13 ~ SOTTO IPNOSI INTERIORE ~
"Innamorato del dolore, l'ho inseguito in ogni dove, mi ha promesso protezione, poi mi ha tradito e rapito il cuore."
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- Va bene... - affermò Grethe, quasi convinta, cercando di placare gli interminabili battibecchi tra Ingrid e Alexander.
- No! Non va bene! - esclamò improvvisamente la rossa, alzandosi e smettendo per un attimo di urlare contro il povero angelo bianco che cercava di farla ragionare con calma, sebbene Alexander la calma l'avesse persa da un pezzo.
- No, hai ragione, non va bene, ma taci per un istante. - la zittì Grethe. Agli occhi di Lex sembrava sempre la più propensa al rischio tra i quattro angeli bianchi. Ovviamente, sorvolando su Shane che si faceva coinvolgere soltanto a causa di Lex. - Allora... Ammesso che il Demone non ci incenerisca tutti appena si presenterà, non credete che vorrà qualcosa in cambio? - Domandò Grethe, un po' esasperata dallo stress della situazione. Lex non ci aveva pensato sul serio a quell'eventualità. Era stato così preso dal voler trovare una soluzione per salvare la vita di Lillian che non si era soffermato sulle conseguenze. Sindre lo aveva convinto a parlare della sua idea anche con gli altri, perché evocare un Demone Superiore in tre non sarebbe stata davvero una gran bella mossa. In occasioni del genere se si era di più, c'erano più possibilità di riuscire. E neppure se si fosse aggiunto Sindre stesso avrebbero potuto definirsi "al sicuro". D'altronde, Sindre era già convinto di accodarsi all'impresa. Qualche ora più tardi anche Grethe aveva ceduto e a breve si sarebbe convinto anche Alexander. Mancava all'appello Ingrid, ma per qualche ragione sembrava a dir poco irremovibile. La rossa aveva sempre rinnegato la fraternizzazione tra le schiere angeliche, pareva non volesse andare d'accordo con nessun ribelle del gruppo e, in realtà, non andava per niente d'accordo nemmeno con i suoi "amici". Era sempre restìa a stare in compagnia e non voleva saperne niente delle loro missioni... Lex sentì un alito di vento accarezzargli la pelle scoperta del collo e i capelli ricci, proveniente dalla finestra spalancata; l'aveva appena aperta Sindre, che ora stava tornando accanto al ribelle. Era quasi l'alba. Non si era accorto di quanto velocemente si stesse facendo mattina, e si rendeva svogliatamente conto che dovevano sbrigarsi, dacché l'orario più propizio per evocare un demone era sempre durante il sorgere del sole, poiché all'alba li si riusciva a trattenere per più tempo ed il loro potere era molto limitato. Il rischio era comunque molto elevato, ma era proprio quello il privilegio di essere in tanti ad evocare un demone: se Lui avesse avuto voglia di farli fuori, mentre era impegnato con uno di loro gli altri potevano bloccarlo e chiudere il cerchio rispedendolo nell'Oltre Caos. Nella maggior parte dei casi, la richiesta non veniva accettata e il demone si divertiva incenerendo i suoi evocatori. Tuttavia, molto spesso si limitavano a uccidere solo coloro che si erano permessi di proferire parola, e in tal caso si sarebbe sacrificato Lex, poiché lui era l'unico ad avere maggiori possibilità di entrare nelle grazie di un essere del genere, dato che la sua esperienza e innata bravura nell'arte della manipolazione lo aiutavano molto. Non era per niente facile guadagnarsi l'interesse del Demone, né tantomeno la sua approvazione, ma fortunatamente il cerchio di rune in cui era imprigionato l'essere durante tutto il rituale serviva da protezione per un tempo debito a cercare di accattivarsi la creatura come meglio si poteva, con tutti i mezzi a disposizione. Al contrario, erano davvero pochissime le probabilità in cui il Demone avrebbe scelto di aiutarli. In tal caso c'era da prendere seriamente in considerazione ciò che aveva sottolineato Grethe: ci sarebbe stato sicuramente un riscatto da pagare.
- Forse, ma ora è tardi, dobbiamo darci una mossa. - la liquidò Lex, e lei annuì semplicemente andando poi verso Alexander e cominciando a discutere sottovoce con lui. - O avremo ancora meno possibilità di... uscirne vivi. - borbottò Lex a bassa voce, ma nessuno lo sentì, tranne forse Sindre che gli stava accanto, come se potesse fargli da sostegno morale. Il ribelle riuscì a capire che i due angeli bianchi parlavano di Ingrid, aveva sentito il suo nome più volte nella conversazione, ma non capiva molto, anche a causa della scarsa concentrazione che vi stava prestando. Tutta la sua persona era concentrata solo su ciò che stava per succedere e... anche su... Sindre?
L'angelo bianco gli aveva preso la mano, accarezzandola con il pollice: - Sei sicuro di volerlo fare? - domandò in un sussurro. Aveva compiuto quel gesto in modo così naturale che il corvino aggrottò le sopracciglia per la sorpresa. Le guance del più basso assunsero un colore roseo dall'imbarazzo. Lex allora, sentendosi provato da quella reazione, si sentì in dovere di mettere ancora più a disagio il minore avvicinandosi e poggiandogli la mano libera sulla guancia. I loro occhi che si incrociavano, le loro labbra che in quel momento parevano bramarsi a vicenda, per qualche motivo. Lex non aveva ancora compreso cosa lo attraesse del biondo e sicuramente non aveva ancora dato il giusto spessore a ciò che provava nei suoi confronti. Quel misto di emozioni che passava dal puro sdegno al desiderio di proteggerlo, dall'irritazione per le loro profonde differenze alla serenità Il ribelle provava ogni volta che Sindre provava a tranquillizzarlo, o anche solo quando lo guardava con quegli occhi che parevano pronti a provare a capirlo e ad accogliere qualsiasi cosa dolce o amara che fosse. Eppure, in fin dei conti, Sindre non sarebbe mai riuscito a capirlo. Ciononostante, il fatto che nelle sue vene stesse crescendo l'adrenalina per la pericolosa situazione che stavano per affrontare aveva portato Lex in uno stato ansioso. Quella vicinanza gli faceva male perché sentiva il bisogno di annullare quella distanza tra loro, come se quella potesse essere l'ultima volta in cui ne avrebbe avuta la possibilità. I loro respiri all'unisono davano un ritmo costante al loro ininterrotto gioco di sguardi. Tuttavia non bastavano gli sguardi, né le parole, voleva di più, ma sapeva bene di non poterselo permettere. Una valanga di pensieri gli attraversarono la mente e voci sconosciute e contrastanti affollarono i suoi pensieri zittendo il suo subconscio: "Ora o mai più.", "Non devi perdere tempo con uno così.", "Non puoi farlo.", "Potresti morire fra qualche minuto, questa è la tua ultima opportunità di essere felice per un istante. Fallo.", "Smettila di farti prendere dall'atmosfera, lui non fa per te.", "Te ne pentirai.", "Staccati!", "Ascolta il cuore." Tra tutte le voci non sapeva a chi dare ragione, ma quelle ultime tre parole lo colpirono dritto nell'anima, gli rimbombavano irrimediabilmente tra le pareti del cervello e lo costringevano a prestargli attenzione: Ascolta il cuore, ascolta il cuore, ascolta il cuore...
- Non lo sento più... - sussurrò Lex senza accorgersene.
- Cosa? - chiese Shane guardandolo curioso con occhi lucidi e tristi, solo allora il ribelle si rese conto con rammarico di aver parlato ad alta voce. Cosa avrebbe potuto rispondere? - Il cuore. Non lo sento più... Non so più cosa sento... - ammise, gli strinse le mani e si allontanò da lui. Si voltò verso la finestra e non ebbe più il coraggio di guardare il compagno negli occhi, e nemmeno di voltarsi verso di lui. La luce del sole iniziava a fare breccia nell'oscurità della notte, e Lex avrebbe tanto voluto che un raggio d'amore facesse breccia nell'oscurità del suo cuore spezzato in quel momento.
- Dovremmo iniziare. - disse Alexander, dopo svariati minuti di assoluto silenzio. Lex si voltò e annuì, evitando di guardarsi intorno per non incontrare il suo compagno, sebbene una buona parte della sua coscienza gli stesse dicendo di girarsi e cercarlo. Forse quel giorno Lex sarebbe tornato finalmente a riabbracciare Christoph lasciando tutti loro a terminare la loro missione, e lui aveva scelto di rischiare senza pentirsene. Dopo aver rifiutato l'ennesima volta i suoi sentimenti per Shane non valeva più la pena di pentirsi della sua scelta.
Lex si avviò verso il centro della grande sala dove si trovavano: era un salone vuoto nel retro dell'accampamento, in una sorta di magazzino completamente vuoto, con le pareti imbiancate e del semplice cemento levigato come pavimento. Prese il suo stilo e si accovacciò a terra iniziando a disegnare tutte le rune necessarie all'evocazione del Demone, disponendole in modo da formare un cerchio. Sapeva che gli altri lo stavano guardando, forse perché non avevano mai visto evocare un demone, forse perché erano semplicemente curiosi o impauriti, ma c'era uno sguardo, un unico sguardo, che pesava come un macigno su di sé. Era quello sguardo candido e indecifrabile di due occhi azzurri che il ribelle non aveva più il coraggio di guardare. Occhi che gli sarebbero mancati per sempre.
Dopo altri minuti preziosi era tutto pronto, il ribelle si posizionò davanti al cerchio e tutti gli altri gli si avvicinarono posizionandosi a semicerchio: Grethe, Sindre e Xavier alla sua destra; Alexander e Viktor alla sua destra. Dunque Lex aprì il libro sui demoni che aveva trovato in biblioteca e cercò la pagina in cui aveva scarabocchiato le formule. Una volta trovata iniziò a recitare solennemente frasi di adulazione e prostrazione in Latino, l'unica lingua che sapessero usare per comunicare coi Demoni Superiori. La sua voce riecheggiava nella sala vuota, mentre sul pavimento all'interno del cerchio cominciavano a formarsi chiazze color rosso scuro: sangue, premonizione che il cerchio stava per aprirsi. Lex continuò freneticamente la sua lettura contemplativa distogliendo di tanto in tanto lo sguardo dal foglio per ammirare il cerchio di rune sempre più cupo, dal quale iniziavano ad innalzarsi piccoli sbuffi di fumo. Tutti gli sguardi erano puntati a terra, a scrutare l'abisso vuoto e buio che si stava aprendo nel pavimento all'interno del cerchio, inghiottendo tutto il sangue che si era sparso in precedenza sul cemento. Lex terminò l'ultima frase, era giunto il momento di chiamarLo.
- Daemon cum magnā virtute praeditus, in voluptate atque luxuriā imperium habens, invocationi nostrae respondē. Divinam poenam nobis vitā et animo nostro aliquem premium affice nostrum postulatum exaudiens. Nostram Precem audī et ab frigi Infernarum nos abstinē tuā maximā facultati. - proclamò il ribelle in latino, esalò un ultimo profondo respiro. - Bahbel ego te evoco, inter nos ascende. - invocò, e istantaneamente una colonna di fumo scuro e denso si innalzò al centro del cerchio, facendo chiudere la voragine sotto di essa. Una folata di vento gelido percorse la stanza e dalla colonna si scolpì una figura apparentemente umana: alta circa 1,90 m., fisico asciutto, capelli mori corti e mossi, pelle scura, zigomi alti e mascella squadrata. Le uniche cose che lo contraddistinguevano erano le orecchie leggermente appuntite e la sclera e le iridi e le pupille che si mischiavano in un unico blocco nero come la pece. Indossava una semplice camicia bianca e un pantalone nero.
- Buongiorno a voi, mie dolcissime creature alate. - sibilò il nuovo arrivato incrociando le braccia al petto e mettendo in mostra i suoi perfetti denti aguzzi in un sorriso disumano. La malvagità trasudava in ogni suo movimento.
- Buongiorno a te, suppongo. - rispose a tono Lex facendo uno dei suoi soliti ghigni di sfida per attirare l'attenzione del demone su di sé.
- Oh... Quindi sei tu che mi hai evocato tesorino, ecco il perché la tua voce mi risultava familiare. - esclamò il demone contento, fissando il suo sguardo sul ribelle. - Non è la prima volta che ci vediamo, no? Dimmi, ti sono mancato? - domandò divertito alzando l'angolo delle labbra.
- Nient'affatto, ti ho chiamato perché ho qualcosa di tuo e voglio proporti uno scambio. -
- Ehi ehi ehi! Frena ! - lo richiamò Lui - Facciamo le cose con calma. Helleseele o Zwartligt?... Oh no scusa, sei un Vuursterren giusto? -
- Già. - rispose Lex mantenendo la calma, d'altronde sapeva che Bahbel avrebbe cercato di prendersi del tempo.
- Sei tu che mi hai rispedito Laggiù la scorsa volta? - chiese ancora alzando le sopracciglia, sembrava confuso, ma probabilmente stava solo facendo scena.
- Si, ti ho fatto un bel favore altrimenti ci avresti lasciato le penne. - sorrise il ribelle fingendosi divertito. - Ma adesso ho bisogno che mi ricambi il favore. -
- Sai che stai contrattando con l'Inferno in persona vero? - gli chiese Bahbel sfoggiando un altro ghigno.
- Sono abbastanza perspicace per capirlo. - confutò Lex facendo una smorfia.
- Mi piaci, ragazzo! - rise il demone - Forse potrei accontentarti, ma... finiamo prima le presentazioni, non trovi sia educato? - sogghignò squadrando dall'alto in basso tutti gli altri presenti. - Quanta meraviglia! - affermò compiaciuto con occhi sognanti, a Lex faceva venire quasi il voltastomaco.
- Si, in effetti sono meraviglioso, - si vantò cercando di attirare nuovamente l'attenzione su di sé per tenere gli altri in salvo. - Ma tu, onestamente, fai vomitare sia così che nella tua forma originale. - aggiunse poi con una smorfia di disgusto e divertimento sulle labbra.
- Io sono sempre attraente, bellezza. - rispose la creatura tagliando corto, vantandosi con spavalderia. Poi concentrò di nuovo la sua attenzione sugli altri alle spalle del corvino. - Tu! - esclamò puntando il dito dove Lex sapeva trovarsi Sindre, ma non si girò a guardarlo, preso dall'ansia. - Helleseele. - sorrise beffardo. - Chi dei due?... oh, no... aspetta... il tuo fratellone è morto! - disse fingendosi dapprima dispiaciuto, ma poi scoppiando in una fragorosa risata che provocò l'ira del ribelle. Non aspettò che Sindre rispondesse a quella provocazione, perché sapeva che non l'avrebbe fatto, quindi prese immediatamente le sue difese.
- Cosa diamine te ne importa? - tuonò Lex infuriato, ma cercò di restare comunque al suo posto, perché sapeva che quella era la tattica usata dal demone per metterli uno contro l'altro. Lui però aveva uno scopo e non avrebbe ceduto tanto facilmente ad ottenere ciò che voleva.
- Nulla in realtà. Ma sai... ho vissuto a lungo ragazzo, dall'inizio dei Mondi, ho conosciuto più o meno tutti i vostri antenati, è ovvio che io sappia chi siete e mi diverte rendervi partecipi delle mie conoscenze. Qual rara occasione, per me! Insomma... Oh! mio caro Vuursterren... di te so così tante cose... Non immagini neppure! - sorrise guardandolo con gli occhi ridotti a una fessura. Lex si chiese cosa mai sapesse, poteva davvero aiutarlo a scoprire il suo passato? Ma subito soppiantò quei pensieri rendendosi conto di star dimenticando Lillian. Non poteva esserci scelta più semplice che decidere tra il suo passato e il futuro di un altro, eppure l'idea di conoscere ciò che aveva da dire il demone lo attraeva eccome. Se avesse potuto gettarsi tra le fiamme dell'inferno l'avrebbe volentieri fatto pur di sapere la verità.
- Bene, ma ora non mi importa cosa sai su di me. - mentì, cercando di essere il più convincente possibile. Doveva salvare Lillian, prima.
- Non eri tu quello alla disperata ricerca di sua madre? - domandò perplesso e divertito, senza ovviamente farsi scrupoli nello sbeffeggiare il corvino davanti a tutti. Lex strinse i pugni e ignorò l'ennesima batosta.
- Non mi interessa di una donna che mi ha abbandonato alla nascita. Se mai io abbia provato a cercare erano solo i capricci di un bambino che aveva bisogno di affetto. Ora non ho più bisogno di niente e non ho più il desiderio di essere amato. - gli rispose Lex con tranquillità, per quanto in realtà si sentisse un bugiardo: lui aveva sempre avuto bisogno di amore e ne voleva ancora. Il demone in risposta mugugnò sconfitto e puntò di nuovo i suoi occhi chiarissimi su Shane, cercando una preda che abboccasse al suo blaterare.
- Sindre, giusto? - chiese riprendendo il suo sorriso maligno. - Salutami tanto tuo padre, quando lo vedi, mi dispiace che stia soffrendo così tanto. - disse in tono rammaricato, ma poi scoppiò nuovamente a ridere. - Anzi, sai che non mi dispiace affatto? Se l'è proprio cercata, sta ripagando il suo debito con il Caos... - disse infine mantenendo il sorriso, e a Lex venne voglia di staccargli la testa con una Divina*, nonostante non avesse la minima idea di cosa fosse successo al padre del suo compagno. Gli bastava sapere che in quel momento Sindre stesse soffrendo per scatenare in lui una reazione di astio verso la causa di quel dolore, e anche senza guardarlo ne aveva la certezza, sentiva il dolore dell'Angelo bianco come se fosse suo.
- Vuoi piantarla o ti rispedisco all'Inferno? Credimi, non ti piacerebbe tornartene a casa a mani vuote. Ho qualcosa che ti interessa e potrei tranquillamente usarlo per distruggerti. - lo informò Lex in preda all'ira. - Sarebbe davvero sconveniente per te farti cacciare adesso. -
- Mmm... - il demone si grattò il mento con fare pensante e poi tornò a guardare fisso negli occhi il suo interlocutore, come se avesse avuto un'improvvisa illuminazione. Ovviamente tutto recitato in modo teatrale. - Se tu mi hai evocato ci sarà un motivo, vero bellezza? Perché... se così non fosse, io potrei benissimo tornarmene per conto mio dai miei amanti laggiù, e non ti creerebbe danni, giusto? - dedusse trionfante Bahbel incrociando le muscolose braccia e mantenendo il solito sorriso spavaldo sulle labbra.
- Ti ho evocato perché voglio contrattare. - affermò Lex dopo qualche istante di silenzio, riacquistando la sua solita temibile calma, insieme all'indifferenza. Non gli diede ragione, ma nemmeno torto.
- Immaginavo. - rise soddisfatto l'essere maligno, guardandosi per l'ennesima volta intorno e puntando ora il suo sguardo su Xavier. - Oh tesoruccio, abbiamo persino un figlio di mezzosangue, qui! - esclamò sempre più contento. Il ribelle dai capelli blu lo guardò in modo decisamente seccato e tacque. - Lo stesso distacco di tuo padre. - commentò in una smorfia. - E gli assomigli come una goccia d'acqua. -
- Lo so. - disse Xavier, mise le braccia conserte e roteò gli occhi mostrandosi chiaramente insofferente, ma forse era solo per nascondere la paura che aleggiava pericolosamente in lui.
- Siete davvero interessanti, voialtri. - Ammise il demone con sincerità scrutando tutti gli angeli dinanzi a lui. - Ma... voi due non mi sembra di conoscervi. - aggiunse indicando prima Victor e poi Alexander.
- P-perché ... tu conosci m-me invece? - Grethe si intromise nella conversazione con quella domanda confusa, dato che Bahbel non l'aveva nominata, i suoi occhi esprimevano timore e frustrazione e tutti i muscoli del suo viso e di tutto il corpo erano tesissimi. Lex ebbe l'impressione che se qualcuno l'avesse toccata sarebbe andata in frantumi. Solo per quel motivo non le urlò contro di tacere. Era sempre sconsigliato arrischiarsi a parlare con un demonio e questo purtroppo gli angeli bianchi stentavano a capirlo, visto che non avevano mai a che fare con quelle creature.
- Non è difficile riconoscerti, dolce bocciolo... il tuo viso è identico a quello di Marianne. - sospirò il demone, quasi intristito, come se potesse provare emozioni.
- Sai di Marianne...? - chiese ancora più sconvolta la ragazza strizzando gli occhi per l'incredulità, oppure per ricacciare indietro le lacrime.
- Tua nonna, giusto? - sorrise mesto l'essere.
- No. Marianne era... lei è mia madre. - rispose afflitta Grethe, e da quel poco Lex capì che quasi tutti nel loro gruppo avevano subìto perdite in famiglia di cui portavano il peso. D'altronde, succedeva spesso, era più raro trovare angeli che a quell'età avessero ancora una famiglia, e non quelli che l'avevano persa.
- Pensavo fosse passato più tempo da quando... - Bahbel si fermò, quasi in difficoltà. - Oh andiamo, la storia la sai, è inutile che io perda tempo a raccontartela! - valutò Lui, ma Grethe lo guardò sempre più sconcertata dalle sue parole con l'angoscia crescente nei suoi occhi.
- Cosa intendi...? - disse lei e la disperazione trapelò dalla sua voce. Eppure Lex stava fremendo dalla voglia di farla tacere. Nessuno meglio di lui poteva comprendere quanto fosse effettivamente terribile voler conoscere i segreti della propria famiglia e del proprio passato, ma chiederli a un demone non era la soluzione migliore. Forse a Grethe non fregava nulla di mettersi nei guai perché quell'evocazione serviva a salvare Lillian, non certo un suo parente... Ma a Lex importava eccome.
- Non ho mai capito perché quando qualche angelo mi evoca devo sempre fare da maestro di storia. - sbuffò il demone. - Farei prima ad incenerirvi. - ghignò cercando di incutergli timore, ma Lex sapeva che non l'avrebbe fatto. - Tuttavia, mi incuriosite. - ammise infine. Passarono diversi interminabili secondi prima che riprendesse a parlare spiegando la storia di Marianne. - Tua madre era una donna bellissima e coraggiosa, ma, nonostante la sua bravura con le armi, si era un po' montata la testa. - disse Bahbel rivolgendosi alla ragazza dai capelli colorati. - Durante la rivolta degli Inferi ci furono diverse spedizioni verso la Cittadella Celeste, e in una di queste fu catturata Marianne. Arrivata a Heriotza, la capitale degli Inferi, come ben saprete, riuscì a liberarsi e a liberare altri suoi compagni, si mise al comando di quel piccolo insignificante esercito e pensò di poter distruggere una volta per tutte i demoni... Povera illusa. - commentò drammatico, uno come lui era capace di esasperare chiunque.
- Non hai diritto di giudicarla così! Lei non era illusa! - ribatté la ragazza, quasi in lacrime. Impossibile non notare la sua tensione.
- Oh si che lo era. - ribadì il demone senza mettere nemmeno un secondo in dubbio le sue certezze. - Ho provato a salvarla per la sua immensa bellezza e a tenerla con me, ma gli altri nove della corte erano contro di me. Purtroppo loro non si intendono di belle donne, quindi non riuscivano a capire la sua innata perfezione; tu non sei nemmeno minimamente paragonabile a lei, senza offesa ovviamente. - disse con sguardo perso, probabilmente pervaso dai ricordi.
- Non potrebbe mai essere un'offesa, so che lei era meravigliosa. - rispose schietta Grethe e si gettò incurante sul pavimento, mettendosi seduta a gambe incrociate e tenendosi il petto con le mani, avvertendo d'improvviso tutto lo stress emotivo. Grethe era oggettivamente bellissima: il viso tondeggiante e senza imperfezioni, il mento appuntito, la fronte non troppo alta, gli occhi color caramello leggermente a mandorla, il naso piccolo e perfetto, le guance morbide e gli zigomi alti. Una bellezza pura ed essenziale; Lex non riusciva nemmeno a immaginare tanta perfezione capace di superare quella. Alcune ragazze che aveva conosciuto potevano essere alla pari con lei, ma nessuna era mai stata più perfetta. Lasciò da parte i suoi futili pensieri, tornando alla delicata situazione che si stava evolvendo intorno a loro.
- Hai finito le presentazioni? Possiamo venire ai patti? - chiese irritato Lex al demone che sorrideva in maniera innaturale. Iniziava a preoccuparsi delle sorti di quel contratto, dato che Bahbel era stato fin troppo gentile a dispensare informazioni preziose.
- Temo di sì. - liquidò Bahbel con la solita noncuranza. Erano praticamente oggetti ai suoi occhi neri. Lex sapeva bene che da un momento all'altro avrebbe potuto fare di loro ciò che voleva, e nonostante ciò l'angelo nero era pronto in quel caso a difendere i suoi compagni.
- Perfetto. Era ora. Ti ricordi quella bella serata ad Asgard, un paio di settimane fa? - domandò Lex contento di avere finalmente la sua attenzione.
- Certamente, quella bella serata in cui tu e il tuo amichetto avete distrutto i Suoi piani. - rammentò con ironia il demone, virgolettando la parola "amichetto" e facendo un cenno verso Shane. Poi incrociò le braccia al petto e si gettò di peso su una poltrona invisibile, sembrava semplicemente seduto sospeso in aria, ma Lex non se ne sorprese, ad un demone del suo rango tutto era permesso. Ciò che lo aveva lasciato perplesso era stato il riferimento ad una terza persona. Il piano che aveva visto quei demoni ad Asgard di chi era stato esattamente? Avere la risposta a quella domanda avrebbe risolto molti dei loro problemi, ma purtroppo avrebbe dovuto fare a meno di quell'informazione.
- Mi hai lasciato questa nel braccio. - affermò Lex, mostrandogli un'enorme spina nera ricurva. Sentì i versi di stupore degli altri, ma non si azzardò a distogliere il suo sguardo divertito da quello impressionato dell'essere dinanzi a lui.
- Quindi? Vuoi che ti paghi i danni? - Cercò di sdrammatizzare il Demone, ma la sua rabbia iniziava a crescere. - Cosa vuoi in cambio? - domandò assumendo un'espressione seria e giunse le mani in pugno sotto il mento, attendendo pazientemente una risposta.
- Una coppa del tuo sangue. - disse schiettamente dopo qualche istante.
- Oh, quanto siamo pretenziosi! - rise Bahbel, una brutta reazione. - Non mi serve poi così tanto quella spina, mi sono cresciute di nuovo sai. - replicò.
- E tu sai che non te la voglio restituire come souvenir. - gli ricordò Lex. Con una cosa del genere gli angeli Superiori avrebbero potuto scongiurare la rinascita di quel Demone grazie ai loro sigilli.
- Potrei distruggerla in qualsiasi momento, potrei mandare i miei servi. Saresti ricercato da un intero esercito. - sorrise fiero di sé mostrando ancora una volta i suoi denti aguzzi.
- Potrei mandarla ai Superiori in qualsiasi momento. Verresti distrutto per sempre in un microsecondo. - lo informò Lex, ma ovviamente lui ne era già a conoscenza. Gli Angeli Superiori avrebbero potuto distruggere i Demoni Superiori se solo avessero avuto una loro parte del corpo, anche solo una spina, ma questo non era mai successo in tutta l'antichissima storia dei Mondi. Forse solo perché non c'era mai stato alcun soldato abbastanza coraggioso da prendersi una parte del corpo di un Demone.
- Ne sono a conoscenza, ragazzino. - rispose il Demone guardandolo di sottecchi, visibilmente irritato. - Ma non mi inganni così, non penso sia un patto equo. Voglio qualche altra cosa in cambio. - sorrise in modo perfido e crudele, dalla bocca scorreva un rivolo di sangue, perché molto probabilmente si era involontariamente morso il labbro dal nervosismo. Allora a Lex vennero i brividi: se un Demone Superiore iniziava a innervosirsi c'era davvero da iniziare a preoccuparsi. Inoltre il ghigno spietato che aleggiava sul suo viso non prometteva nulla di buono.
- Cosa vuoi? - chiese freddo Lex, il sorriso trionfante era completamente scomparso dalle sue labbra, il suo tono era diventato improvvisamente serio e gelido.
- Beh... in questo periodo c'e un gran trambusto Laggiù... - iniziò il demone temporeggiando. - Sapete molto su di noi. Sapete cosa ci piace fare, conoscete il nostro stile i vita, i nostri svaghi. Imparate a conoscerci perché ve lo insegnano, vi insegnano a capirci, perché per farci del male dovete prima sapere come fare. - continuò con fare sornione.
- Che c'entra questo adesso? - chiese scombussolato Lex, senza sapere dove Bahbel volesse arrivare con quell'assurdo discorso.
- Nessuno ti ha interpellato. - Lo zittì il Demone, sistemandosi meglio sulla poltrona invisibile. Si guardò un po' intorno e poi sorrise. - A te cosa piace fare più di tutto? - gli chiese l'essere, inaspettatamente.
- Suonare il pianoforte, suppongo. - rispose con cautela il ribelle, calmo come sempre.
- Bel passatempo. Avrei dovuto aspettarmelo, conoscendo tuo padre. Sei dedito alla musica dal tuo sangue. - disse e Lex rabbrividì, a volte dimenticava di aver avuto un vero padre. Era ovvio Bahbel non si riferisse a Markus giacché l'unico passatempo del ribelle era andare in guerra.
- Perché me lo chiedi? - chiese il ribelle a voce bassa con tono inverosimilmente pacato, le domande non cessavano di presentarsi a fiotti tra i suoi pensieri, impedendogli di ragionare lucidamente e incutendogli timore riguardo a ciò che sarebbe potuto succedere da un momento all'altro.
- Perché è debito avere delle passioni. - sorrise il demone. - E voialtri? - chiese poi, rivolgendosi agli altri angeli presenti, che intanto erano allibiti e impauriti dalla strana piega che stava prendendo il discorso.
- Loro non sono tenuti a rispondere. - si intromise Lex, prima che qualcuno prendesse a parlare. Xavier si avvicinò e gli posò una mano sul braccio per rassicurarlo, e Bahbel sorrise.
- Non farò del male a nessuno di voi per questa risposta. Non vi garantisco nulla per dopo, ma ora voglio che mi rispondiate. - affermò con apparente sincerità.
- Anche io amo sfogarmi con le note, di solito scrivo composizioni per violino. - rispose per primo Viktor, l'essere fece uno dei suoi sorrisi aguzzi e puntò il suo sguardo su Sindre.
- A m-me... piace leggere. - farfugliò il biondo, sentendosi chiamato in causa, e Lex ebbe voglia di girarsi, ma fu attirato da un lampo di luce scura negli occhi del demone.
- Tu, invece? Le tue passioni? - chiese Bahbel riferendosi all'angelo bianco accanto a Sindre.
- Il tiro con l'arco. - rispose l'angelo bianco alzando l'angolo delle labbra in segno di sfida.
- Oh, devo avere paura? - rise il Demone e alzò le mani fingendosi spaventato. Poi guardò Xavier ridendo e gli fece un cenno con la testa per indurlo a rispondere alla domanda sottintesa.
- A me piacciono i veleni. - disse il ribelle dai capelli blu, senza smettere di guardare quella creatura nel modo più torvo possibile.
- Agguerriti. - commentò Bahbel. Rivolse un'occhiata a Grethe e poi distolse lo sguardo, puntandolo nuovamente su Lex. Non aveva chiesto nulla alla ragazza, forse volutamente, sembrava ancora sotto shock. - Torniamo a noi e alla nostra trattativa! - esclamò infine.
- Finalmente. - sospirò il ribelle sollevato, aveva creduto che il demone li stesse solo prendendo in giro per poi farla finita. Nei suoi occhi viola era invisibile il vortice di emozioni che lo attraversava, sembrava che il suo guscio protettivo si stesse consolidando di nuovo, più forte di prima. Eppure... tutte le sue debolezze erano ancora lì. Il ricordo incancellabile di Christoph, i vuoti della sua infanzia, il dolore, le ferite sul suo cuore, le bugie... e soprattutto le ultime arrivate, ma non meno importanti, stranw emozioni che provava nei confronti di Sindre. Ormai si era quasi convinto che fosse davvero amore quello che sentiva, ma si credeva un pazzo a pensarlo. Tuttavia, non sapeva con quale altro nome identificare quelle forti emozioni che lo pervadevano ogni qual volta l'angelo bianco gli stesse accanto, o anche solo quando lo guardava negli occhi. Si sentiva terribilmente legato a lui e ciò lo spaventava. La sua fiducia era troppo importante per affidarla nelle mani dell'ultimo arrivato, non era psicologicamente pronto ad altre delusioni. Lex sapeva che le ferite della sua anima non si sarebbero mai più rimarginate, sapeva che non sarebbe mai arrivato nessuno a cucirgli i tagli che portava sul cuore, nessuno a togliergli le bende dai sentimenti, nessuno ad aprirgli le porte della verità. Al contrario, per lui stava diventando sempre tutto più buio, i cancelli che lo separavano dagli altri si stavano chiudendo, lasciandolo da solo per il resto di sempre. L'oblio più tetro e oscuro si apriva dinanzi a lui, gettandosi in un'arida valle di lacrime non versate, di sorrisi falsi, occhi spenti e gesti insensati. Tutto il peso delle sue decisioni sbagliate tornò improvvisamente a gravare sulle sue spalle, schiacciandolo verso un destino amaro. L'amore occultato lo stava uccidendo dall'interno, per l'ennesima volta. Era riuscito a dedurre solo ciò dalla sua inutile esistenza: il corpo muore una volta sola, ma l'anima... l'anima muore ogni volta che si sbaglia, ogni volta che la si lascia nelle mani degli assassini, tra le braccia di chi la accarezza per poi pugnalarla alle spalle, sotto lo sguardo viscido di chi vuole solo metterla a tacere. E quella di Lex era già morta un numero incalcolabile di volte, perché lui non era semplicemente capace di scegliere. Stava morendo ancora, la sentiva: l'ultima fiammella di speranza avvelenata che veniva smorzata da un placido soffio di vento. E la barriera cresceva, tornava più alta e imponente di prima. Ormai nulla traspariva dai suoi occhi, né dai suoi gesti o dalla sua voce, ma la sua anima invocava invano aiuto, sperando in una tregua tra le fazioni che stavano alimentando la sua guerra interiore.
- Tu vuoi il mio sangue. - ricapitolò il Demone Superiore guardandolo freddamente, con la capacità di rendere ancora più tormentoso ciò che accadeva dentro Lex in quel momento. - Io voglio un cuore. Un cuore vivo e pulsante. Il cuore di uno di voi. -
A quelle parole tutto non ebbe più un senso per Lex, si isolò completamente dagli sguardi increduli e terrorizzati degli altri, attorno a lui aleggiava una sorta di cupola invisibile insonorizzata. Sentì soltanto la voce di Bahbel che sussurrava: - Oh... Il tuo sarebbe davvero delizioso... -
Nient'altro lo sfiorò. Nella desolazione, voltò la testa a destra e poi a sinistra, accorto a non incrociare lo sguardo del suo compagno. Vedeva le labbra dei suoi amici muoversi, formando parole, ma non vi prestò attenzione. Il loro panico cresceva ad ogni secondo, ma oltre a mute scene di dolore non vedeva nulla, non sentiva nulla. Non gli procurava alcuna emozione vedere la disperazione negli occhi degli altri, assolutamente nulla. L'unica cosa che riusciva a sentire era il battito impazzito del suo cuore. Non sapeva cosa volesse significare, dato che non vi aveva mai prestato ascolto, ma quell'incessante ticchettare dentro di sé gli diede il coraggio di fare ciò che il suo istinto sentiva giusto fare. Percepiva vagamente l'agitazione degli altri, sentiva solo se stesso per una volta, senza nessuno intorno. Solo se stesso e il suo cuore, finalmente. Il suo viso pietrificato in un'espressione piatta e impassibile non si smosse di un solo millimetro, non c'era il minimo accenno ai soliti sintomi della paura, nemmeno il tremolio nelle mani, niente. Si era placato tutto intorno a lui, un silenzio ricco di inquietudine e pace allo stesso tempo, in cui Lex rivide tutti i momenti più significativi della sua vita, perfino l'ultimo malinconico contatto che aveva avuto con Sindre. Solo allora si pentì di non aver ascoltato il cuore, di non averlo aperto, come diceva Anne. Tutti i suoi pensieri in contraddizione si racchiusero in un unico spericolato gesto: tre passi avanti e due parole: - Prendi me. -
Dopodiché fu tutto ancora più confuso: la sorta di cupola che lo circondava venne lacerata da un urlo, un urlo penoso, acuto, ricco d'angoscia e terrore, un urlo che trasudava disperazione pura, un urlo che squarciò il silenzio e fece riscuotere Lex dallo stato di trance in cui era caduto, quella sorta di ipnosi interiore che lo aveva indotto a sacrificarsi senza pensarci neppure un istante... ma ormai era troppo tardi.
***
Eva aprì la porta della stanza patronale nella reggia degli Helleseele, concesse un'occhiata furtiva alla solita mobilia e poi si concentrò sull'uomo che aveva difronte fingendo un sorriso.
- Buongiorno, Arvid. - parlò la ragazza con voce stranamente allegra.
- Oh cara, che piacere vederti! - esclamò l'uomo in risposta sorridendo e cercando invano di tirarsi su dal letto. Eva avvertì sincerità nel suo tono gioviale, tanto da convincerla sempre di più di avere la vittoria in pugno. Arvid le voleva tropo bene per farsi influenzare da suo figlio o da quella sottospecie di angelo, per giunta con le ali nere.
- Felice di rivederti. Come vanno le cure? - chiese cercando di sembrare interessata.
- Alti e bassi, ma la situazione si sta stabilizzando... in peggio. - la informò tristemente gettando la testa sul guanciale. Eva sorrise mentalmente, ma si mostrò dispiaciuta agli occhi di Daniel. Era tutto studiato nei minimi dettagli, nulla poteva andare storto.
- Ne sono profondamente rattristata, spero solo che Sindre torni il più presto possibile, sono sicura che ti farebbe solo bene stare con lui. - sorrise la ragazza accomodandosi cautamente sulla poltroncina accanto al letto.
- Ha altro da fare... - sussurrò quello, poi sorrise compiaciuto parlando con le lacrime agli occhi. - Mio figlio... è davvero cresciuto troppo in fretta... -
- Suvvia, Arvid, tornerà presto. - lo rassicurò Eva. Il suo sorriso aveva un retrogusto che solo lei sapeva a cosa si riferisse. Oh no che non tornerà, pensò lei sicura di sé. - Oh, che tragedia, hai finito il tè! - esclamò con enfasi teatrale, guardando il servizio da te con due tazzine di ceramica e una teiera vuote. - Vado subito a preparartene un po'. - disse e, senza attendere la risposta dell'uomo, si alzò, prese il vassoio e si diresse nella piccola cucina al piano superiore: ci sarebbe voluto troppo tempo per raggiungere la cucina della sala grande. Tempo troppo prezioso. Preparò l'acqua per il tè, aspettò che tutto fosse pronto e versò nella teiera il contenuto di una piccola boccetta che aveva nascosto nella tasca della sua giacca. Il liquido trasparente dolciastro, serviva ad accrescere le espansioni della malattia che stava già rovinando i tessuti muscolari del povero vecchio, accelerandone la morte. Sistemò la teiera e la tazzina sul vassoio e tornò tranquillamente da Arvid con un sorriso stampato sulle labbra. Era talmente credulone quell'uomo... Eva gli era piaciuta sin dall'inizio e lui stravedeva per lei, era sicuro del fidanzamento che avevano programmato con quelli che Eva spacciava per i suoi genitori, ma in realtà erano solo una qualsiasi coppia sposata che lei pagava profumatamente con le sue immense ricchezze per fargli impersonare il ruolo dei suoi genitori. La ragazza pensava che ormai si fossero davvero affezionati a lei, a volte non le chiedevano neppure il consueto pagamento in diamanti. Erano due brave persone, troppo buone per interessarsi alla vita privata di Eva e scoprire dei suoi piani. Tutte pedine del mio gioco, pensò sorridendo mentalmente per la bella piega che stava prendendo la situazione. Erano tutte semplici pedine da utilizzare nel suo gioco, e lei sì che era brava a giocare. Programmava in anticipo ogni sua mossa e prevedeva quelle dell'avversario, tenendolo sotto controllo. Forse era la migliore doppiogiochista esistente, la sua mente aveva elaborato ogni minimo dettaglio e Sindre era il re dei suoi scacchi: lei, la regina, doveva proteggerlo perché sarebbe stato lui ad avere l'ultimo compito, quindi avere Arvid dalla sua parte era l'unico modo per tenerselo stretto.
- Ecco, padre. - annunciò sorridente in modo affettuoso, appoggiando il vassoio sul tavolino in marmo venato e poi versò del tè nella tazza porgendola all'uomo allettato.
- Grazie, dolce angelo custode. - rispose sollevato lui. - Sai niente della spedizione? - chiese speranzoso.
- Niente più di te, purtroppo. - mentì l'altra fingendosi dispiaciuta. Era così semplice per lei prendere in giro la gente... a volte diventava addirittura noioso.
- Non fa nulla, torneranno presto, sono tutti ragazzi in gamba e sono sicuro che non ci saranno problemi. - sorrise melanconico. Eva sentiva la sua crescente preoccupazione e l'ansia che lo tormentava. Era divertente per lei osservarlo mentre restava impassibile.
- Tu... pensa solo a rilassarti e a stare bene. - disse con premura Eva.
-Vorrei che tu e mio figlio vi sposaste prima che io possa morire. - affermò tutto d'un tratto, con un'intensità sconvolgente. Arvid era molto emotivo, esattamente come Shane, e quelle affermazioni così impulsive erano rare.
- Lo vorrei anch'io... Ma Sindre è poco assorto nella nostra relazione ultimamente. - inventò la ragazza, giacché non poteva certo dirgli che tra loro non era mai esistita una relazione...
- Mi dispiace molto per questo... a volte non lo capisco. - scosse la testa l'uomo visibilmente intristito dalla notizia. La verità era piuttosto che non lo capiva mai, altrimenti si sarebbe facilmente reso conto che Sindre quel matrimonio non l'aveva mai voluto. Tuttavia, Eva tacque a riguardo, perché le faceva molto comodo quella situazione così com'era.
- Nemmeno io. - sorrise l'altra. Poi dopo qualche minuto si congedò dicendo di avere delle urgenti commissioni da svolgere, quindi salutò in fretta Arvid e dopo la signora Helleseele, poi uscì dalla dimora dirigendosi subito verso il Palazzo. Mancavano pochi giorni e tutto avrebbe avuto inizio.
~ ( 9 secoli prima) ~
Era difficile per un bambino di appena otto anni imparare a vivere senza genitori, ma la cosa più difficile era accettare che coloro che lo avevano messo al mondo lo avevano ripudiato per paura. La paura... ma che cos'è infine la paura? Un eterno turbamento tra tra il dire e il fare una determinata azione. Qualcosa di troppo grande per essere comprensibile ad un angelo di appena otto secoli. Viktor a quell'età aveva paura anche solo del buio... I suoi genitori lo avevano sempre tenuto accuratamente lontano dal mondo reale. Aveva vissuto i suoi primi anni all'oscuro di tutto, in una campana di vetro opaco. Poi, per un motivo che avrebbe scoperto solo dopo, lo avevano abbandonato, lasciato in una sorta di casa famiglia per gli angeli che avevano perso i genitori in battaglia... sebbene lui avesse dei genitori vivi e vegeti. Era stata la paura a spingere Marcël Blomstraj e sua moglie Cload ad arruolarsi all'immenso esercito di demoni che marciava alla volta della Fortezza Nera in quel periodo. I due avevano ricevuto la notizia in anticipo grazie a fonti molto attendibili e furono sopraffatti dal panico della situazione. I demoni avevano sempre avuto "pietà" per coloro che si arrendevano, quindi, incitati dalla speranza di poter sfuggire alle grinfie della morte, si inoltrarono nell'Hel andando incontro ai demoni. Le loro sorti furono subito declinate ad alcuni Demoni Superiori a cui andava il momentaneo comando dell'esercito, i quali decisero di trasformare i due angeli e poi di farli partecipare alla grande spedizione.
Viktor sedeva in una cameretta spoglia, con una semplice branda e un piccolo armadio che conteneva i suoi pochi cambi d'abito, un tavolo con libri storici e libri di incantesimi, talmente vecchi che se qualcuno li avesse aperti probabilmente le pagine si sarebbero polverizzate. Sulla parete vuota c'era una piccola finestra con delle tende piene di polvere e usurate dal tempo. Era stata una vita monotona per lunghe settimane... Non aveva molti coetanei e non si trovava neppure bene con gli altri bambini: tutti troppo ingenui, o troppo furbi. Alcuni avevano ancora un carattere davvero fanciullesco, con la voglia costante di giocare, e sempre alle dipendenze di qualche adulto che li proteggesse. Altri, al contrario, governavano bene le loro paure e le loro emozioni, anche il dolore della loro perdita, e avevano usato questo dolore come scudo, erano diventati forti e si erano allenati scaricando la tensione nelle armi, sentendosi capaci di affrontare il mondo. E poi c'era lui, unico forse, o almeno unico in quel posto... Lui che per volere dei suoi genitori aveva dovuto studiare tanto da sapere tutto su tutte le specie di demoni esistenti, sulle battaglie passate, sulle precedenti distruzioni dei Mondi, sugli angeli e sui loro poteri, sui gradi angelici e demoniaci, e addirittura sulle modalità di combattimento. Eppure non aveva mai visto un demone, né aveva mai impugnato un coltello se non per tagliare il cibo. Non aveva nemmeno mai assistito a un combattimento. Sapeva che spesso c'era il rischio di riportare gravi danni, e sapeva anche come curare molte ferite, sebbene non ne avesse mai vista una né sulla sua pelle, né su quella altrui. Il mondo attorno a lui sembrava così perfetto che lui riteneva inutile aver studiato tutte quelle "sciocchezze". La spiegazione era palpabile: lui la realtà non l'aveva mai vista. Non era mai uscito di casa, se non con la custodia dei suoi genitori, per tratti molto brevi tra l'altro. La sua magione era enorme, e, insieme agli immensi giardini che la circondavano, possedeva tutti gli svaghi immaginabili per un bambino; non aveva mai avuto bisogno di altro e non lo aveva mai cercato. Quel giorno, però, la sua visione del mondo cambiò radicalmente.
Le urla provenienti dalla strada gli fecero gelare il sangue, evitava qualsiasi movimento per timore di far rumore e scatenare l'ira di chissà quale creatura stesse torturando gli angeli per le strade. Il piccolo Viktor sentì un sussurro al suo orecchio e sobbalzò, ma poi si rese conto che era stato un semplice gioco della sua immaginazione, continuava a sentirlo, ma la paura non gli permetteva di pensare concretamente, percepiva solo la parola "coraggio...". Poi sentì l'urlo agghiacciante di una donna, un grido al di sopra di tutti gli altri e allora riuscì a decifrate la voce del suo subconscio: era la voce dei suoi genitori che gli ronzava nelle orecchie. Il buio non è nulla, dopo l'oscurità c'è sempre la luce, ricorda, è il timore di aver paura che ci rende codardi, gli avevano detto, ridetto e ripetuto molte volte... Ma nemmeno loro ci avevano mai creduto. Solo dopo pochi secondi di inerzia totale si riscosse di colpo dal suo torpore mentale, afferrò due dei lunghi e affilati coltelli appesi alla parete dietro la porta e scese di corsa le scale fino all'atrio. Era tutto deserto e terribilmente in disordine: le sedie e le poltrone erano ribaltate, gli antichi quadri prima appesi alle pareti color pesca giacevano a terra con le tele squarciate, la carta da parati era strappata in molti punti, non c'era nemmeno un pezzo integro dell'antica mobilia in legno, e il grande specchio che rivestiva tutta la parete destra era andato in frantumi ricoprendo la moquette azzurra di schegge... quella moquette macchiata di rosso vivo in innumerevoli punti... l'azzurro della tappezzeria era diventato una pozza di sangue, persino le tende. Sono stati qui, pensò tremante il bambino, rendendosi conto di ciò a cui stava andando incontro. Davvero esistevano essere capaci di togliere a la vita dei bambini? Quali altre atrocità erano capaci di compiere? Perché lo facevano? Provavano sentimenti? Sapevano quello che stavano facendo?
Un ringhio fece eco nella sala distrutta. Viktor si girò con la lentezza di chi ha paura di trovarsi la morte in faccia, e infatti era proprio così. Una bestia completamente nera occupava l'arcata principale della sala, quella che conduceva alle camere. Alto quasi due metri, era una sorta di rettile squamato, aveva il torso simile ad un cavallo, ma molto più robusto, la coda di un coccodrillo con due lunghe spine alla punta, due arti più piccoli in avanti con lunghissimi artigli, il collo molto grosso e la testa quasi triangolare dotata di fauci enormi che lasciavano intravedere due file di denti lunghi e seghettati. Non aveva occhi, ma solo due narici incavate al di sopra della bocca. Era un demone Habrix, facile riconoscerlo per il fatto che fosse l'unico demone ad avere 6 arti. Il demone mostrò i denti, come consapevole che il bambino lo avesse riconosciuto, poi protese il collo in avanti pronto a iniziare la corsa verso la preda, ma Viktor ricordò immediatamente che il punto debole di quel demone era il cuore che stranamente si trovava alla base del collo. Prese il coltello più lungo e leggero e lo tirò con una velocità fulminea nello stesso istante in cui l'essere era scattato verso di lui. Il colpo andò a segno, ma purtroppo il bambino non aveva esperienza pratica nel lancio e il coltello non aveva colpito l'organo vitale, ma aveva comunque inferto un'ampia ferita che lo avrebbe rallentato. Dopotutto, sapeva di essere stato molto fortunato, quindi si girò di scatto e corse il più velocemente possibile attraversando l'ultimo corridoio dritto verso l'esterno. Lo spazioso corridoio d'entrata era devastato quasi come il salone: stesse tele e carta da parati strappate, stessi lampadari e specchi in frantumi, stessa moquette azzurra cosparsa di sangue. Delle urla e dei pianti si infiltrarono tra i suoi pensieri, erano vicinissime, qualcuno stava piangendo, era una voce sottile, era un bambino o forse due... Ma non poteva fermarsi, aveva un demone alle calcagna, non poteva smettere di correre, lui doveva salvarsi. In quel momento pensò a quanti bambini probabilmente erano morti in quella giornata e pensò che se quelli fossero ancora vivi doveva contare pur qualcosa. Le due fazioni della mente di Viktor combattevano arditamente per la supremazia dell'una sull'altra: quella egoista che pensava a scappare e a cercare di salvarsi la pelle e quella altruista che voleva aiutare chi, come lui, era miracolosamente riuscito a sopravvivere fino a quel punto. Tutto questo in un'impercettibile frazione di tempo. La porta era vicina e lì fuori imperversava la battaglia. Si girò di scatto nel verso da cui era venuto e indietreggiò di 6/7 metri trovando una nicchietta nascosta nel muro e due bambini e una bambina che vi si erano accovacciati impauriti. La bambina doveva avere tre anni, mentre i bambini sembravano un po' più grandi, forse cinque o sei anni... In ogni caso troppo piccoli per sapere qualcosa sui demoni, se non della loro esistenza. Era anche lui un bambino in fondo, ma lui era cresciuto in modo diverso, si impose di sbrigarsi a pensare e guardandosi freneticamente indietro si abbassò cercando di prendere la bambina che giaceva in silenzio tra le braccia dell'altro. Tuttavia, il bambino moro si rifiutava di lasciarla mentre si dimenava e piangeva incessantemente, quindi Viktor si infilò il coltello nella cintura e decise a malincuore di prenderla con la forza. Lanciò uno sguardo rassicurante a quello che la teneva e poi la issò di peso da quel nascondiglio improvvisato, ma quando la girò fu preso da un innegabile senso di orrore e per poco non la fece cadere. Strizzò gli occhi dispiaciuto e inorridito e si costrinse a tenerla in braccio per pura compassione dei due bambini ancora seduti a terra; dovevano essere fratelli, si assomigliavano molto, e assomigliavano anche alla bambina... o meglio, a ciò che ne rimaneva. Una grossa scheggia di ferro attraversava il petto della bimba e le si potevano contare molte altre schegge più piccole conficcate nel fragile corpicino, ormai in fin di vita. Era uno strazio quella visuale, Viktor le stringeva il polso, ma i battiti erano quasi inesistenti, stava chiaramente per esalare l'ultimo di quegli impercettibili respiri. Il rosso porse la mano ai bambini, ma loro restarono immobili con lo sguardo fisso verso la sala da cui era appena uscito... Rumori, rumori e grugniti: il demone si stava già riprendendo. L'ansia assalì il bambino dagli occhi color ambra, mentre quelli più piccoli restavano con lo sguardo perso nel nulla e la testa rivolta all'arcata che li divideva da quell'orribile mostro divoratore di bambini. Viktor percepiva le sue palpitazioni e si affrettò a prendere la mano del maggiore tra i due, convinto che il piccolo li avrebbe seguiti... ma dove li stava portando? Aveva qualche certezza che potessero sopravvivere una volta fuori? Smise di pensare, spense definitivamente la sua coscienza e con la paura costantemente in crescita cercò di tirare in piedi il bambino con la forza, ma questi si lamentò asciugandosi le lacrime con la manica della maglietta usurata e indicò tremante la caviglia. Probabilmente aveva la caviglia fratturata. Cinque, contò la vocina in testa, ma il rosso la ignorò non riuscendo a far caso a cosa mai stesse cercando di far riferimento quella stupida voce in un momento del genere. I rumori crescevano, insieme all'ansia e agli strattoni al braccio del moro
- Per favore... per favore alzati. Ti prego, non posso lasciarti qui... - si disperò il piccolo di otto anni scoppiando quasi in lacrime. Non aveva mai vissuto un'esperienza del genere, non sapeva cosa significasse la morte, non sapeva cosa volesse dire 'vedere qualcuno morire', non sapeva come provare a salvarli, ma sapeva che voleva riuscirci. Scese qualche lacrima dai suoi occhi, ma si mostrò forte agli altri, convinto che la sua debolezza non avrebbe aiutato. Quattro, sussurrò la voce e un tonfo sordo percorse il corridoio seguito da altri rumori simili allo stridio del ferro. - Dai alzati. - tuonò Viktor preso da un istante di rabbia, con le lacrime agli occhi, tirando il bambino verso di sé ancora una volta, ma questi si impaurì ancora di più e si rannicchiò con le ginocchia al petto abbassando la testa. L'altro bambino lo imitò aggrappandosi al braccio del maggiore e nascondendo la testa riccioluta dentro il tessuto della maglia grigia del fratello. La bambina che il rosso teneva su un braccio era immobile e pallidissima. Forse è già volata via, pensò, ma non ebbe nemmeno il coraggio di controllare. Gli vennero i brividi al solo pensiero di tenere una bambina morta tra le braccia, al solo pensiero di non aver potuto far nulla per salvarla. Un urlo proveniente da fuori lo fece distrarre, ma subito dopo si riscosse e si ritrovò soltanto più impaurito, sempre più incapace di ragionare, sempre più ansioso di andarsene, sempre più timoroso di morire e restare imprigionato in quel corpo di bambino per l'eternità. Tre, continuò la vocina, ora Viktor capiva: stava facendo un conto alla rovescia. Si inginocchiò e porse di nuovo la bimba esanime al maggiore, il quale la strinse a sé e sembrò rassicurarsi immediatamente, nonostante avesse la consapevolezza della sua condizione. Piegò la testa in avanti fino a sfiorare la guancia della creaturina tra le sue braccia e le accarezzò i capelli ricci e incrostati di sangue, il suo viso era bello e paffuto, come quello di tutti i bambini, ma i suoi occhi erano chiusi, e le labbra semiaperte, immobili, non respirava più. Era finita, lì era finita la sua breve esistenza, il fuoco della vita l'aveva abbandonata, come la fiamma di un focolare dopo un paio d'ore si spegne, avendo consumato tutta la legna. A Viktor sembrò che in quello stesso istante l'anima si staccasse dal suo corpicino distrutto per alzarsi e finire chissà dove. Non avrebbe mai dimenticato quel momento, l'esatto momento in cui la sfera di luce che aveva alimentato quella vita lasciava il suo cuore, il suo corpo, per poi sparire insieme a una folata di vento sottile e volare leggera come un granello di sabbia nel deserto, un granello di sabbia sollevato in una tempesta in mezzo a tanti altri, perché quella era solo una delle tante anime segnate in quel giorno. Viktor sentiva gli occhi lucidi, nonostante avesse conosciuto quella bambina pochi istanti prima della sua morte, per quel poco che aveva tenuto tra le braccia la sua vita, gli era stata a cuore. Nessuno mai vorrebbe assistere alla morte di qualcuno, tantomeno un bambino di otto anni in una situazione del genere... Due, gli ricordò la voce. - Su alzati, per favore. Voglio salvarti. - implorò il rosso ancora inginocchiato, allora il bambino alzò la testa. Il volto sporco e gli occhi gonfi e rossi, ancora lucidi, occhi in cui si evidenziava la sua distruzione interiore di quel preciso istante, occhi che minacciavano tempesta, occhi che nascondevano oblio e tristezza profonda, occhi da cui si poteva capire perfettamente che nessuno si sarebbe mosso di lì di propria volontà, occhi che chiarivano che esistessero persone che non volevano essere salvate. - Tornerò a prendervi. Nascondetevi. - si rassegnò Viktor, deciso più che mai a proteggerli. Uno, scandì la voce nella sua testa, come il ticchettio di un grosso orologio a pendolo. Il tempo era scaduto, la sabbia nella clessidra era finita.
Dall'arcata del corridoio spuntarono prima le zampe, poi la testa e infine tutto il corpo del demone, che subito si lanciò in corsa. Aveva ancora il coltello conficcato nella gola, ma la ferita si stava chiudendo e non recava più molti problemi... Viktor lanciò un ultimo disperato sguardo ai bambini ben nascosti nella nicchia e corse via il più velocemente possibile. Le lacrime scendevano lente e copiose sul viso, ma non singhiozzava come avevano fatto quei poveri bambini. Lui era sempre silenzioso, anche quando piangeva. Sentiva i passi pesanti della creatura oscura dietro di sé e finalmente varcò la soglia del grande portone d'entrata: davanti a lui, la sua prima battaglia. C'erano molti angeli neri, ma altrettanti demoni, o anche di più, la luce del giorno andava scemando dietro le colline, rendendo tutto ancora più cupo. Non ebbe tempo di soffermarsi su nulla perché sentì il fiato nauseabondo del demone soffiargli sul collo, quindi non si girò e corse gettandosi a capofitto nella battaglia, tra armi e sangue senza pensarci. Sapeva di avere solo un coltello, sapeva che i demoni erano ovunque, sapeva che nessuno lo avrebbe visto e nessuno lo avrebbe protetto, sapeva di stare per morire. Corse schivando le armi e i corpi che si muovevano senza tregua accalcati in una massa nerastra. Scavalcò molti cadaveri di suoi simili, ma da quello che sembrava erano caduti molti più demoni che angeli. Tuttavia era difficile assicurarsene poiché i demoni si smaterializzavano subito dopo la loro morte, quindi era impossibile contare i loro corpi. Lanciò un urlo voltandosi di scatto quando si sentì afferrare la spalla e rimase lì impalato a fissare incredulo la sagoma in controluce davanti a sé. Altre lacrime scesero dai suoi occhi ambrati, gli occhi di chi ha perso troppo e troppo presto e non riesce a convivere con la realtà. La donna che lo fissava dall'alto aveva uno sguardo disumano: occhi gialli socchiusi che lo fissavano, una bocca larga e spalancata in un sorriso vuoto con tanti denti aguzzi sporchi di sangue. Forse lo stesso sangue che sporcava le unghie conficcate ancora nella spalla del bambino, sebbene Viktor non sentisse dolore fisico momentaneamente, ma solo interiore, una fitta al cuore che gli ricordò tutta la sua vita passata.
- Mamma... - parlò il bambino con la voce che si confondeva nel frastuono della battaglia. La donna ringhiò, spalancò gli occhi e strinse la presa sulla spalla facendo fare una smorfia di dolore al bambino, mentre i serpentelli neri che aveva al posto dei capelli cominciarono ad agitarsi e a mostrare famelici le loro lingue biforcute. Il demone scosse la testa facendo agitare ancora di più i serpenti, poi le pupille si dilatarono fino a riempire tutta l'iride e la sclera, e con quegli occhi completamente neri si avventò sul bambino spalancando le mascelle che si tramutarono in terribili fauci, deformando il viso di quella che un tempo era stata sua madre. Viktor si coprì il viso con le braccia e serrò gli occhi, l'ultima cosa che vide fu la gola nera del demone che aveva sostituito sua madre. Per i pochi secondi successivi fu tutto oscurità, urla, stridio di artigli e metallo e un rumore di ossa rotte.
- Ehi, puoi aprire gli occhi adesso, non preoccuparti. - disse una voce estremamente calma e gentile, per nulla coerente con l'ambiente intorno a loro. Aveva un tono dolce che si era solito usare ai bambini piccoli. Era una voce maschile stranamente melodiosa in tutto quel baccano, ma solo dopo che l'angelo gli ebbe accarezzato i capelli il bambino tolse le braccia dal viso e quello che vide fu salvezza. La bellezza e la disinvoltura del ragazzo che lo aveva salvato erano impressionanti, un contrasto unico; era un ribelle, ma nonostante il colore delle sue ali aveva capelli biondi e occhi chiari, che tra l'altro non si addicevano per niente alla sua tenuta bianca strappata e quasi completamente sporca di sangue, anzi, non si addicevano a quella situazione in generale.
- Cosa... cosa è successo? - chiese il bimbo guardando il biondo, ma la sua domanda non ebbe mai risposta poiché l'angelo lo spinse improvvisamente per terra e lanciò un lucente coltello nel punto in cui prima si trovava Viktor. Solo allora il bambino si rese conto che un demone Valkasar lo stava per aggredire e il ragazzo lo aveva appena salvato, per la seconda volta in poco più di un minuto. Gli rivolse uno sguardo e poi lo sconosciuto gli tese la mano e disse: - Dobbiamo andare via da qui, non è sicuro restare in mezzo alla battaglia. - Viktor accettò la mano e si alzò, ma si ricordò improvvidamente della sua promessa. Non poteva dimenticarla.
- No. Devo tornare dentro, ci sono dei bambini, ho promesso che sarei tornato a salvarli. - rispose il rosso più convinto che mai, poi addolcì lo sguardo e chiese. - Per favore, lasciami andare. - Il ragazzo lo guardò poco convinto, poi annuì e il piccolo si precipitò verso l'edificio correndo tra armi e corpi come se nulla fosse. Spintonò diversi guerrieri, qualche angelo e qualche demone, finché non si liberò la strada e arrivò dinanzi all'entrata dell'orfanotrofio. Attraversò il portone e imboccò il corridoio, mentre urlava per cercare di attirare l'attenzione. - Sono tornato!! - Sentiva il suo cuore battere forte, di nuovo, con lo stesso ritmo delle sue scarpe che battevano sul pavimento, insieme a quelle del biondo che correva dietro di lui. Poi, però, tutto l'entusiasmo che lo aveva accompagnato in quella frenetica corsa si dissolse in un istante. L'istante in cui realizzò di aver infranto una promessa. Il colore defluì istantaneamente dal suo volto e dai suoi occhi, lasciandolo a fissare l'immagine come se fosse uno spettro: i corpi senza vita dei due bambini giacevano scomposti lì dove li aveva lasciati, con il petto squarciato e gli occhi chiusi. Sembrava che stessero dormendo per quanto erano rilassati i loro volti ancora bagnati di lacrime, se si tralasciavano le condizioni in cui erano ridotti. Poco più in là giaceva la bambina, scaraventata sul pavimento come se fosse una bambola, con i vestiti annegati nel sangue dei suoi fratellini. Victor sentì gli occhi bruciare, come se qualcuno gli avesse messo delle braci di carbone ardente al posto delle pupille, e cominciarono a scendere lacrime infuocate d'odio e rimorso. Si voltò di scatto verso la parete opposta e cominciò a battervi i pugni urlando contro se stesso. - È colpa mia! Lo avevo promesso! Avevo promesso che sarei venuto a prenderli... Non avrei mai dovuto lasciarli qui! - si incolpava il bambino, senza riuscire a placare il suo dolore. Nemmeno li conosceva quei bambini, eppure era stato tragico tornare e trovarli senza vita, aveva dato loro la sua parola che li avrebbe salvati, ma non lo aveva fatto. Aveva stretto la loro vita tra le mani e se l'era lasciata scivolare via per puro egoismo. Il ragazzo dietro di lui si avvicinò e lo prese per le braccia costringendolo a fermarsi, gli sussurrò amorevolmente che lui non aveva nessuna colpa. Poi pronunciò parole incomprensibili, una sorta di incantesimo, e il bambino si piombò lentamente nell'oscurità, subito dopo che l'altro l'ebbe preso di peso in braccio e si fosse alzato in volo verso chissà quale destinazione. Il piccolo Viktor riaprì gli occhi inconsciamente solo quando si fermarono dinanzi a una grandissima casa circondata da ettari di terreno. Il biondo si aggiustò i capelli e si presentò sorridente: - Piacere comunque, io mi chiamo Christoph. - gli accarezzò di nuovo i capelli e gli sorrise dolcemente. - Non devi incolparti per ciò che è successo oggi. Se non avessi avuto abbastanza coraggio per scappare anche la tua vita sarebbe finita lì... E non è giusto, proprio come non era giusto nemmeno per loro... Eppure non possiamo sempre salvare tutti. La vita non è giusta. - sospirò, cercando di rasserenare il bambino. Viktor poteva essere piccolo, ma lo sapeva. Sapeva che la vita non fosse "giusta". Era rimasto soltanto atterrito ad averlo sperimentato per la prima volta sulla sua pelle... Ma adesso ne era certo, la vita non era giusta.
- Mi chiamo Viktor. - rispose timidamente, senza riuscir a fare nemmeno un accenno di sorriso. Continuò a pensare a quei bambini e soprattutto ai suoi genitori con una malinconia che non aveva mai provato prima... Era uno solo il motivo per cui lo avevano lasciato: la paura. Erano convinti che i demoni avrebbero vinto, ma non avevano considerato l'alto rischio di morire in battaglia, da una schiera o dall'altra. Alla fine c'era comunque il rischio di morire, sia per gli angeli che per i demoni. Pensandoci, non aveva avuto senso quella mossa azzardata. Gli ritornò in mente l'immagine di sua madre quando a casa lo incitava a studiare e gli parlava di quanto fosse bello l'amore, del coraggio, della forza, e di quanto fosse stato meraviglioso il giorno in cui aveva scoperto di essere incinta. Tutte le cose di cui gli aveva riempito la testa erano andate in frantumi nel giro di poche settimane: se i suoi genitori l'avessero amato davvero sarebbero stati abbastanza coraggiosi da non abbandonarlo, pensava. Era inutile negare la realtà. E l'ultimo flash che si aprì nella sua mente fu la testa mozzata della donna che prima era sua madre mentre si smaterializzava una volta caduta a terra. La testa che aveva mozzato proprio quel ragazzo difronte a lui... ma invece di provare risentimento nei suoi confronti riusciva ad essergli soltanto grato.
- Ehi, adesso entriamo, saremo al sicuro qui. La battaglia sta volgendo al termine... o in ogni caso i demoni riprenderanno ad attaccare soltanto col tramonto, quindi tu puoi state tranquillo. - lo informò il biondo e Viktor annuì ancora pensieroso. Sapeva che i demoni non combattessero di giorno, data la loro debolezza alla luce del sole, ed essendo quasi l'alba il giovane doveva avere ragione. - Ti farò conoscere il mio fratellino. Si starà lavando via tutto quel sangue incrostato dalla pelle, dato che ha insistito a venire con me. - sorrise ancora il ragazzo.
- Perdonami... quanti anni ha tuo fratello? - chiese il bambino, un po' destabilizzato dall'affermazione di Christopher.
- Più o meno la tua età penso... tu quanti anni hai? -
- Otto... -
- Oh beh! Allora siete coetanei! - esclamò cercando di sorridere Christoph, era chiaro si stesse sforzando di sembrare spensierato per non mettere ulteriore pressione al bambino, ma si notava a fior di pelle la sua tristezza. Il biondo concluse la conversazione e Viktor rimase alquanto sconvolto dall'aver appreso questa nuova informazione. Non era previsto dalla legge che un angelo di quell'età combattesse, tantomeno in una battaglia così cruenta, e... doveva avere davvero delle capacità sovrannaturali per uscirne vivo, capacità al di sopra dei normali angeli. - Su, andiamo. - lo esortò Christoph attraversando il portico e aprendo la porta. Un'enorme salone si apriva davanti a loro e un bambino dall'aria pacata e introversa scendeva le scale avvolto in un accappatoio fin troppo largo per lui. Sembrava non avesse otto anni, bensì undici o forse dodici. D'altronde anche Viktor spesso veniva scambiato per qualcuno di più grande, probabilmente per la sua maturità e per le sue conoscenze. Eppure, quel bambino aveva qualcosa in più: lo scintillio dei suoi occhi viola lo sottolineava senza lasciare dubbi.
Un mese dopo la guerra stava terminando davvero, con gli angeli in netto vantaggio, e Christoph aveva trovato una nuova famiglia al piccolo Viktor. Non erano ricchi come la sua vecchia famiglia, ma poco importava. Per quei pochi giorni che avevano trascorso insieme sembravano davvero dei genitori perfetti, e in più non avevano figli, per cui sarebbero stati felici di accoglierne uno. Nel frattempo Viktor aveva avuto modo di conoscere Lex, aveva legato abbastanza con lui da potersi definire amici. Lex gli aveva insegnato a usare le armi più semplici e come mettere in pratica varie tecniche di combattimento corpo a corpo. Sebbene il rosso si sforzasse di apprendere tutto il più velocemente possibile, aveva ancora molto da imparare. Si sorprendeva sempre di più delle conoscenze di Lex, sapeva qualsiasi cosa e applicava perfettamente la teoria alla pratica, senza sbagliare mai. Faceva invidia a chiunque la sua perfezione, ne avrebbe fatta anche a Dio se solo fosse esistito davvero. In quel breve lasso di tempo Lex aveva compiuto i suoi nove secoli, ma non aveva festeggiato il suo compleanno perché, come gli aveva spiegato, aveva perso il padre adottivo pochi mesi prima e non se la sentiva di festeggiare in alcun modo, ma anche perché non aveva molti amici. Aveva detto di conoscere una bambina molto carina e gentile, poco più grande di lui, ma nessuno di più importante del suo fratellastro. In fin dei conti Viktor non sapeva quasi nulla di Lex, ma si era reso conto che aveva un carattere particolare: autodistruttivo.
~ (in tempi odierni) ~
Ingrid aveva usato una runa per rendere trasparente una piccola parte della parete che la divideva dagli altri, in modo da poterli vedere e ascoltare i loro discorsi, ma ogni cosa che sentiva le provocava brividi, soprattutto le parole taglienti del demone.
- Ho creato il deserto nell'anima di un fiore. - aveva detto Bahbel sorridendo con quel ghigno malevolo, non appena aveva finito di esporre la sua insoddisfabile proposta. Ingrid poteva solo provare a immaginare ciò a cui si stava riferendo quell'essere ripugnante. Riuscì a notare solo che Lex impallidì notevolmente e parve isolarsi dall'agitazione degli altri. Che "il fiore" si riferisse a lui? In effetti era esteticamente paragonabile a un bellissimo fiore... ma perché mai il demone avrebbe dovuto rivelare di aver creato il deserto nell'anima di un fiore? Quelle parole aveva un significato che in pochi potevano comprendere. Il fiore spesso era utilizzato anche come elemento metaforico per indicare un oggetto magico divino, su cui solo gli angeli Superiori hanno la custodia, e ciò che aveva detto il demone avrebbe potuto anche ricollegarsi a quel potentissimo oggetto. Il deserto può anche essere inteso come distruzione e... se l'Inferno stesse progettando di distruggere il Fiore? No... era troppo elaborata come spiegazione, ma Lex era sicuramente coinvolto, forse era solo un'allusione al suo passato. In ogni caso, fu dopo quelle crude e semplici parole che cominciarono le disgrazie... Ingrid riuscì solo ad accartocciare il messaggio di fuoco che aveva scritto per la Principessa Anne Torill, prima di restare incredula a guardare ciò che accadeva nella stanza.
"So che te lo ha chiesto, Anne. So del tuo immenso desiderio di essere una ribelle da quando eri molto più giovane, sono cresciuta insieme a te, dopotutto. Proprio per questa ragione, immagino che quell'essere immondo non ti abbia risparmiato. Lo ha chiesto anche a me... E ho ovviamente rifiutato. Eppure, per quanto all'inizio fossi sicura della mia scelta, ora non sono più tanto certa di essere dalla parte giusta. Abbiamo a che fare con qualcosa di più grande di quanto avremmo potuto mai aspettarci. Devo chiederti di preparare Asgard a combattere e di avvisare anche la Regina dei ribelli, la situazione è preoccupante e i nostri angeli devono essere pronti a tutto, perché ciò che affronteremo sarà difficile da distruggere. Ti scrivo questo messaggio in via d'urgenza per chiederti questo favore: ti prego di accettare le sue condizioni e la sua offerta. So bene che, in quanto Principessa di Asgard, sei anche la futura ascendente al trono, ma so anche che hai sempre ascoltato i miei consigli, tralasciando la mia natura e ciò che mi lega ancora ad essa. Anche ora ti chiedo di ascoltarmi: accetta quella proposta Anne, fallo per te, per il tuo sogno, ma fallo soprattutto per noi. Potrebbe essere l'unico modo di salvarti, e forse con te dalla sua parte noi potremmo avere qualche speranza. Sei la nostra ultima opportunità.
Tua, Ingrid."
† ѕραzισ αυтяι¢ι †
Buonaseraaa ❤
Eccovi un altro capitolo che (mi dispiace tantissimissimissimissimo) non è quello che vi avevo promesso la volta scorsa. Ma almeno ho imparato che non devo promettere più niente hahaha. Perdonatemi davvero, ma dovevo lasciare la suspense e avevo dimenticato che dovevo aggiungere delle cose prima di scrivere tutto quello che ci sarà nel prossimo capitolo. Quindi, il prossimo sarà quello bello e pieno di roba strana che avevo detto.
In copertina ci sono Eva e Bahbel. Su questo capitolo non c'è nulla da aggiungere se non che è stato brutto e palloso e mi dispiace perché vi avrà annoiato parecchio, ma serviva per forza... Tornando alla storia... Il vostro personaggio preferito? Quello più misterioso secondo voi? La vostra ship? Ma soprattutto... (domanda da 1 milione di euro) cosa succederà a Lex nel prossimo capitolooooo?? *sottofondo della nona sinfonia di Beethoven* lol. A parte gli scherzi, spero davvero di riuscire a rimediare questo capitolo schifoso con il prossimo, che tra l'altro aggiorno prima, dato che ne ho già scritto un po' ❤
Vi inserisco un attimo la traduzione della parte dell'evocazione dato che l'ho scritta in latino: "O virtuoso demone che governi il piacere e la lussuria, rispondi alla nostra invocazione. Evitaci il castigo divino e premia il nostro coraggio esaudendo la nostra richiesta.
Ascolta la nostra supplica e astienici dal gelo dell'Inferno con il tuo immenso potere. Bahbel io ti evoco, sali in mezzo a noi."
Terminata la parte del vocabolario della storia, direi che posso anche levarmi dalle palle🌝
Con tanto love, al prossimo aggiornamento!!
- Emily
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