22 ~ LA CITTA' ASSEDIATA ~
"When face cracks into smile, you've taken all you can take. I'll give in what's broken. I'll rest my body in the ground."
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L'angelo vendicatore si era dissolto nell'oblio della notte, inghiottito dal cielo buio che sovrastava il cimitero, sparito anch'esso subito dopo, sparito tutto, sostituito da un calore ardente che lo costrinse a svegliarsi.
Un pezzo di carta appallottolato disordinatamente, con la sciattezza e il nervosismo di qualcuno che proprio quel messaggio non avrebbe voluto inviarlo.
"La Regina mi ha comunicato di riunirci tutti a Londra. Il nostro nemico a quanto pare si è stabilito lì perché vuole attaccare la corona britannica, unico regno monarchico ancora esistente sulla Terra. Per qualche altra settimana dovremo stare lì, ma ovviamente prima la scoviamo meglio è. Ci ritroveremo tutti il prima possibile alla stazione di Londra. Hai massimo 24 ore per farti vedere oppure resterai indietro.
-Lex Firestars"
Il messaggio di fuoco si disintegrò automaticamente appena Shane terminò di leggerne il contenuto, e lo lesse con la stessa freddezza con cui sapeva fosse stato scritto. Non c'era da meravigliarsene dopo il loro "addio". Forse l'angelo nero sperava davvero di non rivederlo mai più.
«E se invece si?»
Zittì la voce del suo subconscio che era capace solo di confondergli le idee.
Provò a pensare a come arrivare a Londra, ma nessun'idea immediata lo coinvolse.
«Certamente non a piedi, né volando perché ti stancheresti presto.»
Grazie, sbuffò il biondo tra sé irritato da quella voce che quel giorno sembrava particolarmente insistente nel volersi intromettere. Cercò di ricordare un po' dei suoi studi sugli umani, recuperando informazioni sul fatto che per spostarsi su distanze incombenti utilizzavano aerei o treni o non ricordava più le altre opzioni, perché difatti a cosa sarebbero potute servirgli? Non avrebbe mai immaginato di trovarsi in una situazione simile.
Scartò l'idea di viaggiare in aereo poiché gli appariva davvero squallido il pensiero di un angelo che prendeva l'aereo, quindi optò per il treno. In quel momento avrebbe voluto avere quello strano potere del ribelle di smaterializzarsi e riapparire dove gli pareva. Che lui sapesse, non esisteva un potere simile attribuibile agli angeli guerrieri, ma forse il compagno utilizzava qualche strano incantesimo vietato dalla legge, ne sarebbe stato tranquillamente capace.
«E se non fosse invece un angelo guerriero?»
Ma che vai a pensare Shane? E allora cos'è?
L'angelo scosse la testa cercando di abbandonare quei dubbi insensati quanto prima, perché la testa aveva cominciato a pulsare forte stretta sotto il peso della spossatezza che sentiva addosso.
Doveva muoversi.
Decise per prima cosa di fare una doccia calda per rilassarsi e schiarirsi le idee su cosa fare. Si svestì degli indumenti che indossava da quando erano partiti da Asgard, e aprì il getto d'acqua calda che investì la sua pelle candida. Aveva ancora tempo per stabilire il suo piano d'azione, avrebbe anche potuto ritirarsi, volendo. E poi che figura avrebbe fatto? Sicuramente non una bella. Ma ciò che gli premeva di più era la possibilità di non rivedere mai più il ribelle. Quando lo aveva lasciato lì a Parigi l'ultima volta era sembrato così sicuro di sé, forse più del solito, sicuro di voler morire lì, in quella missione, sicuro che sarebbe stata l'occasione perfetta per andarsene con onore.
Non aveva sicuramente tutti i torti a pensarlo, poiché se avessero effettivamente intralciato il piano di Desdemona, sarebbero stati ricordati a lungo, anche da morti.
In ogni caso Shane non sarebbe stato così codardo da ritirarsi, l'avrebbe fatto solo nel caso fosse diventato un peso per gli altri. Sperava tuttavia di non essere costretto a farlo. Voleva arrivare fino alla fine.
Uscì dalla doccia avvolgendosi un asciugamano alla vita e asciugando i capelli con un altro telo di stoffa. Si cambiò e nel silenzio più assoluto uscì dal rifugio improvvisato, sperando che gli angeli bianchi della sua scorta non fossero nei paraggi. Non avrebbe voluto dare spiegazioni a nessuno.
Assunse la sua forma evanescente, nonostante fosse sera inoltrata e per strada non vagava anima viva. Imboccò una serie di strette viuzze senza esattamente conoscere la sua meta, ma, non appena si imbatté in una delle mappe della città che aveva notato durante la perlustrazione del primo giorno, memorizzò il percorso per la stazione e si diresse lì. Certo, volando avrebbe fatto sicuramente prima, ma era difficile volare e mantenere l'aspetto fantasma insieme, quindi meglio non rischiare. Avvertiva una massiccia presenza demoniaca intorno e per un attimo ebbe paura di ritrovarsi i Demoni Superiori del giorno precedente, ma in fondo ormai aveva imparato la lezione: quelle creature erano capaci di tutto. Tre quarti dopo aveva raggiunto lo stabile che doveva essere la stazione, tuttavia impiegò altro tempo per orientarsi al suo interno e comprendere gli orari quali fossero, oltre a cosa fossero i binari. Nemmeno poteva chiedere informazioni perché ovviamente lui non era umano. Sbuffò tra sé una volta accertatosi di che ora fosse e che il prossimo treno diretto a Londra sarebbe partito entro due ore. Due lunghe ore gettato su un panchina di tufo ad ascoltare inorridito il suono delle rotaie che stridevano sui binari metallici. Si era perso ancora una volta nel pensare al compagno, a cosa stesse facendo, ma soprattutto a quale sarebbe stata la sua reazione quando lo avesse rivisto.
«Sempre che sia ancora vivo» commentò il suo subconscio, consapevole del pericolo di morte della situazione in cui si trovavano. La loro vita era diventata da infinita a limitata in pochi giorni, limitata tra l'altro senza una precisa e determinata data. Era racchiusa una clessidra in cui ogni granello che passava attraverso il nodo centrale poteva essere fatale.
Ma certo che è vivo, si rassicurò l'angelo bianco, provando ad organizzare un discorso di scuse riguardo ciò che era successo tra di loro prima di separarsi definitivamente. Scusarsi magari del fatto che si era lasciato prendere dall'egoismo e l'aveva respinto senza volerlo, per orgoglio, infatti poi se n'era pentito, solo che quel discorso non aveva né capo né coda e diventava difficile persino ripeterlo a se stesso. E cosa gli avrebbe detto allora? "Ti amo"? E a quel punto cosa si sarebbe aspettato dal ribelle? Probabilmente avrebbe scosso la testa e se ne sarebbe andato. Tuttavia proprio quando sembrava aver smesso di pensare a Lex si era sorpreso a cantare l'ultima strofa della filastrocca che aveva cantato l'angelo bianco del suo incubo. L'immagine del cimitero gli riportò i brividi sulla pelle.
No, non era il cimitero. Erano le parole uscite dalle sue stesse labbra.
Pouring blood tears
Leaving behind the fears.
No way out, decaying in a wasted land,
Waiting for someone to take his hand.
L'ennesimo agghiacciante stridore metallico che preavvisava l'arrivo di un altro treno, distolse Shane dai suoi pensieri. Controllò l'orologio sulla biglietteria: segnava le 3:45 di notte. Entro dieci minuti sarebbe dovuto partire il suo treno. Si affrettò ad arrivare al settimo binario e salì nell'ultima carrozza, tanto nessuno lo avrebbe visto. Prese posto accanto al finestrino dell'ultimo posto a sedere e aspettò che il treno partisse, senza staccare mai lo sguardo dal panorama esterno. Non c'era nulla di tanto meraviglioso da attirare la sua attenzione, nulla poteva distrarlo dalla cattività in cui lo aveva imprigionato la sua stessa sua mente.
***
Lillian se l'era aspettato, di trovare a Calcutta il Demone Superiore che aveva tentato il mittente della religione Buddhista. Gullveig, consacratore dell'avidità e dell'ossessione, le aveva dato filo da torcere, ma se l'era cavata indenne, bene o male. Era stata costretta a fasciarsi il braccio destro, che aveva riportato una brutta ferita, tuttavia era stata fortunata ad averlo ancora quel braccio, perché se non fosse stato per il messaggio di fuoco che le era arrivato in quel momento probabilmente il Demone non avrebbe indietreggiato spaventato dalla fonte di calore celeste che emanava il foglio, e di conseguenza la ribelle non sarebbe riuscita a colpirlo mortalmente. Gullveig aveva le sembianze di una donna sulla trentina, un volto bellissimo con capelli lunghi fino ai piedi che però galleggiavano in aria come serpenti pronti a mordere. Tuttavia quando un pugnale avvelenato l'aveva colpita dritta in petto penetrando la carne fino all'elsa e spaccandole lo sterno, nemmeno lei era riuscita a riprendersi, e allora era tornata a marcire all'Inferno, vomitando sangue e lasciando che il suo corpo si dissolvesse senza poter reagire.
La ragazza dalle ali nere allora si dedicò a leggere il messaggio che gli era pervenuto, in momento mai più propizio di quello. Era quasi mezzanotte lì e ricevere un messaggio di fuoco a quell'ora non era quotidianità:
"La Regina ha comunicato che il nostro obiettivo si trova a Londra, per cui entro 24 ore ci ritroveremo tutti alla stazione della città indicata dalla Regina, poi dovremmo avere qualche altra settimana prima di andare in contro al vero e proprio conflitto.
-Lex Firestars."
Alla vista di quella firma la ribelle si lasciò cadere il biglietto dalle mani, e quello si incenerì all'istante. Lex Firestars...?
Era uno scherzo forse?
Le labbra della ragazza presero a tremare vistosamente. Qualcosa non quadrava affatto. Non era possibile che quel messaggio provenisse da Lex.
Arretrò di qualche passo istintivamente, fissando i residui di cenere del foglio bruciato posati sulla strada. Si voltò di scatto e si incamminò a passo svelto verso la casa abbandonata dove si era sistemata per passare la notte precedente. Durante il percorso non poté fare a meno di scrutare l'ambiente intorno a sé, qualcosa le diceva di essere in pericolo. Dopo aver letto quel messaggio il suo sesto senso si era allertato, e non poco.
I messaggi di fuoco, difatti, potevano essere inviati solo dal Re e dalla Regina, o al massimo da altri angeli in cui scorreva nelle vene sangue reale, come parenti stretti dei Sovrani regnanti. Lex non lo era, Desdemona si. E se fosse stata tutta una trappola? Nel messaggio c'era scritto il luogo in cui farsi trovare e anche il tempo limite, perché Lex avrebbe dovuto sapere una cosa del genere? Tra l'altro era completamente insensato pensare che il ribelle potesse avere parentela coi Reali, li odiava a morte tutti.
Si richiuse la porta a chiave alle spalle, non appena fu entrata nella fredda casetta di legno. Afferrò dal tavolo una delle arance che aveva raccolto dall'albero vicino casa quella mattina, e le tolse la scorza con le mani tremanti, mangiando gli spicchi del frutto come se non ne avesse mai visto uno prima, ponendo tutta la sua attenzione e concentrazione su ciò che stava facendo, per evitare di pensare a quel messaggio.
Non ci sarebbe andata, si convinse istantaneamente.
Sperava solo che semmai gli altri avessero ricevuto un messaggio del genere si sarebbero ricordati di quel particolare riguardo i mittenti dei messaggi di fuoco, e che sarebbero stati almeno un po' furbi da non presentarsi a Londra nelle mani del nemico.
Avrebbe voluto correre ad avvisare Xavier e poi andare insieme da Lex, ma ci avrebbe impiegato sicuramente più di quelle ventiquattr'ore stabilite.
Rinunciò alla sua idea sospirando e accasciandosi contro la sedia.
Prima o poi sarebbe arrivato il segnale di inizio della battaglia e solo allora la ribelle si sarebbe fatta coinvolgere.
***
Londra era probabilmente la città più fetida di demoni al mondo in quel momento, possibile che gli umani non se ne rendessero neppure minimamente conto? Lex era sicuro di avere ancora tempo per un giro di perlustrazione nei dintorni. Aveva inviato i messaggi poco dopo aver ricevuto il suo, ma aveva aspettato comunque qualche ora prima di lasciare Praga; non si aspettava certo un altro Demone Superiore, ma sempre meglio essere prudenti. Tra l'altro era la prima volta che tentava di inviare dei messaggi di fuoco e aveva maledetto ogni stirpe angelica prima di riuscirci, per cui quello che aveva scritto con ogni probabilità era risultato spicciolo, freddo e, come minimo, pieno di odio. Aveva cenato sgranocchiando uno dei sacchetti di patatine presenti nella dispensa della stanza d'albergo. Inizialmente non aveva capito cosa fossero, non ne esistevano di cose del genere nei Mondi Angelici, tuttavia una volta testato che non fossero velenose le aveva graditamente divorate, dato che moriva di fame. A mezzanotte inoltrata, dopo aver ricontrollato tutte le armi che aveva addosso, si era affacciato al balcone e aveva rivolto un ultimo sguardo al centro antico della città, per pura curiosità: era tutto tranquillo, proprio come non sarebbe dovuto essere. Si lasciò, tuttavia, convincere dal fatto che fosse semplicemente paranoico a preoccuparsi della veridicità di quel messaggio di fuoco solo all'ultimo, dopo aver avvisato già tutti tra l'altro.
Scosse la testa disdicendo i suoi stessi pensieri e disseminando gradualmente il suo potere in ogni particella del suo corpo riuscì facilmente a materializzarsi direttamente a Londra, in una piazza di chi sa quale lato della città. Aveva focalizzato un'immagine di Londra riportata da un volantino che aveva visto nella Hall dell'hotel il giorno prima: c'era una torre a pianta quadrata che ospitava un orologio, ma il grande edificio in sé aveva tutto l'aspetto di una fortezza. Nulla a che vedere con i Palazzi Angelici, ovvio, commentò Lex tra sé. Convinto che nessuno sarebbe arrivato lì prima del sorgere del sole, decise di vagabondare un po' per la città alla ricerca di guai. Avvertiva il pericolo su ogni cellula dell'epidermide, eppure non ne era affatto spaventato, lo riteneva un fedele amico, qualcosa che bisognasse saper affrontare. Perlustrò diversi quartieri, alternandosi tra il camminare sui tetti delle case e il volare tra un edificio e l'altro, tanto nessuno poteva e vederlo. Volendo avrebbe potuto far crollare anche un palazzo, ma non era certo lì per distruggere quei malcapitati esseri viventi, al contrario si trovavano su quel Pianeta proprio per proteggerli e limitare il numero di vittime, cosa tendenzialmente impossibile, dato che i demoni avrebbero sicuramente attaccato prima gli umani, prede stupide, inermi e facilmente gestibili. Tra un isolato e l'altro era stato spesso avvicinato da qualche Hantus, ma i codardi, non appena avevano avvertito il calore divino che emanava lo spadone di Lorian evocato dal ribelle, si erano ritirati uno dopo l'altro. I più intrepidi invece erano finiti inceneriti con uno o due colpi di spada, non dispendiosi di energia vitale. Anzi, quando l'angelo nero si ritrovava ad abbattere questa sottospecie di creature infernali, era addirittura piacevole e rilassante, qualcosa che lo faceva sentire più vivo. La sua presenza angelica tuttavia non era sfuggita agli sviluppati sensi percettivi da rettile di un Demone Hala. Il Demone Inquisitore lo aveva puntato subito; Lex l'aveva notata un'entità in movimento, ma erroneamente non vi aveva prestato attenzione, essendo essa abbastanza lontana. Riassunse la sua forma solida ed evocò due scimitarre in attesa che il serpente dragone si avvicinasse. Il demone però se la prese con comodo, sogghignando per tutto il tempo che impiegò ad avvicinarsi, come se avesse voluto prenderlo in giro. Stanco di aspettare, l'angelo nero si avventò verso l'enorme serpente e affondò le due spade simultaneamente verso il corpo della creatura. Questa si difese prontamente parando il colpo con la coda irrobustita da minerali, non sembrava aver preso bene l'affronto. Immediatamente indietreggiò strisciando di qualche metro ed assunse la sua forma antropomorfa. Come ci si aspettava l'Hala si tramutò in una bellissima donna dai lunghi capelli neri e un corpo sinuoso ricoperto di squame color verde petrolio dal collo ai piedi. Aveva gli occhi stretti in sottili fessure, le labbra arricciate per la scortesia che le aveva mostrato l'angelo. Quel Demone era conosciuto per essere fin troppo legato alla gentilezza, tanto che risparmiava gli umani che le si presentavano con rispetto e regalava loro la sua protezione. Era un Demone molto potente comunque, e Lex si pentì leggermente di essere stato tanto azzardato e imprudente a prendersi l'onore e la disgrazia di aver attaccato per primo. La donna lo fissava con un sorriso di disgusto, lui ricambiava lo sguardo impassibile, non avendo ancora deciso come comportarsi.
— Voi angeli sempre così impulsivi e fieri di voi stessi... Quando smetterete di credervi invincibili? — Si lamentò l'Hala ammirando i suoi lunghi artigli. L'angelo nero restò in silenzio a studiare una mossa decisiva per liberarsene, ma l'unico asso nella manica che aveva era quella sorta di teletrasporto, mentre lei era una mutaforma. — Che impertinente, neppure rispondi? — Sibilò la donna e in istante Lex si ritrovò i suoi tozzi artigli sotto il mento. Ma lei si distrasse in fretta, essendo orgogliosa di aver colto di sorpresa il suo avversario, quindi il ribelle ebbe l'opportunità di smaterializzarsi e ricomparire alle sue spalle, sollevò le due spade e le incrociò puntandole dritto in mezzo alle scapole della donna, dirette al cuore, cosa che l'avrebbe ferita abbastanza gravemente da permettergli di tagliarle la testa senza fatica. Solo una punta delle due spade però riuscì a sfiorare la corazza squamosa del demone, poiché quella si era già trasformata in una sorta di pipistrello troppo cresciuto. Doveva aver avvertito la presenza alle sue spalle, era veloce, ma Lex aveva i riflessi più pronti dei suoi. Fece un mezzo giro e inchiodò un'ala del volatile al tetto, quella però emise un verso stridulo e prese a crescere a dismisura fino a prendere le sembianze di un drago, più grande, possente e visibilmente pericoloso rispetto all'animale domestico della Regina.
Il ribelle fu costretto ad indietreggiare di diversi metri, ma la sua spada rimase incastrata in una delle ali della bestia, senza che gli creasse neppure un danno. Lanciò lontano anche l'altra spada e lasciò che si dissolvesse, quelle scimitarre non sarebbero servite a fare neppure un graffio ad una creatura simile. Esisteva però un'arma a cui nemmeno un drago sarebbe potuto sopravvivere. Il demone però non gli lasciò neppure il tempo di riflettere, né tanto meno quello di evocare ciò a cui aveva superficialmente pensato. Acido color pece fuoriuscì a getti dalle fauci del drago, corrodendo la superficie del tetto dell'edificio su cui si trovavano, esattamente nel punto in cui Lex sostava fino ad un attimo prima. Scansò l'attacco di acido ma non riuscì ad evitare anche la coda della bestia che lo scaraventò con la schiena al cornicione della copertura cementata dello stabile. Cercò di risollevarsi, ma uno spruzzo di acido lo colpì al braccio destro e sull'addome, bruciando la sottile stoffa della maglia e la pelle fino a lasciare quasi scoperti i tendini. Strofinò il braccio ustionato contro il cemento del parapetto alle sue spalle cercando di alleviare il bruciore. Si morse il labbro e con la mano sinistra evocò un'ascia pesante di ferro fuso, una di quelle facente parte dell'armatura Ammazzadraghi, anche se di solito non venivano utilizzate in battaglia per la difficoltà nel maneggiarle. Avendo la mano destra ancora non in grado di reggere armi così pesanti, e il braccio destro mezzo bruciato, dovette arrangiarsi e con la sinistra, e quando un attimo dopo il drago tornò ad attaccare Lex poté solo difendersi con la larga lama dell'ascia. Qualche minuto e qualche ferita dopo il demone decise che ormai era giunta l'ora di finirlo: la bestia aprì le enormi fauci mostrando le zanne e si avventò sul corpo dell'angelo nero, questi però colse l'opportunità e recise di netto la testa del drago, che rotolò via sul tetto. Il corpo squamoso della creatura si dibatté per qualche altro secondo, prima di crollare pesantemente al suolo e abbandonare la forza vitale.
— Non finisce qui, lurida sottospecie di angelo. Non sei un figlio di Dio, non sei un figlio del Diavolo, cosa sei? — La voce ipnotica dell'Hala portata dal vento riecheggiò ancora per qualche istante nella scatola cranica del ribelle, poi sparì, sostituita dal dolore al braccio gravemente ferito. Cercò di rimuovere la stoffa della manica di cotone bruciata dalla parte lesa di cute, ma se ne pentì subito quando dovette trattenere un urlo di dolore.
Aveva peggiorato la condizione dell'ustione in quel modo, se n'era reso conto troppo tardi però. Imprecò ansimando per il dolore, gli riusciva difficile anche sollevare il diaframma per poter respirare. Cercò di riacquistare la forma evanescente, e dopo svariati tentativi vani a causa del gravoso dispendio di energie, ci riuscì. Tuttavia non poteva permettersi di volare, altrimenti la sua resistenza vitale non avrebbe retto indenne lo sforzo. Individuata la zona dove prima aveva scorto la presunta stazione, vi si diresse a passo spedito, cercando di ignorare il vento che sferzava gelido le sue ferite, costringendolo a serrare gli occhi per il dolore. Stava ormai sorgendo il sole, probabilmente anche per questo l'Hala aveva opposto poca resistenza, in ogni caso entro una decina di minuti sarebbe sicuramente arrivato allo stabilimento ferroviario e avrebbe potuto riposarsi e provare a rimediare almeno parzialmente alle ustioni.
Cominciando con ferite del genere non sarebbe arrivato da nessuna parte.
Appena ebbe varcato l'ingresso però avvertì una presenza angelica non indifferente. All'interno dei Mondi angelici non vi prestavano attenzione, ma la loro aura si avvertiva forte e chiara sugli altri pianeti, infatti diventavano prede più facili da raggirare per i Demoni sia Inquisitori che Superiori. Si guardò intorno con gli occhi ridotti in fessure a causa dell'insostenibile bruciore al braccio e al torace, scrutò ogni angolo coi suoi occhi viola, girovagando tra un binario e l'altro, finché l'aura bianca non fu più vicina.
Lo aveva già riconosciuto, prima ancora di voltarsi.
Sapeva che lui era lì, ma non voleva vederlo.
«Quanto sei stato stupido Lex?» sottolineò retoricamente la sua coscienza. Si divertiva a prenderlo in giro. Aveva sbagliato, sì, non avrebbe neppure dovuto mandargli quel messaggio di fuoco. Se non l'avesse fatto lui sarebbe rimasto in quell'insulsa cittadina illuminata finché non sarebbe finito tutto. Se non l'avesse fatto avrebbe potuto continuare la sua vita in pace, e non rischiare la morte in un posto inutile come quel Pianeta. Magari sarebbe potuto tornare ad Asgard in tempo per dire addio a suo padre; malgrado fosse uno stronzo Shane gli voleva bene. E il ribelle sapeva cosa significasse ritrovare morta una persona cara senza neppure salutarla un'ultima volta.
Non voleva girarsi e guardarlo negli occhi. Lui non lo voleva lì.
L'angelo bianco però lo aveva notato, lo stava fissando, stava gioendo di averlo ritrovato ancora vivo, si stava avvicinando... Lo aveva già raggiunto. — Ti prego perdonami. — Sussurrò tutto d'un fiato Sindre una volta vicino abbastanza perché la sua voce si sentisse. E Lex la sentì forte e chiara. Ma fece comunque finta che quelle parole non gli fossero mai arrivate.
Non voleva sentirla. Non voleva iniziare alcuna conversazione. Non poteva permettergli di restare.
L'angelo nero si voltò lentamente verso di lui, barcollando leggermente sulle ginocchia che quasi tremavano per lo sforzo di stare in piedi. I suoi occhi viola andarono a finire dritti in quelli azzurri del biondo. Aveva un sorriso appena accennato sulle labbra, che però ancora non splendeva come al solito, forse per timore di essere fuori luogo. E lo era. Appena incrociò lo sguardo gelido del ribelle il sorriso andò via via scemando.
— Devi andartene da qui, ho sbagliato a inviarti quel messaggio. — Esordì il riccio con la voce più fredda e tagliente di una lama. Sapeva di averlo ferito, era il minimo che avesse potuto fare utilizzando quel tono. Shane era sensibile, doveva essersi sentito davvero esasperato prima di giungere alla conclusione di dover rifiutare il compagno, e doveva essersi sentito molto peggio quando se n'era pentito.
Eppure la scelta giusta sarebbe stata proprio separarsi e basta.
— Ho sbagliato io Lex... — Provò a intervenire il biondo. I suoi occhi invocavano perdono, un'assoluzione che non avrebbe ricevuto. No, non poteva perdonarlo, lui non aveva fatto nulla di sbagliato, non doveva scusarsi.
— Certo, è chiaro. — Replicò l'angelo nero senza mostrare neppure un briciolo d'esitazione. Eppure nemmeno Shane sembrava volersi arrendere.
— Per favore, ascoltami... — Insistette il compagno fissandolo con gli occhi lucidi. — Sono stato uno stup... —
— L'errore più grave l'ho fatto io, Sindre. Non credo davvero in qualcosa che ci leghi, non credo in noi, e soprattutto non credo in te e non credo in qualcosa che possa essere chimato amore. — Chiarì Lex, sebbene quelle parole gli fossero costate molto più di quanto avrebbe valutato la sua stessa vita. La gola secca, che quasi tentava di trattenere la sua voce, ne era la conferma. Allora l'angelo bianco abbassò la testa. Il suo sguardo però venne attirato subito dalle ferite e la sua espressione mutò in terrore puro.
Come poteva ancora preoccuparsi per lui dopo ciò che aveva appena detto?
Il ribelle si voltò e si incamminò verso l'uscita, ignaro della sua meta. Magari una fontana per mettere dell'acqua fredda su quelle maledette ustioni. Una mano incerta, però, lo trattenne per la spalla. No, Shane non aveva affatto capito il concetto.
Nella mano sinistra del ribelle si materializzò un semplice kunai giapponese, ma dagli spigoli pericolosamente affilati. Lex si bloccò e si portò il braccio dietro la nuca, puntò l'arma contro il compagno e sospirò profondamente. — Non ti voglio qui. — Disse l'angelo dagli occhi viola, senza rivolgere lo sguardo al compagno. La mano del biondo scivolò lentamente via dalla sua spalla, mentre deglutiva sonoramente. Qualche istante dopo il ribelle aveva ripreso a camminare verso le porte di vetro, respirando più faticosamente di prima. Ma subito si sentì bloccare il braccio sinistro. Sindre gli prese il polso e lo costrinse a girarsi. Avvolse le sue dita affusolate attorno a quelle del ribelle, strette ancora attorno al kunai, e si puntò l'arma al petto fissandolo negli occhi. Lex avvertì un nodo formarsi sulla bocca dello stomaco.
— Le tue minacce non sanno di nulla. Se vuoi uccidermi fallo. — L'angelo bianco riversò tutta la sua disperazione in quelle parole. In quel momento, lui si sentiva morire davvero. I suoi pensieri giungevano forti e chiari alla mente del ribelle. Automaticamente il corto pugnale dalla lama di forma piramidale si dissolse.
— Non ho nessuna necessità di farlo. — Ribatté l'angelo oscuro, sforzandosi di far risuonare crude anche quelle parole. Certo, avrebbe potuto dirgli "l'ultima cosa che vorrei fare sarebbe ucciderti" o anche solo "non avrei mai il coraggio di farlo" e invece lo aveva detto con quella freddezza che non avrebbe mai voluto essere costretto ad usare con il compagno. Aveva fatto lo stesso errore di Shane, tempo dopo. Era proprio come quella notte al gala quando l'angelo bianco gli aveva puntato contro una lama per convincerlo a non buttarsi a capofitto verso una morte certa. Che diritto aveva lui di fermarlo? Il riccio si sentì incredibilmente stupido in quel momento. Stava distruggendo l'anima di qualcuno, la sua autostima e la sua bontà per proteggerlo dalla morte, ma a che scopo se poi avesse vissuto come lui? Lex non voleva che il compagno fosse costretto a vivere come si era ritrovato a fare lui per secoli. Eppure, per uno come Shane morire lì non ne valeva la pena. Amare un ribelle senza futuro non ne valeva la pena. Queste erano le sue motivazioni.
— Ho capito benissimo che non mi vuoi tra i piedi, ma non per questo ti lascerò morire. — Affermò l'altro con determinazione, sebbene la voce tremasse per la disfatta. — Prima di vederti ero certo di riuscire a farmi perdonare, volevo rivederti davvero. Ma anche se non è andata come avrei voluto non vuol dire che adesso per me non conti più nulla. — Disse l'angelo bianco con la sincerità che faceva tremare le lacrime trattenute nei suoi occhi azzurri. — Non vuol dire che io adesso desideri la tua morte. — Sottolineò parlando più lentamente.
— Non deve rientrare nelle tue preoccupazioni la mia vita. — Commentò distrattamente ad alta voce, e gli arrivò uno schiaffo in piena guancia. Lex aggrottò le sopracciglia ma evitò anche di portarsi una mano alla guancia sulla quale adesso aleggiava sicuramente un segno arrossato. Si chiese per un istante cosa avessero pensato tutti i passanti se la loro scenata non fosse stata invisibile agli umani. Shane ritirò lentamente la mano stringendola con l'altra, come se volesse riacquistare il controllo, non completamente conscio di ciò che aveva appena fatto. — Questa non me l'aspettavo. — Accennò una risata il ribelle, seppur senza abbandonare il tono completamente distaccato. Gli faceva male tremendamente l'addome e ridere non era stata una buona idea.
— S-scusa... — Farfugliò l'angelo bianco -"Non avresti dovuto dirlo. È ovvio che rientra nelle mie preoccupazioni... Tu non puoi morire. Questa missione ha bisogno di te... — Tentò una sorta di rimprovero, ma abbassò lo sguardo all'istante. I suoi pensieri dicevano chiaramente "Io ho bisogno di te". — Ti prego, lasciati aiutare per l'ultima volta, dopodiché ti starò lontano. — Propose con la voce molto più stabile di prima, quasi si fosse convinto che le cose sarebbero dovute andare esattamente in quel modo.
— Non aiuti prendendomi a schiaffi. — Gli fece notare freddamente il riccio. Il compagno sollevò la testa annuendo in una muta richiesta di scuse. Lo guardò per qualche istante, aveva le gote leggermente arrossate, sicuramente non per il freddo. — Sindre, ho davvero bisogno che tu stia lontano da me. — Ripeté inflessibilmente l'angelo nero, fissandolo col cinismo che faceva ormai parte di lui. Il biondo lo guardò affranto, non gli era mai piaciuto sentirsi chiamare col suo primo nome. Non voleva far soffrire Shane però... Era inutile rimuginarci su, lo stava facendo per lui. — Tornatene ad Asgard, sarai solo d'intralcio qui. —
— Ho anch'io un orgoglio sai? Cosa ti dice non sia qui soltanto perché piacerebbe anche a me morire con onore? — Replicò il compagno tra indignazione e sconforto.
— Non mi era mai sembrato avessi dell'orgoglio! — Osò sarcasmo l'altro ghignando malignamente, con quel tono di scherno che gli riusciva così bene.
— E invece ce l'ho, e il mio orgoglio ti odia, peccato che io non gli dia mai ascolto. — Sbuffò l'angelo dalle ali bianche, allargando le braccia esasperato.
— Perché vuoi morire? Non è qui che merita di finire la tua vita. — Sbraitò quasi Lex e si morse il labbro per aver parlato troppo. Di questo passo non sarebbe mai riuscito a dissuaderlo dal restare in quella fossa comune.
— Vorrà dire che resterò a guardarti morire. — Rispose Shane alzando a sua volta la voce e lasciando che una lacrima scorresse sul suo volto. Non era affatto bello vedere qualcuno a cui volevi bene morire. No, questo gliel'avrebbe risparmiato volentieri.
— Non ci riuscirai. L'ultima volta è morto Viktor, non sarai di nuovo così fortunato da condannare qualcuno al posto mio. — Si incupì l'angelo nero. Restare a guardare qualcuno morire non era qualcosa che si poteva superare facilmente. Quella era la causa di tutto il suo male interiore: l'immancabile senso di colpa che lo affliggeva quando si rendeva conto di essere stato inutile. Non si sarebbe concesso di costringere il compagno al suo stesso destino. Il silenzio di Shane fu una risposta più che soddisfacente, percepiva il suo senso di colpa.
— Non credi di aver sofferto già abbastanza a causa mia? — Domandò il ribelle cercando di fargli aprire gli occhi sulla triste verità, ma lui sembrava non volerne sapere niente, sembrava volesse rimanere cieco.
— Potresti ficcarmi un coltello nello stomaco e ancora non riuscire ad allontanarmi da te. — Accennò un sorriso il biondo, provando a cambiare atteggiamento, ma l'espressione di Lex rimase immutata nella sua risoluta impassibilità, anche se nei suoi occhi ora aleggiava un velo di tristezza, o forse malinconia, o forse preoccupazione. Non era sano quello che aveva appena detto.
— Io non ho bisogno di te, Shane. Questo è il tuo ultimo avvertimento per andartene, perché quando sarai in pericolo io non ci sarò per salvarti. — Lo avvisò il moro. Era serio, ma era quella sua strana e tragica vena protettiva a farlo parlare. Non aveva davvero voglia di mandarlo via da sé.
— Perché tu puoi morire e io no? — Si lamentò l'angelo bianco, e un'altra lacrima solcò il suo viso dalla carnagione pallida. Era sempre così semplice, diretto e sincero che riusciva difficile confrontarsi con uno come lui. Anche se poteva apparire insulso, in realtà era solo incapace di mostrare la forza che si portava dentro.
Il ribelle gli afferrò il polso, lo attirò a sé e lo fissò così intensamente che avrebbe potuto trasmettergli tutta la sua paura. Voleva dimostrarglielo che non provava piacere a trattarlo male, voleva farglielo capire che doveva andarsene per il suo bene, voleva stamparglielo nella memoria il bacio che lasciò sulle sue labbra mozzandogli il fiato, voleva che l'avvertisse quella passione che lo aveva spinto a farlo.
Desiderava davvero cancellare quell'espressione sperduta dal viso del compagno, ma non poteva. Quello che gli suggeriva la testa non poteva funzionare nella realtà. Ammetteva di voler provare ancora quella sensazione, ma dovette sopprimere immediatamente quel sogno ad occhi aperti. Non poteva baciarlo. Non doveva baciarlo.
Al contrario, lo guardò di sbieco, negando con le iridi viola intenso la domanda retorica di Shane, non poteva lasciare che restasse. L'altro però sembrò aver inteso qualcosa più di quanto avrebbe dovuto. Strinse la maglietta dell'angelo nero tra le mani in uno scatto improvviso e appoggiò la testa sulla sua spalla. — Non mi guardare così, ti prego... mi rendi più confuso di quanto vorrei essere in questo momento... — Sussurrò singhiozzando. Lex a sua volta trattenne un sospiro.
— Allontanati. Mi stai facendo male. — Gli stava facendo male in tutti i sensi. Sentiva di voler cedere, eppure no, non poteva. A quelle parole dure e scandite il biondo arretrò di colpo. Le ustioni bruciavano ancora terribilmente e il compagno non aveva aiutato affatto tirandogli la maglia, già di per sé aderente, e lacerando ancora di più le lesioni causategli dall'acido. — Esaudisci il mio ultimo desiderio Shane, torna a casa. — Concluse semplicemente, poi fece un passo indietro e chiuse gli occhi. Ora o mai più, si disse. E sparì dalla vista di Shane.
Tuttavia, le sue condizioni fisiche erano pessime. Non riuscì ad arrivare lontano, era troppo debole persino per usare i suoi poteri. Se lo avesse scoperto un Demone Superiore in quel momento per lui sarebbe stata la fine. Confidò nel fatto che i demoni, soprattutto quelli di ranghi alti, di giorno raramente facessero sfoggio della loro presenza, e si guardò un'ultima volta indietro. Era a solo qualche metro di distanza da una delle porte girevoli di vetro che conduceva all'esterno, e a poco più di cinquanta metri da lui, ignorato dalla marmaglia di gente che si affrettava a riconoscere il proprio treno o vagone, un angelo biondo giaceva in ginocchio, le mani tra i capelli, le lacrime scendevano copiose lungo le sue guance. E quelle lacrime Lex le avvertiva salate sulle sue stesse labbra, le sentiva come se scorressero sulla propria pelle, come se bruciassero a contatto con le sue ferite, come se stessero straripando rompendo la diga che aveva creato per contenere quelle emozioni. Le avvertiva come se stesse piangendo anche lui, senza però farlo davvero. Varcò la soglia dell'entrata e si protrasse per un centinaio di metri ancora, arrivando in una piazzetta isolata, stremato. Avvistò una fontana sulla destra e, mordendosi il labbro inferiore per la fatica, vi si avvicinò. Si lasciò cadere sulle ginocchia, girò frettolosamente la manovella con la mano sinistra e subito portò il braccio destro sotto il getto d'acqua fredda, gelida, tanto che dopo alcuni minuti cominciò ad accusare i brividi. Il corpo impiega tempo per surriscaldarsi, ma ne era già passato troppo da quando la cute del braccio si era ustionata, quindi adesso ci sarebbe voluto più tempo per raffreddarlo. L'acqua però era troppo fredda, avrebbe potuto rischiare l'ipotermia da un momento all'altro. Imprecò sottovoce e con le mani a coppa raccolse dell'acqua bagnando la ferita minore sull'addome. Non aveva garze, non aveva bende impregnate di acido ialuronico, non poteva neppure rimuovere la stoffa della maglia dalla carne bruciate, perché la scottatura era troppo profonda. Certo, sarebbe potuta andare peggio, a occhio e croce quella sull'addome era solo un'ustione di secondo grado, ma aveva aspettato troppo prima di prendere provvedimenti e ormai rischiava di andare in shock ipovolemico, se non avesse provveduto a reintegrare la grossa quantità di plasma perso. Ma come? Non poteva in ogni caso, non aveva nulla di utile lì, era condannato e basta. Pose nuovamente il braccio destro sotto l'acqua corrente e restò ancora per alcuni minuti immobile, finché non sentì un leggero sollievo al bruciore. Era felice di sentire ancora dolore, significava che la ferita non gli aveva intaccato i nervi, non tutti perlomeno. Non poteva fare altro, non poteva affidarsi alle sue capacità senza avere nulla a disposizione per curarsi. Aveva allontanato i dieci angeli bianchi che gli erano stati posti al seguito dicendogli di non farsi rivedere mai più, e quelli avevano portato ovviamente con loro anche la tenda di cui era fornito ogni gruppo. In quella sorta di casa che con una stupida runa diventava un oggettino portatile c'era tutto ciò di cui potessero avere bisogno, ma Lex l'aveva ingenuamente abbandonata insieme al suo piccolo esercito. Era fottuto.
***
Appena la sagoma del compagno era scomparsa dalla sua vista, Shane si era sentito assalito dall'afflizione. Una dopo l'altra le parole del ribelle restavano incise sulla sua anima, come se l'avessero marchiata a fuoco. Il fuoco brucia. L'amore è come il fuoco: brucia, ustiona, corrode, lacera, disintegra, uccide.
Voleva, in un modo o nell'altro, liberarsi di quell'incendio che avvertiva dentro, ma ormai sembrava essersi esteso troppo. Era quel tipo di amore che faceva perdere l'equilibrio alla bilancia, quel tipo di amore in cui non esistono più cuore e mente, bensì esiste un'unica entità che decide all'unisono di sopportare anche parole avvilenti pur di non cedere al convincimento di doversi già arrendere. Non voleva credere che Lex fosse davvero la meta irraggiungibile che mostrava di essere. Le poche lacrime che avevano attraversato il suo viso cessarono immediatamente quando realizzò di dover smettere di apparire un bambino. Piangere, tuttavia, era uno sfogo che lo aiutava a scaricare buona parte del male che lo asfissiava in quei momenti, e per quanto avrebbe voluto smettere non sarebbe mai arrivato a rinunciare a qualcosa che riusciva a farlo stare meglio. Avrebbe dovuto solo imparare a piangere senza farsi notare, perché non ne valeva la pena di sprecare lacrime davanti a chi non le capiva, e Lex a volte sembrava l'angelo più insensibile che potesse esistere. Si passò la manica della maglietta sulle guance umide, cominciando a pensare a cosa fare: non aveva indicazioni se non quella di dover trovare Desdemona e il suo probabile esercito.
Un'altra presenza angelica, tuttavia, fece capolino nello stabile. Shane l'aveva avvertita e si era subito guardato intorno. A poche decine di metri da lui c'erano una ragazza dalla ali bianche e un ribelle. Erano facilmente riconoscibili grazie al colore particolare dei loro capelli, anche se ormai quelli di Grethe risentivano della ricrescita bionda che creava un forte distacco con il rosa, mentre quelli di Xavier essendo naturali avevano incontaminati riflessi blu. Lo avevano notato, si avvicinavano. La ragazza lo salutò con la mano da lontano, ma quando si trovarono a distanza ravvicinata entrambi lo osservarono per lungo tempo.
— Hai pianto? — Chiese senza particolare interesse l'angelo dalle ali nere, precedendo la ragazza che aveva schiuso le labbra probabilmente per fare la stessa domanda. Shane restò in silenzio non sapendo cosa rispondere; si notava così tanto? Se n'era accorto dagli occhi? Si era forse anche reso conto del sentimento folle che provava verso qualcuno che non dimostrava il minimo interesse per lui? Si domandò sovrappensiero, dimenticandosi di essere stato interpellato. Xavier infondo non sembrava affatto stupido, avrebbe potuto capirlo davvero. — Dov'è Lex? — Il ribelle cambiò domanda repentinamente, riscuotendolo dalle riflessioni su cosa era accaduto prima al suono di quel nome. Era così scontato persino il motivo del suo pianto? Odiava essere così stupido agli occhi degli altri. Avrebbe voluto odiare sul serio anche Lex, come aveva detto il Demone.
— Abbiamo avuto una discussione. È sparito una decina di minuti fa. — Rispose conciso l'angelo bianco, meno emotivamente di quanto si fosse aspettato, probabilmente perché l'accozzaglia di sentimenti avversi che sentiva, non permetteva a nessuno di essi di emergere.
— Capisco. — Commentò semplicemente il suo interlocutore. — Quindi ci tocca anche cercarlo. — Sbuffò e si passò una mano tra i capelli. Quando si comportava così sembrava non tollerare proprio il riccio.
— Io vi aspetto qui allora. — Propose Shane, per nulla intenzionato ad andare a cercare il compagno e sorbirsi qualche altra strigliata, non era proprio in vena di soffrire ancora di più. Stava prendendo in considerazione l'opzione di scappare e basta, magari tornare davvero a casa, ma si sarebbe sentito ancora peggio in quel modo.
— No, non dobbiamo separarci. Dopo torneremo tutti qui e aspetteremo Lillian e Alexander. — Comandò l'altro con tono indiscutibile. L'angelo bianco avrebbe voluto sottrarsi al programma ideato da Xavier, ma in effetti si rendeva conto che era la cosa migliore che potessero fare. In quel modo se mentre loro erano fuori fossero arrivati o Lillian o Alexander sarebbero rimasti ad aspettare in stazione l'arrivo degli altri, se invece Sindre fosse rimasto avrebbero sicuramente insistito per intromettersi e andare a cercare Lex; in tal modo il gruppo si sarebbe disperso e sarebbe stato molto più complicato ritrovarsi. Il biondo allora sospirò sconfitto e accennò al ribelle di andare avanti per primo. L'angelo dai capelli blu lanciò un ultimo sguardo di ricognizione intorno a sé, poi disse qualcosa alla ragazza a cui Shane non prestò attenzione. Lei annuì, allora si diressero verso l'esterno, l'angelo bianco per ultimo. Era abbastanza forzata come situazione, non poteva fare a meno di pensarci: lui non voleva vedere il compagno. Non perché fosse irritato dal suo comportamento, in fondo che colpa ne aveva lui se non provava gli stessi sentimenti? Bensì non voleva rincontrarlo per evitare di cadere di nuovo in conversazione. In fin dei conti Lex ancora cercava di proteggerlo in realtà, l'angelo bianco lo aveva percepito, anche se magari davvero voleva che sparisse dalla sua vista, tuttavia sicuramente non desiderava la sua morte. Il compagno era un soggetto alquanto difficile, di conseguenza anche accettare i suoi astrusi ragionamenti risultava altrettanto critico ed impossibile da comprendere. La risposta a tutti i suoi problemi di cuore che, da tempo ormai, aleggiava nella sua mente era comunque lasciar perdere quell'angelo, resistere e dimenticare. Appariva tuttavia troppo complesso. I brividi che lui gli provocava anche solo sfiorandolo rendevano astratto il concetto di opporsi, proprio come i suoi occhi viola che, quando volevano, riuscivano ad immobilizzarlo e a farlo perdere completamente in quel turbinio di sentimenti repressi, dalla collera alla disperazione, dalla preoccupazione fino a quello che forse poteva essere considerato amore. Il problema più grosso era che gli mancava, quasi preferisse litigare a non averlo vicino. Gli mancava come sarebbe mancata l'acqua alla terra arida di un luogo in cui non pioveva da mesi, come sarebbe mancata l'aria a qualcuno se fosse stato trascinato negli abissi dell'oceano, come sarebbe mancata la luce a chi, per un motivo o per un altro, fosse diventato cieco.
Fuori dalla stazione il sole illuminava parzialmente la città, i deboli raggi non riscaldavano affatto. Shane seguiva indolente gli altri due angeli, sentiva le loro voci lontane e spesso neppure distingueva i suoni delle parole. Semplicemente era rassegnato e non gli interessava granché entrare in conversazione, si limitava a fissare la strada davanti a sé, grigia e immutabile, avanzando passivamente verso l'ignota destinazione. Più volte aveva a stento scansato qualche automobile in corsa, distratto com'era mentre attraversava il groviglio di strade affollate che si diramava all'uscita dalla stazione; essendo invisibile nessuno poteva ovviamente notarlo, tuttavia in quella forma non erano del tutto presenze immateriali ed eteree, altrimenti comunque non sarebbe stato possibile afferrare oggetti, impugnare armi... e di conseguenza non sarebbe stato possibile affrontare i demoni. Se davvero fossero stati del tutto incorporei Lex non avrebbe potuto riportare quelle ferite. Invece, soprattutto quando ce n'era bisogno, ad esempio nei combattimenti contro i demoni, l'aura invisibile si concentrava maggiormente concedendo loro la possibilità di acquisire una forma quasi semisolida, ma al contempo impercettibile all'occhio umano.
— Sento qualcosa non lontano da qui. — Annunciò Xavier a voce alta distogliendolo dalle sue frivole osservazioni, che a loro volta fungevano da distrazione per allontanarlo dai pensieri riguardo il compagno. — Una presenza angelica intendo. — Aggiunse l'angelo nero svoltando con convinzione in una strada molto meno ampia. Shane allarmato raggiunse il ribelle con passo tremante, acuì i sensi e a quel punto anche lui riuscì a percepirla quella presenza, e si stavano avvicinando alla fonte dell'aura. Tuttavia più parevano avvicinarsi più l'aura sembrava debole. E se fosse stato un tranello? Se i Demoni in qualche modo gli avessero teso una trappola? Se avessero preso qualcuno di loro in ostaggio? Alla realizzazione di quel pensiero l'angelo bianco impallidì e rallentò ritmicamente il passo, come se la paura si stesse impadronendo della sua volontà.
Sentiva il suo stesso respiro aumentare d'intensità proporzionalmente all'ansia crescente che lo attanagliava. Il sole ad un tratto sembrava troppo caldo, pungente sulla pelle. Le mura delle vecchie case che costeggiavano la stradina parevano restringersi al punto da togliergli l'aria necessaria. La sensazione che di lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di tremendo non si accingeva ad abbandonarlo. E infatti, non appena la viuzza terminò in uno sbocco su una piazzetta isolata, la sensazione si concretizzò dinanzi ai suoi occhi increduli. Lex era appoggiato con la schiena ad una fontana pubblica col rubinetto ancora aperto che sprecava acqua, l'angelo non era più nascosto agli occhi umani, la sua figura era vivida e concreta, ma aveva ritirato le ali. Eppure nessuno dei radi passanti sembrava essere scombussolato alla vista di quel corpo abbandonato così all'ombra di un muro di pietra. Al contrario, pareva fosse comune trovare senzatetto addormentati per strada in quella metropoli. «Ma non sta dormendo.» insinuò una voce nella sua testa.
E forse aveva ragione.
L'angelo dai capelli blu scattò verso il ribelle inerme sulla pavimentazione a sanpietrini della piazza e si accovacciò accanto a lui scuotendolo per le spalle. Probabilmente anche lui aveva realizzato la realtà della scena, pensò il biondo assente. Davanti ai suoi occhi i movimenti impacciati e vani di Xavier erano lenti come se fossero stati mandati a rallentatore, il tempo pareva scorrere più lentamente, fino a quasi fermarsi, secondi scanditi lenti dai sordi battiti del suo cuore. Frammenti di luce pallida si ramificarono intorno a loro fino a formare una cupola protettiva... doveva essere stata Grethe, era uno dei suoi punti forti saper utilizzare l'energia angelica in larga scala, ad esempio per erigere barriere di invisibilità o di protezione come quella che li circondava in quel momento. Shane restò semplicemente impietrito per più tempo di quanto avesse voluto. Eppure quando il grido di Xavier che urlava il suo nome in soccorso squarciò il silenzio qualcosa si smosse in lui e lo fece riscuotere dall'intorpidimento causatogli dalla paura. Paura no, non era paura, era puro terrore.
Se Lex fosse morto l'angelo bianco si rendeva conto che il dolore sarebbe stato ancora più complicato da cancellare. Il riccio aveva terribilmente ragione, non era in grado di restare a guardarlo morire.
Troppo lentamente, coi passi che incespicavano distrattamente tra le mattonelle rialzate, giunse sgomento presso i due angeli neri. Xavier aveva alzato lo sguardo preoccupato verso di lui, ma gli occhi azzurri del biondo non lo avevano ricambiato, bensì scrutavano le ustioni sfregiate sulla pelle del compagno. Le secrezioni biancastre tuttavia non avevano ancora smesso di defluire e l'ossigenazione che si denotava dalle ferite non era ancora troppo bassa... Era vivo.
— È vivo. — Connotò distaccato l'angelo bianco, al ché il ribelle dagli occhi grigi lo fissò incredulo, probabilmente per il tono che aveva assunto. Era la paura che aveva preso controllo della sua mente e del suo corpo. Era il terrore che gli scorreva nelle vene. Era il panico che non gli permetteva più di essere sé stesso.
— Che osservazione avvincente. — Commentò con sarcasmo forzato Xavier, la sua voce divenne quasi stridula. — Ma tu non gli sbavavi dietro fino a qualche giorno fa? Ti ha fatto incazzare così tanto che adesso saresti contento se morisse? — Continuò rivolgendogli un'occhiata stanca. — Onestamente non me ne importa niente, ma lui ci serve vivo, altrimenti questa missione sarà un genocidio oltre che un fallimento. — Concluse con totale sincerità. Xavier era decisamente qualcuno che non aveva peli sulla lingua, e il peggio era che aveva ragione. Shane incassò il colpo deglutendo amaramente.
Colpito e affondato. «Cos'hai intenzione di rispondere ora?»
L'angelo nero si sollevò dal pavimento, issando di peso il corpo inerme dell'amico e sorreggendolo con evidente difficoltà. Shane avrebbe voluto aiutarlo ma non riusciva a muoversi, ogni sforzo di allungare un passo risultava vano quando si rendeva conto del tremore che lo scuoteva ancora.
— Grethe possiamo aprire la tenda qui o è rischioso? — Domandò Xavier alla ragazza che teneva salda la cupola sopra di loro. Lei annuì semplicemente e per un attimo la barriera di luce tremò e l'espressione sul volto della ragazza sembrò sofferente per lo sforzo. Ma poi quel rivestimento invisibile si frantumò dando vita ad una lenta pioggia di frammenti di luce, ed al suo posto si ergeva ora il soffitto di una grande stanza. L'angelo nero trascinò Lex per le spalle fino ad un divano e lo adagiò sui cuscini. Grethe apparve subito dopo con delle asciugamani impregnate d'acqua, e alcuni unguenti che l'angelo bianco non riuscì a riconoscere. Era meravigliato dall'immediata comprensione che c'era tra i due, erano collaborativi come lui poteva solo lontanamente immaginare di essere con il suo compagno di squadra. Il ragazzo dai capelli blu si inginocchiò al lato del divano e prese una delle stoffe bagnate intenzionato a tamponare le ustioni. Qualcosa però a quel punto scattò nella mente di Shane: lo avrebbero ucciso, non avevano la minima idea di cosa fare.
— Aspetta! — Intervenne il biondo allungando d'istinto una mano. Si avvicinò agli altri e spinse bruscamente via l'angelo nero che gli rifilò un'occhiataccia. — Lo ucciderai davvero se non segui correttamente le istruzioni su cosa fare in queste situazioni. — Spiegò Shane e tese la mano all'angelo dai capelli blu per invitarlo ad alzarsi da terra, come per scusarsi mutamente di averlo spinto. — Sarebbe brutto vivere col senso di colpa di averlo ucciso, non trovi? — Gli fece notare, i suoi occhi azzurri cominciarono a pizzicare per le lacrime che sentiva arrivare, quasi stesse parlando con se stesso più che rivolgersi al ragazzo. Prima che Xavier e Grethe arrivassero Shane aveva già visto le ferite del ribelle, avrebbe dovuto insistere e intervenire già allora, non lasciare che se la sbrigasse da solo, invece aveva continuato a tergiversare su questioni tanto inutili quanto irrisolvibili. Era così abituato a vedere Lex rialzarsi dopo ogni ferita che si era completamente dimenticato di quanto anche lui potesse essere fragile, di quanto non fosse indistruttibile. Era anche colpa sua se lo avevano ritrovato in fin di vita.
— Cosa dobbiamo fare? — Chiese l'angelo dai capelli blu, rifiutando la mano di Shane e alzandosi da solo. Aveva smesso di guardarlo male, perlomeno. Il biondo allora si limitò a tirare Lex per i piedi facendo scorrere il corpo sul divano e posizionandolo in modo che la testa non fosse rialzata e che al contrario le gambe, con le caviglie poggiate su uno dei braccioli, formassero un angolo di trenta gradi col divano.
— Procuratevi un coltello dalla lama ben affilata, alcol etilico puro da usare come disinfettante, dei bendaggi, una coperta e dell'acqua fredda. Io penserò al resto. — Comunicò il biondo, e detto questo si ritrovò a dover setacciare lavanderia, bagno e cucina in cerca della dispensa di medicinali presente di solito in ogni tenda. La riuscì a trovare solo cinque minuti dopo, nello sgabuzzino con le riserve di cibo, un posto davvero poco adatto per conservare dei medicinali. Cercò frettolosamente degli aghi e una flebo, recuperò una sacca di plasma e delle garze imbevute di acido ialuronico. Tornò in salotto quando gli altri erano già lì ad aspettarlo. Xavier di nuovo con uno sguardo truce stampato in faccia, mentre la ragazza appariva solo preoccupata. Shane sospirò e tornò dal compagno. Appena i suoi occhi azzurri si posarono sul volto pallido e irriconoscibile del ribelle, sulle labbra violacee e sulla sua espressione corrucciata come sempre, avvertì una fitta al cuore.
— Grethe, per favore reggi questa. — Le chiese gentilmente Shane, porgendole la sacca trasparente. Lei la prese guardandola con un'espressione interrogativa, ma l'angelo bianco giudicò che fosse inutile risponderle in quel momento. Cercò la vena pulsante sul braccio sinistro del compagno tastando con le dita, e una volta trovato un punto favorevole vi conficcò l'ago collegandolo alla sacca di plasma. Con ciò si assicurava almeno il reintegro parziale del volume sanguigno, e poteva concedersi più tempo per operare sulle ferite. — Xavier, il coltello — Shane allungò la mano verso l'angelo nero e quello gli porse l'arma dalla parte del manico. Con un asciugamano, sulla quale aveva versato dell'alcol puro, disinfettò la lama del coltello. Con un nodo alla gola si ritrovò a dover rimuovere con la lama la stoffa della maglia dalla carne ustionata. Le croste nere e le filittene formatesi sulla ferita rendevano più complesso intervenire, aumentavano lo spreco di tempo, e più l'angelo bianco guardava quell'orrore più si rendeva conto che il tempo era prezioso. Posò il coltello sul pavimento una volta aver terminato di ripulire la ferita più grave, allora incaricò Xavier di immergere il braccio del ribelle nell'acqua fredda per una decina di minuti. Intanto il biondo si preoccupò della ferita al torace, meno pronunciata della precedente. Ripeté lo stesso procedimento e poi vi poggiò sopra un telo zuppo d'acqua fredda. Con il coltello tagliò la parte ancora intatta della maglietta e rimosse la stoffa consunta gettandola sul pavimento. Rivedere sul corpo del riccio tutte le vecchie ferite e cicatrici, oltre alle nuove, gli causò i brividi. Quelle cicatrici che lui stesso aveva sfiorato con le sue dita non sarebbero mai scomparse del tutto, come le cicatrici che si portava dentro d'altronde, e lui non poteva fare nulla per alleviare le sue sofferenze. Deglutì distogliendosi da quei pensieri e disinfettò qualche piccolo taglio rimasto sul petto e sull'addome. Sospirò sonoramente e guardò Xavier, chiedendogli mutamente di farsi indietro. L'altro, altrettanto silenziosamente, andò a posizionarsi accanto alla sua compagna di squadra, mentre l'angelo bianco aveva cominciato a fasciare l'ustione prima con le apposite garze e poi fissandole con le bende, prima sul braccio e dopo sul torace. Sapere che avrebbe dovuto rivedere quello scempio ogni giorno da quel momento lo scosse parecchio. Non voleva quasi che Lex si svegliasse; era molto più semplice curargli le ferite quando non poteva fissarlo coi suoi intensi occhi viola e commentare ciò che faceva, né poteva arrabbiarsi e contraddirlo, né poteva rifiutare il suo aiuto. Tuttavia, se non si fosse svegliato probabilmente Shane avrebbe finito col dare di matto per la perdita. Valeva davvero troppo quell'angelo per lui, nonostante sapeva di doversi adattare ai suoi limiti, non voleva abbandonarlo. Non voleva lasciarlo lì a morire da solo, avrebbe combattuto con lui e se ce ne fosse stato bisogno allora sarebbe morto con lui. Immaginava che non dovesse essere facile assistere con i propri occhi alla morte di una persona a cui si è voluto bene, né tanto meno sopportarla, ma voleva provarci. Lo immaginava il dolore che avrebbe dovuto contrastare se Lex fosse morto davvero, se ne rendeva conto da come si rabbuiavano gli occhi del ribelle quando parlava di morte. Shane non aveva mai visto morire nessuno, a parte qualche demone. Il massimo grado del dolore causato dalla morte a cui lui aveva avuto accesso fino a quel momento era stato vedere qualche corpo di angeli caduti in battaglia, gente che lui neppure conosceva, e che quindi più che dispiacergli un po' non gli aveva suscitato nulla di tanto tormentoso. Arrivati a quel punto ormai si augurava solo di poter avere abbastanza tempo per sistemare le cose tra loro due prima della fine.
***
Lex volgeva la testa destra e a sinistra sul cuscino agitandosi senza trovare riposo e mugugnando lamenti gravi. Sentì qualcuno avvicinarsi di corsa, avvertì istantaneamente la presenza del compagno accanto a sé. Ormai lo riconosceva a pelle.
Sapeva che fingere di lamentarsi sarebbe stato un modo efficace per attirarlo lì.
Sollevò di scatto la schiena dal divano mettendosi a sedere con uno sforzo inaudito, aveva dolore ovunque. Allungò il braccio sinistro e afferrò Shane per il colletto del maglioncino che indossava e lo costrinse ad avvicinarsi finché i loro volti non furono a pochi centimetri di distanza. Fissò il suo sguardo negli occhi azzurri e sconcertati del compagno.
— Non ti avevo detto di andartene? — Esordì il ribelle arricciando le labbra infastidito per ogni singola parola pronunciata.
— Eri in coma... Ti ho già detto che non ho intenzione di lasciarti morire. — Si difese l'angelo bianco, poggiando una mano su quella che gli stringeva la maglia, quasi lo stesse invitando a mollare la presa.
— Non ero in coma. Le ho sentite bene le tue mani addosso, insieme al fottuto coltello. Per non parlare dell'alcol che bruciava peggio dell'acido. — Rispose stizzito Lex, cercando in tutti i modi di farlo sentire in colpa. Sindre a quelle parole sgranò gli occhi, incredulo che fossero vere.
— Ma la tua ossigenazione era quasi assente... — Cercò di spiegare allontanandosi e gesticolando, impaurito quasi dall'aver sbagliato qualcosa. In fondo quello era il suo campo, come biasimarlo? Non avrebbe dovuto concedersi di sbagliare tanto facilmente.
— Non ho bisogno del tuo aiuto. Mi sarei potuto sistemare da solo, una volta sveglio. E se continui a fare deduzioni sbagliate sei inutile anche per gli altri. — Lo screditò l'angelo nero, convinto e soddisfatto di aver finalmente centrato il punto debole, ma ignaro che il vero punto debole di Shane fosse diventato lui stesso.
— Non voglio andarmene e sentirmi dire tra qualche mese che sei morto. — Gli occhi azzurri trattenevano con sforzo le lacrime.
— Suppongo succederà esattamente questo e tu puoi solo accettarlo. — Disse il ribelle. Le sue gelide iridi viola esprimevano tutta la sua determinazione. Odiava le persone surrealiste che non riuscivano a tenere i piedi per terra.
Il compagno lo fissò per secondi interminabili. — Me ne andrò... Se tu mi spiegherai il motivo per cui vuoi che me ne vada. — Concluse Shane arrivando a mettere il riccio con le spalle al muro. Cercava palesemente di farlo parlare. Voleva che demolisse le sue barriere. Non era affatto stupido quell'angelo bianco, constatò Lex sorridendo ironicamente tra sé. Era stato capace di trovare un contrappasso sul quale il ribelle avrebbe dovuto riflettere prima di decidere.
— D'accordo. — Accettò l'angelo nero dopo un po'. Non sapeva se sarebbe riuscito davvero a raccontargli la verità, né se sarebbe riuscito a inventare una scusa valida per sostenere il desiderio di mandarlo via da quella faida, ma era comunque sicuro che avrebbe trovato qualcosa di convincente. Come poteva spiegargli che non voleva morisse e basta? Shane meritava qualcosa di più che soffrire per qualcuno come lui, e i mesi che aveva sprecato in quel modo doveva poterli recuperare in futuro, per questo non era giusto morisse in quel posto, così presto.
— Sei davvero disposto a parlarmi di te pur di mandarmi via...? — Domandò il biondo incredulo, con l'ultimo briciolo di forza, gli occhi velati dal luccichio delle lacrime non versate, la voce tremante, l'espressione e la postura segnate dalla sconfitta. Evidentemente non credeva che il ribelle avrebbe accettato.
E per un momento Lex stette lì a ripensarci: valeva davvero la pena distruggere i sentimenti del compagno pur di lasciarlo vivere?
***
— Non credi siano stati davvero scortesi i nostri invitati? Si sono presentati in anticipo. I preparativi non erano ancora completati. Non credi anche tu Fenrir che le cose grandi e memorabili abbiano bisogno di tempo per poter apparire in grande stile così come io le ho immaginate?" - chiese retoricamente Desdemona con un ghigno tetro in volto mentre accarezzava la pelliccia del lupo. -"Dovremmo punirli, sei d'accordo?"
Il demone animalesco ringhiò in risposta graffiando il pavimento di pietra con i lunghi artigli. La donna sorrise.
-"Va' a chiamare Coraline." Disse al lupo con tono autoritario ma ugualmente pacato, e quello scattò uscendo dalla porta socchiusa con passo felpato e portamento elegante.
Come aveva previsto Aaron aveva parlato e li aveva condotti esattamente dove sarebbero dovuti andare, li stava aspettando.
Povero Aaron, pensò tra sé la ragazza ghignando, aveva ingannato persino lui. Tuttavia era risaputo che una bugia riesce meglio se anche chi la racconta non è al corrente della verità.
Londra si, era il luogo dove lei aveva stabilito la sua base terrena, era la metropoli che aveva scelto per dare il via al suo piano, era il territorio col più alto tasso demoniaco, ma certamente non era l'unica città assediata del pianeta, forse però era quella più circoscritta e controllata dagli abitanti del Caos.
Aveva appositamente inviato tutti i potenti del Caos in giro per il Mondo, suddivisi tra le varie più popolari comunità dei continenti. Aaron, invece, li avrebbe spediti direttamente a Londra, così come lei stessa gli aveva rivelato, e una dopo l'altra le varie città sorvegliate dai Demoni Superiori sarebbero cadute senza che nessuna sporca creatura pennuta avrebbe potuto opporsi. Il piano era perfetto, e gli angeli erano già arrivati dritti nella trappola. Fenrir aveva inviato un'Hala in ricognizione, ma questa non era più tornata, dacché lo stesso Demone Lupo era uscito dalla tana per constatare cosa fosse accaduto. La presenza angelica era stata subito catturata dai sensi dell'animale, che aveva immediatamente riportato la notizia alla sua Signora, colei che lo aveva liberato. Di fatti Fenrir le doveva la vita, non poteva sottrarsi ai suoi ordini.
Tra l'altro Desdemona poteva contare ancora sull'effetto sorpresa: gli angeli ancora non potevano essere a conoscenza della sua falsa identità, quindi lei avrebbe tranquillamente sfruttato l'aspetto della ragazza a loro nota come Lindsay per avvicinarli senza problemi, e solo a quel punto avrebbe potuto...
-"Sua Altezza desidera?" chiese una voce femminile particolarmente scaltra. Non le andava affatto a genio quella strega, sospettava non poco dei suoi modi di fare, ma aveva dovuto adattarsi poiché aveva delle strabilianti capacità illusorie.
-"Ah Coraline! Voglio che raduni tutti i Demoni Inquisitori, le Furie e i Potenti degli Elementi che si sono dispersi nei dintorni. Avrai il compito e il dovere di informarli della situazione: saranno pronti ad ogni evenienza. Aspetteremo qualche giorno, o forse qualche settimana prima di intervenire poiché preferisco che il nostro nemico si adagi." Spiegò la donna dalla pelle color pece. I suoi occhi scrutavano la bionda in modo irremovibile.
-"Capisco. Effettivamente meglio non sottovalutare mai l'avversario." Commentò l'altra sottolineando un concetto ovvio da tempo, come se parlasse soltanto per dire qualcosa che differisse dal consueto "si".
-"Non è questione di sottovalutare cara, è piuttosto questione di non sapere mai con chi si ha a che fare davvero." Sorrise la neo Sovrana del Caos, lanciando una frecciatina pungente alla sua interlocutrice.
-"Giusto, hai ragione, come sempre." Rispose semplicemente la strega tralasciando palesemente di fingere emozioni inutili. Doveva aver inteso che quel commento era diretto a lei.
-"Preparerai e guiderai il mio esercito a Londra, e con la tua magia, in qualsiasi cosa essa consista, qualunque mezzo sarai costretta ad utilizzare, ostacolerai ovviamente le azioni di quegli uccelli spiumati e troppo cresciuti."- Chiarì Desdemona sorridendo languidamente. -"Bloccate le barriere della città. Non voglio che nessun angelo o demone esca di qui, siamo abbastanza per poterli battere senza problemi ora come ora."
-"Certamente, sarà fatto." Annuì la sottoposta facendo un mezzo inchino e accennando ad uscire dalla stanza, tuttavia la voce della Regina dei Demoni risuonò cupa nella stanza di pietra, costringendola a fermarsi, quasi impietrita da quella domanda:
-"Cosa mi stai nascondendo, strega?" nella sua voce riversò immancabilmente l'odio che provava nei confronti della ragazza, quell'odio innato che provava nei confronti di chiunque.
-"Nulla, ma se ti senti in dovere di chiedermi qualcosa nello specifico fa' pure." Rispose la bionda, aveva un tono troppo sciolto perché qualcuno sospettasse di lei, eppure... qualcosa non tornava, era più tesa di ciò che appariva ad una prima occhiata superficiale.
-"Sappi solo che non mi fido affatto di te." Le riferì freddamente e con un gesto della mano la invitò ad uscire. Coraline non se lo fece ripetere e con l'espressione, ormai rilassatasi e ritornata indifferente, varcò la soglia della pesante porta di legno.
Qualcosa la tormentava, c'era un punto che non le era mai stato chiaro da quando la strega le aveva mostrato la situazione attraverso lo specchio il giorno prima. Coraline era una strega potente, era riuscita addirittura a mostrarle gli angeli che avevano già raggiunto la città, eppure ciò che le aveva reso noto la ragazza non era completamente affidabile secondo il suo istinto, e solitamente il suo istinto non sbagliava mai.
Non aveva mai riflettuto su ciò che l'altra le aveva detto il giorno prima, si era fidata e basta, non aveva ancora fatto caso alle singole parole che quell'incantatrice aveva pronunciato.
La bionda le relegò uno specchio tra le mani, tanto comune che Lindsay inizialmente l'aveva confuso con un oggetto qualsiasi senza valore. Tuttavia si era dovuta ricredere quando sul cerchio di vetro erano apparse delle presenze argentee.
-"Attraverso questo specchio posso mostrarti le anime di coloro che ti interessano. A Londra stessa ci sono tutte le anime che adesso vedrai attraverso lo specchio." Disse la strega trasferendo la sua energia allo specchio con un incantesimo muto.
Per tutto il tempo si era lasciata ingannare da quella subdola manipolatrice. Ma no, nessuno poteva ingannare la Regina delle menzogne. Il Demone sorrise tra sé, afferrò lo specchio dalla scrivania e a passo spedito si diresse verso la porta della stanza, la spalancò e uscì. Buttò un'occhiata in fondo al corridoio: la strega camminava incurante di ciò che le accadeva intorno. Lindsay torse il collo a destra e a sinistra lasciando schioccare le ossa. I lunghi capelli neri della sua forma demoniaca presero a fluttuare in aria e due ciocche consistenti si avventarono sulla ragazza bionda come fruste, allungandosi fino a lei e attorcigliandosi attorno ai suoi fragili polsi bloccandola. Coraline voltò di scatto la testa verso la donna che l'aveva intrappolata, appariva vagamente scossa. Sul viso del Demone si allargò un ghigno.
-"Perdonami per l'intervento brusco."- si scusò lei senza realmente sentirsi in colpa, semplicemente per attirare l'attenzione su di sé mentre si avvicinava alla ragazza più giovane. -"Avevo bisogno di chiarire un paio di cose con te." Continuò una volta più vicina. Le allungò lo specchio con una mano senza smettere di sorridere.
La ragazza fece una smorfia -"Liberami le mani." Pretese la strega, evidentemente i capelli l'avevano stretta un po' troppo.
Desdemona la guardò di sottecchi accigliandosi leggermente, come per ravvisarla di non provare a fare la furba. Subito dopo i capelli neri si ritirarono dai polsi della bionda lasciandola libera.
-"Dimmi, lo specchio mi ha davvero mostrato tutte le anime di coloro che sono a Londra?" domandò con risolutezza la donna. Era sicura che tutte le anime che aveva visto fossero solo guerrieri qualunque, nessuna di quelle apparse nell'oggetto magico era l'anima dell'unico angelo che Lei cercava.
-"No" ammise la strega impassibile, massaggiandosi i polsi arrossati.
-"Sei inutile anche tu, come sospettavo."- Sorrise Lindsay gettando a terra l'oggetto e mandando il vetro in frantumi. La ragazza strabuzzò gli occhi e dischiuse le labbra per la sorpresa. -"Portami Shane e il suo cane da guardia con le ali nere, se non vuoi morire anche tu."
"There's no future but an end, hopeless is always pounding deep inside my head."
- Sepulture
BELLA A TUTTI RAGAZZE/I (non penso ci siano maschi ma shalla) ECCOCI SU UN NUOVO CAPITOLO E BLA BLA BLA BLA
Oggi sono particolarmente andata perché sono iniziate le vacanze di Natale, anche se io sono distrutta post palestra. Tralasciando i miei problemi mentali e anche fisici, finalmente - anche senza telefono - sono riuscita a pubblicare *lunetta stalker*
Dal computer non posso nemmeno fare le emoji T_T
Bene, oggi mi dilungo very very little, giusto per sapere che ne pensate su qualche punto come al solito eheh
Ma Coraline, da che parte sta secondo voi? lol
E Lejla? Dovremmo credere alla sua pazzia?
Vi siete presi un infarti per Lex? hahahaha vabbè su questo punto sono stata proprio bastarda, ma ormai, si sa che quello è un maniaco suicida.
Io ormai mi sono arresa per Shane... non ne parliamo va', potrebbe avere la Sindrome di Stoccolma il poveretto. Mi preoccupa sul serio, non era mia intenzione farlo sembrare così disperato giuro, ma poi ci ho preso la mano a godere delle sue sventure lol.
Beeeene allora io levo il disturbo, se ci sono errori di battitura mi prostro e chiedo perdono, non ricontrollo mai i capitoli (sono troppo lunghi lol) mannaggia la barbabietola :3
Se avete dubbi, domande, robe da dirmi, o se volete semplicemente darmi della malata mentale io ci sono *alza la manina*
Al prossimo aggiornamento!
- Emily
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