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Epilogo

Quando si capisce che una cosa è giunta a termine?

Rispondere a quella domanda in maniera generale non era semplice, ma nel caso specifico Jethro poteva elencare almeno dieci elementi che facevano al caso suo: la figura in amaranto di Ananta che si abbatteva al suolo prima che chiunque di loro potesse arrestare la sua caduta era la più significativa in assoluto.

Erano passati cinque giorni dalla partenza della principessa e la lettera che era giunta a palazzo non recava in sé alcuna traccia del dolore che ne avrebbe causato la lettura.

Si trovava nella sala del trono per caso e stava parlando con lord Elraz del nuovo cavallo che questi avrebbe tanto voluto acquistare se solo le sue finanze glielo avessero permesso. Entrambi, però, sapevano che la sua casa era considerata nobile solo per il nome altisonante che portava e per il ruolo che lui ricopriva in consiglio facendo le veci della moglie, ma che erano a tutti gli effetti poveri. Poveri come potevano esserlo dei nobili: avevano una casa bella quanto le loro vesti e i gioielli ereditati dagli antenati, ma non potevano permettersi nessun capriccio al di fuori dell'ordinario.

Zohar era assieme a sua figlia Eliora e ne seguiva i passi, per una volta, senza la balia che di solito si occupava di lei. La bambina aveva una notevole somiglianza con la donna da cui aveva ereditato il nome e manifestava tanta curiosità come solo i più piccini sapevano fare.

La sovrana, che era stata irrequieta dal momento della separazione con la sua giovane erede discorreva di futilità con Talia e Karmia. Le due donne, con l'andare del tempo, si erano fossilizzate tanto da apparire sempre uguali a se stesse: le espressioni benevole, gli atteggiamenti pacati e quell'aria da ragazze innocue troppo cresciute.

Una cameriera, tra quelle che un tempo gli avrebbe lanciato furtive occhiate per poi arrossire timida, si addentrò nella sala e si guardò intorno per capire dove fosse la regina. Le donne in generale avevano smesso di morirgli dietro quando avevano capito che i suoi giorni da saltatore professionista da un letto all'altro erano terminati e che adesso egli era diverso. La sua era una scelta personale determinata da numerosi fattori che a nessuno doveva spiegare se non a sé stesso e che convergevano in un punto preciso, o meglio su una persona specifica: Elisheva. Quella donna gli era così entrata nel sangue che, non l'avrebbe mai detto prima di sperimentarlo di persona, gli aveva tolto il gusto per altro che non fosse lei. Così non gli importava che si potessero vedere poche volte l'anno e che per la maggior parte si trattava di incontri furtivi consumati in fretta, ma come lo faceva sentire lo stare con lei.

La giovane cameriera consegnò la lettera e andò via.

Tutti nella stanza si accorsero di quello che Ananta faceva: rompeva il sigillo, scorreva le righe e infine sveniva. Nessuno fu abbastanza lesto da impedirle di cadere.

Lady Karmia gridò, Eliora scoppiò a piangere e Elraz interruppe a metà quello che diceva.

Un evento tanto piccolo era stato in grado di generare un caos pazzesco e Jethro quasi proruppe in un'esclamazione derisoria nei confronti di quelli che lo circondavano: in quel palazzo tutti sembravano abili nel creare scompiglio e mai che ci fosse alcuno che calmasse le acque.

Lanciò un richiamo preciso che spesso era usato tra i ranghi militari per indicare pericolo e quando vide spuntare la testa di una guardia non si perse in chiacchiere: «un medico per sua maestà, subito!».

Zohar aveva preso in braccio la piccola che al sicuro con il padre finì in fretta di piagnucolare; e una sua occhiata alle due dame ne ridusse l'isteria mentre la stessa ragazza di prima arrivava trafelata con una boccetta di sali con cui far rinvenire la regina.

In poche falcate raggiunse il corpo e senza toccarla raccolse la lettera che lei aveva lasciato andare. Una lettura veloce e seppe che i motivi per cui quel qualcosa era giunto al termine erano passati da dieci a molti di più: Tiphereth era morta.

«Zohar», chiamò, guardando il fratello e il fagotto che teneva in braccio, «lascia Eliora alle cure della sua balia», continuò sullo stesso tono.

La missiva finì stritolata tra le lunghe dita di suo fratello mentre un lampo di dolore attraversava il viso dell'uomo.

«Se parto adesso potrei essere di ritorno entro domani sera», gli fece sapere Jethro.

«Dammi un'ora, vengo anch'io!», disse l'altro.

«Ti aspetto alle mura cittadine», e già lasciava la sala per correre dai suoi uomini, dare precise predisposizioni e prepararsi a quel breve e triste viaggio.

Come promesso il fratello lo raggiunse all'entrata e le porte furono aperte per loro senza che si scambiassero un fiato.

Solo dopo che si furono allontanati di alcune miglia da Amrat, Jethro si azzardò a parlare:

con sé aveva portato solo tre uomini e cavalcavano a una distanza tale da lasciare loro la libertà di esprimersi.

«Come stava la sovrana?», domandò come prima cosa.

Stava osservando con attenzione il comportamento dell'altro: doveva saggiare il suo stato emotivo e capire le ripercussioni di ogni evento.

Zohar strinse le redini fino a farsi sbiancare le nocche e la mascella era così contratta da potersi frantumare da un momento all'altro.

«Non sono ancora riusciti a farla rinvenire e il medico era con lei quando ho lasciato il castello».

A quanto pareva avrebbe dovuto fare le domande giuste per ottenere delle risposte perché suo fratello era più che mai restio a dirgli qualunque cosa.

«E Gali come l'ha presa?», la reazione dell'altro fu ancora più allarmante e quando abbassò gli occhi rischiò quasi di farlo cadere da cavallo.

Suo fratello non era un codardo e il fatto che rifuggisse dal dare una risposta era alquanto spiazzante. Non aveva mai guardato ai due nipoti con un sentimento che non fosse di tiepida indifferenza, ma anche se non era padre, capiva quanto potesse essere doloroso perdere il frutto dei propri lombi e ancora più difficile dire alla propria donna che due dei suoi tre figli erano morti. Se fosse capitato a lui di fare una cosa simile sarebbe potuto impazzire, soprattutto se la donna in questione fosse stata Elisheva.

«Non le ho ancora detto niente, devo vedere con i miei occhi, solo io sono in grado di riconoscere i miei figli», sputò infine il fratello.

Poteva comportarsi da antipatico e ricordargli che in molti conoscevano le facce dei ragazzi, ma per quella sola volta scelse di comprendere che l'altro aveva bisogno di conferme per somatizzare o almeno provarci.

Nella lettera veniva spiegato che avrebbero trovato qualcuno lungo il percorso per condurli sul luogo dove giacevano i resti del convoglio della principessa.

Tra le terre che erano sotto la giurisdizione della regina di Amrat figurava anche l'intera fascia a nord est del lago Amniosis dove molti secoli prima era stata costruita un'accademia che ospitasse coloro che volevano entrare nelle file dell'esercito e non disponevano dei soldi per pagare un maestro privato. L'accademia era un'enorme struttura completa di campi per le esercitazioni di tiro con l'arco, ricostruzione di tattiche di battaglia e di ogni altra cosa potesse forgiare i soldati che avrebbero combattuto per la corona. Loro non erano diretti così a nord e il terreno che incontravano era un leggero declivio ricoperto di erba verde e piccoli cespugli sparsi qua e là. Le macchie di arbusti, rare in realtà, sembravano piccole oasi di fresco sotto la calura che quell'anno aveva deciso di manifestarsi prima del solito, in una primavera priva di piogge significative che alimentassero la terra.

L'ultima città della regione che andava sotto il nome di Amrat era alle loro spalle già da qualche ora e ancora nessuna traccia dei gruppi che stanziavano nella zona: uomini che amavano la natura più della gente e avevano deciso di dedicare le loro vite alla caccia. Erano piccoli nuclei famigliari formati da non più di quattro persone e che sopravvivevano catturando animali e ricavando da loro tutto ciò che gli serviva: carni per il nutrimento e pelli per coprirsi. I cacciatori, come ormai venivano chiamati dai cittadini, non si facevano vedere volentieri e si diceva anche che avessero smesso di onorare il titolo conferito alla padrona di quelle terre e in tal modo a volte ci si era chiesti se potessero diventare addirittura una minaccia per la corona. Conoscevano alla perfezione i pericoli di quelle terre e sapevano fiutare una preda a distanza, studiando le tracce che lasciava, come se fossero essi stessi degli animali.

Il paesaggio era pressoché piatto e la figura minuta che apparve loro davanti appena superata la sommità di una nuova leggera collinetta spiccava netta: una ragazzina dalla pelle scurita dal sole e capelli corti come il carbone si sollevò agile sulle gambe longilinee senza dire una parola.

Fece un cenno verso di loro prima di indicare chissà cosa davanti a lei e iniziare una leggera corsetta nella stessa direzione. Ecco chi era la loro guida!

Secondo il breve resoconto della lettera, scritta in maniera assai semplice,quasi rozza, quei cacciatori avevano individuato delle tracce di un branco di Tanari e lo avevano seguito finché questo non aveva finito con il convergere nelle tracce di alcuni mezzi a ruote. Poco dopo si erano quindi imbattuti in quello che restava della principessa e degli uomini della regina. Non avevano elargito particolari di sorta,ma pareva che una delle figure femminili indossasse una corona.

I pensieri di Jethro erano disparati: avrebbe potuto gongolare dicendo a quegli stolti che lo circondavano che aveva avuto ragione a opporsi al viaggio della principessa, la possibilità che cercava da anni era a portata di mano e infine chissà come faceva quella bambinetta a non sudare visto che portava una pelliccia chiara, che la copriva quasi per intero e nulla che le proteggesse i piedi.

La mano della cacciatrice che si levava improvvisa a fermare la loro cavalcata gli fece tirare le redini e imprecare contro quel modo di fare.

«Giù»,ordinò quella senza curarsi del tono che usava e a chi si rivolgeva.Aveva una voce che mal si accompagnava al suo aspetto e attese che le obbedissero prima di indicare il terreno a meno di tre piedi da sé.

Jethro scese e lasciò il cavallo alle cure di uno dei soldati, mentre il fratello faceva lo stesso.

Il dito della ragazza indicò ancora verso lo stesso punto e lui poté vedere che vi erano dei segni del passaggio di più bestie: in tal modo stava loro dicendo di non confondere la pista. Stando attenti a seguire meglio che potevano l'andatura così sicura e leggera della loro guida i due fratelli procedettero per quasi cento piedi.

A un certo punto vi era stata una brusca virata verso sud che li aveva avvicinati alla sponda settentrionale del lago e l'erba era stata sostituita da un terreno scuro e piuttosto limaccioso, dove i loro pesanti stivali lasciavano impronte più che nette.

Le carrozze erano quasi del tutto distrutte e ciò che ne restava erano pezzi sparsi sul quel lembo di terreno. Il primi due corpi che videro appartenevano ai soldati: Jethro provò a contare i cadaveri, ma ne mancavano diversi.

Ora che vedeva da vicino la ragazza capiva che non era davvero una bambina: il suo corpo minuto, eppure così tonico, lo aveva tratto in inganno. Sorrise, mettendo in mostra denti bianchi come non poteva credere avesse una che viveva in modo tanto selvaggio e poi indicò di nuovo qualcosa.

«I Tanari sono animali con abitudini diverse dalle altre specie: non mangiano le prede di cui si impossessano nel luogo in cui le trovano.Le portano con sé nelle tane dove hanno i loro piccoli ed è lì che li divorano», alcune tracce si allontanavano dal luogo dell'incidente per andare chissà dove.

Zohar si aggirava tra ciò che rimaneva e vide che aveva trovato un corpo femminile adulto: doveva essere quello di Nili, riconoscibile dal vestito.

«Non sono gli unici ad aver banchettato con i corpi, molte diverse specie hanno approfittato dell'occasione. È molto raro trovare carne da queste parti», sembrava una sorta di maestra di quella macabra situazione.

La ragazza si spostò verso la riva: un altro corpo giaceva semi coperto dal terreno nero.

L'uomo che la seguiva si inginocchiò e restò a lungo a fissare quei resti. Jethro gli si avvicinò e vide che si trattava di Ephram o di ciò che rimaneva di lui.

«Questo,invece, non è opera di nessun animale», disse la giovane donna,ignara del turbamento di chi era accanto a lei, «è stata la bestia del lago. Ogni tanto emerge da quelle acque maledette e si appropria di quello che più gli aggrada. Quell'essere è inarrestabile, ma egli si è difeso e così nella sorpresa ha trascinato con sé solo la parte inferiore».

Un solco, unico e profondo, partiva dal punto in cui doveva esserci l'estremità inferiore delle membra di suo nipote e portava dritto verso il lago. Il ragazzo era morto a faccia in su con la spada a poca distanza dalla mano sinistra e persa nell'intento di colpire qualunque cosa l'avesse attaccato. Dove un tempo c'erano state le gambe restava una scia di sangue e budella dall'odore poco piacevole. Il taglio non era stato netto: pareva che qualcosa lo avesse stretto in vita e stritolato fino a spezzare la colonna vertebrale e staccare le due parti.

Zohar aveva osservato e ascoltato la spiegazione della cacciatrice. Si trascinò barcollando per un paio di metri e rimise sul terreno: non mangiavano da quasi due giorni e tutto ciò che il suo corpo fu in grado di rigettare furono succhi gastrici. Senza alcuna parvenza di grazia di pulì la bocca e rimase silenzioso per degli interi minuti.

«Nessuno sconfigge lo Shagu Hara, nessuno viola il suo territorio impunito e nessuno può vendicare un morto causato da lui», la donna stava guardando le acque, ma appena il lord la fissò continuò, «quando voi andrete via seguiremo le tracce lasciate dai Tanari e li scoveremo. Una volta fatto ciò distruggeremo la loro tana e tutto quello che contiene. Questa è l'unica giustizia che potrete ottenere».

«Queste sono solo sciocche superstizioni di gente ignorante», affermò il comandante cercando di trovare una logica in quello che vedeva, «non ho mai sentito parlare di attacchi simili. Tra l'altro non erano i primi a percorrere la strada che costeggia il lago!»

«Ma il territorio della bestia è il Lago stesso e qualcuno deve aver turbato il suo sonno», la ragazza continuava a guardare Talel che si era nel frattempo ricomposto.

«Diceva tedi aver visto il corpo della principessa, mostratecelo», ordinò senza più guardare il guscio vuoto che un tempo era stato il suo figlio maggiore.

«Lunghi capelli scuri e una corona vicino ai resti della ragazza», con la mano aperta, Jethro vide che indicava qualcosa che stava vicino a una delle parti più consistenti di una carrozza.

Questa volta fu il comandante ad accosciarsi e a studiare con attenzione il corpo: Tiphereth era stata schiacciata da una parte del tetto dell'abitacolo e quel che restava della testa era della poltiglia sanguinolenta. Il busto era stato morso da diversi animali e ne restavano solo delle parti. Dire con certezza che si trattava di lei non si poteva, volendo sperare in un miracolo, ma con le mani guantate lui riuscì a scavare appena nel terreno umido, disseppellendo così qualcosa che luccicava: era una delle tiare chela principessa portava con sé e a cui stavano appunto attaccate delle ciocche di capelli neri.

Le mostrò anche al fratello che annuì a quella constatazione.

«I Tanari hanno provato a impossessarsi del suo cadavere, ma era troppo difficile perché ne restava ben poco. Dopo di loro sono arrivati animali più piccoli che l'hanno rosicchiata qua e là, mal'attacco è stato attuato dalla bestia!», continuava ad affermare con caparbietà quella.

«Queste stupidaggini non ci interessano, immagino che ci abbiate fatto avvertire per ricevere una ricompensa per il vostro servigio», l'apostrofò duro Jethro.

Gli occhi della cacciatrice si accesero di un lampo di collera prima che parlasse ancora.

«Se volete chiudere gli occhi davanti alla realtà, affari vostri. Nessun animale che si aggiri da queste parti sarebbe in grado di provocare tanto scempio e ribaltare dei carri, solo lo Shagu Hara ha la forza necessaria per farlo. Noi non vogliamo le vostre stupide monete. Riteniamo che si abbia il diritto di conoscere come sia morta una persona cara e ora andatevene, dobbiamo continuare la nostra caccia e abbiamo perso del tempo prezioso per attendere il vostro arrivo», spiegò fiera, mentre con una mano respingeva il sacchetto pieno di nimae tintinnanti che il comandante le porgeva.

«Vorremmo poter recuperare i corpi, se ce lo permettete», fu, invece, la richiesta di Zohar.

«Voi?», chiese scettica quella, soffermandosi sulle vesti di entrambi che seppur non sfarzose rivelavano come non fossero uomini di fatica, ma dei signori.

«No, lasceremo uno dei soldati affinché possa accompagnare la squadra che arriverà tra un paio di giorni», ribatté il fratello.

«Saremo lontani da qui tra qualche ora. Le tracce portano verso nord ovest ed è lì che ci dirigeremo. I miei fratelli stanno già battendo la pista e io li seguirò appena avrò terminato», infastidita dal modo in cui Jethro avversava ogni sua parola la giovane cacciatrice preferiva ignorarlo per parlare con l'altro uomo.

«In tal caso vi ringraziamo per aver ritardato le vostre faccende per esserci di aiuto».

«Quelli che non sono qui, saranno stati mangiati quasi per intero. Un tempo i Tanari non divoravano carne morta, ma sono anni che il cibo scarseggia e si sono adattati. Volete che proviamo a recuperare qualche altro resto?», si offrì ancora lei.

«Pezzi di carne irriconoscibili? Possiamo farne a meno! Solo che dovevo vedere e spiegare a due madri come entrambe abbiano perso la loro prole», rifiutò il lord.

«Sono davvero dispiaciuta per loro. Ogni madre dovrebbe poter piangere un corpo quando perde uno dei suoi figli. Due anni fa ho seppellito mio figlio: non riuscì a reggere il vento gelido dell'inverno», la donna si accarezzò il ventre piatto e quel semplice gesto indicò loro che con tutta probabilità era di nuovo incinta.

La cacciatrice smise di parlare e li lasciò soli, iniziando, proprio come aveva detto, a seguire la pista.

«Mancano sia il corpo del comandante Yachin che quello di lady Margalit. Siamo davvero sicuri che non ci sia alcuna possibilità che siano sopravvissuti?», fu la constatazione del più giovane.

«Inutile dare false speranze, sarà andata come ci ha detto la ragazza. Prima si elabora il lutto, prima si può andare avanti», quell'atteggiamento sembrava troppo anche per un uomo dal rinomato carattere freddo.

Jethro scosse il capo perso nella sue considerazioni e non udì le altre parole che gli disse, così fu costretto a chiedergli di ripetere.

«Ho detto», ribadì il fratello maggiore, «scriverai a lady Oded per annunciare la morte di sua sorella», e lo guardò di sbieco.

Quella considerazione lo destabilizzò un poco: non era come annunciare a una madre la morte della figlia, ma non poteva dimenticare l'affetto che Elisheva aveva sempre dimostrato di provare per la sorella e quello sarebbe stato un duro colpo per lei.

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