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4 • IL NUOVO COMPAGNO DI STANZA

“Se tu fossi me, faresti come tanti: scriveremmo il nostro nome sugli specchi e se lo faremo con la punta dei diamanti sarà solo per sentirci importanti.”

Attraverso il filtro della finestra vetrata la neve che ricopriva le vette delle montagne pareva più lucente che mai. La punta della torre di cristallo colorava di rosa i deboli raggi solari. La piazza principale si stava affollando: i bambini si rincorrevano felicemente, i serafini più anziani conversavano tra loro nei parchi, i commercianti sistemavano le sfarzose vetrine dei propri negozi che si affacciavano sulla piazza. Tuttavia, immersa nel suo affollamento, Asgard restava indifferente nei confronti dei singoli individui: l'attenzione che c'era stata nel costruire in dettaglio l'aspetto di quella città di certo non c'era stata nell'integrare gli angeli che la abitavano. Shane si risvegliò dalla contemplazione del paesaggio a causa del cigolio della vecchia porta della stanza. Pensò a chi potesse essere a quell'ora, dopotutto il sole era sorto da poco. L'angelo bianco, comunque, non era solito ricevere molte visite dato il suo carattere piuttosto solitario.
Infatti, quando la porta si spalancò lo sguardo di Shane si posò immediatamente sulle ali nere del serafino che si ritrovò di fronte: capì allora che quello sarebbe stato il suo futuro compagno d'avventura. Gli sorrise istintivamente in modo gentile, così come avrebbe fatto con chiunque altro. Era rimasto immancabilmente accattivato dai lineamenti fini del ribelle che rimandavano ad una personalità regale e posata. I capelli ricci e neri erano abbastanza lunghi che scendevano in morbide onde fin sopra le spalle e, stranamente, gli donavano davvero molto. Quello che, però, aveva colpito maggiormente Shane furono gli occhi viola del ragazzo: un viola un po' spento, ma non aveva mai incontratto nessuno dagli occhi viola prima di quel momento. La sua aura sembrava alquanto negativa, ma Shane non era mai stato bravo a leggere i sentimenti altrui, per cui tenne da parte quelle impressioni e si limitò soltanto a sorridere in modo un po' impacciato.

— Ciao! — lo accolse con il miglior sorriso di benvenuto e con un tono caloroso che avrebbe dovuto mettere a suo agio il ribelle, almeno secondo lui. Se c'era qualcosa in cui Shane poteva definirsi bravo allora quel qualcosa era l'essere gentile.

— Tu saresti? — domandò di rimando l'angelo nero, senza ricambiare il saluto né il sorriso. Il suo sguardo serioso ispezionò l'altro angelo dall'alto in basso, osservandolo come se fosse un qualcosa di alieno. Quello sguardo non fu d'aiuto tra l'altro al biondo, il quale cominciò a sentirsi in soggezione più del dovuto. I primi incontri gli incutevano sempre una certa ansia e, inoltre, aveva una sorta di ossessione riguardo la necessità di dover fare "bella figura" o semplicemente di voler dare una buona impressione di sé a chiunque gli si presentasse. Per questo motivo cercò di ricomporsi immediatamente per rispondere alla domanda del nuovo arrivato.

— Sono Sindre Shane Helleseele... m-molto piacere. — Accennò un altro sorriso tendendogli la mano ed evitando di proposito lo sguardo intimoritore del moro, nella speranza di non sembrare imbarazzato, o peggio.

— Lex. Il piacere è tutto tuo, non preoccuparti. — sbottò lui senza ricambiare neppure la stretta di mano. Shane rimase interdetto da quella risposta, forse più scosso di prima. Tuttavia, il ribelle parve non dare minimamente peso alla sua reazione. Infatti, quest'ultimo si dedicò a squadrare velocemente la stanza e, dopo pochi secondi, non perse altro tempo a gettarsi con noncuranza sul letto ancora rifatto.  — Be', vediamo quanto tempo ci metti a starmi sul cazzo anche tu. Tanto siete tutti uguali. — aggiunse sogghignando alla fine della sua affermazione, mentre incrociava le braccia dietro la testa e rivolgeva il suo sguardo verso il soffitto. L'angelo dalle ali bianche rivolse il suo sguardo al ragazzo disteso sul letto con una maschera di stupore dipinta sul suo volto.

Apparentemente, sarebbe stato molto più difficile del previsto andate d'accordo. Farfugliò qualcosa per cercare di rispondergli, ma invano. Non era affatto il tipo da avere la risposta pronta, quindi preferì tacere e sedersi aggraziatamente sul letto di fianco a quello di Lex, pensando a cosa avesse potuto fare di sbagliato per provocare quella sua inattesa reazione. In realtà il problema maggiore di Shane era il fatto che non riuscisse ad esternare con facilità i propri sentimenti, né tantomeno a difendersi; tentava in ogni modo di provarci, ma proprio nel momento in cui era sul punto di fare qualcosa di positivo per se stesso, tutto assumeva una prospettiva impossibile da controllare per la sua debole personalità. Da bambino veniva spesso escluso e trattato male dai suoi coetanei che lo schernivano riempiendolo di insulti, non era mai riuscito a sbarazzarsi della sua abilità di subire in silenzio. Con il passare degli anni, però, aveva conosciuto persone che lo avevano aiutato a difendersi perlomeno. Eppure, quelle persone avevano avuto modo di conoscerle solo grazie alla casta della sua famiglia. Molto di quello che aveva ottenuto fino a quel momento lo doveva al rango sociale della sua famiglia, persino il fatto che fosse stato scelto come uno dei quattro a partecipare a quel progetto. Lui non aveva nessuna abilità paragonabile a quelle degli altri suoi tre compagni. Non riusciva a capire perché, ma a primo impatto Lex lo faceva sentire a disagio e aveva già la vaga impressione che sarebbe stato complicato costruire un rapporto bilanciato con lui. Shane non era solito avere pregiudizi e non erano certo state le ali nere del ragazzo a impressionarlo, tuttavia l'intera aura che si portava dietro era così buia che credeva di non aver mai neppure intravisto qualcosa del genere. Se guardava ai suoi occhi, il biondo poteva essere sicuro che non fosse una persona cattiva; probabilmente era solo distaccato, il suo atteggiamento velato da una buona padronanza del sarcasmo. Ma in ogni caso quella era solo una presupposizione fatta da qualcuno che non si intendeva granché di interpretare gli altri. Aveva dovuto scavare in profondità per cercare di intuire qualcosa; a quanto pareva lui non era l'unico a sapere come nascondersi. Era probabile a quel punto che anche il corvino avesse vissuto esperienze piuttosto cruciali, altrimenti non si sarebbe spiegato il suo comportamento così impulsivo e denigratorio.

Forse non era stato un caso che Lex fosse stato scelto come suo compagno, rifletté tra sé l'angelo bianco, sebbene si rendesse conto di star fantasticando troppo: non sapeva nulla in particolare di Lex, solo che fosse un ribelle e che venisse da una famiglia di guerrieri il cui nome era ben conosciuto nei Mondi Inferiori. Tuttavia, la sua prima impressione era stata tutt'altro che piacevole e ben lontana da ciò che il biondo si era aspettato.

— Ehi? Hai intenzione di andare ad aprire la porta o quel povero malcapitato dovrà bussare ancora per molto? —

Shane si risvegliò dal suo stato di trance sentendo l'esasperazione nella voce del suo nuovo compagno di stanza, spalancò gli occhi con aria sorpresa e scosse la testa come per liberarsi dei suoi pensieri ingombranti. Poi si alzò e si diresse alla porta; qualcuno stava bussando insistentemente e lui si sentì propriamente uno stupido per non essersene reso conto, assorto com'era dai suoi ragionamenti convulsi. Sulla soglia lo attendeva Eva Lindseth, l'ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento. Si maledisse mentalmente ancora una volta e la salutò con un vago gesto della mano. Quella ragazza poteva definirsi come "la sua fidanzata", tuttavia fin dal principio la loro relazione era stata programmata da dietro le quinte. Shane non l'amava e questo per fortuna lo aveva realizzato da quando aveva smesso di credere a tutto il teatrino che suo padre aveva costruito intorno alla sua vita. Al contrario, non gli sarebbe mai più minimamente passato per la testa di associare il verbo "amare" al volto di Eva. Probabilmente la bellezza era l'unica cosa che possedeva quella donna. I morbidi capelli castani le scivolavano sulle spalle incorniciando il viso dalla carnagione leggermente olivastra e dai lineamenti appuntiti, le labbra sottili erano tirate nella solita linea severa che celava i denti bianchi e perfettamente allineati. Nelle pupille dei suoi occhi castani distingueva il proprio riflesso... era stanco, si vedeva a mille miglia di distanza. Cercò di sorriderle e lei si passò una mano tra i capelli, facendovi riflettere i raggi dorati del sole.

— Be', allora non mi fai entrare? — chiese con quel suo solito tono arcigno, che si abbinava poco con il suo portamento elegante. Il suo carattere non piaceva per niente a Shane, era troppo esuberante, superficiale e si comportava per la maggior parte del tempo come una bambina viziata. All'inizio non ci aveva fatto molto caso, il suo aspetto da fata aggraziata e affascinante aveva facilmente colmato le sue pecche caratteriali, tanto che quel loro fidanzamento programmato da sempre non gli era apparso poi un'idea così cattiva. Ci stava facendo l'abitudine. Poi, però, col passare del tempo, l'atmosfera tra di loro si era immancabilmente tesa. Dietro quei modi di fare così ricercati, si celava una ragazza vuota, senza personalità: un pozzo riempito di odio, invidia, rancore e cattiveria. E lui sentiva di essere diventato diverso a causa di quella donna, però non in modo troppo evidente, era cambiato dentro. Il suo modo di pensare, la sua vita, le sue impressioni, erano cambiate senza che lui lo desse a vedere. Eva gli aveva aperto gli occhi sul fatto che non poteva fidarsi di chiunque e che l'apparenza era per lo più falsità. Lo aveva fatto nel peggiore dei modi, eppure gli aveva donato una consapevolezza in più. La cosa che più gli premeva era che pur avendo quella nuova consapevolezza, adesso non sapeva come liberarsi del problema.

— Come vuoi, allora entro io. — esclamò la ragazza con fare arrogante, senza dargli neppure il tempo di rispondere. Shane la fissò per una frazione di secondo, era sempre più altezzosa, notò tristemente. Lei con uno spintone lo scansò dalla porta e si fece spazio per entrare. — Sai mi aspettavo un po' più di accoglienza da parte tua, amore. — aggiunse in tono seccato e pronunciò l'ultima parola con una punta di disgusto, relegando al biondo un'occhiataccia con un mezzo ghigno stampato in faccia. Era peggio di quanto si ricordasse, pensò Shane sospirando. Non la vedeva da alcune settimane, poiché aveva detto di essere troppo impegnata per poter passare del tempo con lui. Il biondo si riprese non appena, pochi istanti dopo, sentì Eva strillare e coprirsi la bocca con le mani rivestite da sottili guanti blu elettrico merlettati.

— Oh mio Dio. — esclamò con stupore e disappunto, il suo viso perse ogni briciolo di colore, divenne pallido istantaneamente mentre continuava a spostare il suo sguardo da lui all'angelo nero sul letto, impassibile. — C-cosa ci fai t-tu q-qui? — balbettò gesticolando nervosamente, sembrava avesse visto un orrido scarafaggio. Seppur svogliatamente, il ribelle si mise a sedere con uno scatto tanto veloce quanto aggraziato. Li fissò per un attimo, e dalla sua espressione si capiva che si stesse chiedendo cosa ci facesse lì in mezzo. Come un intruso.

— Ci conosciamo? — Lex alzò un sopracciglio guardando la ragazza senza comprendere la sua reazione, né tantomeno si impegnò a cercare di ricordarsi se avesse mai visto la sua faccia prima di quel momento. — Be', d'accordo, non mi interessa, se dovete litigare potete farmi almeno il favore di tenermi fuori dalla discussione? Non sono qui per risolvere questioni matrimoniali. — L'angelo nero spezzò il silenzio che si era creato. Shane lo guardò spaesato, come se qualcosa nella sua frase lo avesse colpito, ma non ferito, semplicemente lo avesse turbato: lui non voleva avere niente a che fare con quella donna in realtà, ma Lex aveva colto nel segno. Il biondo si rese conto solo dopo che il ribelle non aveva ancora smesso di guardarlo accigliato, quindi Shane ricambiò il suo sguardo con occhi spaesati. L'ultima cosa che desiderava in quel momento era farsi associare a una persona sgradevole come quell'arpia e non voleva che Lex si facesse una brutta idea di lui basandosi sui comportamenti di Eva e sul fatto che teoricamente condividessero una relazione.

— Come osi rivolgerti a me con questo tono? Si nota bene che manchi della minima forma di educazione. Non hai idea di chi sia io!? Dovresti ringraziare il tuo Dio se sei ancora vivo e ti hanno accolto nel Palazzo! — sbottò la ragazza furiosa, sembrava sputare presunzione. L'arroganza strabordava da tutti i pori della sua pelle. Eva faceva sempre di tutto per attirare l'attenzione su di sé. Shane era stanco anche di quello: in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, lei doveva essere quella a ricevere le attenzioni di tutti perché si sentiva troppo importante per essere lasciata al pari degli altri.

— Starnazza un po' meno, figlia della gallina bianca. — Il ribelle fece ironia arricciando le labbra. Il suo sguardo gelido attraversava la sua anima, alla ricerca di qualcosa di invisibile: un punto debole. Improvvisamente un lampo luccicante invase i suoi occhi e Shane pensò che qualsiasi cosa stesse per dire il ribelle non sarebbe stato nulla di gradito.

Fortunatamente Lex tacque e aspettò la risposta di Eva: — Ti stai mettendo contro la persona sbagliata, uccellaccio! Io faccio parte della famiglia più potente di Asgard. — sbraitò e, seppure la voce fosse dura, subiva delle inflessioni nel tono, come se ci fosse qualcosa che la intralciava, come se avesse paura. Da una parte era possibile che Eva avesse avuto lo stesso presentimento oscuro sul ribelle. Dall'altra, era sempre la solita oca che forse si era lasciata influenzare dal panico di avere un serafino dalle ali nere di fronte.

Lex probabilmente se ne accorse perché sul suo viso spuntò l'accenno di un sorriso: — Sei appena scappata dal loro pollaio per caso? Che paura! Se ti rispondo male che fai? — la istigò lui scimmiottandola. Con un gesto elegante e veloce si alzò, fece qualche passo avanti in direzione di Eva e si fermò a poco meno di un metro da lei. Incrociò le braccia con fare da superiore, mentre la fissava dall'alto, sovrastandola con la sua imponente statura. — Hai intenzione di andare a raccontare a papino che ti sei offesa? Sono mortificato! Se vuole morire digli pure di venirmi a cercare. — aggiunse con un ghigno sarcastico. I suoi occhi sembravano ridere e si erano fissati in quelli della ragazza, il cui sguardo fece rabbrividire Shane. Conosceva quello sguardo. La conosceva abbastanza per sapere che le persone troppo sicure di sé la irritavano, come tutto del resto, non c'era nulla che le andasse bene. I suoi occhi infuocati di rabbia, però, gli confermarono che di lì a poco non sarebbe successo nulla di piacevole. Lex poteva essere pieno di sé, ma Eva era insuperabile da quel punto di vista e Shane non l'aveva mai fatta davvero arrabbiare. Lui si limitava ad essere un accessorio al suo fianco, di solito.

— Ovviamente, non mi sorprende che tu sia così maleducato, si vede che manchi della concezione di famiglia e non è certo colpa mia se laggiù crescete come bestiame. — replicò sputando quelle parole in modo talmente acido che sembravano avere il potere di bruciare l'anima di chi le ascoltasse da un momento all'altro. A quel punto Shane avvertì un immediato senso di colpa, non appena Eva finì di pronunciare quelle parole e gli occhi di Lex persero vitalità. Il viola delle limpide iridi del ribelle scivolò in una sfumatura grigia opaca, molto tendente al nero. Il ghigno divertito che sfoggiava sulle labbra si trasformò in un sorrisetto appena accennato che esprimeva tutto il suo disgusto nei confronti di quella ragazza a lui estranea. Solo infinito disgusto. Intanto la forza mentale di Shane sembrava corrodersi sotto lo sguardo accesso della ragazza, che a intervalli regolari gli regalava un'occhiataccia fugace indispettita. Al contrario del ribelle, le si era stampata sul volto un'espressione soddisfatta. A Shane si strinse il cuore quando, per un momento, anche gli occhi di Lex si incrociarono ai suoi: erano completamente vuoti. Fu solo un istante, però, infatti Lex indietreggiò di nuovo di qualche passo e prese a guardare fuori dalla finestra, con lo sguardo perso e vago, come se non prestasse realmente attenzione a quello che stesse guardando, ma stesse semplicemente fissando il nulla.

— Hai perfettamente ragione. — L'angelo nero ruppe il breve silenzio con la voce ferma e il tono pacato, lo sguardo ancora fisso fuori dalla finestra, un sorriso amaro sulle labbra. — Io non avrò la concezione di famiglia, ma tu non sai cosa siano i limiti, quindi sei messa un po' peggio degli animali. — aggiunse con un briciolo di soddisfazione. Poi incrociò di nuovo per mezzo secondo lo sguardo di Shane e si diresse a passo sicuro verso la porta della stanza, a testa alta, senza aspettare alcuna risposta, fiero di aver chiuso in bellezza con la sua uscita ad effetto. Si voltò solo un attimo, quando attraversò l'uscio della porta, che era rimasta aperta per tutta la durata della discussione, per guardare la ragazza inquieta. — E comunque avevo, come sempre, ragione riguardo la vostra scarsa cordialità con gli ospiti. Non vi impegnate nemmeno a superare le deludenti aspettative che ho di voi. — concluse Lex con tono indifferente, fulminando la ragazza con un freddo sguardo di fuoco. Poi scomparve dietro lo stipite della porta portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni; la sua camminata fin troppo controllata dopo una discussione del genere. Dava l'impressione che apparentemente non fosse accaduto nulla, dalla postura si evinceva che la sua rabbia si fosse già dissolta, aveva una tranquillità inquietante.

Shane lo seguì fin sull'uscio della porta, poi rimase a guardarlo immobile. Lo aveva capito sin da subito che Lex gli avrebbe dato filo da torcere: sembrava semplicemente chiuso in una bolla di stoicismo estremo, e sapeva che all'esterno non sarebbe mai trapelato nemmeno un soffio di tutta la tempesta di emozioni che imperversava violenta all'interno di quella bolla. Lo aveva visto nel momento in cui i suoi occhi si erano spenti, l'unico sentore di emotività che aveva mostrato. Quegli occhi viola sarebbero stati forse l'unico mezzo a sua disposizione per entrare in contatto con l'anima del ribelle. E poi... quel colore così inusuale attirava facilmente l'attenzione. Sarebbe stato capace di perdersi a guardarli per ore.

Con quel pensiero in testa, Shane rimase a fissare la sagoma scura dell'angelo nero che si allontanava nel corridoio esageratamente luminoso del Palazzo. I suoi occhi pizzicavano quasi a voler piangere, ma non per tristezza o delusione: era semplicemente arrabbiato nei confronti di quella ragazza senza un briciolo di rispetto. Fece qualche passo all'interno della stanza, molto meno luminosa del corridoio. Quella sottospecie di creatura angelica che era la sua "fidanzata" era lì con le braccia incrociate al petto, batteva velocemente il piede sul pavimento, facendo risuonare il rumore della suola delle scarpe sul parquet. In quell'istante Shane provava quasi odio nei confronti di quella creatura, tanto bella quanto presuntuosa e arrogante. Non si reputava capace di odiare, ma sicuramente provava una sorta di ribrezzo - o almeno rimorso - nel vederla lì in piedi come se si aspettasse qualcosa da lui, mentre l'angelo in realtà avrebbe soltanto voluto che sparisse dalla sua vista. E, senza rendersene conto, coi suoi occhi aveva già detto tutto il necessario per farle capire che in quel posto non era più la benvenuta.

— Amore, — lo richiamò lei, facendosi spuntare un mezzo sorriso che infastidì maggiormente Shane. Si rese conto di non essersi mai infastidito così tanto a causa di qualcuno. Shane aveva sempre avuto il carattere più calmo e pacato di tutti ma lei stava superando il limite persino per qualcuno di paziente quanto lui. — Non dirmi che ti ci sei già affezionato... Sei proprio incorreggibile, prendi a cuore chiunque. — proseguì lei, noncurante dello sguardo truce del ragazzo. Se aveva perdonato persino lei per essersi impossessata della sua intera vita, poteva perdonare un angelo per essere nato con le ali nere.

— Che ti importa? — ribatté retoricamente il biondo, con un sorriso ironico e amaro allo stesso tempo. Quel tono non l'aveva mai usato prima per parlare con Eva e probabilmente con nessun altro. — Tu non mi conosci e non voglio nemmeno che tu lo faccia. A te non è mai importato niente di me e lo so perfettamente. — continuò alzando bruscamente il tono di voce. Si sorprese lui stesso di avere effettivamente parlato a voce così alta, non ricordava nemmeno l'ultima volta che fosse successo. In quel momento poteva dire di starsene fregando anche lui, per una volta.

— Shane... — iniziò lei, ma l'angelo bianco non le diede tempo di parlare. Sentiva che se non avesse detto tutto quello che aveva da dirle in quell'istante, probabilmente non avrebbe avuto più l'occasione di farlo in futuro. Sia perché trovare di nuovo il coraggio sarebbe stato difficile, sia perché non era sicuro che quella missione gli avrebbe concesso di tornare intero o con le stesse idee.

— Pensi che non sappia perché i nostri genitori vogliono che stiamo insieme? Credi che non sia abbastanza intelligente per capirlo da solo? Credi davvero che io per tutto questo tempo abbia creduto alle menzogne che uscivano dalla tua bocca? — Si fermò per qualche secondo a guardarla negli occhi, mentre Eva aveva i pugni serrati lungo i fianchi. Qualcosa stava decisamente andando storto per lei quel giorno.  — A te non interesso e neanche ai tuoi genitori, e tutto questo è per la mia influenza sulla famiglia reale... — Fece un sospiro e si girò dandole le spalle. Non aveva neppure il coraggio di guardarla oltre, forse perché gli dava fastidio il fatto che gli costasse sempre tanto ammettere i propri errori o forse perché stava cominciando a sentirsi in colpa per tutta quella situazione. — Tu non mi ami, e nemmeno io, anzi, da questo momento ti sopporto meno di prima. Se solo ti fossi interessata a me ti saresti comportata un po' più dignitosamente. — concluse con una fermezza che poco gli apparteneva, finalmente si era liberato di quel fardello che si portava dietro da troppo tempo. Ma forse anche qualche altra cosa si stava rompendo dentro di lui, soprattutto la sua abitudine di obbedienza alla sua famiglia e al suo destino. Era sempre così lento e debole a reagire.

— Sindre Shane Helleseele, tu non meriti di portare il cognome di tuo padre. Hai appena disonorato le persone che ti hanno messo al mondo... Come puoi dire una cosa simile? Loro vogliono il nostro matrimonio per il nostro bene. — si lamentò la ragazza, ma Shane non le diede retta, sapeva che era un'altra bugia. Erano tutte bugie alla fine, era consapevole ormai di aver vissuto in un mondo di infinite bugie. Lui stesso era il primo a prendersi in giro: si diceva di stare bene quando in realtà non era affatto in pace con se stesso, e lo faceva solo per convincersi che quello che diceva fosse vero, per non dare problemi agli altri. Così si era reso conto che ogni cosa, se ripetuta in continuazione, alla fine diventa un'abitudine e si finisce per considerarla una verità. Potrebbe apparire assurdo, ma purtroppo è così. — Shane, ingrato che non sei altro, almeno guardami quando ti parlo! — urlò la ragazza distogliendolo bruscamente dai suoi pensieri.

Lui non si girò ugualmente, non era obbligato a obbedire ai suoi ordini. Eva si era abituata un po' troppo a prendere il comando della situazione, lo trattava come un burattino e non ne aveva il diritto. Nessuno avrebbe dovuto averne il diritto. Inoltre, se l'avesse davvero guardata negli occhi avrebbe facilmente visto venirsi meno la forza che gli serviva per chiudere quella conversazione da vincitore.
— Tu non conti più niente per me. Non ho nulla di cui esserti grato. — Finalmente l'angelo bianco rispose. Impiegò un po' di tempo, ma poi strizzò gli occhi e si girò di scatto verso la ragazza. La sua faccia era sconvolta, ma lui non se ne importò, l'unica parola che in quel momento viaggiava nella sua mente era "vinci", era come se quelle cinque lettere fossero marchiate a fuoco nella retina dei suoi occhi. Non poteva rischiare di perdere ancora una volta contro di lei. Avrebbe significato perdere la dignità, la credibilità e la fiducia. — Tu mi hai preso in giro tutto questo tempo, mi hai trattato come una marionetta, mi hai deriso continuamente e mi hai sempre tenuto fuori dalla tua vita privata, questo per te significa amare? — continuò lui, si passò nervosamente una mano tra i capelli e poi sospirò. — Be'... Per me no. — concluse non aspettandosi alcuna risposta dalla ragazza. Lei lo guardò con gli occhi che per poco non uscivano fuori dalle orbite. Shane pensò di essere stato così stupido, tutto quel tempo, per dare ascolto a un essere del genere. Non sembrava nemmeno sentirsi minimamente attaccata da quelle parole, era solo sorpresa che il biondo avesse preso posizione.

— Infatti. Hai ragione. — esordì la ragazza dopo essersi ripresa. Finì addirittura per ridere sfacciatamente, conquistandosi tutto lo stupore e lo sdegno da parte del serafino. — Ti ci è voluto un po' per capirlo, alla fine però ti sei dimostrato meno stupido di quanto pensassi. — La sua risata la faceva assomigliare a un demonio. Il suo sguardo tornò serio entro qualche secondo e gli puntò un dito contro. — Ma sappi che ti pentirai presto di quello che hai fatto. Non è finita qui Helleseele. — Ghignò, poi schioccò le dita e un vortice di vento comparso dal nulla la inghiottì, facendola sparire nel nulla. Quella minaccia fu l'ultima cosa che sentì dalle sue labbra prima di essere abbandonato al silenzio.

Appena il ragazzo fu di nuovo solo nella stanza, si rese conto di quello che era successo poco prima: rielaborò tutta la scena, come se a parlare per tutto quel tempo non fosse stato lui, ma una voce appartenente alla sua coscienza. In fondo, sapeva di essere sempre lo stesso, solo che a volte, seppur raramente, per fortuna c'erano momenti in cui per fortuna mostrava un po' d'amore verso se stesso. Chiudere i sentimenti dentro un cassetto non era da lui, prima o poi esplodeva, prima o poi doveva tirarli fuori. In un certo senso, adesso si sentiva più sollevato, più libero. D'altro canto, però, poteva aspettarsi qualsiasi cosa da parte di Eva, dunque non aveva la minima idea di cosa sarebbe successo da quel momento in poi.
Si accasciò sul letto tenendo lo sguardo fisso fuori dalla finestra: la stella di Grellja era abbastanza alta ormai da illuminare tutta la città. Pensava a quante bugie gli avessero raccontato durante la sua vita e a quante ancora gliene sarebbero state riservate. Pensava a come avesse potuto, anche se per poco tempo, provare un briciolo di affetto per una persona come Eva. Poi fortunatamente aveva capito che c'era qualcosa di sbagliato, che non valeva la pena di perdere l'anima per seguire il diavolo all'inferno. Non aveva senso... Così accettò la dura realtà. Era da parecchio che non apriva una vera e propria discussione con la sua fidanzata, non avevano neanche mai parlato di loro due come coppia. Si limitavano a darsi nomignoli orribili - o meglio era solo lei a chiamarlo "amore" - e a scambiarsi qualche bacio in pubblico quando richiesto dalla situazione, cosa più che sufficiente per entrambi prima che a qualcuno dei due salisse il voltastomaco. Anche se credeva davvero che lei non contasse nella sua vita, in realtà sapeva che non poteva pretendere di cambiare tutto da un momento all'altro. Ormai era parte del suo quotidiano; era una cosa normale sopportare le sue sfuriate, fare ciò che gli chiedeva, annuire alle sue prediche... stava diventando normale persino baciarla davanti ai genitori di lei, entusiasti ogni volta che Shane era invitato a pranzo alla loro residenza. Erano così tante le volte che lo aveva fatto che ormai non gli interessava. E il biondo sapeva che non interessava neanche a lei. Ero solo il suo giocattolo, pensò, e la rabbia tornò a farsi largo tra i sentimenti in contrasto nella sua testa, ma riuscì 'sta volta subito a riprendere la calma, a differenza di prima. Si convinse che non si sarebbe fatto manipolare mai più da quella donna e, soprattutto, che non sarebbe stata lei ad ereditare gli sforzi di suo padre per guadagnarsi l'influenza che aveva sulla famiglia reale. Si alzò a sedere sul letto e fissò il suo riflesso nel grande specchio posto a metà parete. Aveva il volto stanco, i capelli chiarissimi stranamente erano ancora sistemati in modo abbastanza ordinato, gli occhi non erano del solito azzurro limpido, chiaro come il cielo, ma erano di un blu intenso, un colore che assumevano poche volte. Si rendeva conto che mancava qualcosa. Mancava qualcuno nella sua vita, qualcuno di importante, che lo avrebbe amato per ciò che era e che non lo avrebbe mai abbandonato. Qualcuno che probabilmente non ci sarebbe mai stato. Non poteva fingere che con Eva andasse tutto bene perché la solitudine era troppo forte da sopportare. Sperava soltanto che iniziando quel nuovo percorso i suoi problemi sarebbero passati in secondo piano.

 






Lex, intanto, se ne stava seduto nella veranda, a guardare fuori, mentre si lisciava le piume delle ali nere. Era abbastanza rilassato, sembrava calmo, ma in fondo dentro di lui persisteva un tormento... pensava a come quella ragazza, Eva, gli avesse rinfacciato involontariamente un dramma della sua vita. Involontariamente? In realtà quella ragazza gli aveva dato l'impressione di conoscerlo meglio di quanto mostrasse, ma il ribelle era convinto di non averla mia vista prima. Pensò a quei due, se stessero ancora discutendo o se invece si stessero divertendo. Poi smise di far caso a quello, conscio che si stesse intromettendo in cose che non erano affari suoi, a lui non interessava ciò che facevano gli altri, come al solito. Allora si alzò dalla morbida poltrona e seguì le scale e i corridoi che portavano alle stanze. Era indeciso sull'opportunità di dare fastidio a qualcuno dei suoi compagni oppure andarsene in giro per il Palazzo. I suoi passi risuonavano sullo scuro parquet che, per quanto Lex avesse potuto constatare, ricopriva il pavimento di tutto il Palazzo - tranne per le scale di marmo - e nelle cabine era ricoperto da una moquette con trame e greche di vari colori dalle sfumature rosse. Appesi ai muri, tra un arazzo e l'altro, c'erano degli enormi ritratti di famiglia, probabilmente non solo della famiglia reale, tra cui Lex intravide un volto quasi conosciuto. Le grandi arcate gotiche di marmo biancastro che costeggiavano il corridoio centrale lasciavano entrare la luce in modo diretto, al contrario dei finestroni vetrati dell'ingresso, i quali, come quelli della Fortezza Nera, filtravano la luce modificandone il colore. Guardando verso l'esterno si rese conto che si trovavano ad almeno venti metri d'altezza. Non che questo gli facesse differenza, ma prima non ci aveva fatto caso. Continuando ad osservare la città constatò che da quel corridoio si aveva una vista alquanto unica: la schiera di casette bianche somigliava a una distesa uniforme di neve, avvolta da una cortina più o meno densa di nebbia, le piante sempreverdi con le punte imbiancate e gli alberi spogli coi rami curvati sotto il peso della neve; sullo sfondo le colline anch'esse ricoperte anch'esse dal ghiaccio invernale, che aveva sommerso e seccato la maggior parte dei fiori che coloravano i prati di tutta Asgard. Eppure, ogni anno, quando il gelo si ritirava lasciando spazio al solito pallido calore delle stelle, quei fiori rinascevano come se nulla fosse; una qualità che le anime delle persone non possedevano. Le anime, di uomini o angeli che fossero, non dimenticavano mai il passato e, anzi, ne portavano i segni. Qualcosa, però, in tutto quel candore stonava un po', e forse erano proprio le due monumentali torri di cristallo simbolo dell'ultima dinastia, le quali avevano una struttura troppo imponente per concordare con il paesaggio. Tuttavia, la luce scissa dal cristallo regalava un magnifico specchio di colori che si rifletteva sul bianco tutt'intorno, quasi fossero prismi ottici. Mentre si perdeva nel contemplare il panorama, avvertì una voce lontana chiamarlo per nome, ma solo quando la voce si fece più nitida distolse lo sguardo dal paesaggio, rendendosi conto che fosse il biondino a chiamarlo. Era completamente sprofondato nei propri pensieri dinanzi a quella visuale, tanto che ci aveva messo un po' a risvegliarsi da quello stato di trance. Sindre - o come si faceva chiamare - sembrava un po' troppo preoccupato mentre cercava di attiare la sua attenzione. Ma che voleva? E perché lo aveva seguito?

 





Shane era uscito dalla sua stanza in tutta fretta, come se solo in quel momento gli fosse tornata in mente qualcosa che aveva dimenticato. Girovagò senza meta per i corridoi, fino ad arrivare al salone principale del secondo piano, da lì imboccò il corridoio principale. Quando, poi, si incamminò per l'ampio androne ad arcate si lasciò sfuggire un sospiro sollevato nel vedere, qualche metro lontano da lui, il suo compagno di stanza. In pratica, per tutto il tempo che era rimasto nella stanza a pensare a se stesso, a Eva e alla situazione circostante, si era dimenticato di Lex. Probabilmente non del tutto, in realtà era solo passato in secondo piano dal momento che il loro primo incontro non lo avrebbe digerito tanto facilmente e il corvino nel suo minimalismo aveva catturato tutta l'attenzione del biondo. Non appena il suo cervello gli aveva ricordato che la stanza non fosse più soltanto la sua, aveva sentito la necessità di andare alla ricerca del ribelle, sia per scusarsi della maleducazione di Eva, sia per proporgli di rientrare per sistemarsi con calma. Fortunatamente lo aveva trovato in quel corridoio; era facile perdersi in un posto come il Castello di Asgard, ma Lex non sembrava il tipo da avere problemi di questo genere... In ogni caso è stato un bene trovarlo così in fretta, pensò Shane sorridendo tra sé. Voleva innanzitutto farsi perdonare per ciò che aveva detto quell'incubo vivente. In un certo senso si sentiva colpevole di non aver frenato la discussione e di essere rimasto lì impalato a guardare come la sua presunta fidanzata insultava un ragazzo che non c'entrava niente con loro due e come il ribelle, d'altro canto, rispondesse a tono. Ormai le sue speranze per risolvere la situazione si condensavano nell'augurio che suo padre guarisse dalla sua malattia e appoggiasse lo scioglimento del fidanzamento.

Shane si avvicinò lentamente e silenziosamente all'angelo nero che aveva i gomiti poggiati sulla finestra e si sorreggeva la testa tra le mani, il suo sguardo era assorto nel paesaggio che si apriva davanti a lui. Neanche Shane ricordava di aver mai visto nulla di così bello, pur avendo alle spalle qualche buon migliaio di anni, sebbene ne dimostrasse solo diciassette. Lex non sembrava accorgersi della presenza dell'angelo bianco, così Shane si fece coraggio e con un flebile sussurro pronunciò il suo nome finché non ottenne su di sé lo sguardo perso e pensieroso del ribelle. Per un istante, i loro occhi si squadrarono a vicenda, come se fosse una gara a chi guarda più in profondo nelle iridi dell'altro. In quegli occhi viola Shane riusciva a leggere poco, sembravano coperti da un velo impenetrabile. Si chiedeva se mai avrebbe capito qualcosa di quell'angelo e se, soprattutto, sarebbero mai riusciti ad andare d'accordo.

— Vogliate perdonarmi per l'interruzione, ma ho il dovere di incitare vossignoria ad iniziare i preparativi per l'incontro di questa sera. — Sentendo quella voce esterna, entrambi i due angeli si girarono di scatto cessando così il contatto visivo e scorsero la figura docile del Consigliere che aveva appena parlato. Pochi attimi dopo Clypso sfoggiò un sorriso e si inchinò, per poi congedarsi all'istante, dileguandosi dietro l'angolo e facendo piombare un imbarazzante silenzio nello spoglio corridoio. Gli sguardi dei due angeli si incrociarono di svista e Shane fece cenno al corvino di seguirlo attraverso i vari corridoi, mentre camminavano con ampie falcate per raggiungere in fretta la loro stanza. Shane dimenticò completamente il suo obiettivo dopo quell'attimo di disagio. Appena varcata la soglia della stanza, l'angelo bianco frenò di colpo lasciandosi sopraffare dalle emozioni. Una smorfia si dipinse sul suo volto, al ricordo dello spiacevole incontro avvenuto poco prima con la sua "fidanzata" e alla consapevolezza di non aver ancora chiesto scusa per il disguido.

Lex sembrò leggerglielo negli occhi o semplicemente l'aveva capito dal modo in cui si era bruscamente fermato sull'uscio della porta senza entrare. Infatti, il ribelle inclinò leggermente la testa da un lato e chiese: — È tutto okay? — C'era un non so che di premuroso nel suo tono. Shane non se l'aspettava; essenzialmente quel ragazzo non sembrava il tipo da potersi preoccupare per qualcuno. In più, quelle parole lo avevano colpito più del dovuto: non ricordava l'ultima volta che qualcuno glielo avesse chiesto con vero interesse. Si sentì come spogliato dei propri pensieri, poiché, forse per pura casualità, poco prima in quella stanza aveva pensato di aver bisogno di qualcuno che gli chiedesse "come stai?". E, come se lo avesse sentito, l'angelo nero gli aveva appena posto una domanda del genere. E la verità era che lui non sapeva cosa rispondere. Si morse il labbro inferiore in preda all'ansia, poi pensò di riuscire a cavarsela semplicemente evitando lo sguardo del ribelle. Ovviamente, non aveva tenuto conto del fatto che non conoscesse per niente Lex. Difatti era molto difficile che il ribelle rinunciasse a qualcosa; non era "nel suo stile" lasciare le cose in sospeso. Shane, come previsto, abbassò lo sguardo continuando a torturare il labbro inferiore tra i denti, mentre si dirigeva verso il guardaroba. Forse era il momento di decidere cosa indossare per la serata... e magari smettere momentaneamente di pensare a Lex e a cosa potesse pensare di lui.

Come non detto, un istante dopo, quando tese la mano per aprire il grande armadio, sfiorò la spalla dell'angelo nero, il quale, con assurda velocità e leggerezza si era posizionato davanti a Shane con le ali spiegate e le braccia conserte, interrompendo il contatto tra lui e il guardaroba. Il volto dell'angelo bianco si colorò di un leggero rossore per l'imbarazzo di aver toccato per sbaglio il riccio, ma l'altro sembrò non aver fatto neppure caso a quel dettaglio.
— Mi stai per caso ignorando? — La voce di Lex era roca e la sua domanda risuonò nelle orecchie del biondo diverse volte prima di arrivare a destinazione. Gli sembrava lontana, come se stesse urlando da centinaia e centinaia di metri di distanza, mentre invece si rendeva conto che erano a pochi centimetri. Appena rifletté sull'ultimo particolare, considerando la breve distanza che li divideva, arrossì ancora più violentemente, abbassando la testa finché non sentì il calore defluire dalle sue guance. Dopo un po' si limitò a fissare il suo sguardo sulle nere e grandi ali spiegate dell'angelo che aveva di fronte, troppo inetto per guardare il riccio negli occhi. Shane non aveva notato prima quanto fossero grandi e possenti e rimase incantato nel vederle completamente aperte, in tutta la loro magnificenza. Per un secondo fantasticò persino su come dovesse essere confortante essere avvolto in quelle ali. Immerso com'era nei suoi pensieri non si accorse che l'altro lo fissava con aria vagamente divertita, probabilmente a causa del suo rossore in viso. Quando se ne rese conto si sentì di nuovo a disagio e avvampò per la vergogna provocando una risata soffocata dell'altro. Non era per nulla abituato a stare così vicino a uno sconosciuto e la situazione lo aveva destabilizzato alquanto. Contro tutte le aspettative, comunque, l'angelo bianco non reagì male, ma al suono di quella risata si rilassò del tutto. Perlomeno, in quel momento il ribelle sembrava molto più abbordabile rispetto al modo burbero con cui si era presentato. Se sapeva persino ridere allora non era tanto male, sebbene non sembrasse il tipo che rideva facilmente e questo sollevò il biondo tanto da far tornare a brillare i suoi occhi di speranza.

Probabilmente l'angelo nero, però, se ne accorse. Per quanto Shane potesse essere bravo a nascondere le emozioni in giro, non poteva pensare di ingannare chi le sapeva nascondere meglio di lui. Le labbra del ribelle si assottigliarono immediatamente in una severa linea rosea, come se non avesse affatto riso poco prima. Il suo sguardo divenne nuovamente cupo e intransigente, le luminose pupille viola si rabbuiarono, mentre un boccolo nero gli ricadeva sulla fronte, coprendo parzialmente il suo occhio destro. Tutta quell'improvvisa serietà creò un'atmosfera di pura tensione. Shane non riusciva più a reggere il suo sguardo, un brivido improvviso gli percorse la schiena facendogli drizzare i peli sulla nuca.
— Non mi piace essere ignorato. E non mi piace nemmeno ripetere le cose due volte. Prendilo come un avviso. — sentenziò l'angelo nero, ancora con le braccia incrociate al petto. Scosse appena la testa e si concesse un sorrisetto amaro che svanì subito dopo, lasciando nuovamente spazio all'impassibilità. Il biondo ebbe a stento il tempo di pensare a quello cui si stava riferendo Lex. Ripercorse per un istante gli ultimi 5 minuti della sua vita e si rese conto solo in quel momento di aver evitato spudoratamente una sua domanda. Tra l'altro, una domanda decisamente stupida a cui rispondere. Forse rispondere sinceramente a una questione del genere era impossibile, non solo per lui, ma per tutti. Per quanto si possa stare bene c'è sempre una parte di noi insoddisfatta, rifletté, almeno di questo era sicuro. Si inchiodò al pensiero di tutte le cose che non andavano nella sua vita, di tutte le sue insicurezze, di tutti i suoi sbagli, anche nelle piccole cose quotidiane. Troppo spesso lasciava gestire agli altri la sua vita. A volte aveva il terrore che stesse diventando senza carattere come Eva - oppure lo era già, ma non se n'era mai accorto. Eppure, sembrava così diverso da quella ragazza. Non poteva essere quello, lui era sicuro che un'identità ce l'avesse. Il problema era che non riusciva a portarla fuori. Sembrava essere stata chiusa in uno scrigno, forse aveva solo bisogno di una persona che avesse la chiave giusta per liberarla. Arriverà, cercò di tranquillizzarsi da solo, Prima o poi quella persona arriverà. Nonostante tutti i suoi pensieri positivi, però, aveva la costante paura di essere abbandonato. Temeva che anche la persona che avesse posseduto la chiave se ne sarebbe fregata di lui.
Serrò i pugni e sbatté tre volte le palpebre, come per cercare di scacciare via quei pensieri. Quando li riaprì fissò il suo sguardo negli occhi di Lex: erano vuoti come al solito. Non sapeva se lì dentro ci fosse rabbia, tristezza o malinconia, ed era così difficile parlare con qualcuno di cui non si riusciva ad intuire nulla.

— Be'? Quindi? Rispondi o no? — domandò l'angelo nero esasperato, facendo sobbalzare il biondo dalla sorpresa per l'esplosione improvvisa. Shane si accorse che, al suo contrario, non gesticolava e non non mostrava alcun segno di tensione, se si tralasciavano i muscoli contratti delle spalle. Qualcosa che non tutti avrebbero notato e di cui nemmeno lui si sarebbe accorto, se non avesse avuto davanti la vena sporgente del collo ambrato del ribelle. — Inoltre — aggiunse dopo un po' — Il fatto che tu mi stia fissando potrebbe rendermi inquieto. — cercò di sdrammatizzare il riccio, ma ottenne solo altro imbarazzo e un passo indietro da parte di Shane, che era rimasto a testa bassa con un leggero rossore sulle gote, che gli fece dimenticare momentaneamente tutti i suoi pensieri. Dopo altro silenzio, con voce più calma Lex gli porse di nuovo la sua domanda: — Allora? — Il suo tono era più gentile, i suoi occhi cercavano di stabilire un contatto visivo. Il riccio aveva palesemente dimenticato cosa significasse parlare dolcemente a qualcuno e non ricordava neppure se l'avesse mai fatto, quindi cercava di colmare quel vuoto alla meglio.

Shane, invece, ricambiò di sfuggita il suo sguardo, per nulla intenzionato a rispondergli. — Scusami... Non credo sia il momento giusto per parlarne. — replicò tagliando corto, forse per la prima volta nella sua vita, seppur con la gola secca e con le parole che sfumavano man mano. Il rossore sulle guance sparì e per un momento pensò di essere più adulto. Notò l'angelo davanti a sé fare un semplice cenno con la testa, era stato più semplice del previsto convincerlo, probabilmente in fondo non gli interessava nemmeno.

— Capisco — disse l'altro — Come ti pare. Ma sappi che me ne ricorderò. — aggiunse con una scrollata di spalle e si allontanò da lui, lasciando a Shane uno strano senso di vuoto, un freddo intenso interiore, scettico del fatto che il ribelle gli avesse praticamente letto nel pensiero. L'angelo nero si sedette sul letto, mentre lui spalancò le ante dell'armadio che cigolarono rumorosamente. Con lo sguardo pensieroso fissò l'attenzione su ognuno dei capi contenuti nel guardaroba che si potevano osservare dall'esterno. Solo allora notò che c'erano ancora solo i suoi vestiti, e delle cose di Lex non c'era traccia, quindi fu spontaneo chiedersi dove avesse potuto mettere i suoi vestiti e tutto il resto. Anche se, pensandoci bene, quando il ribelle era entrato non aveva con sé alcuna borsa, né tantomeno una valigia. Shane si guardò nuovamente intorno, ispezionando la stanza per controllare se non avesse per sbaglio ignorato i bagagli del compagno, poi smise di farsi drammi esistenziali e gli chiese: — Lex dove hai messo le tue cose? —

L'angelo nero fece finta di non sentire la domanda, ma lo tradì una scintilla sinistra che accese i suoi occhi conferendogli un'aria alquanto inquietante. Si portò la mano alla tasca dei jeans e ne estrasse un cubetto, alto circa 3 centimetri, che brillava di luce nera. Tracciò con la punta dell'indice i tratti di una runa sulla minuscola superficie del cubo, lasciando che bruciasse e facesse effetto. Shane lo guardò interdetto; non riusciva a capire le intenzioni di Lex. Il ribelle appoggiò il cubetto sul palmo sinistro, e tese la mano. L'angelo bianco si accigliò; per un po' non successe niente. Quel silenzio persistente, tra l'altro, non scioglieva la tensione che si era creata nella stanza e quegli interminabili secondi indussero Shane a pensare che Lex avesse sbagliato qualcosa in quello che stava cercando di fare, dato che non accadeva nulla. Dovette, però, subito ricredersi, quando un abbaglio di luce nera, quasi come un flash, colpì le sue iridi chiare. Non avrebbe mai creduto che il nero potesse risplendere in quel modo, eppure ne stava avendo la prova. Anche con le palpebre chiuse percepiva la forza delle tenebre che incombevano sulla stanza, fino a poco prima illuminata dal sole che si avviava al tramonto. L'oscurità più totale che invadeva la camera poi si dissolse rapidamente così come era arrivata, come risucchiata da un vortice, e solo quando la luce tornò a colpire le palpebre dell'angelo bianco, quest'ultimo si decise ad aprire gli occhi.

Non appena mise a fuoco la realtà della visuale che gli si prospettava davanti, preferì non aver aperto gli occhi, il suo cuore perse un battito, si sentì così male da fargli pensare che stesse per svenire da un momento all'altro.
Chiuse di nuovo le palpebre per qualche secondo cercando di far cessare il capogiro che lo aveva colpito e provando a convincersi che quello che aveva visto era stata una banalissima visione. Presto, però, si rese conto che non poteva darsi torto, non era una visione, era successo davvero. La sua stanza adesso era un completo disastro.



"La verità è una forma di menzogna"




¤×¤ SPAZIO AUTRICE ¤×¤

LETTRICI E LETTORI,
Mi scuso per il ritardo ma ci sono state delle complicazioni... Pubblicherò il prima possibile il prossimo capitolo per farmi perdonare!

Vi ringrazio davvero tutti, la storia è arrivata già a 1,2 k di visualizzazioni. Sono davvero grata di aver ricevuto questo riscontro positivo da parte della community.

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