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2 • LA FORTEZZA NERA

"Mi dicevi non cambi, in fondo siamo distanti, in fondo al mondo chi cambia la dà vinta a questi bastardi"


Lex si guardò intorno sconfortato, il fuoco portato dal meteorite si stava propagando per tutta l'area nei dintorni. L'angelo nero sapeva bene che gli incendi fossero molto frequenti e che gli alberi ormai vi si erano adattati, ma, nonostante ciò, gli si stringeva il cuore nel veder bruciare anche solo una fogliolina che non era in grado di sopravvivere in quell'ambiente ostile. Si rivedeva così maledettamente in ogni albero che gli stava intorno: loro, come lui, erano costretti a cambiare per adattarsi al mondo in cui vivevano... Le foglie, però, al contrario di Lex non potevano cambiare, restavano così condannate a bruciare, perché "disadattate". Quel pensiero lo riportò coi piedi per terra e si rese conto che aveva già speso troppo tempo a riflettere per i suoi gusti.

Pioveva. Le gocce d'acqua gli ricadevano sui lunghi capelli e sul viso, scendevano lungo le guance fino agli angoli della bocca. Si incamminò a passi lenti verso la Fortezza, dove lo attendevano spiegazioni di cui lui non voleva ascoltare neppure un accenno. Il bosco che Lex stava attraversando racchiudeva i segreti più oscuri della magia; era sempre stato il suo luogo preferito, spesso soleva sdraiarsi sul prato incolto per volgere lo sguardo allo scorcio di cielo buio, incorniciato dagli altissimi cipressi.

Gli ci volle ancora una mezz'ora, poi raggiunse finalmente l'immenso dirupo che precedeva la Fortezza. Non si soffermò ancora per molto, se non per prendere una boccata d'aria; non era felice di dover respirare l'aria di quel Palazzo. L'edificio era esattamente come lo ricordava: la Fortezza era costruita interamente in ossidiana, una pietra lavica usata per la sua straordinaria resistenza, levigata fino a sembrare diamante, appuntita e affilata più di qualsiasi arma di metallo. Era stata proprio l'ossidiana a difenderla dagli attacchi dei demoni, ma anche e soprattutto il fedele esercito dei ribelli. I tratti dell'edificio erano semplici ed essenziali, senza alcuna decorazione, e richiamavano perfettamente lo stile minimale, austero e raffinato della Sovrana che ospitava. La Fortezza, così scura, in perfetto contrasto con i toni rossicci dell'ambiente circostante, contemporaneamente affascinava e incuteva timore a chi la osservava.

Con le ali mezze fradicie, l'angelo nero si alzò in volo verso l'ammasso di pietra davanti a lui, superando il crepaccio. La tempesta si faceva sempre più violenta; volare in mezzo a quella raffica di vento che stava creando un uragano sarebbe stato difficile per la maggior parte degli angeli, ma lui non era uno qualunque. Si appoggiò sulle grandi scalinate all'entrata e si guardò indietro: la tromba d'aria alle sue spalle non era nulla di preoccupante, cataclismi simili erano frequenti nei Mondi Inferiori.

Lo scenario che gli si prospettava davanti, invece, era tutt'altro che accogliente, anzi, la sagoma squadrata e severa dell'impenetrabile palazzo di ossidiana lo incupiva. Lex aprì il pesante portone d'oro nero che dava sulla sala centrale e si incamminò sul lungo tappeto rosso che conduceva al trono della Regina, di fronte all'entrata. Notò che dinanzi al piedistallo c'erano altri tre angeli inginocchiati, lui si avvicinò con estrema calma e, arrivato davanti alla Regina, squadrò gli altri tre angeli. Erano suoi compagni di battaglia, li conosceva fin da piccolo, ma il corvino in quel momento non era dell'umore giusto per una rimpatriata. Quella era una particolare "giornata no" e anche rivedere vecchi amici si dimostrava essere una seccatura.

— Allora? — chiese in tono alquanto arrogante guardando prima gli angeli, poi la Regina, con una smorfia di profondo disgusto. Incrociò le braccia al petto e iniziò a battere nervosamente la suola della scarpa contro il pavimento di marmo freddo.

— Lex ti consiglio di placare i tuoi spiriti bollenti. — intervenne immediatamente Trine con voce calma e paziente, nel tentativo di allontanare da sé il nervosismo e tutti i sentimenti negativi, seppure il ribelle sapeva che in realtà la paura che qualcosa andasse storto era sempre viva e pulsante nei pensieri della donna. Nonostante ciò, riusciva a mantenere quell'irritante sorrisetto mellifluo e accondiscendente... un sorriso che l'angelo nero le avrebbe volentieri strappato dalla faccia. Cominciò così uno strano ed estenuante gioco di sguardi tra i due, come una vera e propria battaglia. Fu Lex poi a interromperlo sbuffando, allora la Regina posò il suo sguardo su ognuno dei quattro angeli davanti a sé, dei quali tre erano ancora inginocchiati al suo cospetto.

— Alzatevi pure, miei fedeli sudditi. — esclamò la Sovrana, poi ella stessa discese i nove gradini che innalzavano il suo trono dal livello del pavimento e si fermò dinanzi ai quattro prescelti.

— Posso notare con piacere che non ha perso la mobilità alle gambe stando sempre seduta comodamente col culo su quella poltrona. Quindi, dato che ha trovato la forza di alzarsi presuppongo che abbia deciso finalmente di venire in contro ai suoi doveri e ai nostri problemi, magari. — la istigò il moro, per nulla contento di essere stato didturbato ancora una volta per l'ennesimo annuncio di una guerra. La Regina aveva sempre ottenuto il supporto della famiglia Vuursterren e Lex non poteva tirarsi indietro, ne era consapevole. Tuttavia, dover stare sempre in prima linea per eseguire gli ordini di quella donna lo infastidiva. Lei, dal canto suo, roteò gli occhi nel sentire quell'accusa e non fece altro che ignorarlo, guardando gli altri tre. Il serafino, però, sapeva di aver ragione: il trono della Regina era unico nella sua ideazione e progettazione ed era un manufatto da cui lei non si staccava facilmente. La seduta era stata ricavata da un enorme rubino rosso e non presentava alcuna decorazione, a parte il cuscino e lo schienale in pelle di chissà quale demone, tuttavia la gemma di cui era composto bastava già da sé a conferirgli un'aria alquanto sfarzosa. Inoltre, a completare l'opera, c'erano i due draghi serpeggianti che contornavano lo schienale e si incrociavano sulla sommità, formando così la stessa incisione delle rune che avevano gli angeli neri sul petto. Quella maestosità era simbolo di nobiltà, significava "io sono qui per regnare e il vostro dovere è proteggere questo posto, a costo di pagare con la morte". Il serafino scosse la testa con sdegno, poi riportò l'attenzione sulla donna.

— Xavier, Lillian, Viktor e... Lex — Nominò la Regina esitando quando pronunciò l'ultimo nome e lanciò un'occhiata al ribelle in questione, il quale prontamente sorrise beffardo, conscio che il non aver ottenuto risposta alla sua provocazione precedente significava che avesse colto nel segno. — Il viaggio che affronterete sarà ricco di insidie, per questo vi ho convocati qui per pregarvi di restare uniti. — continuò Trine, ma alle sue parole una risata soffocata riecheggiò nella sala. Lex non poteva credere alle sue orecchie. Prese un respiro profondo cercando di riacquistare un minimo di serietà, poi incrociò le braccia al petto.

— Oh andiamo, questa battuta era proprio squallida. — intervenne il moro con un'altra risata, questa volta più realistica. — La nostra Signora ha convocato Qui, Quo, Qua e si aspetta che torniamo tutti interi. Ah, in tutta onestà mi aspettavo di meglio da lei mia somma e potente Sovrana, ma forse siamo a corto di angeli perché ha mandato tutti i generali a morire al confine? — continuò il ribelle. La Sovrana sospirò mettendo da parte l'ennesima scoccata di freccia, mentre gli altri tre angeli a quel punto gli rivolsero uno sguardo arcigno che chiedeva mutamento al giovane di zittirsi. Tutti loro erano abituati ai commenti di Lex, sapevano ignorarli e, ormai, non si offendevano nemmeno più. In ogni caso non era difficile capire perché il moro avesse detto una cosa del genere. Difatti poco c'entravano i tre angeli, lui non aveva fatto altro che ricambiare il loro sguardo con un pizzico di acidità in più, per poi tornare a inchiodare la Regina, con occhi pieni di disappunto. Non approvava per nessuna ragione la scelta che aveva preso, gli pareva estremamente azzardata. Preferiva morire da solo in battaglia che fidarsi dei pennuti dalle ali bianche. Per quel motivo iniziò a pensare a qualche altra cosa per far scalfire la corazza della Sovrana e tentare in qualche modo di far vacillare quella decisione così stupida. Era assurdo che avesse davvero intenzione di spedirli nel Mondo Superiore come se fossero esche di chi sa quale complotto.

Trine camminava inquieta in uno spazio ristretto della sala, intanto, portandosi le mani dietro la schiena. — Dovete credermi, non avevo altra scelta ragazzi. Siete abbastanza giovani e svegli da poter provare a collaborare con i serafini bianchi. I generali d'esercito più esperti sono reduci di guerre contro Asgard e non riuscirebbero mai a mettere da parte il rancore contro di loro. Inoltre, non posso privare l'esercito degli esponenti più importanti, altrimenti rischieremmo di avere troppe perdite. — annunciò con tono pacato e intristito, rispondendo indirettamente all'accusa che aveva ricevuto precedentemente dal moro. Lex, però, non si smosse. Non era un ragazzo facile da convincere. Avrebbe preferito di gran lunga che la Regina gli servisse il problema reale su un piatto d'argento e lui avrebbe sicuramente trovato una soluzione migliore. O almeno, una soluzione che gli sarebbe andata più a genio di quell'idiozia campata in aria.

— Non è possibile. Se hai intenzione di mandare noi quattro in battaglia allora che senso ha chiedere aiuto a quella sottospecie di divinità fallite? Possiamo benissimo sbrigarcela da soli, conosci le potenzialità di ciascuno di noi. Non abbiamo bisogno di pennuti senza cervello. Non sarebbero buoni nemmeno a fare da esca per i demoni, scapperebbero a gambe levate perché hanno paura anche della loro ombra. — protestò Lex gesticolando e alzando il tono di voce. Le sue parole rimbombarono nell'enorme ambiente che li circondava. La sala era immensa nel suo limite, enormi arazzi pendevano dal soffitto lungo le mura, i finestroni di vetro colorato conferivano una luce fioca e rossastra all'ambiente, il pavimento era di marmo nero con venature bianche e grigie, un tappeto rosso collegava l'entrata con il trono, mentre ai lati della sala si intravedevano porte di legno che probabilmente si aprivano su larghi corridoi che ospitavano a loro volta altre porte. Il tutto regalava una eco non indifferente alle lamentele del corvino.

La Regina, tuttavia, non lo ascoltò. Lex stava decisamente perdendo le staffe, insultando malamente gli stessi angeli bianchi che avevano ucciso molti dei loro nelle battaglie delle Terre di Mezzo. Lei accennò un gesto nei suoi riguardi, atto a fargli capire di dover tacere e lui stette in silenzio per la prima volta, riducendosi a pensare a tutt'altro rispetto a ciò per cui aveva strillato fino a cinque secondi prima. — 'Sta notte il mio fedele messaggero vi condurrà ad Asgard, dove conoscerete i corrispondenti angeli con cui dovrete collaborare per tutta la durata della missione. — Informò la donna. I serafini si guardarono tra di loro: Lex era ancora più infuriato adesso, i suoi occhi brillavano di ira e collera. Guardò i compagni e con disprezzo notò che nei loro occhi non riconosceva tutto l'odio che sentiva dentro di sé. Sembravano fin troppo sereni come se la notizia non li avesse toccati minimamente. Erano abituati a chinare la testa dinanzi al potere, cosa che il moro non era capace di fare invece. Xavier, tra tutti, pareva essere completamente estraneo alla vicenda. In fondo lui era sempre stato così, aveva un carattere che Lex invidiava fin troppo: un'innata spensieratezza che gli consentiva di accettare tutto così come gli si presentava, senza pretendere nulla. Era un angelo fuori dal comune a tutti gli effetti, coi suoi capelli scuri tendenti al blu, troppo magro rispetto alla media e, soprattutto, troppo calmo. L'esatto contrario di Lex, il quale invece si stava trattenendo dal puntare un'arma contro la Regina. Lo infastidiva il fatto di essere l'unico a volersi ribellare. Probabilmente era quello che più di tutti aveva un motivo per portare rancore verso gli angeli bianchi tra loro, ma non si aspettava che gli altri tre fossero così tranquilli riguardo quella missione. Anche l'altra ragazza tra gli angeli convocati non era da meno: il suo sguardo era fermo e obbediente, gli occhi neri con perenni sfumature rosse non sembravano per nulla agitati, soltanto ferocemente determinati. Lillian era quella con cui Lex andava più d'accordo tra i tre e il fatto che nemmeno lei in quel momento fosse dalla sua parte lo destabilizzò. L'unico che dava vaghi segni di preoccupazione era Viktor. Lex l'aveva notato perché gli occhi color ambra del compagno avevano assunto sfumature opache assai evidenti e le iridi si erano rimpicciolite in modo innaturale, lasciando spazio alle pupille buie.

La Sovrana, però, a quanto pareva, non si preoccupò minimamente delle loro emozioni, infatti proseguì: — Le poche cose che non erano esplicate nella pergamena che avete ricevuto, restano ad ora il fatto che fino a tempo indeterminato alloggerete nel Palazzo di Asgard, ma questo penso lo abbiate dedotto da soli. Riceverete nuove direttive a tempo debito. Entrambi i regni proseguiranno ricerche e spedizioni verso i confini del Caos, per ottenere informazioni riguardo i motivi degli squilibri. Voi sarete i paladini della missione. Siete abili combattenti e porterete avanti le spedizioni quando sarà necessario il vostro intervento. Io vi raggiungerò ad Asgard il prima possibile. Inoltre, so che non siete personalità da cerimonia, ma non ho potuto dissuadere il Re dall'organizzare un Gala in vostro onore nella Cittadella Celeste. Si terrà qualche sera dopo il vostro arrivo e sarà un modo per accogliervi ufficialmente come parte integrante della comunità. Vi prego di ambire a lasciare una bella impressione di voi alla corte degli angeli bianchi, in modo da rendervi meno complicato il soggiorno. — terminò il discorso guardando l'angelo nero che era arrivato per ultimo. Se c'era una cosa che Lex odiava fare più di tutto era mettersi in tiro per le feste... Odiava tutta la preparazione che occorreva per partecipare a eventi del genere e al solo pensiero il desiderio di uccidere quella donna aveva raggiunto il suo apice. Eppure, sentiva di non potersi tirare indietro; non avendo nessuno dalla sua parte non aveva senso continuare ad insistere, avrebbe finito col sembrare intimorito dalla situazione e quello non poteva sopportarlo poiché non gli apparteneva affatto. Del resto, se c'era qualcosa di positivo in tutto ciò, era il fatto che quella sarebbe potuta essere la giusta occasione per morire da eroe.

Dopo qualche istante di silenzio la Regina si avvicinò a loro e conseguì una sorta di benedizione. Giunto il turno di Lex, però, lui si ritrasse facendo un passo indietro e rifiutando spudoratamente la premura della Sovrana.
— Non mi serve la tua benedizione, non serve a nessuno dei tuoi sudditi. Dovresti solo cercare di far funzionare il cervello striminzito che ti ritrovi e tirarti fuori dai guai, senza fare sempre affidamento sugli altri. — disse con tono sfacciato e carico di delusione. Le sue parole sembravano essere andate a segno dall'espressione di rammarico che comparve sul viso di Trine, allora lui si allontanò dagli altri e si mise in disparte in un angolo della sala vicino alla porta d'ingresso. Restò in silenzio per tutto il resto del loro colloquio, ascoltando senza intervenire le istruzione della donna, la quale si era definitivamente guadagnata tutto lo sdegno dell'angelo.

— Potete andare tutti a preparare le vostre cose. Quando la stella maggiore raggiungerà l'arco dei nove Mondi raggiungerete il cortile della Fortezza . — annunciò la Regina. A quelle parole Lex si mosse subito dalla sua postazione e andò verso il portone, ma quando fece per uscire la voce della Sovrana rimbombò nella sala semivuota, ormai illuminata solo dalla luce dell'enorme lampadario: — Non tu Lex, ti chiedo la cortesia di soffermarti ancora qualche minuto. —

L'angelo nero imprecò tra sé, alzando le mani al cielo, poi si girò di nuovo verso la Regina, la quale si era nuovamente alzata dal trono. Il portone d'oro massiccio cigolò e subito dopo si chiuse con un tonfo, segno che gli altri tre angeli erano finalmente usciti dalla Fortezza.

— Cosa diavolo desidera ancora sua eccellenza? — sbraitò il moro, in modo per nulla educato, terminando la frase con una risata nervosa e incrociando di nuovo le braccia al petto.

La Sovrana esasperata alzò lo sguardo cercando di scrollarsi di dosso la rabbia che le provocava quel ragazzo, che, pur essendo così arrogante, le era più vicino di quanto lui non sapesse.
— Lex. — esordì lei, dirigendosi verso il serafino. — Vedrai che tutto passerà in fretta se lavorerete uniti. Devi farlo per il tuo popolo, per i tuoi amici. — continuò lei, con il tono più calmo possibile. C'era una strana nota rauca nella sua voce, come rimorso o rimpianto, qualcosa che il ribelle non riuscì a interpretare.

— Sua eccellenza sta omettendo un particolare... — rispose il corvino sembrando calmo anche lui per la prima volta da quando aveva messo piede in quel luogo. Abbassò per qualche istante la testa, poi sorrise risollevandola — Al sottoscritto non importa niente del popolo di sua maestà, né dei poveri scemi che sta mandando a uccidersi insieme a me. Preferirei evitare di interessarmi ad altri esseri viventi dal momento che non c'è mai stato qualcuno che si sia sinceramente interessato a me. — Un leggero riflesso di rosso si impossessò dei suoi occhi, i quali in quell'istante esprimevano tutto il dolore, il disprezzo e la sofferenza che lo aveva accompagnato fino a quel momento e che sempre lo avrebbe accompagnato. Gli estranei non avevano fatto altro che abusare della sua sincerità o deriderlo perché solo. I suoi simili avevano distrutto la sua personalità facendolo sentire diverso, gli stessi che lo avevano condannato al suo disagio interiore, che lo avevano pugnalato dritto al cuore. E quel pugnale era ancora lì, dove giorno dopo giorno continuava a perforare il suo cuore colmo di lacrime, provocando ferite sempre più profonde. Non aveva niente da restituire ai suoi simili. Probabilmente avrebbe avuto l'eternità per chiudere le proprie ferite, ma la cosa che suscitava il suo rancore era la consapevolezza che avrebbe costantemente sofferto il dolore di quelle cicatrici che non sarebbero scomparse mai. A vederlo in quello stato la Regina avvertì un certo senso di colpa, lo prese per la mano e lui stranamente non si oppose avvertendo nel suo tocco qualcosa di familiare.

Trine alzò la mano e schioccò le dita. Pochi secondi dopo una pergamena ingiallita le finì tra le mani e la porse con delicatezza all'angelo: —Questa avrei dovuto consgnartela tempo fa ma non ne ho avuto il coraggio, quando pensi di essere pronto, leggila. Contiene delle verità sul tuo passato. Ti prego di riflettere bene sul momento in cui deciderai di aprirla, prenditi tutto il tempo necessario poiché la verità potrebbe influenzare il tuo umore durante la missione. Ormai sei adulto e capace di scegliere da te. Sarai consapevole che scoprire la verità significa anche compromettere tutto ciò che è stato parte della tua vita fino ad ora. -
Coraggio? Davvero la verità gli era stata tenuta nascosta per questione di mancato coraggio?
Lex si concesse una smorfia ma inspiegabilmente non protestò, non disse niente, si era ridotto a pensare solo a come si fosse sempre sentito abbandonato e a come continuasse ad esserlo, a come avesse preso ad allontanare tutti senza ritegno per il suo non sentirsi meritevole di amore. Se in quella pergamena ci fosse stato qualcosa che spiegasse la sua solitudine allora doveva leggerla. Trine aveva colpito dritto il punto. Si ripromise allora di aprirla solo quando se la sarebbe sentita davvero. Come vuoi tu vecchia, pensò tra sé sospirando. Poi la guardò per un attimo, prima di allontanarsi da lei e avviarsi verso il portone d'entrata.

— Aspetta Lex, c'è ancora una cosa. — lo informò la Regina raggiungendolo. — Io ho percepito un cambiamento nel tuo futuro. —

A quelle parole l'angelo rabbrividì, poi subito dopo si riprese e cominciò a fissare il vuoto. Che significava? Uno come lui poteva uno come lui cambiare di nuovo? Sarebbe cambiato in meglio o in peggio? Lex non riusciva ad immaginare un futuro diverso, la sua mente non lo accettava, non accettava neanche il solo pensiero di qualcosa del genere. Così fece finta di nulla, ignorò bellamente la donna e le diede le spalle. Non poteva pretendere che lui le desse retta per così tanto, lui non dava mai retta a nessuno. Eppure la Regina insistette: — Non scappare Lex, c'è ancora una cosa che devi vedere. — gli comunicò in modo alquanto solenne, facendo capire al giovane di non potersi ritrarre. Lo scortò in una seconda sala, di fronte ad un enorme specchio. Quel dettaglio incuriosì il corvino, il quale a quel punto perse la voglia di fuggire da quell'edificio e dovette accettare di assecondare Trine per una volta. — Chiudi gli occhi, conta fino a tre. Poi riaprili e fa' attenzione a cosa vedi, è una profezia che posso mostrarti una sola volta. —

Lex per la prima volta non obiettò. Aveva sempre avuto rimpianti verso il suo passato, se il destino aveva qualcosa in serbo per lui nel futuro di certo non si sarebbe tirato indietro, tuttavia sarebbe stato un vantaggio poter guardare uno scorcio dell'avvenire. Fece ciò che gli era stato suggerito e in pochi secondi venne catapultato in un mondo che era consapevole non esistesse realmente. Riuscì a distinguere vaghe immagini, ma soprattutto sensazioni nuove, completamente distanti dal suo modo di agire e tanta, infinita, titubanza: sangue, ombre, lividi, cicatrici. Il suono di un respiro affannato in sottofondo. Stralci di immagini scorrevano in frazioni di secondo, come la pellicola rovinata di un film. E lui, allora, rimase fermo a un bivio. Due strade buie si aprivano dinanzi ai suoi occhi, e così come erano comparse, in un lampo fulmineo, scomparvero. Il fuoco dell'Hel, il vento arido dei Mondi di Mezzo e la neve della Cittadella Celeste si miscelavano in un turbinio di tempi. Il cuore pulsava nel petto accelerando in modo anomalo. In quei pochi attimi Lex aveva provato le emozioni di una vita intera e quando sbatté nuovamente le palpebre tutto quello che aveva visto era scomparso nel nulla. La sua mente provata sembrava avesse rimosso già tutto, pareva avesse istantaneamente dimenticato o archiviato ciò a cui aveva assistito in una parte irraggiungibile della sua memoria. Possibile? Cosa significava? Non riusciva a crederci... Non voleva crederci... Credere a cosa? Non se lo ricordava più.


"Sono cambiato tanto perché in tempi cupi, un cane abbandonato impara a crescere dai lupi."



‡◻‡ SPAZIO AUTRICE ‡◻‡

Ciao ragazze/i, come promesso ho pubblicato il secondo capitolo,anche se con un leggero ritardo (scusatemi!).

Qui avete compreso più o meno com'è fatto Lex, il suo carattere, i suoi pensieri... Per il prossimo capitolo ci saranno delle new entry

Inoltre, ci tengo a informarvi che i primi 3 capitoli saranno piuttosto "brevi" rispetto ai seguenti. In teoria nella versione finale questi tre capitoli sono uniti in un'unica parte, per cui dopo vi attenderanno capitoli più corposi e completi. Spero non sia troppo sconvolgente per voi!

Grazie a tutte/i per l'attenzione, buone vacanze e buon anno nuovo!

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