Capitolo 4
Elron inserì il messaggio nel piccolo sacchettino legato alla zampa della civetta e le impartì l'ordine. Come sempre essa si prese tutto il tempo che desiderava prima di volare verso la sua destinazione. Si girò sul cornicione della finestra, distese un paio di volte le ali, come a scrollarsi un immaginario peso e finalmente spiccò il volo. Le sue ali, grigie, con sfumature argentee, brillarono alla luce del sole, che faceva capolino tra le nuvole, facendola apparire maestosa. Il vento arruffò appena le piume, mentre essa prendeva velocità.
Elron aveva già letto il messaggio che l'imperatore Elhanan, suo nipote, gli aveva inviato quella mattina, ma lo scorse ancora una volta, solo per poter riordinare le idee prima di affrontare il consiglio.
Attraversò lo studio che suo nipote utilizzava per studiare gli incartamenti. Essenziale, con un tavolo rettangolare in legno sempre molto ordinato, una sedia comoda uno scaffale dove riporre i documenti imperiali e nient'altro. In quel luogo l'imperatore doveva prendere decisioni che avrebbero influito sulle sorti di molte persone e, come diceva sempre, preferiva non essere distratto da nulla di superfluo.
Il Consiglio dell'imperatore, formato dagli esponenti più in vista della nobiltà del regno, si riuniva in un'ampia stanza due porte più in là. Davanti all'ingresso stazionavano due guardie con i mantelli azzurri, colore da sempre attribuito alla famiglia imperiale di Algol. La loro sfumatura di azzurro era scura e piuttosto intensa, diversa da quella utilizzata dall'imperatore precedente, il padre di Elhanan. Le guardie gli rivolsero una sola occhiata prima di spingere i pesanti battenti della porta e farlo passare.
All'interno vi erano sei persone, tutte fedeli all'imperatore, ma non per questo bisognava abbassare la guardia.
Lord Liran che solo pochi secondi prima era sicuramente affacciato alla finestra, si diresse lentamente verso la sedia che sempre occupava durante quelle riunioni. Si sedette pesantemente al suo posto, non perché fosse grasso, ma perché era alto e grosso, il più imponente tra i consiglieri dell'imperatore.
«Guardare Lady Onyxia che prende il volo è sempre un gran bello spettacolo», gli fece sapere Lord Liran, con un sorriso.
Lady Onyxia era il nome con cui tutti conoscevano la civetta dell'imperatore. Aveva quel nome perché si diceva che, da quando l'imperatrice era venuta a mancare, il suo consorte si prendeva molta cura dell'animale. Alcuni erano anche arrivati ad ipotizzare stravaganti scenari in cui la civetta fosse capace di mutare forma e divenire una donna bellissima che giaceva con l'imperatore. Erano solo sciocchezze messe in giro da qualche Lord burlone, ma il nome le era rimasto.
Ora, anche gli altri consiglieri erano a conoscenza del messaggio arrivato dall'imperatore, ma questo non aveva importanza, poiché Elron stesso avrebbe presto svelato il contenuto di quella missiva. Ahav Liran, Lord che risiedeva a Bric, era un uomo piuttosto intelligente, a cui non sfuggiva quasi nulla, ma era ancora più temuto per la sua abilità in battaglia.
Elron non si premurò di rispondergli, lasciando che gli sguardi di tutti lo seguissero impazienti mentre si sedeva sulla sedia che gli spettava di diritto.
Lord Elron Jessel, zio dell'imperatore Elhanan, sedeva in Consiglio da prima che suo nipote fosse in grado di governare, e si era meritato quel seggio come tutti gli altri. Suo cognato, l'imperatore Siman Iezal'el, padre di Elhanan, detestava i favoritismi e non aveva fatto eccezioni neanche per lui. La famiglia Jessel era fedele alla corona e a chi la deteneva, da generazioni, e il matrimonio tra sua sorella Anael e il principe Siman aveva solo cementato quell'alleanza.
La tavola del Consiglio dell'imperatore, era una superficie rotonda in solido legno di tecama, un albero dalle dimensioni notevoli, che cresceva un po' ovunque e dal particolare colore castano, tendente al rosso. Nel tempo non era stato fatto niente per modificare quel colore, e quindi il rosso si era spento fino ad avere una sfumatura così cupa da sembrare nero. Quel tavolo era stato costruito almeno tre generazioni prima per ospitare la prima vera seduta del Consiglio e, per volere dell'allora imperatore non faceva distinzioni tra coloro che vi prendevano posto intorno. La sola seduta diversa dalle altre era quella dell'imperatore: uno scranno costruito nello stesso legno, con la stessa cupa sfumatura, ma molto più elaborato. Questo perché, nonostante fossero tutti ugualmente uomini, gli altri non dimenticassero mai che avevano a che fare con l'imperatore.
«L'imperatore ha deciso di prolungare il suo soggiorno ad Amrat», spiegò Elron a tutti gli astanti.
«Quanto a lungo?», volle sapere subito Lord Liran.
«Non abbiamo una data precisa, invierà un altro messaggio quando sarà il momento».
«Non può fare una cosa simile, ha un regno da mandare avanti!», esplose ancora l'altro, dando una manata sul tavolo. Un'altra cosa per cui era conosciuto Lord Liran era infatti la mancanza di mezze misure nel dire quello che pensava, soprattutto quando iniziava a perdere la pazienza.
«L'imperatore può questo e molto altro. Se ritiene opportuna una tale decisione, noi dobbiamo solo appoggiarlo. Dopotutto siamo qui per questo, per mandare avanti il regno in sua assenza. Se non fossimo in grado di farlo, per così breve tempo, significherebbe che non siamo le persone giuste per sedere in questa sala», affermò tagliente Elron.
Subito gli altri si affrettarono allora ad avvalorare il suo pensiero. Lord Ephram, della casa dei Betzalel, ripeté praticamente le sue parole, spostandone l'ordine e cambiando qua e là qualcosa solo perché gli altri non potessero dire che era un pappagallo, ma restando comunque tale nella sostanza. L'uomo non aveva idee proprie; infatti usava sempre e solo quelle degli altri, adoperava le opinioni di chiunque potesse tornargli utile. Era però un vero campione nell'imitare il pensiero dell'imperatore, ed era anche per questo che alle sue spalle era soprannominato lo Strisciante. Che poi il serpente fosse anche il simbolo della sua casa, era solo un dettaglio insignificante. Questo suo modo di fare gli aveva portato un indubbio vantaggio, e grazie ad esso era riuscito a stipulare un contratto di matrimonio estremamente vantaggioso: sua figlia di appena tre anni avrebbe sposato il principe Mitzrael, quando fosse venuto il momento.
Anche gli altri Lord dissero la loro. L'unico che rimase in silenzio fu Sharuka. A lui il titolo di Lord non spettava più da quasi vent'anni, ovvero da quando all'età di quattordici aveva deciso di entrare nell'ordine dei Sacerdoti del Culto. I Sacerdoti del Culto, così chiamati perché votati al culto degli dei di Scevi, erano un ordine molto antico, sopravvissuto nei secoli nonostante i molti problemi che aveva incontrato sulla loro strada. Non da ultima, l'avversione che l'imperatrice Anon aveva provato per loro quattrocento anni prima. Era in quel momento che si erano formati due regni separati, e che quello chiamato Amrat, aveva rifiutato il Culto e li aveva banditi per sempre dalle loro terre.
Quello era stato davvero un duro colpo da affrontare, ma si erano ripresi diventando forse anche più forti di prima. In quell'epoca avevano ricevuto un seggio nel Consiglio e contribuivano a mantenere saldi i rapporti tra Corona e Culto, molto sentito nel loro regno.
Ogni Sacerdote, quelli di alto rango provenivano tutti da case importanti, deponeva il cognome della sua casa di provenienza e a volte anche il nome, per abbracciare completamente il Culto. Solo così dicevano di poter servire al meglio gli dei e il loro stesso ordine. A capo del Culto in quel momento era il vecchio Baruch, che, però, vista l'età avanzata, aveva ceduto l'onore al suo discepolo più meritevole, quello che un giorno avrebbe preso lo scranno più importante nel Culto. Così, circa cinque anni prima, Sharuka aveva partecipato alla sua prima seduta di Consiglio.
Sharuka era un uomo alto e dinoccolato, diverso quasi in tutto dal suo vecchio maestro, se non nella ponderatezza delle sue parole. Sarebbe stato un bell'uomo se non avesse avuto quella sgradevole cicatrice a deturpare il suo volto. Si diceva che gliel'avesse fatta suo padre quando aveva scoperto la sua intenzione di entrare nel Culto. Del resto era l'unico erede dell'antica sua casa e con questa decisione aveva condannato il loro nome a scomparire nell'oblio. Con gli anni la cicatrice sembrava essersi adattata ai cambiamenti che subiva il suo viso, ed anziché impallidire e diventare più piccola, sembrava fosse stata fatta solo pochi giorni prima. Era sempre rossa, e sottolineava l'intenzione del suo genitore di volergli strappare l'occhio. Fortunatamente l'uomo era stato fermato in tempo dai servi, su ordine della moglie, e così il segno del coltello si era fermato a pochi millimetri dal bulbo oculare.
Sharuka ascoltava sempre ciò che gli altri avevano da dire, prima di esprimersi a sua volta, e spesso teneva per se le sue considerazioni. Elron non aveva mai imparato a leggere la sua espressione, anche se era su di lui che focalizzava la propria attenzione il più delle volte. Non si fidava di quell'uomo e del Culto in generale e non perdeva mai occasione di ricordarlo a suo nipote.
Gli altri invece erano dei libri aperti, non nascondevano doppi fini e non tramavano alle spalle del loro imperatore. Queste però restavano sue supposizioni e senza prove non poteva fare assolutamente niente. Proprio quando pensava che Sharuka sarebbe rimasto zitto, lui decise di parlare. Mentre lo faceva, fissava un punto al di là di Elron, come avesse lo sguardo perso nel nulla.
«Signori, abbiamo tutti compreso come l'imperatore ritenga opportuno restare nell'altro regno ancora per un po'. Questo sicuramente perché pensa che l'imperatrice abbia bisogno di sostegno», disse calmo Sharuka.
A sentire quelle parole Elron cercò di non sussultare. Lord Liran aveva detto loro di aver visto Lady Onyxia quella mattina, ma nessuno di loro poteva sapere che Elhanan gli aveva inviato rapporti tutti i giorni da quando aveva lasciato il palazzo. In quei casi si era servito di civette diverse, non riconducibili a lui, proprio per evitare di rendere evidenti i suoi pensieri ad altri se non a lui, il suo più fidato consigliere. Eppure ricordava perfettamente le parole che aveva usato solo tre giorni prima, nella lettera inviata subito dopo il rito funebre dell'imperatore Nun.
"Sono preoccupato per lei. Temo fortemente che sia in uno stato tale da impedirle di ragionare lucidamente. In questo momento ha bisogno del mio sostegno."
Le parole usate da Sharuka erano praticamente le stesse. Doveva trattarsi solo di una coincidenza, seppur così singolare.
«Inutile quindi tornare ancora sulla faccenda. Abbiamo fin troppe cosa da discutere che ci riguardano da vicino. La morte dell'imperatore Nun incide pesantemente sul regno di Amrat e di riflesso su di noi. È questo quello che deve preoccuparci adesso!», continuò l'altro.
Era come se stesse dicendo che bastava una sola persona, la più potente di Algol, a preoccuparsi della faccenda al di là del Lago Amniosis, a loro toccava prendere decisioni per il regno. Indirettamente, nella testa di Elron, quella suonava come un'accusa nei confronti di suo nipote.
Decise all'istante di condurre una discreta indagine sui movimenti del Culto, niente che potesse allarmarli, ma sentiva di dover fare qualcosa, prima che fosse troppo tardi.
"Il saggio prevede i problemi, non li affronta, non ne ha bisogno, se riesce ad evitarli". Era quello che soleva sempre dire l'imperatore Siman, e lui aveva imparato molto da quell'uomo. Per questo e molto altro, avrebbe vegliato su suo figlio, che nonostante le ottime qualità si lasciava ancora trascinare dai sentimenti.
Occorsero le due ore seguenti per discutere i vari fatti che gli altri nobili gli sottoposero, tutte cose che lui già sapeva, ma sentire la loro opinione era importante. Era suo dovere raccogliere le voci, le dicerie ed anche i pettegolezzi in più di un'occasione avevano fatto la differenza. Spesso erano solo un altro modo di raccontare la realtà, condita con una buona dose di cattiveria, disprezzo e gelosia.
Era stata proprio sua moglie a fargli sapere, ad esempio, forse prima che altri sapessero, che l'imperatore Nun era morto. Lady Amuniritis era un'ottima donna, amata persino dalle sue serve che spesso le riportavano i pettegolezzi ascoltati da servi di altre case. Così, quattro giorni prima, mentre lui si preparava ad andare a letto gli aveva fatto visita. Gli aveva raccontato allora che la sua cameriera personale aveva visto Lord Ghimael partire frettolosamente a cavallo, senza alcuna scorta. Solo poche ore dopo, anche la carrozza di sua figlia Nerithe aveva lasciato Ticne, con a bordo lei e suo marito Nehemia. Era comprensibile che Lord Ghimael Kedar si fosse mosso tanto in fretta. Dopotutto era pur sempre il padre dell'imperatrice ed anche se non risiedeva ad Amrat amava molto sua figlia. Lui e Lord Kedar si conoscevano fin da piccoli, essendo figli di due case nobili e risiedendo nella stessa città. Anche se l'altro era di una decina di anni più grande di lui, tra loro c'erano buoni rapporti. L'uomo non avrebbe mai ammesso di soffrire per la decisione di vivere lontano dalla figlia, ma a volte tale dolore glielo si leggeva nell'espressione. E così lui aveva passato la notte pressoché insonne pensando alle conseguenze che tutto ciò avrebbe avuto per Scevi.
La mattina dopo era arrivata una missiva di Elhanan con la conferma di ciò che lui già sapeva. L'imperatore era morto. E lui era partito a sua volta per recarsi ad Algol e sostituire suo nipote.
Lord Osman Elias stava in quel momento esponendo in maniera molto particolareggiata la situazione finanziaria del regno di Amrat. Come lui facesse a conoscerla restava celato tra i segreti che ogni Lord aveva, ma la cosa più preoccupante era che l'altro regno versava in grave condizioni economiche. Era molto probabile che neanche l'imperatrice fosse ancora al corrente di tutto ciò, poiché negli ultimi mesi si diceva che avesse lasciato le redini in mano al suo Consiglio che non doveva averle reso un buon servizio.
Lord Osman ci mise un po' a descrivere l'intera faccenda. Gli piaceva molto parlare di denaro, come se solo nominandolo potesse sentirne la consistenza e il peso tra le mani. La sua casa, non era solo ricca, ma la più ricca dell'intero regno di Algol e avrebbe continuato ad accumulare denaro anche se il resto fosse andato in rovina. Questo perché gli investimenti degli Elias, seppur diversificati, vertevano tutti intorno alla produzione delle derrate alimentari del regno. E una tale merce non sarebbe mai passata di moda. Tutti sapevano che Osman era riuscito persino ad allungare i suoi tentacoli sulla Gilda degli Agricoltori, divenendo il loro sostegno e punto di riferimento.
«Signori, quello che ho voluto dire è che Amrat è al collasso. Potrà non accadere subito, ma sarà la fine che farà, a meno che non intervenga un qualche miracolo», suggerì Osman ammiccando in direzione di Sharuka.
Il Sacerdote si concesse un breve sorriso, per niente cordiale, prima di intervenire.
«I miracoli non esistono, e se anche fossero possibili, non avverrebbero verso persone che hanno voltato le spalle al Culto», disse in tono freddo.
Nessuno poté ribattere a quelle parole. Elron poteva contare i Lord davvero interessati al Culto sulle dita di una mano, e in quella stanza non ve ne erano. Non per questo avrebbero osato mettersi contro di loro. Il fatto che fossero uomini di fede, non toglieva loro la capacità di fare del male in molti modi, magari più sottili di una spada puntata contro, ma pur sempre efficaci.
Poco dopo la sessione del Consiglio si chiuse e i Lord lasciarono la stanza uno ad uno. Elron rimase solo con i suoi pensieri e lasciò che vagassero nel tentativo di trovare delle soluzioni fissando, senza in realtà vederlo, il rosso cupo del tavolo.
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