in risalto le forme femminili, e quindi permettere al ribelle di stabilire che il demone fosse una donna e doveva essere di categoria superiore. Da alcune ciocche che le sfuggivano dal cappuccio dedusse fosse castana, ma il viso era nascosto nell'ombra. Il vero terrore prese vita quando la donna alzò un braccio e il ribelle notò nella sua mano un pugnale brillante, risplendeva nelle ombre buie tanto da illuminare per un attimo il viso della donna. Lì iniziò il vero incubo, il cuore cominciò a martellargli forte nel petto, come non aveva fatto neanche alla morte del fratellastro, come mai prima d'ora. Afferrò a tastoni il pugnale di quarzo cristallino accanto a lui, strinse l'elsa del pugnale nella mano destra e solo allora si accorse che la mano tremava e non riusciva a fermarla, Lex aveva iniziato a confondere tutto intorno a sé, la sua mente era un turbinio di immagini, idee, ricordi... La Profezia si risvegliava di nuovo. Il demone si rigirava il suo coltello tra le dita, come se stesse aspettando qualcosa, allora il ribelle abbassò lo sguardo sulla sua arma e si rese conto che brillava di mille colori, come se si fosse accesa in quel momento, come se gli stesse implorando di usarla. Tuttavia in quel momento dubitava delle proprie capacità, e poi l'arma poteva uccidere una sola volta, quindi avrebbe dovuto usarla solo per ferire, ma la mano tremava troppo affinché il pugnale potesse arrivare con precisione a destinazione, soprattutto a una distanza così ingente dal bersaglio. In ogni caso non se lo sarebbe mai perdonato se quel demone avesse soltanto sfiorato la pelle del suo compagno con quel pugnale. No, non se lo sarebbe mai perdonato. Voleva mettere fine alla sfilza di nomi sulla lista di persone che aveva visto morire. Allora poté rispondere alla domanda che si era posto prima, c'era di peggio che quella malridotta bambina; l'angoscia che lo avevano attanagliato quando aveva incontrato quella piccola creatura, non erano nulla in confronto a ciò che stava provando ora. La donna impugnò l'elsa con entrambe le mani, quasi in modo teatrale, e le alzò sulla propria testa, mentre l'angelo era accovacciato lì inerme, sembrava talmente sfinito e disperato da essersi abbandonato all'idea di morire... A quel punto Lex capì che doveva prendere una decisione alla svelta, le mani gli tremavano senza sosta, in quelle condizioni non sarebbe riuscito a tirare. Allora si portò il pugnale all'altezza del polso, con la punta premuta sulle vene. Dovrebbe funzionare, si disse, sperando funzionasse davvero. Pensava che se quello fosse stato solo un incubo alla fine si sarebbe svegliato se avesse dato uno scossone al suo corpo, ferendosi ad esempio... Era rischioso, ma almeno se fosse rimasto intrappolato lì non sarebbe stato il solo. Da quel che sapeva non si poteva morire nei sogni. Comunque non volle rischiare troppo, e preferì mirare ai polsi e non al cuore, magari la morte sarebbe stata più lenta e avrebbe avuto più tempo per riprendersi una volta nella realtà, ammesso che ci sarebbe mai ritornato.
— Non morirai qui Shane. — Urlò il ribelle per farsi sentire dall'angelo bianco, e a quelle parole sia il demone sia l'angelo si girarono. Non morirai qui, non nel mio sogno, non si nuovo a causa mia. Al demone donna cadde il pugnale dalle mani per la sorpresa, non aveva notato nulla prima. Shane, invece, quando incontrò gli occhi viola del ribelle parve tornare a vivere, le lacrime di disperazione vennero sostituite da lacrime di gioia, e questo lo si capiva dal sorriso speranzoso che era spuntato sulle sue labbra. Solo allora Lex si accorse che Shane aveva i polsi legati, ed era per quello che probabilmente non aveva potuto reagire. Il demone vedendo gli sguardi di intesa tra i due si affrettò a recuperare il pugnale, ma l'angelo nero fu più veloce di lei: spinse la lama nella carne e subito ne iniziò a colare sangue caldo, sempre più fluido, man mano che con un movimento equilibrato la lama saliva verso l'interno del gomito, finché il profondo taglio non si estese su tutto l'avambraccio sinistro, così poi anche sul destro. Sospirò con una smorfia di dolore e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, mentre restava in ginocchio sul terreno infuocato, ad occhi chiusi, attendendo che quel sogno svanisse, perché la sofferenza fisica l'avrebbe sopportata volentieri, ma quella psicologica no. Solo quando avvertì un soffio caldo sul viso si costrinse a riaprirli, sebbene si rendesse tristemente conto di essere ancora nel sogno. Delle piume morbide gli solleticarono la guancia e quando sbatté le palpebre il fuoco intorno a lui era divampato in alte fiamme ardenti, ma a pochi centimetri dal suo viso sorrideva beato Shane, col viso ancora bagnato di lacrime. Si era accovacciato all'altezza di Lex e lo guardava fisso negli occhi viola, poi gli sussurrò: — Grazie.
Lex rabbrividì, cercò di sfiorarlo ma lui scomparve. Le mani gli tremavano ancora, il sangue scorreva impetuoso, indebolendolo. Si strinse il pugnale al petto come se fosse tutto ciò che gli restava ormai di quel sogno, e chiuse di nuovo gli occhi, col sangue che gli appiccicava i vestiti, sebbene il ribelle sembrasse non accorgersene. Tanto che poi tutto ciò che sentì fu solo un lieve capogiro, e si lasciò inghiottire dal nulla. Vedeva se stesso nel buio mentre le immagini della profezia vorticavano intorno a lui, o forse no... c'erano cose molto più oscure, non erano solo le immagini della profezia, c'erano cose che non aveva mai visto, c'era lui da piccolo, riverso a terra, il viso rilassato, troppo rilassato perché fosse ancora vivo. A conferma di ciò una scia di sangue scarlatto sul petto... c'era un angelo bianco insieme a lui, c'era un paesaggio del tutto diverso dai paesaggi dei Mondi Sotterranei, era un campo di grano dorato, affiancato da un lago e circondato da montagne con la cima innevata. Non aveva mai visto quelle immagini prima... eppure lo accompagnarono per tutto il tempo in cui l'immensa oscurità presidiò la sua mente.
***
L'angelo dai capelli blu, restava all'erta nella stanza di Lejla, per qualsiasi cosa accadesse, non si fidava minimamente di quell'Alexander, gli ispirava meno fiducia di un succhiasangue affamato e denutrito da giorni. Non avrebbe mai lasciato Lel nelle mani di uno sconosciuto. Sarebbe stato già un miracolo se avesse accettato di lasciare Lex con lei, e Xavier conosceva Lex da quando erano piccolissimi, figurarsi se si fosse fidato di un angelo, tra l'altro con le ali bianche, che aveva conosciuto un paio di ore prima. In ogni caso andava fiero della sua scaltrezza, e poi... non avrebbe mai lasciato da sola quella ragazza, mai. Nemmeno la morte gli incuteva timore se c'era di mezzo la vita di Lily. Era sempre stata una persona importante per lui, ma non glielo aveva mai detto, non gliel'aveva nemmeno mai lasciato capire, era abbastanza discreto e riservato sotto questo punto di vista, anzi, piuttosto era un vero e proprio vigliacco. Xavier era un ottimo guerriero e anche un bel ragazzo, questo poteva concederselo, ma non si impegnava molto con le ragazze, al contrario di Lex, il quale ovunque andasse riscuoteva notevole successo, sia dal lato femminile, sia da quello maschile a suo discapito, o beneficio, non aveva mai capito se gli facesse piacere o meno. Xavier si limitava a pensare a come sarebbe potuta finire se la ragazza per la quale ammattiva ogni giorno di più avesse mai ricambiato i suoi sentimenti. Il suo animo era completamente devoto a lei, ma il ribelle non voleva metterle alcuna pressione. D'altronde non si sarebbe aperto tanto facilmente, nessuno sapeva chi era colei che aveva rapito il suo cuore, anzi, addirittura nessuno si accorgeva che Xavier si fosse innamorato di qualcuno. Ormai era da così tanto che provava quei sentimenti che erano entrati a far parte di lui, che non mostrava alcun segno capace di lasciar intendere qualcosa in proposito. L'angelo dai capelli blu aveva un bellissimo rapporto di amicizia con Lejla, non era proprio il caso di rovinarlo, lui avrebbe potuto benissimo convivere con quel dolore se avesse avuto lei accanto, anche da amica gli stava più che bene. Tuttavia non avrebbe mai conosciuto la reazione della ragazza, se le avesse detto che per lui Lillian significava molto di più. Era sicuramente meno rischioso sopportare quelle emozioni che confessarsi e lasciarla andare via lui, in quel caso sapeva che non sarebbe stato più lo stesso. Fu un colpo di tosse a distrarlo dai suoi pensieri. Una voce flebile sussurrava un nome ... qualcosa che divenne pian piano più chiaro:
— Lex?... Lex do...ve... dov'è? — Mormorava la ragazza girando la testa da un lato all'altro del cuscino con gli occhi ancora serrati; Xavier si costrinse a non odiare se stesso per quel profondo senso di gelosia che avvertiva nei confronti dell'amico, poiché il nome di Lex era sempre ben accetto sulle labbra della ragazza: non smetteva mai di parlarne. Poi Lejla fu scossa da un altro attacco di tosse e allora si tirò su con la schiena con uno sforzo visibile e si premette una mano contro l'addome e l'altra sulla bocca mentre continuava a tossire. Xavier le scattò subito accanto e le tenne la testa alta poggiandole delicatamente la mano sulla fronte sostenendola, ma quando la ragazza ritirò la mano dalla bocca era sporca di sangue, come anche le sue labbra. Il ribelle sussultò, poi le accarezzò i capelli in modo rassicurante, anche se non c'era nulla di rassicurante in tutto quello.
— Va tutto bene Lel, passerà. — Sussurrò chinandosi su di lei, la guardò dolcemente e poi le sorrise, sebbene lui stesso non credesse pienamente a ciò che aveva appena pronunciato. Le bugie bianche, però, si sa, non sono poi così crudeli. Lei era visibilmente sconvolta, ma accennò comunque un sorriso debole in risposta, come per ringraziarlo, ma il rivolo di sangue che le scorreva dall'angolo delle labbra distruggeva la cornice serena creatasi per un istante. Il ribelle guardò dall'altro lato della stanza, dove Alexander era rimasto su una sedia per tutto il tempo. L'angelo bianco gli aveva rivolto uno sguardo indeciso sul da farsi.
— Senti... io vado a chiamare Lex, bada a lei per un attimo e portale qualcosa per pulire il sangue. — Disse Xavier dopo un po' di esitazione. La gentilezza non era palesemente il suo forte, ma sperò comunque di non essere sembrato sgarbato. Non sarebbe stata sua intenzione trattare Alexander come se fosse un cameriere, ma per lui Lillian era molto più importante di una possibile offesa all'orgoglio di un angelo bianco. Il primo pensiero che balenò nella testa del ribelle fu di avvisare immediatamente Lex, sebbene questo significasse chiamare in causa una persona, seppure un amico, che intralciava il rapporto tra lui e Lillian. L'angelo bianco lo guardò con una punta di disprezzo, ma il ribelle non lo considerò neppure di stralcio e lo seguì con lo sguardo mentre entrava in bagno e ne usciva subito dopo con delle asciugamani umide. Allora l'angelo dai capelli blu si allontanò dalla stanza senza voltarsi, dirigendosi a passi svelti verso la stanza del riccio, sperando di non dare troppo fastidio. Tuttavia, anche se la bipolarità di Lex, creava non pochi problemi a cercare il "momento giusto", quando era di buon umore non sembrava così pericoloso. «Qualunque cosa dovesse succedere, in qualunque posto io mi trovi, per qualunque ragione urgente, non c'è assolutamente nulla che vi impedisca di venirmi a cercare, intesi?» aveva detto una volta Lex e poi, per sminuire un po' la serietà delle sue parole, si era rivolto a Lillian dicendo «Sempre che non si tratti di aprire un barattolo di sottaceti, intesi Lily?» Era stato un momento sereno, forse l'unico in quegli anni. Erano scoppiati tutti a ridere, Xavier per primo. Si trattava di diversi secoli addietro, quando Lex era stato nominato già guerriero di prima classe all'età di soli tredici secoli. Per vantarsi delle sue abilità aveva cominciato a perdere un po' di tempo nell'insegnare qualche tecnica agli altri, compresi loro, per cui in quel periodo erano diventati quasi amici. In ogni caso quella realtà non era così come appariva, Xavier ne era sicuro. Il riccio non prendeva nulla sul serio, a meno che non riguardasse se stesso, sembrava sempre tutto forzato quando si trovava in loro compagnia. In verità sembrava forzato in qualsiasi occasione, tutt'ora a distanza di secoli, restava perennemente insofferente e mai volenteroso di aprir bocca e condividere la sua voce col resto dei viventi. Anche il giorno in cui aveva pronunciato quelle parole non aveva fatto eccezione, ma nessuno se n'era reso conto in quel momento, perché sembrava un momento felice. La ribelle fingeva sempre di imbronciarsi alle pseudo-offese e frecciatine del riccio, ma poi cedeva puntualmente al suo gioco e si lasciava abbindolare dai modi del ribelle. Lillian lo vedeva sicuramente come più che un semplice amico, si vedeva dalla complicità che usavano tra di loro e da come la ragazza lo guardasse con ammirazione e rispetto. Cosa che Lex non ricambiava. Lui era sempre stato incredibilmente freddo e distaccato. Preferiva allontanarsi da tutti, far finta che non avesse nessun interesse nel condividere la stessa aria con gli altri. E anche quando mostrava un po' di umanità e preoccupazione, non era ugualmente il tipo di carattere capace di amare. Xavier si sentiva stupido ad essere messo al secondo posto a causa di un angelo del genere, e ricordava il dolore lancinante che avvertiva al cuore ogni volta che Lillian guardava Lex e non lui, poiché era da tanto che lui sognava diventare il suo primo posto. Il riccio sembrava non accorgersi affatto di tutte le attenzioni che gli dedicava la ragazza, lasciando, senza saperlo, a Xavier il compito di sorbirsi i progetti amorosi della minore, pieni di "se", "ma" e "forse" che non avrebbero mai avuto conclusioni reali, e pieni soprattutto di ogni tipo di elogio riguardo Lex, al quale venivano giustamente attribuiti aggettivi come coraggioso, intraprendente, forte, bello, rassicurante, divertente... Quei progetti in cui non compariva quasi mai il nome di Xavier, e che quando raramente faceva la sua comparsa era assiduamente accompagnato dal sostantivo "amico". Nonostante ciò, il ribelle dai capelli blu non riusciva ad odiare Lex, se restava ancora capace di sognare e sperare allora non avrebbe potuto fare tanto danno, soprattutto perché Xavier sapeva che l'angelo nero non provava nulla per lei. Tuttavia, una parte oscura della sua mente gli ricordava che Lex sapeva bene non parlare di sé, sapeva non lasciar parlare i suoi occhi, o qualsiasi altra cosa che potesse rivelare le sue emozioni, quindi le deduzioni dell'angelo dai capelli blu erano tutt'altro che affidabili. In quell'intricata matassa di gelosia e affettività, Xavier si rese conto di essere quasi arrivato dal corvino e si chiese cosa avesse dovuto riferirgli precisamente, forse che Lejla non stava bene? O le avrebbe dovuto espressamente dire che Lejla aveva chiamato il suo nome? Non voleva riferirgli quel dettaglio. Ciò che probabilmente avrebbe voluto dirgli sarebbe stato solo un tentativo vano di rinfacciare al ribelle il male che probabilmente lui neanche aveva intenzione di causare, poiché Lex sembrava essere puntualmente cieco quando si trattava dei sentimenti altrui, come se non vi prestasse attenzione... E intanto il ribelle era arrivato davanti alla porta del riccio, con una confusione in testa mai avuta prima.
"Volo sui ricordi come farfalle in un prato."
• SPAZIO AUTRICE •
Ciao a tutte/i, come sono andate le vacanze? Spero bene.❤ Come avete visto sono riuscita ad aggiornare! Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che i prossimi lo saranno altrettanto. Come al solito fatemi sapere cosa ne pensate, è importante per me :)
Al prossimo capitolo!
(Dal prossimo capitolo mancherà la revisione quindi mi scuso in anticipo)
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